Raccontatrekking 2005
6 novembre 2005: Piano Ruggio - Timpone della Capanna
La bella stagione volge al termine e la basse temperature cominciano a farsi sentire. Anche le attività della sezione risentono dell’alternarsi dei cicli stagionali ma la passione per la montagna non trova ostacoli. L’escursione odierna ci vede impegnati in una escursione su di una cima, Timpone della Capanna, che viene, a torto, spesso trascurata in quanto non regge al confronto con le numerose altre che la circondano. Il ruolo del CAI è formativo anche in questo: rivalutare il modo di andare in montagna, non la continua e affannosa ricerca di mete ambite ma l’osservazione di tutto quello che ci circonda per apprezzarne i più reconditi aspetti. Solo così riusciamo a stupirci delle enormi radici di un faggio ultra-centenario nascosto ai margini del bosco lungo il sentiero che conduce al Belvedere di Malvento ; dello splendido panorama sulla valle del Coscile -purtroppo deturpato dalla striscia di asfalto della A3- con gli abitati di Morano Calabro, Castrovillari e San Basile. Osserviamo, mentre saliamo, la maestosità della Serra del Prete con le sue praterie di alta quota ed intravediamo le cime del Pollino e del Dolcedorme. Ma, una volta in vetta, rimaniamo estasiati, oltre che dal sottostante Piano di Ruggio , dal panorama che spazia dalla valle di Campotenese a quella del Mercure fino al crestone che accoglie il Santuario della Madonna del Pollino. La discesa è repentina ma la soddisfazione per aver colto gli aspetti più interessanti della montagna albergherà in noi ancora per molto tempo.
30 ottobre 2005> Sila Catanzarese: l’anello delle due valli di Francesco Bevilacqua
Non amo le folle degli escursionisti, le lunghe file variopinte di uomini e donne che saltellano allegramente per boschi e prati chiacchierando del più e del meno. L’eccessiva presenza dell’uomo in natura mi deprime e mi preoccupa. Eppure, agli inizi degli anni ’80 fui tra i primi ad organizzare, con il WWF, escursioni collettive di questo genere. E due volte l’anno lo faccio anche oggi per il CAI. E’ una contraddizione alla quale non mi sottraggo sulla quale ancora mi interrogo. Ricordo, diversi anni fa, un’ascensione al rifugio Monzino per una via ferrata, nel gruppo del Monte Bianco. Era la mia prima esperienza in quella zona. La salita fu un calvario di scavalcamenti ed incontri di centinaia di alpinisti che salivano e scendevano, ognuno come se stesse svolgendo un compito assegnatogli chissà da chi: seri, compunti, educati. Nessuno si guardava intorno (almeno questa era la mia impressione), come se facesse palestra all’aria aperta. Una volta giunti al rifugio, mi rifiutai di scendere lungo la via dell’andata. Guardammo la carta ed immaginammo una possibile via alternativa. Prima di avventurarci chiedemmo consiglio al custode del rifugio, il quale confermò che si poteva scendere ma che non garantiva per le condizioni del percorso che nessuno più faceva da anni. Non incontrammo anima viva. Ci fece compagnia invece, per un buon tratto, un branco di camosci straordinariamente confidenti e nel cielo veleggiò a lungo un’aquila reale come a sorvegliare il nostro cammino. Tutto filò liscio sino a che non ci trovammo sbarrati la strada dal furioso erompere dell’acqua dalla lingua di un ghiacciaio e fummo costretti ad un lungo aggiramento. Alla fine eravamo stanchi, paghi, entusiasti. Eppure, se scopro un luogo o un percorso di particolare bellezza devo subito portarci gli amici più cari, e quando lo trovo adatto alle collettive del CAI lo faccio mettere subito in programma. Anche se così facendo corro il rischio che quel luogo o quel percorso – almeno nAei mesi estivi – pullulino di comitive. La contraddizione, dunque, esiste. Mi sono dato una spiegazione. Dentro di me è sempre forte il bisogno di condividere e di comunicare. Ma penso anche che più persone camminano in natura e conoscono le nostre montagne e più possibilità ci sono che si indignino di fronte ad uno scempio, ad un tentativo di manomissione. Con grande beneficio per le nostre battaglie contro la distruzione degli habitat e dei paesaggi naturali. Fatta questa premessa, dirò che c’è un luogo sul quale più di altri ho dovuto sperimentare questa mia contraddizione. Sta nel cuore della Sila Piccola, tra le dorsali dello Scorciavuoi e del Gariglione. Lo scoprii una domenica di novembre del 1982. Avevo notato sulle carte una grande valle racchiusa tra alture, nella quale non erano stati realizzati né un villaggio né un lago né una strada. Quando vi giungemmo, per quella che poi sarebbe divenuta la via normale per la valle, restammo folgorati -complici luce e vento– dalla sua bellezza. E fu in quell’occasione che salii per la prima volta sulla panoramica altura senza nome che consente una straordinaria visuale su tutta l’ampia testata valliva e che chiamai Poggio degli Elfi, in onore a Tolkien. Sto parlando dell’alta valle del Fiume Tacina. Per qualche anno ancora la valle rimase praticamente sconosciuta ai più, sino a che, la facilità con cui poteva essere raggiunta e la sua straordinaria bellezza, non l’hanno resa meta ambita dell’escursionismo calabrese sia d’estate che d’inverno. Dopo d’allora, ho trovato altri accessi alla valle, tra cui uno che dal Villaggio Verberano valica la dorsale dello Scorciavuoi conduce direttamente al Poggio degli Elfi. Quattro o cinque anni fa, invece, ho concatenato per la prima volta questo percorso, con quello della contigua valle del Ciricilla. Ho subito intuito che vi si poteva organizzare una collettiva per il CAI. E l’abbiamo fatto con la sezione di Catanzaro programmandola per il 30 ottobre del 2005 invitando anche le altre sezioni. Quella che segue è la cronacaA della nostra escursione. Alle 8,30 siamo a Villaggio Verberano, lungo la strada che costeggia il Lago Ampollino sul lato sud. In pochi minuti ci raggiungono gli amici di Catanzaro, Cosenza e Castrovillari. Faccio un rapido conteggio: siamo più di 60! La preoccupazione per il numero eccessivo si stempera nel vedere tante persone alle quali mi lega un’affettuosa amicizia, ma anche altre che conosco per la prima volta. Ci sono i presidenti delle sezioni di Catanzaro, Carlo Olanda, e di Castrovillari, Eugenio Iannelli. Da Cosenza c’è Marino Sorriso Valvo, con la sua immancabile armonica a bocca, e tanti, davvero tanti altri amici. Saliamo lungo la stradina a fondo naturale che attraversa il villaggio e segue per un breve tratto il percorso del Sentiero Italia. Giunti poco sotto il valico della dorsale c’inerpichiamo liberamente lungo una pendice che porta su una piatta cima senza nome che rappresenta uno dei punti panoramici più belli della zona: ai nostri piedi si stende la vallata dell’Ampollino e dietro di essa, a nord, si innalza la dorsale del Montenero ; ad ovest lo sguardo raggiunge la Catena Costiera e l’inconfondibile triedro del Monte Cocuzzo. Pieghiamo a destra (la cima dello Scorciavuoi è invece ad un quarto d’ora di cammino verso sud-est) raggiungendo il valico ma, subito dopo, scavalchiamo la recinzione sulla sinistra penetrando in una fitta faggeta . Imbocchiamo un antico sentiero poco battuto che scende lateralmente ad un affluente alla sinistra idrografica del Tacina. Si alternano piccoli slarghi a praterie inondate dal sole e lunghi tratti in foresta. Sino a che il nostro serpentone variopinto non sbuca ai margini del Poggio degli Elfi. Blocco tutti, li faccio disporre su un unico fronte, in linea, mano per la mano . Poi avanziamo tutti insieme sino a sbucare sulla prateria sommitale ed a godere della favolosa visione della Val di Tacina dall’alto. Vista da qui pare davvero una valle dell’ovest americano. A me ricorda, in particolare, la valle del villaggio indiano nel film “Balla coi lupi”. Basta immaginare i bisonti al posto delle vacche. Breve sosta contemplativa e si riparte scendendo sul fondovalle. Lo risaliamo rapiti dalla bellezza che ci sovrasta e ci circonda. Una bellezza bucolica, dolce, rassicurante. Ben diversa da certe asprezze, altrettanto belle ma a volte inquietanti del Pollino o dell’Aspromonte. E’ un luogo dove venire per ritrovare se stessi, per riconciliarsi con se stessi e col mondo. Sfiliamo dinanzi alla prima “vaccheria” diruta (da qui passa il Sentiero Italia) e poi poco sotto la seconda . Come sempre mi domando perché questi vecchi alpeggi non vengono restaurati. I pastori che d’estate ancora vengono da queste parti potrebbero viverci più dignitosamente e magari ospitare qualche visitatore. Poco più avanti lasciamo la stradina di fondovalle per tagliare a destra e, in breve, raggiungere il crinale. Dopo una sosta per rifocillarci, ci tuffiamo sull’opposto versante lungo un ripido e pietroso sentiero nel bosco che ci porta sul fondo della gemella valle del Ciricilla . Attraversiamo il torrente ed imbocchiamo la stradina di fondovalle che ne ridiscende il corso. Passiamo accanto ad una graziosa masseria sulla sinistra e proseguiamo lungo la stradina penetrando così nella parte più stretta della valle. E’ una bellezza diversa ma ugualmente intensa: le opposte pendici, più ripide e ravvicinate, ci mostrano gli splendidi colori autunnali degli alberi che scendono fin quasi sul greto ; il torrente saltella allegro tra i sassi costringendoci a frequenti guadi. Dopo sette ore di cammino giungiamo a Villaggio Verberano. Foto di rito , abbracci, complimenti reciproci per la piacevolissima gita, promesse di rincontrarci presto in montagna. Già, perché le amicizie più vere, leali e sincere si fanno proprio condividendo delle passioni; come quella che lega tutti noi alle nostre straordinarie, inimitabili montagne.
