Raccontatrekking 2006
L’escursione in programma per questa domenica di autunno ha permesso ai partecipanti di riscoprire, e per qualcuno scoprire, una nuova vetta del nostro Parco nel versante lucano. Lasciate le auto in località Madonna del Soccorso (1103 m) ci siamo incamminati lungo un tratturo fino a portarci alle pendici della Conca Scotella, per risalirla leggermente e aggirarla, permettendoci cosi di raggiungere il sentiero che ci porterà in vetta . Aggirata la Conca Scodella, abbiamo fatto una prima sosta per godere del panorama offertoci. Davanti a noi le cime di Serra del Prete, Serra delle Ciavole e Serra Crispo, a destra la Valle Mercure sovrastata dai Cozzi dell’Anticristo e il Monte Cerviero, a sinistra la valle del Sinni sulla quale troneggia il Monte Alpi. Accompagnati dalla rappresentanza del Corpo Forestale dello Stato ci siamo incamminati lungo il sentiero, abbracciati dai numerosi faggi che filtravano i timidi raggi di sole, alla destra del sentiero i piani di Acquafredda. Dal tappeto di foglie , quasi timidamente spuntavano le margherite, lo stupore e la meraviglia ha lasciato spazio alle riflessioni sugli scherzi delle stagioni. La passeggiata veniva accompagnata dal crepitio dell’abbondante strato di foglie sotto i nostri passi e lo scampanare degli animali che scendevano lungo il nostro stesso sentiero. Raggiunta la dolina della Zaccana, ci siamo diretti verso il crinale (1530 m), usciti dal bosco, la natura ci ha offerto uno spettacolo mozzafiato, a parte il lungo precipizio sotto i nostri piedi, gli occhi hanno potuto spaziare in lungo e in largo, ammirando l’erta cima del Monte La Spina, con alle spalle il Monte Sirino e a destra la diga di Cogliandrino . Tra le rocce sotto di noi, i Pini Loricati, piccoli, per qualcuno forse non così particolari dopo aver visitato le vette del Parco, ma per i molti partecipanti per la prima volta ad un’escursione, belli e soprattutto meravigliati di poterli ammirare dopo solo un paio di ore di cammino e vicino ai posti che quotidianamente frequentano. Grazie anche all’amico Alessandro abbiamo potuto riconoscere e toccare un piccolo Pino Loricato che nasceva sul crinale dove ci trovavamo e capire la differenza tra il Pino Loricato e il Pino Nero che si intravedeva sulle pendici del Monte La Spina. Dopo la meritata pausa pranzo e la rituale foto di gruppo , ci siamo incamminati per il ritorno alle macchine. D’obbligo la visita al santuario della Madonna del Soccorso, meta di pellegrinaggio nel mese di maggio quando i fedeli portano in processione dal paese di Castelluccio Superiore la statua nel santuario e nel mese di settembre quando la statua torna in paese. Gli ultimi raggi di sole del tramonto ci offrono un’ultima piccola pausa, rilassante e piacevole come sempre quando si cammina tra i monti, i saluti, domani si torna a lavoro, ma sicuri di incontrarci presto ad una nuova escursione tra le nostre montagne .