23 Ottobre 2005: Valle dell’Abatemarco - Monte Trincello
Oggi il programma prevede un’escursione nella parte meridionale del Parco nazionale del Pollino dove hanno inizio gli Appennini meridionali calabresi nel dominio dei monti dell’Orsomarso. La zona è fra le più selvagge d’Italia pertanto anche la più affascinante e scarsamente popolata.Vi spiccano alcune vette impervie significative: Monte la Caccia, Cozzo del Pellegrino, Monte Palanuda, La Mula, La Montea. Faremo visita al Monte Trincello, salendo dal lato sud, ottimo punto panoramico per chi guarda sia verso il mare Tirreno sia verso le verdi e boscose valli dell’entroterra, un tempo, sicuro rifugio dalle incursioni dei Saraceni. Rappresenta uno dei tanti avamposti rocciosi a strapiombo presenti lungo questa costiera. Le due erte cime rocciose e squadrate, simbolicamente mostrano il petto, a protezione delle correnti umide risalenti dal mare . In passato è stato un sito fortificato a guardia della valle, lo testimonia il ritrovamento di monete antiche. Dalla fontana nella piazza di Verbicaro, -antica Vervicarium- le cui origini hanno conosciuto le sofferenze barbariche medievali, ci inoltriamo nella valle rigogliosa del fiume Abatemarco. Raggiungiamo l’inizio del sentiero , passando per l’area pic-nic fino a giungere nei pressi di un manufatto dell’ex impianto idroelettrico. Un salto sull’altra sponda del fiume e dopo avere percorso un tratto di strada rotabile ci troviamo immersi nel fitto bosco in salita. L’umidità proveniente dal fiume -lungo 20 km-, in corsa verso il mare, ci accompagna fino alle pendici rendendo l’aria anche in questa stagione appena sopportabile. Seguiamo una cenno di traccia che spesso si perde sotto la vegetazione. Appena usciti allo scoperto, sembra che la vetta sia alla nostra portata. Ma così non è. Ci separano solo circa 300 m di dislivello ma è necessario addolcire il percorso aggirando l’ostacolo. Lo superiamo prendendo d’assalto con vigoria un bastione roccioso ed erboso pieno di insidie . Finalmente raggiungiamo il crinale. Purtroppo lo sforzo non è appagato dal panorama auspicato, lo impediscono una serie di nubi che dal mare salgono minacciose. Raggiungiamo un’invitante radura, anticamera per la cima da cui ci separa un passaggio molto scosceso reso viscido dalla pioggia. Con un po’ di coraggio e di fiducia nei confronti di Raffaele che ci tiene assicurati con una fune, fra gli applausi, tutti superiamo la prova uscendo rinvigoriti dall’esperienza. Ormai siamo in dirittura d’arrivo! Qui incontriamo un gruppo di amici già di ritorno dalla cima. Dopo i saluti li lasciamo alla loro pausa pranzo. Ci aspetta un ultimo sforzo per vincere le insidie del canalino in sommità, scosceso e sdrucciolevole. Il sentiero non segue una pista definita per cui alla fine ci troviamo tutti sul terrazzo del Trincello sbucando da più parti. Un generale sospiro di sollievo precede la meritata colazione al chiuso di quattro pareti di nebbia grigia . Poche le impressioni significative inquadrate nelle fotocamere digitali e scattate attraverso le folate di vapore acqueo che ha avvolto la montagna, molte invece le impressioni personali scaturite dal trascorrere una giornata immersi nella natura selvaggia di boschi rigogliosi e incontaminati.
16 Ottobre 2005: Ferrata della Gravina di Mimmo Pace
Lo scorso 16 ottobre, 5 validi e disponibili ragazzi del C.N.S.A.S. Pollino – Calabria, nonché Soci della Sezione C.A.I. di Castrovillari, hanno istruito, attrezzato e guidato altrettanti Soci della medesima Sezione, nuovi ad esperienze del genere, lungo la doppia tratta di ferrata che, dal fondo del Caldanello risale, a manca, ai resti dello storico castello normanno di Cerchiara di Calabria, con un dislivello di circa 300 metri, mentre a dritta percorre l’esile, aerea cengia, lungo la dirimpettaia strapiombante parete rocciosa. I neofiti hanno così potuto apprendere ed applicare le tecniche di assicurazione e progressione su vie ferrate. A chi non conosce il C.N.S.A.S., diciamo che è un Corpo Speciale, istituito in seno al C.A.I., composto da uomini scelti, che volontaristicamente offrono il loro soccorso prezioso, anche in condizioni estreme, ad alpinisti, sciatori, speleologi, come pure a semplici escursionisti in difficoltà, feriti o in grave pericolo. La loro preparazione è costante … il loro lavoro, duro e impegnativo. Vale sicuramente la pena evidenziare, che da una delle nostre innumerevoli sortite, magari un tantino più rischiosa e particolare, è scaturito un rapporto di collaborazione tra amici del C.A.I., anche se con attitudini e compiti diversi, che va ben oltre i comuni scambi verbali di esperienze e storie di montagna. Chi scrive, ritiene fermamente che questa sortita esercitativa abbia originato almeno due effetti positivi: - Maggiore affiatamento e solidarietà tra uomini. - Acquisizione di un più alto grado di sicurezza, imparando a prevenire gli incidenti e a conoscere le proprie capacità e rapportarle alle insidie della montagna. Soprattutto si auspica e si spera che simili rapporti di collaborazione, non solo si ripetano e si incrementino, ma rientrino a pieno titolo nella “forma mentis” e nel bagaglio culturale di ogni Socio C.A.I. Un ringraziamento e un encomio, perciò, a questi 5 atletici ragazzi, che attuano fedelmente e scrupolosamente i compiti loro affidati. Sono: Luca Franzese, Massimo Gallo, Giovanni Santagada, Luigi Savaglia e Giovanni Vangieri. Va precisato che la ferrata di Cerchiara di Calabria, realizzata dalla DRIGOS di Alessandria del Carretto nel 2001, è l’unica esistente nel Parco Nazionale del Pollino e tra le prime in Calabria. Una descrizione succinta e poche immagini sono del tutto inadeguate a illustrare la grandiosità degli scenari, la bellezza selvaggia dei luoghi, come pure l’asperità e la pericolosità del tragitto, che si snoda tra mille insidie e spesso corre su paurosi strapiombi. Le pennellate di verde cangiante della macchia mediterranea, che il sole fa brillare come mille smeraldi, quel salto verticale di una decina di metri, quel baratro che ci tiene sospesi a grappolo, quel passaggio da brivido, nonostante le longes assicurate alla fune, quelle ciclopiche tettoie naturali che ci sovrastano lungo il percorso di cengia. E poi, come descrivere l’ansia, il batticuore, le emozioni provate e la gioia finale di aver potuto vivere questa splendida avventura! Provare per credere. Vi invitiamo, perciò, a visitare il luogo e, possibilmente, a percorrere la ferrata. Lo suggeriamo, non tanto a quelli che soffrono di vertigini, ma a tutti gli appassionati dell’avventura e delle emozioni forti, amici del C.A.I. e non!
9 ottobre 2005: San Donato Ninea
Numerose famiglie, nonostante le condizioni meteo non fossero delle migliori, hanno partecipato al consueto appuntamento con gli educatori del CEA Pollino. Il luogo dove si è svolta l’attività è uno dei più belli del Parco del Pollino: Piano di Lanzo. Caratterizzato dalla presenza di un rifugio è punto di partenza per bellissime escursioni verso il Cozzo del Pellegrino o la Mula. Dal rifugio ha inizio uno dei sentieri -contrassegnato con il numero 621- tra i 15 rilevati, segnati ed inseriti nel catasto dei sentieri del CAI ed un tratto del Sentiero Italia (Piano di Lanzo – Piano Novacco) che nel territorio del Parco del Pollino va da Passo dello Scalone a Colle Gaudolino. I bambini, durante la loro piccola escursione, si sono divertiti nell’osservazione, nell’ascolto, nel contatto diretto con la natura dimostrandosi particolarmente interessati verso tutto quello che li circondava. I genitori hanno effettuato una escursione, non particolamente difficoltosa, fermandosi nel pianoro sottostante la Cresta dove a causa della fitta nebbia non hanno potuto però godere del panorama esclusivo di quei luoghi. Nel contempo si sono comunque dilettati a raccogliere, fotografare e discernere sulle varie tipologie di funghi e di frutti che il bosco produce. Dopo l’attività il folto gruppo si è spostato nei pressi del caratteristico paese di S. Donato Ninea presso il ristorante Baita Malieni dove, grazie alla ospitalità e cordialità del gestore, ha potuto apprezzare e gustare un lauto pranzo con prodotti tipici della zona .
18 Settembre 2005: Trifari – Monte La Caccia di Massimo Gallo
L’appuntamento per questa domenica è fissato alle 7, in anticipo rispetto al solito perché è necessario raggiungere Trifari, nel comune di Belvedere Marittimo, per poi affrontare la faticosa salita che ci porterà sulla cima del Monte La Caccia. Le condizioni atmosferiche non sono favorevoli: il cielo è cupo, colmo di nuvolosi neri, gli scrosci di pioggia si sono succeduti per tutta la notte. Alla partenza siamo speranzosi che il tempo volga al bello. La nostra audacia viene premiata quando, giunti nel luogo di partenza, le nuvole si fanno da parte mostrandoci in tutta la loro imponenza, il Monte La Caccia, e più a sud le linee ardite del Monte Cannitello ed il profilo più morbido de La Castelluccia. Quella odierna è una escursione intersezionale con gli amici del CAI di Reggio Calabria, giunti in zona già da sabato, ed è con gioia che ci ritroviamo con loro, a consolidare un rapporto di collaborazione che va avanti da molti anni. Lasciate le auto, tutti insieme, imbocchiamo la sterrata che dalle prime case della piccola frazione punta decisamente verso la montagna . Fra lecci e boschetti di cipressi giungiamo su un piccolo spiazzo dove è stata posta un’icona raffigurante un Cristo, testimonianza di un “sentiero sacro”. Ogni anno -a giugno- viene portata in processione la Madonna fino alla cappella del valico di Serra La Croce . Ultimamente vi è stato costruito anche un piccolo rifugio, grazie all’impegno dell’associazione “Amici della Montagna” e dell’Amministrazione comunale di Belvedere . Arriviamo verso mezzogiorno, la porta del rifugio è aperta, al suo interno una dispensa fornita di vettovaglie e nel soppalco diversi posti letto, molto utili in caso di necessità. Riflettendo sul manufatto e sull’utilizzo dello stesso –indispensabile ricovero per escursionisti e pellegrini- ci compiaciamo di questo caso isolato, nell’intero Pollino, di rifugio di alta montagna non raggiungibile in auto, sperando che serva da esempio ad altri comuni affinché si muovano in questa direzione. Dopo una breve sosta e visita alla vicina cappella di Serra La Croce, attacchiamo il ripido crinale , mentre dal mare, grossi batuffoli vaporosi si avvicinano rapidi facendoci temere un peggioramento del tempo: da queste parti le condizioni meteo sono piuttosto imprevedibili! Tra i numerosi pini loricati secchi , devastati da un incendio negli anni novanta, ci avviciniamo alla cresta finale che ci immette sulla cima a 1744 m, ai nostri piedi –a pochi km di distanza- in tutta la sua bellezza il litorale tirrenico. Dopo le foto di rito e le provvidenziali punture antistaminiche a Vincenzo e a Peppe, martoriati poco prima da uno sciame di vespe, consumiamo la colazione al sacco. Nel frattempo ci saziamo anche di vasti panorami prima di ritornare, per la stessa strada, alle macchine dove ci diamo appuntamento alla prossima avventura.
11 Settembre 2005: L'anello di Timpa Falconara di Ziccarelli Stefania
Le condizioni meteo sono ideali per la Falconara. Essa si presenta come un enorme scoglio calcareo che emerge improvvisamente dai prati dell’alta Valle del Raganello . La forma piramidale evidenzia gli strati rocciosi sovrapposti, testimonianza della natura sedimentaria delle rocce stesse, che si formarono per il depositarsi negli anni di grandi quantità di detriti e di minuscoli organismi marini. Altri interessanti aspetti geologici -verificatisi 5 milioni di anni fa- sono i fenomeni di tettonica distensiva, molto evidenti sul fronte Sud attraverso uno spicchio di roccia sprofondato per il “distendersi” della parete , e tettonica compressiva che si possono osservare lungo la cresta che unisce le due cime. Qui un enorme blocco di roccia presenta strati “piegati” a formare un angolo di 90°, risultato delle grandi forze che li hanno “compressi”. Io e Ivana siamo entusiaste, è la nostra prima escursione in qualità di responsabili del gruppo; con noi, numerosi, anche gli amici del CAI di Catanzaro, motivo in più per essere emozionate! Dopo alcuni problemi di trasferimento arriviamo ai piedi della parete sud della timpa con un leggero ritardo sulla tabella di marcia. Percorriamo la cengia iniziale e, attraversato il boschetto ai piedi del versante ovest, giungiamo sotto la cima nord che scaliamo con ripidi e divertenti passaggi fra le rocce: il panorama è splendido! A Nord Terranova del Pollino e la Timpa di Pietrasasso, ad Est il Monte Sparviere, il Sellaro e in fondo il Mar Ionio. Percorriamo la bella cresta che unisce la cima nord a quella sud, di poco più alta della prima, ammirando sulla nostra destra tutta la cresta dell’infinito che va a culminare sulla Serra Dolcedorme, che intanto si incornicia di nuvole, e tutto il bacino idrografico del torrente Raganello. Giungiamo in vetta, affacciandoci di nuovo verso la Timpa di San Lorenzo. Naturalmente in cima non può mancare la foto di gruppo e il rito della colazione a base di prodotti tipici calabresi, fra cui il buonissimo e piccantissimo “caviale calabrese” e l’ottima soppressata! Dopo circa un’ora di sosta ci incamminiamo per la discesa, impegnando la cresta est , che con vertiginose pareti sulla “alpinistica” parete sud, ci riporta sulla sterrata di partenza.
20/21 Agosto 2005: “La via dell’infinito” in notturna di Mimmo Filomia Le condizioni atmosferiche sono incerte, ma alle ore 16.45 ci troviamo tutti e dieci i partecipanti a Colle Marcione, località montana nel comune di Civita. L’escursione, lunga e difficile ancor più perchè effettuata di notte, prevede l’ascesa della Serra Dolcedorme per “La via dell’infinito”. Un tratto del sentiero UCS – 941 (Nuovo Catasto Sentieri) ci condurrà nei pressi del Passo dell’Afforcata, sotto la cima Est del Monte Manfriana, risaliremo poi verso la cima ovest attraverso un sentierino mozzafiato ben visibile fuori dal bosco. Raggiunta la vetta, rimarremo in quota lungo l’aereo crestone che ci porterà sino alla Serra Dolcedorme. Giunti in vetta una frugale cena dovrà precedere la sistemazione in sacco a pelo per il riposino notturno. Il ritorno ci vedrà impegnati lungo il sentiero che scende al Passo delle Ciavole e poi di Acquafredda con visita ai bellissimi alberi serpenti. La colazione a sacco sarà consumata presso la provvidenziale sorgente del Vascello per rientrare attraverso il sentiero che, nei pressi della Fontana del Principe, conduce alla strada sterrata nel bel mezzo della Fagosa. Prima della partenza si avverte nei partecipanti un comprensibile entusiasmo. La presenza di due donne, Isabella e Caterina, in un’escursione d’insolita e particolare organizzazione e fuori dei canoni tradizionali, dimostra che la diffidenza verso la frequentazione della montagna, da parte del gentil sesso incomincia a sgretolarsi. Per alcuni di noi è la prima esperienza, ma l’ottimismo che traspare annulla le incertezze infondendo più fiducia nelle proprie capacità. Alle 17.05 siamo tutti in fila indiana sul sentiero scalinato che ci condurrà al crinale della scala. Lungo il sentiero che passa in mezzo a rigogliosi faggi siamo confortati dalla presenza dei segnali C.A.I. Proseguiamo per Passo del Principe e Passo Marcellino Serra godendoci uno splendido panorama fino al Passo dell’Afforcata . Da un versante la Fagosa, la Falconara, la Timpa di S. Lorenzo, il Sellaro e sullo sfondo il mare Ionio; dall’altra la valle del Coscile con i centri abitati di Castrovillari, Morano, S. Basile, Frascineto sorpresi all’imbrunire. Il buio sopraggiunge ma la luna tarda ad uscire, avvolta com’è da un’enorme mantello di nubi scure. Peccato! Avevamo preventivato la sua presenza alle nostre spalle per rischiararci il cammino. Proseguiamo con l’aiuto delle nostre torce non senza qualche difficoltà dovendoci muovere su un crestone scosceso di rocce e massi semoventi. Finalmente, scomparse le nubi, intorno alle 21.00 la luna, prima rossa e poi bianca appare in tutto il suo splendore. L’auspicato bagliore illumina ogni cosa proiettando le nostre ombre sui sassi bianchi. La cima Dolcedorme è lì che ci aspetta…sembra ad un tiro di schioppo, ma quanta fatica per raggiungerla! Bisogna scalare con pazienza, una dopo l’altra, tutte le anticime che la precedono. Le soste diventano più frequenti, ce ne serviamo per riposarci ma anche per goderci migliori osservazioni e scattare qualche immagine . Nel frattempo sul nostro taccuino possiamo annotare la splendida visione della caduta di due enormi e bellissimi meteoriti. Lungo il percorso alcune carcasse di pini loricati, un tempo spavaldi baluardi ma continuamente sollecitati dagli imprevedibili e violenti eventi naturali. Finalmente, alle 23.15, vediamo premiata la stanchezza accumulata, siamo in vetta. Un leggero e fastidioso vento mantiene bassa la temperatura (circa 10° C) costringendoci ad indossare indumenti pesanti e trovare riparo per la notte. Da quassù sono ben visibili, come lucciole, tutti gli insediamenti umani circostanti. Annotiamo persino il lungo serpentone autostradale colmo d’auto alle prese con il traffico di rientro, lento e congestionato. A poco a poco la stanchezza ci assale e chiusi nel sacco a pelo, alla spasmodica ricerca della migliore posizione, cerchiamo di addormentarci . All’alba tutti svegli! Tra la buonanotte e il buongiorno non c’è stato un grande intervallo. Chi non è riuscito a dormire, adagiato in una delle culle più alte del meridione d’Italia, avrà avuto modo di tuffarsi, con gli occhi rivolti alle stelle, in mille riflessioni interiori. Ma non c’è tempo, abbiamo pochi minuti per immortalare il sorgere del sole dal profondo del mare Ionio . Dopo un’infinita sequela di scatti ci aspetta il ristoro di un buon caffè o tè caldo, accompagnati da una dolce crostata. Con calma riordiniamo gli zaini e ci prepariamo al rientro, non prima di aver posto la propria firma sul Libro di Vetta e scattata l’ultima foto ricordo insieme a tre amici/soci di Mormanno che ci hanno raggiunto sulla cima .