8 novembre 2006: Barile – Timpa di San Lorenzo di Massimo Gallo
Sono circa le 8 di domenica 8 ottobre 2006 e nel piccolo ed isolato paesino di San Lorenzo Bellizzi la vita scorre come in tutti i giorni dell’anno… qui negli occhi di qualcuno è ancora possibile vedere la calma e la tranquillità delle persone di una volta, sembra che la vita si sia fermata in questo piccolo centro di circa 800 anime del Pollino orientale. E’ bello vedere già a quest’ora qualche anziano signore nella graziosa piazzetta del paese a respirare la frizzante aria mattutina, e perché no, riscaldarsi con un bel bicchierino di grappa al bar… per loro che tutta la vita hanno lavorato sodo affrontando realtà ben più dure di quelle di oggi, abituati ad alzarsi prestissimo, è già tarda mattinata. Ma oggi ci siamo anche noi, ammiriamo le cosiddette “timpe” , siamo in una delle zone più spettacolari del Parco, teatro già una settimana fa di una nostra difficile ascensione alla Timpa di Cassano dal versante est. Oggi invece ci aspetta la Timpa di San Lorenzo che intendiamo salire dalla cresta sud est. “La cresta delle Aquile”, così è chiamata, e in effetti, trovandocisi sopra, un po’ ci si sente, come le aquile, guardando l’abisso della parete sud ovest. E’ un percorso per esperti quello di oggi, senza sentiero, bisogna avanzare su terreno ripido da subito, appena scesi dall’auto, la quale diventa subito piccola sotto di noi, come pure i campi arati che sembrano piccoli fazzoletti marroni . Dopo aver attraversato bassi boschetti di leccio e infidi lastroni rocciosi, sbuchiamo su una panoramicissima selletta dalla quale i nostri occhi e le nostre macchine fotografiche fanno fatica a raccogliere i grandiosi panorami che ci accompagneranno da qui fino in cima . Sono circa tre ore di emozioni che ci separano da essa, ci sentiamo liberi, forse anche onnipotenti quassù, ma nello stesso tempo capiamo quanto siamo piccoli, minuscoli puntini su un gigantesco dente roccioso originato da violenti movimenti tettonici che lo hanno fatto innalzare per circa 800 metri dal punto in cui adesso scorre il torrente Raganello, formando le spettacolari gole di Barile che tutti noi appassionati di torrentismo conosciamo. E’ veramente impressionante provare ad affacciarsi e guardare dall’alto questo santuario della natura che solitamente percorriamo in piena estate quando si placano le furie invernali del torrente. Sembra di essere in vetta, ma ne viene fuori un’altra, ci sono molte similitudini con la Montea, anche quella è una montagna dalle tante cime, sembra di essere arrivati ma poi ti accorgi che non è vero e che un altro cucuzzolo ti aspetta più avanti . Alcuni grossi nuvoloni neri sembrano voler festeggiare con noi il raggiungimento della meta , abbassandosi come a voler toccare le nostre teste. Sulla brulla vetta consumiamo la meritata colazione, e quindi giù verso il Colle di Conca per il versante nord, dove notiamo con grande piacere la perfetta manutenzione del sentiero che ci riporta sulla strada dove la mattina avevamo provveduto a lasciare una macchina con la quale ritornare al punto di partenza. Un’altra sosta al bar della piazzetta di San Lorenzo, e poi via , tutti verso le proprie dimore, con ancora negli occhi i grandiosi panorami, e carichi di energia positiva che ci consentirà di affrontare al meglio la settimana che inizia…gran bella medicina la montagna.
29 ottobre 2006: Masseria Silo - Timpa Minchione di Domenico Riga
L’escursione odierna rinnova una lieta tradizione che ormai da qualche anno ci accompagna: una uscita con gli amici del CAI di Castrovillari. L’occasione, inoltre, è propizia per far conoscere uno dei comprensori montani (la Catena Costiera) meno frequentati dagli abituali trekkers domenicali, pur se caratterizzato da cime panoramiche e da una struttura geologica particolare, che permette l’alternanza di grandi praterie e boschi, soprattutto faggete, con formazioni di roccia talvolta dalle forme bizzarre. L’appuntamento è alle 9,00 nei pressi dell’uscita autostradale di Cosenza Nord, ma dalle 8,00 tengo accesso il cellulare, certo che il cambio di orario notturno abbia mietuto qualche vittima. Neanche dieci minuti e, infatti, DRINN, è Mariangela che sta aspettando! Vabbè, mi prendo, senza colpa, una buona dose di parolacce mattutine e, nel frattempo, finisco di preparare lo zaino. Alle 9,00 arrivo all’appuntamento e, alla spicciolata, mi raggiungono i compagni di avventura. Fermi al bar ci sono, invece, gli amici di Castrovillari, che, sull’esempio del Presidente Eugenio Iannelli, amano abbinare alla fatica fisica di un’escursione il piacere di una buona birra o di un qualsiasi altro distillato alcolico. Finalmente una lunga fila di macchine si muove alla volta della strada provinciale per Falconara Albanese, luogo di partenza dell’escursione, dove giungiamo dopo circa 20 minuti e abbiamo il tempo di contarci, siamo in 40! Dopo le raccomandazioni e i saluti di rito dei due Presidenti, ci avviamo su una comoda carrareccia, tratto del sentiero Italia, che attraverso qualche radura e tratti in faggeta secolare , ci conduce in breve tempo a Masseria Silo , non prima di aver fatto la conoscenza di un occupante un casolare che ci promette vino per tutti al nostro ritorno. Masseria Silo è una vallata costellata di formazioni calcaree, ricoveri per animali e vere e proprie abitazioni di campagna per i residenti dei vicini centri urbani. La giornata è splendida e ci consente una breve digressione per raggiungere una bella rupe, presso la quale scattiamo delle foto di gruppo e proseguiamo in direzione della nostra meta, attraversando la piccola valle “di Memme”, che ospita un gruppo di vacche al pascolo . Continuiamo fino ad un passo, dove lasciamo la stradella e saliamo senza sentiero nella faggeta fino ad una selletta suggestiva, per la presenza di rocce di varie forme e dimensioni, che a qualcuno ricordano addirittura la “Tavola dei Briganti” dell’Orsomarso. Ancora pochi minuti ed ecco la vetta. La nebbia purtroppo è nel frattempo salita dal mare impedendoci la vista (immaginate come ci siamo sentiti tutti quanti essendo sulla cima di “Timpa Minchione”), ma ci consoliamo con tutto il ben di Dio che esce dagli zaini, un vero e proprio pasto completo, con primo, secondo, contorno, frutta, dolci e ……ammazzacaffè (al caffè nessuno ha pensato). Appena finito di mangiare Massimo, con la solita maestria, attrezza una sosta per la discesa in corda doppia dalla parete e, uno alla volta, munite di imbraco, diverse sono le persone che si cimentano in questa emozionante esperienza. È finalmente il turno di Franco Martino, ma ……. è tardi, è ora di andare. Sulla via del ritorno effettuiamo una deviazione per visitare uno spettacolare passaggio, da noi simpaticamente battezzato il “Portone” di Falconara , ricordando la più famosa strettoia alle falde del Monte Caramolo. Altre foto ricordo e poi via, verso le macchine, dove giungiamo che è già buio, sazi per la stupenda giornata trascorsa insieme e per aver rinsaldato un rapporto di amicizia con altri amanti della vita “all’aria aperta”. Alla fine una domanda: ma Franco e Massimo quanto avranno ricavato dal noleggio dell’attrezzatura alpinistica? Alla prossima.
15 ottobre 2006: Maratea - di Claudio Zicari
Ci si distribuisce nelle auto e si parte per Maratea. Gruppo Archeologico del Pollino e Club Alpino ancora insieme. Prima sosta alle Grotte delle Meraviglie . Veramente una sorpresa. Un complesso carsico scoperto durante i lavori di costruzione della Ferrovia. Si scende in profondità tra stalattiti e stalagmiti. Delicatissime concrezioni e cave formazioni calcificate che risuonavano non appena percosse diffondendo nelle caverne lievi rintocchi. La fantasia e l’immaginazione fanno scorgere due amanti intimamente abbracciati e, dietro di essi, una colonna intarsiata con elefanti dalle sinuose proboscidi. All’uscita delle grotte una lunga sosta sotto magnifici pini in vista del mare e del Golfo di Policastro. La guida racconta delle origini di Maratea, dell’antico insediamento greco, della presenza romana e