27 - 31 Luglio 2005: Pasubio e Monte Grappa - Prealpi di Mimmo Filomia Venete e Trentine
Il 2005 ha visto la Sezione CAI di Castrovillari impegnata in un’insolita escursione esterna. Non la scalata ad una vetta o la visita di un Parco nazionale ma, bensì, la ricerca di luoghi, avvenimenti e testimonianze storiche, determinanti per la vita del nostro Paese, di cui avevamo conoscenza solo attraverso riscontri indiretti: “I sentieri della Grande Guerra - 1915/1918”. In un'odierno contesto mondiale dove sembra che la soluzione di tutti i problemi è legata al l’uso delle armi, alla corsa massacrante verso gli armamenti nucleari, a guerre di religione e, dove, la parola Patria evoca sinistri pensieri, il resoconto delle due escursioni diventa difficile e rischia di passare in secondo piano per la delicatezza e l’importanza degli avvenimenti che si sono succeduti, novant’anni fa, in questa parte d’Italia. Nonostante il trascorrere di tutto questo tempo e nonostante i luoghi non conservino più la maggior parte delle strutture militari presenti allora, conosciute però attraverso i libri e le migliaia di foto e documenti osservati nei rifugi e nei musei, aleggia intorno a queste montagne un sentimento di rispetto nei confronti delle migliaia di soldati, per lo più giovanissimi, che hanno perduto la vita per rivendicare un profondo ideale. La vista di tutte quelle postazioni militari e dei ricoveri dei soldati, tocca inevitabilmente la sensibilità che alberga in ognuno di noi rendendoci partecipi della tristezza ma orgogliosi del sacrificio dei nostri nonni. Per chi ama la montagna, è doveroso visitare questo luogo, al confine con l’Austria, dove migliaia di giovani, eroicamente, hanno proteso il petto al nemico per mantenere la linea del fronte. Il Pasubio come il Grappa infatti dal punto di vista strategico valeva qualsiasi sacrificio. Per gli austriaci sfondare su questo fronte significava avere via libera sulla Pianura Padana, per gli italiani resistere voleva dire bloccare ogni sforzo di avanzata avversaria. Una guerra di posizione dove ambedue gli eserciti si impegnarono nella costruzione di un’ardita serie di strade e teleferiche per i rifornimenti, mentre i soldati, arroccati nelle trincee, caratterizzate da gallerie e controgallerie (foto), combattevano una guerra sotterranea contro un nemico che, con l’uso strategico delle mine provocò la morte di migliaia di persone. Alla fine, nonostante ripetuti e massicci attacchi, il temuto nemico non riuscì a superare la linea difensiva! L’escursione dopo un tappa di avvicinamento inizia alla confluenza dei confini tra Veneto e Trentino, più precisamente da Pian delle Fugazze, prosegue poi per Porte Pasubio fino a Monte Palòn attraverso la panoramica via delle creste . La nostra guida, lungo il cammino, ci ha fatto rivivere quelle memorabili giornate di battaglie fatte di ripetuti assalti respinti a colpi di baionetta. Ci ha mostrato i segni della guerra di mine escogitata dagli austriaci per conquistare le alture sul Pasubio. Ovunque sul territorio, resti di postazioni diroccate, le stesse le abbiamo osservate, ricomposte, nel museo di Bassano del Grappa vicino al famoso Ponte sul fiume Brenta . Ora invece su quel Sacro Monte è stata posta una grande croce in memoria dell’impegno valoroso di vinti e vincitori . Più a valle invece le spoglie di tutti i caduti italiani sono conservate in un grande ossario, protette simbolicamente da due file di cannoni con la bandiera tricolore. Nei pressi del Monte Incudine e sul Pasubio (2235m) abbiamo percorso agevolmente le trincee e le gallerie con il pensiero rivolto all’epoca del conflitto quando invece, scarsamente equipaggiati, i soldati erano costretti a chinarsi nei loro spostamenti. Ovunque ceppi commemorativi a ricordo di azioni coraggiose. Al ritorno percorrendo la Strada degli Eroi, ricca di testimonianze di atti eroici, abbiamo potuto osservare la “Strada delle 52 gallerie”. Considerata un capolavoro dell’ingegneria militare, venne costruita in solo nove mesi per garantire l’incolumità, dal fuoco nemico e dalle valanghe, alle colonne dei rifornimenti della 1^ armata impegnata a difendere le posizioni sul Monte Palòn. Anche sul Monte Grappa (1775 m) numerosi scontri si sono succeduti con alterne vicende. La resistenza è stata dura causando migliaia di morti. Un immenso Ossario ne contiene le urna identificate con le proprie generalità o con quelle del Milite Ignoto . Una planimetria rievocativa in bronzo a rilievo, offre le coordinate dei luoghi delle battaglie più cruente. L’adiacente museo conserva armi, vestiario, lettere (innumerevoli le commoventi cartoline postali e lettere inviate dai soldati ai loro familiari), foto e quant’altro in dotazione ai soldati . Il motto “Di qui non si passa”, scritto ovunque, su monumenti, rocce e pareti, è stato rispettato pienamente perché suggerito e scaturito dal coraggio degli Arditi. A fare da cornice Bassano del Grappa, antica romana Baxianus, una ridente cittadina nel cui centro storico si distinguono torri ed edifici medievali ma, soprattutto colma di ricordi della prima Guerra Mondiale, con un lungo viale alberato in memoria degli eroi ed del loro Generale. Nella città sono presenti diverse distillerie di grappa con punti assaggio caratteristici e molto frequentati, ma pregiata è anche l’arte della ceramica e del tessile.
17 Luglio 2005 > Sentiero di Fosso Vecchio di Fabrizio Cian
Per il secondo anno consecutivo, il territorio di Castelluccio Inferiore è meta di un escursione della nostra Sezione del Club Alpino Italiano, segno evidente che questo territorio ha da offrire molto sia dal punto di vista naturalistico sia dal punto di vista storico e culturale. La visita di oggi è stata organizzata in collaborazione con la Pro-Loco di Castelluccio Inferiore, che questo sentiero ha voluto con tanta determinazione ed ogni anno si impegna per la cura e manutenzione del tracciato e della segnaletica. I partecipanti sono numerosi, circa 70, oltre ai soci del CAI Castrovillari e cittadini castelluccesi sono presenti anche appassionati dei paesi limitrofi, nonché turisti in vacanza nel nostro territorio. Considerata la semplicità del percorso vi sono anche giovanissimi escursionisti, che per alcuni tratti, però, preferiscono le spalle forti dei genitori. Il sentiero parte nei pressi del convento francescano , dopo un primo tratto leggermente scosceso si giunge presso un primo monolite alla cui base si può ammirare un raro esempio di affresco a cielo aperto . Difatti incastonato in una nicchia vi sono i resti di un affresco, forse settecentesco, che ritrae l’Arcangelo Michele. La presenza di tale affresco è da far risalire al culto bizantino dell’Arcangelo, come ci spiega il Vicesindaco di Castelluccio Inferiore, esperto d’arte, Luciano Longo. Ulteriori testimonianze bizantine ci vengono offerte dalle cupole della chiesa madre di san Nicola di Mira che si vedono dal punto panoramico alle nostre spalle. Continuando si arriva al secondo monolite, che in lingua locale viene chiamata “Pit’ Along”, cioè pietra lunga . Originariamente questi monoliti erano tre, il terzo era sulla strada provinciale della peschiera, ma fu abbattuto per far spazio alla costruzione della stessa. Da questo punto i nostri occhi possono spaziare in lungo e in largo per tutta la valle del Mercure e del Lao, che un tempo era occupato da un bacino pleistocenico, che si svuotò dopo la spaccatura presso la forra di Laino, dando origine all’attuale fiume Lao con tutti i suoi principali affluenti che solcano l’intera valle . Il cammino prosegue sempre per la strada vicinale di San Antuono Abate, che prende il nome dalla cappella che incontriamo lungo il percorso, nella cappella è conservata una tela anch’essa del ‘700 che ritrae il Santo . Lasciamo Sant Antuono Abate per superare il fosso vecchio, il corso di un torrente che raccoglie le acque piovane dalle montagne per poi farle affluire all’acqua della sorgente S. Giovanni. Qui sono evidenti le opere di terrazzamento fatte dall’uomo per la coltivazione e non è raro incontrare ulivi centenari, nonché resti di archeologia agricola come le vasche di raccolta dell’acqua. Alle nostre spalle, un po’ più in alto, il nostro sguardo cade sulla cappella di S. Maria di Costantinopoli, che sembra incastonata nella montagna. Giungiamo alla antica cappella di S. Maria Magdalena, scolpita nella roccia, ma della quale si conservano solo pochi resti della muratura frontale e una maiolica raffigurante la “Pietà” di Cristo. Il percorso continua per la pineta, disseminata da molti pini abbattuti dall’abbondante nevicata dell’inverno scorso. Usciti dalla pineta possiamo ammirare il lungo bastione dell’Appennino Calabro - Lucano, con le vette di Serra Crispo, Serra delle Ciavole, Serra del Prete, Coppola di Paola, Monte Cerviero, Monte Gada e La Mangosa, inoltre i centri di Rotonda, Laino Castello, Laino Borgo e Mormanno. Giungendo in località Madonna della Neve, visitiamo il museo della Cultura Contadina, allestito dalla locale sezione dell’A.C.L.I. Guidati dal Presidente, Prof. Celano Vincenzo, ammiriamo tutti gli oggetti usati dai contadini, le loro consuetudini e il loro modo di vivere quando l’agricoltura e la pastorizia erano principale fonte di vita e sostegno per la famiglia. All’uscita del museo, nel verde antistante, troviamo i tavoli preparati dalla Pro-Loco, per consumare il meritato pasto, che gli escursionisti esperti e non, si sono meritati preferendo la frescura della montagna ad una giornata estiva al mare. Dopo il pranzo e la consueta foto ricordo il ritorno alle auto si snoda lungo i suggestivi vicoli del paese, che con i loro portali e cappelline ci accompagnano sino al ponte romano sul fiume San Giovanni, luogo di archeologia industriale e dove nel secolo scorso erano in funzione la filanda, il frantoio, opifici e una delle prime centraline idroelettriche. Ci salutiamo dandoci appuntamento al prossimo anno poichè Castelluccio Inferiore e le sue bellezze meritano di essere meta di altre escursioni del programma annuale del CAI.
10 Luglio 2005: Ecobike di Mimmo Filomia
Il nastro di partenza a stento ha potuto contenere le bici e l’ entusiasmo di circa 65 appassionati di mountain bike ritrovatisi per dare vita ad una manifestazione che ha sollecitato le forze fisiche sia dei singoli amatori sia di interi nuclei familiari con bambini al seguito . Preceduti, lungo l’intero percorso, dagli Agenti del Corpo Forestale dello Stato che, come sempre, ci hanno gentilmente offerto la loro straordinaria collaborazione, alle 9.30 da Campotenese viene dato il il segnale di partenza . Parte per primo il gruppo degli specialisti del pedale che dovranno affrontare il percorso più impegnativo su strada sterrata. Subito dopo il più numeroso gruppo degli amatori, quello destinato senza sforzi a godersi una bella giornata di sole nel contesto delle verdi e salubre valli tra Campotenese, Rifugio Conte Orlando, Piano Campolongo fino a giungere al Laghetto Pantano. La segnaletica sul percorso seleziona due percorsi con punto d’ incontro comune nei pressi del rifugio, di prossima apertura, del Club Alpino Italiano – Sezione di Castrovillari a Campolongo. Una struttura concessa dall’Amministrazione Comunale di Mormanno che diventerà un ottimo punto di riferimento, estivo ed invernale, per le associazioni e tutti i loro associati appassionati di montagna e di educazione ambientale . Qui il gruppo dalla pedalata facile arriva con buon margine di vantaggio nei confronti di chi ha scelto il giro più lungo passando per Piano Cambìo. Certamente l’asperità del percorso e l’aver portato, una volta tanto, la bici a mano o in spalla giustifica il ritardo. Una volta rifocillati, tutti i partecipanti sono nuovamente in sella per superare l’ultimo tratto, un sali e scendi di 8 km che porta diritto al verde attrezzato del Laghetto Pantano nei pressi di Mormanno non prima di essersi soffermati nei pressi di un punto panoramico che ci consente la visuale totale dell’azzurro Laghetto dalle rive ombreggianti . Il lago è un invaso artificiale alimentato dal fiume Battendiero creato per accumulare una riserva di energia statica a disposizione dell’Enel. Servirà per il funzionamento della centrale idroelettrica e per la produzione di corrente elettrica. Un bell’esempio di integrazione paesaggistico. L’arrivo della comitiva, alle ore 13.00, è rispettato. La temperatura vicino al lago è fresca, gli ampi spazi attrezzati hanno favorito la consumazione della colazione in tutta comodità e libertà. La mia impressione durante questi 27 km del percorso è stata quella di essermi impossessato in prima persona della natura del mio territorio sentendomi ritemprato anche grazie alla compagnia di tanti amici. Un elogio a tutti i partecipanti per lo spirito con cui hanno affrontato la manifestazione viene rivolto dagli organizzatori che ai saluti associano un arrivederci al prossimo anno.
1/5 Giugno 2005: ViviPollino di Eugenio Iannelli
Oltre cento i soci UISP (Unione Italiana Sport per Tutti) appassionati di montagna, provenienti da tutte le regioni d’Italia, che hanno partecipato al “1° Raduno Nazionale della Lega Montagna UISP”, tenutosi sul versante calabrese del Parco Nazionale del Pollino ed organizzato dall’ A.S. Sporting Club UISP di Castrovillari del Prof. Eugenio Iannelli responsabile territoriale della Lega Montagna UISP. Gli ospiti, distribuiti nelle varie realtà locali, hanno effettuato una monteplicità di attività sportive eco - compatibili praticabili nell’area del Parco. Durante i tre giorni della manifestazione (1/2/3 giugno), divisi in gruppi, hanno: arrampicato sulla palestra di roccia, attrezzata per l’occasione, delle Falesie di Frascineto ; pagaiato sul gommone da rafting nelle gole del Fiume Lao; disceso le acque del Canyon di Raganello nella Gola di Barile; percorso i sentieri che raggiungono il Monte Manfriana, il Monte Palanuda e la Serra Dolcedorme; disceso la cascata del Grimavolo ; conosciuto ed apprezzato le bellezze culturali, storiche ed architettoniche di Castrovillari, Cerchiara di Calabria, Civita, Frascineto, Morano Calabro, Mormanno. La serata di benvenuto si è svolta a Frascineto, nella accogliente Piazza Albania, dove i ragazzi della locale scuola media hanno proposto in un sobrio spettacolo canti e balli della tradizione Arbereshe. Nella seconda serata visita all’interessante Centro Studi Naturalistici del Pollino “Il Nibbio” a Morano Calabro, mentre la serata conclusiva, presso il Protoconvento Francescano di Castrovillari, , davanti ad un folto pubblico , ha visto la splendida e coinvolgente esibizione del Gruppo Folk della Pro Loco del Pollino di Castrovillari e la degustazione di prodotti tipici locali . La programmazione effettuata ha pienamente soddisfatto i soci e i gruppi UISP presenti, destato meraviglia per la diversità e la quantità delle attività sportive proposte e delle peculiarità naturalistiche presenti, incentivando la curiosità per la scoperta, in un prossimo futuro, del Parco Nazionale del Pollino nel suo complesso. Al termine della manifestazione, il Presidente della Lega Montagna UISP, Santino Cannavò, ha voluto ringraziare i responsabili della UISP locale per la perfetta organizzazione, che ha consentito la realizzazione di tutte le attività in programma, ma soprattutto i cittadini ed i rappresentanti istituzionali degli enti pubblici che hanno patrocinato la manifestazione per la calorosa e gentile accoglienza . Inoltre, evidenziando tutte le risorse naturalistiche, paesaggistiche e le potenzialità sportive del territorio, ha anticipato che questa zona del Parco Nazionale del Pollino sarà parte integrante di un progetto formativo della Lega Montagna UISP indirizzato agli appassionati di arrampicata che sicuramente contribuirà ad una ricaduta positiva per la promozione e lo sviluppo turistico di tutto il territorio.
15 maggio 2005 - Gole di Fosso Jannace di Luigi Perrone
Luogo dell’appuntamento è “La Madonnina”, punto di confine tra le regioni Calabria e Basilicata, insieme a due soci aspettiamo il gruppo proveniente da Castrovillari, che ci passa sotto il naso senza fermarsi; ci ritroviamo tutti a Piano Ruggio per un caffè da Carmelo. Partecipa all’escursione di oggi un folto gruppo di giovani Scout del Castrovillari 4 che divideranno con noi il piacere di camminare per monti e luoghi di questo nostro bel Pollino. Abbiamo scelto quest’ area, parte lucana, per osservare ambienti diversi ed immergerci in un posto incantevole come quello delle gole di Fosso Jannace . Il sentiero si trova nel Comune di San Severino Lucano in direzione sud-est rispetto al Santuario della Madonna del Pollino. Realizzato, nel luglio 2003, da alcune guide del Parco con la direzione di Giorgio Braschi, ricalca in molti tratti il tracciato di antiche mulattiere al servizio della teleferica utilizzata nel passato per i disboscamenti. In questi tratti i lavori sono stati di ripristino e miglioramento del tracciato, favorendo l’integrazione dell’opera nell’ambiente senza sovrapporla, dando così, a quanti lo percorrono, una sensazione armoniosa nel delicato ambiente che li circonda. Appena entrati nel sentiero, al primo ponticello, siamo avvolti da un turbinìo di sensazioni provenienti dallo scrosciare delle acque copiose e fragorose e dai primi grandi abeti bianchi . Il gruppo è numeroso oggi, molti si fermano a scattare le prime fotografie. Raggiungiamo in breve il ponte doppio, detto Ponte dei sospiri ( per i sospiri dati durante la fase di trasporto a spalle, e messa in opera delle pesanti travi in legno), dove finisce l’anello breve che consente di ritornare sulla strada che porta al Santuario. Proseguiamo lungo il sentiero che diventa impegnativo, per Escursionisti . In un tratto molto singolare si deve effettuare un passaggio, scendendo per una grossa scala, che determina curiosità e ilarità per la goffa discesa di alcuni. Subito dopo, attraversando l’ottavo ponte, l’incredibile ed inquietante “Roccia del Teschio”, una bassa parete rocciosa formata da 2 piccole grotticelle che appare quasi all’improvviso. Gli scout scalpitano, qualcuno comincia ad arrancare sul tratto di sentiero che è diventato ripido. Volgendo lo sguardo in basso si può ammirare un grande acero, paragonabile ad un altro monumento arboreo, per maestosità e grandezza, il pino loricato. Subito dopo ci appare una curiosa formazione rocciosa soprannominata la “Zampa di Dinosauro” (tutto il tracciato delle Gole è scavato nei calcari del cretaceo superiore) che incontriamo nei pressi di due piccoli pinnacoli coperti di muschio i quali segnalano la fine del sentiero che si interseca con quello che va in direzione di Piano Jannace. Dopo un passaggio nelle acque del torrente su tronchi sistemati alla meglio ci si inerpica fino al Piano di Jannace . Qui facciamo una sosta con vista sulla parete sud-ovest di Serra di Crispo coperta da maestosi Pini Loricati . La presenza di aceri, faggi, pini loricati, abeti bianchi, il sordo rumore delle cascatelle , le rocce carsiche ricoperte di muschio, rendono questo ambiente spettacolare ed unico. Terminiamo questa nostra escursione al Santuario della Madonna di Pollino , ancora in ristrutturazione, evidenziando ancora di più, nella pausa pranzo, la mancanza del nostro Presidente che all’inizio del percorso aveva dovuto rinunciare per problemi di salute. Alla prossima.
8 maggio 2005 > Gola della Garavina di Mimmo Filomia
L’escursione turistica odierna è stata programmata con l’intenzione di coinvolgere soci e familiari ultimamente assaliti da crisi di pigrizia. L’itinerario è abbastanza facile e gratificante per tutti ed in breve tempo proietta nella realtà della verde valle di Casa del Conte isolata dalle frenetiche attività della vita organizzata delle città. L’appuntamento è presso l’agriturismo Garavina, di cui siamo ospiti, situato nell’alta valle del Sarmento vicino alla Gola della Garavina . Vi giungiamo dopo un piacevole viaggio attraverso il quale ci siamo deliziati nell’osservare la natura nella fase di risveglio primaverile dopo le abbondanti nevicate. Ovunque verdi pascoli con viole, primule e orchidee, una festa di colori. Abbiamo attraversato “Bosco Rubbio” caratterizzato dall’abete bianco intercalato nella faggeta dal lucente fogliame novello e tremolante . Sono ancora visibili lungo la strada i resti dei mulini ad acqua e macina in pietra un tempo famosi nella zona lungo il torrente Frido. Testimonianza di attività economica è il mulino/segheria “Calabrese” ora chiamato Iannarelli, in località Mezzana ed in fase di ristrutturazione. Iannarelli era il capo della Guardia Nazionale risoluto oppositore del brigantaggio. La zona è ricca di acqua distribuita attraverso graziose fontanelle. La più importante di queste si trova ad Acqua Tremula (m 1460) una località ora solitaria e tranquilla ma che in estate si popola di gente per dare vita ad una sorta di villaggio per venerare l’arte culinaria a base di prodotti tipici locali . Arriviamo in località Casa del Conte (m 1050) dove ad attenderci c’è la rossa Isabella, nostra simpatica guida, che ci conduce nei pressi di una fontana punto di partenza del sentiero . Qui il Sarmento è inbrigliato per ridurne la corsa impetuosa e indirizzarlo verso la gola. Strada facendo, notiamo come la morfologia del luogo è ingrata a qualsiasi tipo di agricoltura a causa di continue frane. Tutta l’area evidentemente non è coesa con il sottosuolo. E’ adagiata su profonde dorsali in continua tensione tettonica. Gli irriducibili abitanti del posto non possono fare altro che scalfire con gli arnesi un piccolo fazzoletto di terreno per le colture strettamente familiari. Anche la Gola della Garavina, come le altre presenti nel Parco Nazionale del Pollino, è la conseguenza del fenomeno distensivo della crosta terrestre avvenuto dopo il relativo accartocciamento per l’incontro della faglia africana con l’europea. Naturalmente ciò risale a circa 150 milioni di anni fà. Oggi noi verifichiamo solo le conseguenze dell’immane forza sprigionata per staccare in due un bastione di roccia granitica ( foto 3). Il resto è stato opera del fiume che ne ha accentuato la profondità abissale e selvaggia. Lo stesso fiume nel corso del tempo, ha subito mutevoli percorsi, prima di versare le acque, nell’omonima fiumara, nel mare Ionio. Ritorniamo sui nostri passi. Adesso i discorsi sono tutti di interesse gastronomico. Prima di arrivare al ristorante la guida ci ha illustrato il menù che vi assicuro abbiamo tutti onorato. Nel pomeriggio, dopo la consueta foto di gruppo , spostandoci di pochi chilometri, abbiamo ammirato un altro monumento naturale presente nella zona: Timpa di Pietrasasso . Monolito di roccia lavica che si erge su di un altipiano che lo rende visibile anche da molto lontano, rigurgito lavico di un anonimo vulcano oceanico raffreddato per occlusione delle vie magmatiche del sottosuolo . Il tutto coincidente con la deriva dei continenti. A sagomarne definitivamente la forma ha contribuito l’azione dell’acqua e del vento che specialmente oggi è stato sferzante. La presenza di massi basaltici nelle sue vicinanze e di materiale lavico a partire dalla Timpe delle Murge , rendono il posto affascinante . La pianta che predomina in questo tipo di terreno è l’agrifoglio che cresce a cespugli rigogliosi, circolari e impenetrabili. Prima di rientrare, una visita alla sorgente Catusa, ci permette di annotare come in un posto meraviglioso versi in uno stato di completo abbandono il grande Rifugio Catusa.
24 Aprile 2005 > L’Anello del Palanuda di Mimmo Pace
Risalire nella neve alta il selvoso costone Nord del Palanuda per tutta la sua lunghezza e i suoi saliscendi fin sulla spoglia vetta, soprattutto in termini di orientamento, è davvero una bella impresa. E’ Alessandro ad aprire la strada, un atletico giovane della nostra Sezione, una forza della natura, con tanta voglia di aiutare il gruppo, offrendo il meglio di sé. Lo segue, in fila indiana, una carovana di 33 persone (21 membri dell’Associazione Escursionistica “Gente in Aspromonte” – 3 amici di Vibo Valentia e 9 Soci della nostra Sezione), che s’erano date appuntamento al Piano di Novacco, punto di partenza per un percorso ad anello attorno al Palanuda e alla Serra di Novacco, nel cuore dei Monti d’Orsomarso. Incedere in simili condizioni, richiede un notevole impegno atletico, ma soprattutto, tanta forza di volontà. La purezza degli scenari che questa vetta offre, ripagano ampiamente, la fatica per raggiungerla. La visione è circolare: dai Monti del Caramolo, alla intera Dorsale del Pellegrino; dal lussureggiante bacino fluviale del Fiume Argentino, il “polmone verde” del Parco Nazionale del Pollino, agli arenili assolati del Tirreno; dal Ciagola al Sirino; dal Monte Alpe, alla maestosa Catena del Pollino. I nostri amici reggini sono felici. Molti di essi, in vetta, ci hanno confessato che non immaginavano potessero fruire di spettacoli naturali tanto solenni e grandiosi e di essersi innamorati del nostro Pollino. Poi, una discesa, lunga, divertente nella folta faggeta innevata della valle Deo Gratias, il regno del capriolo autoctono, che, purtroppo, non abbiamo avuto la ventura di incontrare a causa, forse, del frastuono originato dall’inebriante, frenetico, scatenato rincorrerci. Il manto nevoso, è finalmente scomparso. Ci sdraiamo all’asciutto per un ricco spuntino, con scambio di sapori reggini, castrovillaresi e vibonesi … poi si riprende a marciare per la Pietra Campanara, uno spettacolare, maestoso monolito eroso dal tempo, una trentina di metri alto e frequentato da falchi pellegrini. Il tempo, purtroppo, è sempre tiranno e non ci consente di raggiungere il Corno Mozzo, un ciclopico, strapiombante cono di pietra, proteso sull’Argentino, che ci avrebbe offerto il brusìo sommesso del fiume risalente dalle verdissime profondità della valle e scorci di bellezza impareggiabile sulle Crive di Mangiacaniglia, vertiginose cuspidi di roccia, cui restano incredibilmente abbarbicati giganteschi pini loricati. S’impone un ultimo sforzo, utile anche per lo smaltimento delle calorie assunte, ma indispensabile per risalire al colle di Costa d’Acine, a 1500 metri di quota, anch’esso abbondantemente innevato. Una sospirata discesa ci riconduce in breve al Piano di Novacco, chiudendo così il favoloso anello, nella più grande soddisfazione generale.
17 aprile 2005: Pompei Scavi Archeologici di Claudio Zicari
Secondo appuntamento del Club Alpino con il Gruppo Archeologico del Pollino; meta programmata: Pompei, Scavi Archeologici. Si parte attorno alle ore 7 con un confortevole autobus a due piani . Il tempo è incerto e all’arrivo a Pompei siamo accolti da una pioggia scrosciante che demoralizza un po’, ma, giunti all’ingresso degli scavi, la pioggia si placa e si affaccia un timido sole. Si incontra Cinzia, una qualificata guida dei Gruppi Archeologici d’Italia, che conduce la comitiva all’ingresso di Porta Marina e, appena entrati nella città romana, inizia la sua esposizione con la storia delle origini . Qualche goccia d’acqua fa temere per il prosieguo: si aprono gli ombrelli ma, per fortuna, era solo qualche goccia. Si entra nella Basilica, uno degli edifici di interesse civile più importanti della città, dove si trattavano affari economici e si amministrava la Giustizia; in fondo all’edificio, infatti, vi è un’area rialzata, in cui sedevano i magistrati . Si prosegue per il Foro , dominato dal tempio di Giove (poi trasformato in Capitolium dedicato al culto della Triade Capitolina - Giove, Giunone e Minerva) e dall’edificio di Eumachia, destinato probabilmente a mercato della lana o alla sede della corporazione dei Fullones. A uno dei lati dell’ingresso di quest’ultimo edificio è collocata una grande giara che serviva a raccogliere l’urina: all’epoca elemento di particolare importanza per la lavorazione dei tessuti. Si è fatta, quindi, una certa fatica a spiegare ai partecipanti alla gita che tale uso riguardava il passato e che, pertanto, seppur pressati, dovevano evitare di contribuire al riempimento di detta giara. Si passava, dunque, al Tempio di Vespasiano, dove la guida, ultimata la spiegazione di un pregevole altare in marmo bianco con scene di sacrificio di un toro, si soffermava – con meravigliata ironia - sulla circostanza che, con particolare frequenza, tra i gruppi di turisti vi è sempre qualcuno che, convinto che tutto, o quasi tutto, quello che gli stesse intorno fosse ricostruzione, chiedeva dove fossero gli autentici rinvenimenti di epoca romana. La guida, pertanto, sottolineava, a scanso di grossolani equivoci, che tutto quello che si aveva intorno era autentico e specificava, quindi, che solo ciò che era in legno o in bronzo era ricostruzione (tali elementi, infatti, non avrebbero resistito al calore dei materiali vulcanici che sommersero la città). Ebbene, la guida quasi non aveva ultimato di fare tale considerazione che uno dei nostri, con notevole serietà e tempismo, chiese alla stessa dove fossero i rinvenimenti autentici e se anche gli architravi in legno fossero di epoca romana: non ci si poteva distinguere dagli altri! Erano –chiaramente– inevitabili le ampie divagazioni sui particolari simboli della forza generatrice che, di frequente, si vedevano in città, vuoi nelle edicole collocate ai muri, vuoi scolpiti sui basoli del lastrico stradale; simboli di gioia, di fecondità, di buon augurio e di festa. Ma, d’altronde, erano altri tempi, ai quali, adesso, si cominciava a pensare con reale trasporto nostalgico e non senza auspicare un potente ritorno ad alcuni riti e disinvolte consuetudini. Rapiti da queste riflessioni, tutte ad alta voce e ricche di particolari, si giungeva a quello che, almeno, è l’immancabile momento dell’abbandono gastronomico, seppur celebrato con una frugale colazioncina, consumata sulla via delle Tombe della necropoli di Porta Ercolano, luogo ameno, reso particolarmente rilassante da un prato, da un grosso tronco, dove sedersi e tagliare un campione delle tecniche dell’insaccare, e dalla presenza di alcuni appartati ruderi, che consentivano di sprecare ciò che in epoca romana serviva per la lavorazione dei tessuti. Foto di gruppo e si procedeva, dunque, per la Villa dei Misteri, dove la gioiosa compagnia veniva per lungo tempo avvinta dal magnifico affresco, distribuito lungo le pareti del triclinio, ove campeggiano le scene del rito misterico, di impronta dionisiaca, dell’iniziazione femminile al matrimonio; sono figure di grandezza quasi naturale, la cui lettura sembra procedere da sinistra a destra. Vi sono due donne e un bambino, probabilmente Dioniso giovane, una figura femminile con un vassoio di frutta o cibi cotti, tre donne intorno a un tavolo, un vecchio sileno con la lira e due pastori con due caprette, una maestosa figura femminile che regge un lembo del mantello gonfio d’aria, ancora un vecchio sileno con un piccolo satiro, Dioniso ebbro tra le braccia di Arianna, una donna accovacciata nell’atto di svelare il simbolo della forza generatrice della natura e una figura femminile alata con una lunga verga, alludente forse alla flagellazione, rito usuale nella religione dionisiaca, una donna rannicchiata tra le braccia di un’altra che sembra proteggerla, una danzatrice nuda con i cembali, una donna con il tirso, una bella fanciulla seduta che si pettina – forse una sposa -, e, in ultimo, una donna seduta, probabilmente la padrona di casa. Un affresco di tal genere meritava una sosta di lunga contemplazione anche perché, per motivi di restauro, è prossimo ad essere chiuso al pubblico . La visita continuava nelle terme e sembra dovesse bruscamente interrompersi per l’inizio di una pioggia forte ed insistente; ma, dopo poco, cessava di piovere e ci si portava su via dell’abbondanza , si raggiungeva il teatro grande e quello piccolo e ci si spingeva, alfine, all’anfiteatro da cui, attraverso la porta di Nocera, si usciva dall’area degli scavi. Una visita al Santuario e si riprendeva la strada del ritorno.
10 Aprile 2005: Castrovillari riscopre una chiesetta e ritrova una tradizione di Mimmo Pace
La minuscola solitaria chiesetta che, adagiata sui fianchi del Monte Sant’Angelo guarda la nostra Città, è stata ispiratrice per il Club Alpino Italiano di Castrovillari e per il Gruppo Archeologico del Pollino di una iniziativa volitiva ed energica da intraprendere nei confronti delle Istituzioni locali e tesa al recupero di questo storico manufatto, nato nell’ 800 dalla devozione e dalla pietà popolare. Per davvero, non è pensabile, né accettabile proseguire nella colpevole incuria di quest’ultimo cinquantennio, procrastinando “sine die” il restauro e la bonifica della interessante cappella, la quale oggi versa nel più assoluto degrado, espoliata, vandalizzata, abbrutita, scalcinata. La facile e breve escursione dello scorso dieci Aprile, organizzata appunto per informare l’opinione pubblica di tale iniziativa e coinvolgere la cittadinanza, è andata ben oltre ogni più rosea aspettativa di partecipazione e di concreta concertazione dei passi da compiere per un sollecito restauro della Madonnina del Riposo. La manifestazione ha sortito due ulteriori risvolti positivi: una inattesa quanto sorprendente volontà comune, volta a far rivivere una tradizione popolare da decenni ormai desueta, che vedeva il lunedì dell’Angelo confluire sul Monte S.Angelo frotte di devoti, rendere prima visita alla SS. Vergine, poi a gruppi intorno alla chiesetta far merenda, festeggiando fino a sera con danze e canti, al suono di zampogne, organetti e tamburelli. Un vero e proprio “restauro ecologico” di questo monte singolare, sulla cui vetta si recò S. Francesco di Paola, pellegrino verso la Francia, per benedire la Calabria e Castrovillari, ma che ancora sopporta due giganteschi e invasivi pannelli della Telecom, per giunta non più in funzione, che feriscono lo sguardo di chi ammira la splendida Catena del Pollino. Ma, veniamo ai dettagli: la corposa ed eterogenea schiera di cittadini formatasi al semicerchio, il punto di ritrovo per la parteAnza, fa ben sperare e suffraga che l’iniziativa è condivisa appieno .Un seguito di circa 200 persone, coordinate dai soci del Club Alpino Italiano e dai volenterosi “Scout del Castrovillari 1”, si muove, attraversa Via Sibari e in breve raggiunge le Casermette e il Tiro a segno. Presto, la lunga e giuliva carovana zigzaga fra le verdi ginestre opportunamente sfoltite, lungo l’itinerario segnato con cura da alcuni soci del Club Alpino Italiano, con cartelli e picchetti colorati . Ora il serpente umano affronta la breve e dura costa che conduce su alla chiesetta e arranca lungo i tornanti tracciati nella pietra del solitario monte, ma in una buona ora la gente è tutta su, raccolta intorno alla cappella, a mirare tanta devastazione, a pregare, a riflettere ed anche a godersi lo stupendo scorcio sulla Città . Presto, lo spoglio e scalcinato altarino è ricoperto di fiori e di lumini che ardono accanto a immaginette e statuine sacre portate da alcuni devoti: il dipinto ottocentesco della Madonnina del Riposo, quello, non c’è più per ammirarlo . Col megafono, il Presidente Iannelli chiama a raccolta i convenuti per una breve tavola rotonda all’aperto da lui stesso coordinata: così, l’ Ispettore Gianluigi Trombetti può tracciare un esauriente profilo storico-culturale del sito, il Dr. Claudio Zicari auspicare la riscoperta e la rivitalizzazione di questa simpatica tradizione popolare, il Dr. Matteo Marini, nella veste di co-proprietario della cappella, dichiararsi pronto a renderla di pubblica fruizione, l’organizzatore della manifestazione, il Socio Francesco Sallorenzo, ringraziare caldamente tutti per la nutrita e convinta partecipazione ed a conclusione, l’ Ispettore Luigi Troccoli impegnarsi ad assecondare a breve e coordinare un incontro con l’Amministrazione Comunale, al fine di avviare un concreto e sollecito iter realizzativo dei lavori di restauro. L’appetito, per fortuna, c’è e c’è pure tanta grazia di Dio, così, dopo un brevissimo improvvisato concertino , disseminati in gruppi, ci si sdraia per terra come Aun tempo, nello spiazzo attorno alla chiesetta e ci si rifocilla per bene con tanta allegria . E per dirla con il Carelli:
Cu cacci tannu u ciciu e cu a cuddùra
e sup’i stuiavucchi spàsi nnànti
n’apparàta di jaschi e vummulìddi
e ggova e suprissàte e sauzizzìddi
E nui ni guazàmu cumu sbirri
ca jèrimu quasi tutti minzi tirri.
Una visita in cima è d’obbligo e non tanto per ammirare il paesaggio, quanto per esaminare e vagliare attentamente il da farsi, allorchè saremo stati autorizzati da chi di competenza ad abbattere e trasferire a valle, a macero, l’intero inutile e deturpante armamentario che la occupa e la opprime. Riusciremo sicuramente nell’impresa, se potremo avvalerci dell’aiuto delle locali associazioni ambientaliste, di qualche volenteroso e, naturalmente, delle Istituzioni. E’ ormai meriggio inoltrato e intraprendiamo la via del ritorno, ma, giunti sullo spiazzo della chiesetta, con nostra grande meraviglia scorgiamo dall’alto diversi gruppetti di devoti risalire verso la cappella, affrontando la dura costa: sono per lo più persone anziane, che si aiutano con bastoni improvvisati, sono provati dalla fatica, ma non domi, li sorregge e li sospinge un ardente desiderio di ritornare, dopo tanti anni, come un tempo a quella chiesetta lassù.
Da Judèca, da Civita, ‘i San Franciscu
e da Funtana Vecchia e Biscuvàtu
da Rocca ‘i Santu Vitu e Pantanìddu
ed’Ammuràta ‘i Macrìnu e Livitìddu.
Presto la disadorna cappella è stracolma di gente,si prega, si canta, s’invoca una Madonnina che non c’è più, ma che speriamo presto ritorni alla sua dimora d’un tempo, degnamente restaurata. In conclusione, siamo onorati e fieri di aver promosso una manifestazione, che ha fatto rinascere tra la nostra Gente una devozione antica, inducendo in essa voglia di riviverla.
6/13 Marzo 2005: Moena - XXII^ NEVEUISP di Eugenio iannelli
Un congruo numero di appassionati sciatori ha partecipato, dal 6 al 13 Marzo 2005, alla consueta settimana bianca organizzata dal CAI Castrovillari e dall’ A. S. Sporting Club di Castrovillari in collaborazione con la Lega Nazionale Sci U.I.S.P. Moena (m1200), paese montano di grandi dimensioni , con le piste di Lusia, Bellamonte, Passo San Pellegrino e Falcade costituisce un comprensorio sciistico di tutto rispetto, il Trevalli, dotato di 100 km di piste da discesa di varia difficoltà. Inoltre, con facili collegamenti, consente l’accesso, attraverso gli impianti sciistici di Canazei, Predazzo, Arabba, al vastissimo comprensorio sciistico del Dolomiti Superski aprendo all’appassionato sciatore un ventaglio di notevoli opportunità facendogli raggiungere, sci ai piedi, posti meravigliosi come il ghiacciaio della Marmolada, il belvedere di Canazei, la panoramica Porta Vescovo o la mitica Gran Risa della Val Badia. Il gruppo ha soggiornato all’Hotel Zirmes , piccolo ed accogliente, e già il giorno stesso dell’arrivo, alla segreteria UISP, ha avuto la possibilità di iscriversi ai corsi di Scuola Sci ed alle attività extrasciistiche. La settimana si evolveva sotto il segno di un fantastico sole che rendeva più agevole e confortevole l’attività sportiva mentre la temperatura particolarmente rigida (dai – 9 del mattino ai -2 del pomeriggio) consentiva allo strato nevoso una consistenza perfetta, quasi invernale. Il tempo è trascorso piacevolmente per tutti, con i principianti impegnati quotidianamente nella scuola sci per apprendere o affinare la tecnica, mentre i più provetti si cimentavano nella scoperta del vasto comprensorio sciistico . Particolarmente felici i bambini, sotto lo sguardo attento delle mamme, desiderosi di dare sfogo alle loro vivacità . Alla fine della settimana i miglioramenti erano notevoli tanto da consentire di esprimersi su piste di diversa difficoltà. Punto di ritrovo obbligato per consumare un frugale pasto, l’accogliente e spazioso rifugio ValboA?na dove la comitiva si riuniva a metà giornata. Ottima occasione per scambiarsi impressioni, aneddoti, consigli, suggerimenti tecnici, etc. . Durante le ore serali hanno trovato spazio: la serata di benvenuto, la festa della donna, lo shopping in centro, serate in discoteca o pub, premiazioni e sorteggi, ed infine la pantagruelica, allegra e chiassosa “cena in baita” del sabato sera (nota di colore: era presente la famosa soubrette Natalia Estrada). Altrettanto interessante è stato il programma per i non sciatori consumato tra gite sulla neve con racchette da neve, degustazione di prodotti tipici locali, gite in autobus a Trento, Rovereto e Pozza di Fassa. Ma quella che ha riscosso maggiore successo è stata la gita ad Innsbruck. Durante NeveUisp si è tenuto, inoltre, il 2° corso di Formazione e Aggiornamento per Insegnanti di Educazione Fisica riconosciuto dal MIUR (DM 177/2000, art. 4) . Presenti venti docenti di scuola Media inferiore e superiore, provenienti da diverse regioni, che hanno partecipato con grande interesse ed applicazione a questa iniziativa intrapresa dalla Lega Sci Nazionale raggiungendo interessanti e proficui risultati. I corsi sono stati tenuti dai Maestri e Allenatori Nazionali Marco Mazzonelli e Andrea Della Valle . Tante le gare in programma: Trofeo NeveUisp, Campionato CSIT, Trofeo dell’Ospite, Gimkana per i più piccoli e la classica gara di fine corso con la consegna della classe di merito raggiunta. Di più marcato sapore agonistico, sabato e domenica, le gare del “ 46° Campionato Italiano UISP ”, che hanno visto una notevole partecipazione di atleti provenienti da tutt’Italia. Numerose le occasioni d’incontro tra le comitive “uispine”, quasi 1200 i partecipanti a questa edizione di NeveUisp, capaci di far emergere lo spirito e l’essenza stessa della manifestazione tesa a riunire intorno ad un unico evento migliaia di appassionati della neve e della montagna provenienti da tutte le regioni d’Italia.
23 gennaio 2005 > A spasso tra i rifugi di Fabrizio Cian
L’escursione odierna, prevede un percorso semplice e divertente da affrontare con le racchette da neve. Mette in successione i tre rifugi, forse più importanti del Parco Nazionale del Pollino. Dopo aver lasciato le auto sulla strada antistante il rifugio “Fasanelli” (1343 m), quasi ultimato dai lavori di ristrutturazione, ci dirigiamo verso il pianoro, dove troneggia la statua di S. Antonio . Questo pianoro in estate è frequentato da intere famiglie, al contrario oggi, con la neve, è meta solo per i veri amanti della montagna. Da qui entrando nel bosco e percorrendo, a tratti, la pista battuta per lo sci di fondo, si giunge al pianoro dove troviamo la capanna dello Sci Club di Rotonda. Accompagnati dal rumore delle nostre racchette sulla neve semi ghiacciata, si prosegue su un sentiero che incrocia più in alto la strada montana, oggi quasi deserta . Continuando nel bosco, a causa della neve che ricopre il sentiero, a stento si riconosce la strada, ma ben guidati dal nostro accompagnatore, dai segnavia bianco/rossi del CAI e costeggiando il Fosso di Mauro usciamo di fronte al rifugio “Colle Ruggio” (1570m) . Effettuiamo una breve pausa, riflettendo sulla bellezza del luogo e sulla tristezza di vederlo abbandonato ad atti vandalici che anche in montagna lasciano il segno, si riparte decidendo di tornare a pranzare vicino a quest’oasi abbandonata. Dopo aver attraversato il bosco di Colle Ruggio, giungiamo su Piano Ruggio, coperto da un soave manto bianco e il nostro sguardo cade riverente sulla mole imponente di Serra del Prete . Scendiamo a valle per fare una visitina al Rifugio “De Gasperi” (1535m), dal nome del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, primo firmatario della legge per la valorizzazione della montagna nel 1956. Breve pausa caffè, e qualche minuto al sole per prendere un po’ di abbronzatura. Dopo aver salutato e ringraziato i cordiali gestori che, nonostante le enormi difficoltà, caparbiamente da anni si sacrificano per far sì che il “De Gasperi” sia l’unico rifugio aperto e funzionante 365 giorni su 365, si ritorno sui nostri passi fiancheggiando la strada montana. Nel frattempo osservando la curvatura degli alberi ci si rende conto come quest’anno la neve caduta sia minima rispetto al passato. Ritornati al rifugio “Colle Ruggio” consumiamo il pranzo al sacco nello spiazzo una volta adibito a parcheggio. La strada del ritorno sembra più corta, in poco tempo sbuchiamo nuovamente sul pianoro di Pedarreto, alla nostra vista si offre un panorama spettacolare con il Monte La Spina e Zaccana, ai loro piedi i paesi di Castelluccio Inferiore e Superiore, sullo sfondo il Monte Sirino, verso est il monte Alpi alle cui pendici si stende il paese di Latronico. Termina così una magnifica giornata passata all’insegna della montagna, contenti di godere di questi paesaggi in tutte le stagioni.
9 gennaio 2005: Colle Impiso - Monte Pollino di Massimo gallo
C’è finalmente la neve sul nostro Pollino, anche se arrivata in ritardo e non abbondante, in compenso c’è un cielo azzurrissimo ad incorniciare la prima uscita del 2005. E’ prevista un’escursione prettamente “alpinistica”, con l’utilizzo di ramponi e piccozza, alla quale se ne aggiunge una alternativa a più bassa quota, con le racchette da neve. Verso le nove ci avviamo dal Colle dell’Impiso, la neve, battuta dai numerosi escursionisti passati nei giorni precedenti, ci facilita la marcia verso il piano alto di Vacquarro, da dove scorgiamo il versante nord-ovest del Monte Pollino con la sua classica forma piramidale, oggi in una meravigliosa veste invernale. Procediamo senza problemi fino al primo dei Piani di Pollino, il Piano Toscano, intorno ai 1800 metri di quota , dove troviamo circa mezzo metro di neve morbida, ideale per chi del gruppo è venuto con le racchette e proseguirà verso il Piano di Pollino per poi salire alla Sella Dolcedorme . Il gruppetto alpinistico invece ha un programma un po’ più ardito, ossia risalire il versante nord-est, occupato dalle due frane, palese risultato dei remoti ghiacciai che circa 100.000 anni fa, durante l’ultima glaciazione, quella Wurmiana, erano presenti sul gruppo montuoso. A testimonianza di tutto ciò è facile notare, in special modo affacciandosi dalla cima del Monte Pollino, gli evidenti archi morenici lasciati dai ghiacciai durante il loro ritiro, ed i famosi massi “erratici” dalle notevoli dimensioni trasportati dalle masse glaciali sia sui Piani del Pollino che sul vicino Piano di Acquafredda, abbandonati in punti che mai avrebbero potuto raggiungere per rotolamento. Le due frane, quella grande a destra, e quella più piccola a sinistra, sono proprio le antiche sedi di due lingue glaciali che scendevano verso i piani sottostanti. Puntiamo proprio verso la base della grande frana, superando dapprima i dossi delle morene frontali, per poi impegnare, faticando non poco per la neve fresca, il bordo di una slavina scesa un paio d’anni fa e che ha raso al suolo una fascia d’alberi proprio alle pendici del monte. Sbuchiamo allo scoperto nel mezzo del ghiaione , ma ancora su neve fresca, condizioni poco ideali, con tale pendenza è meglio la neve dura e ghiacciata! Nel frattempo notiamo una cordata di alpinisti che, molto più in alto di noi, sta puntando direttamente alla testata della frana aggredendo con difficoltà il ghiaccio. Allora, fiduciosi di salire anche noi sul “duro”, puntiamo il canalone, in diagonale verso sinistra, sotto le pareti rocciose del costone che divide le due frane e finalmente troviamo neve sempre più dura e compatta che necessita dei ramponi . Questo passaggio è denominato, dall'esperta Guida Giorgio Braschi, “La Clessidra” per via di un restringimento ed un successivo riallargamento dello stesso . La pendenza aumenta man mano che saliamo e con lei anche il vuoto che si apre sotto di noi. I ramponi ormai non affondano più, ma riescono appena ad entrare con le punte in un massa uniforme di ghiaccio dal quale spunta solo quà e là qualche boccetta. E’ stupendo il traverso di pochi metri, ripidissimo e molto esposto che regala scariche di adrenalina e immette sul costone alla nostra sinistra . Con non poche difficoltà, superate con grande perizia, ci portiamo sul grande poggio, anch’esso molto inclinato dal quale inizia l’ultimo e spettacolare tratto della via, che si inerpica quasi in verticale. Dopo il susseguirsi di un’infinità di emozioni, sbuchiamo sulla piatta e ghiacciata vetta del Monte Pollino in contemporanea con il gruppo di alpinisti saliti in cordata dalla grande frana. Un panorama fantastico ci accoglie, un premio per la nostra “conquista”, per noi che siamo “conquistatori dell’inutile”, come qualcuno definisce gli alpinisti, ma nello stesso tempo, per fare ciò, applichiamo una nobile arte, che è quella di sfiorare il cielo con eleganza.