quindi, dell’isolotto con i resti di un edificio per la realizzazione del “garum”, vera leccornia di gastronomia romana a base di interiore di pesce e pepe rosso. Si ritorna nuovamente alle auto. Si giunge nei pressi del Centro Storico. Ampia Balconata panoramica nella verde vallata distribuita di case fino alla ferrovia e al mare . La residenza del Conte Stefano Rivetti e dei suoi discendenti. Bello sfondo e, quindi, foto di gruppo . Ci si dirige verso il centro. Visita alla Chiesa dell’Addolorata con un bel quadro sul martirio di San Biagio, Santo protettore di Maratea, una visita alla Chiesa dell’Annunziata, un po’ di shopping e si riprendono le auto . Monte San Biagio; la Basilica è chiusa ma l’ampio paesaggio coinvolge piacevolmente la compagnia. Ci si raduna ai piedi della grande statua del Redentore . Essa per grandezza è seconda solo a quella di Rio De Janeiro, la più grande del mondo. Il Redentore di Maratea è alto 22 metri e l’apertura delle braccia raggiunge i 19 metri . Ultima spiegazione della guida Marianna e, poi, sosta pranzo. Panini e altre svariate gradevolezze fuoriescono dagli zaini. Passato il momento di ristoro e assoluto relax si parte per Trecchina. Piacevole incontro con la Sagra delle Castagne e, quindi, gelato alla castagna, birra alla castagna e tante tante castagne. Si inizia, poi, una bella passeggiata in Centro Storico; fin nel punto più alto; al cospetto dei ruderi in restauro di un Castello Longobardo. Ci si affaccia, quindi, sull’ampia vallata del Noce, dove lo sguardo si perde fino alle alture che, in lontananza, dominano Lauria e Lagonegro. La giornata volge al tramonto. Ritrovo alla Sagra delle Castagne e, poi, sulla via del ritorno.
1 ottobre 2006: Anello della Timpa di Cassano di Mimmo Pace
La Timpa di Cassano, uno dei due impressionanti baluardi, tra i quali il Raganello s’è scavata la via per il mare, è stata segno, qualche giorno addietro, delle “attenzioni ascensionistiche” di tre Soci del C.A.I. di Castrovillari, vogliosi sempre di scoprire, su queste montagne, luoghi ancora inesplorati, che racchiudono aspetti di vera natura selvaggia e inducono emozioni forti, nonché intense sensazioni di libertà. Questo colosso di pietra sovrasta con paurosi strapiombi la Gola di Barile, sul corso superiore del Raganello, mentre affonda le sue radici, ergendosi maestoso su gran parte del profondo canyon scavato nei millenni dal torrente. I suoi fianchi ripidissimi, sono un continuo susseguirsi di interminabili scoscendimenti, di scivolosi lastroni di roccia, di pietraie desolate e ghiaioni, intervallati da verdi fasce di macchia mediterranea, sormontata da tenacissimi lecci. Ancor più in quota, una ciclopica, invalicabile muraglia serpeggia, ininterrotta e strapiombante, negando ogni accesso alla vetta. In luoghi, tanto inospitali e selvaggi, il gruppo di soci si appresta, a raggiungere il varco, un passaggio attraverso cui scavalcare la poderosa muraglia, per toccare la vetta e proseguire nel tragitto conclusivo dell’anello- Un rapace, intanto, altissimo nel cielo, segue attento i loro passi, mentre un antro maestoso li ospita per una breve sosta ristoratrice. Dopo l'ascesa, la barriera, per breve tratto si assottiglia e consente loro, attraverso un salto di una ventina di metri, un tentativo per superarla. Massimo è subito all’opera ! Due chiodi per assicurarsi …e poi su, in arrampicata ! Più in alto, un terzo e un quarto chiodo, ma più oltre è necessario piazzare un “nut” per superare l’impegnativo passaggio di quinto grado, che la parete gli impone. D’un tratto, riecheggia tra le rocce un urlo liberatorio … è quello dell’amico, che, superato ormai l’ultimo salto, offre già la corda assicurata ai compagni. In breve, tutti dominano la muraglia, felici di averla scavalcata e soprattutto di aver tracciato ed aperto un nuovo percorso alpinistico su queste nostre montagne, da proporre a gente dotata di buona tecnica, che non teme fatica e vertigini. Eviteranno d’inventarsi un toponimo, ma lo ricorderanno come la “Via del Chiodo”! Un tenacissimo chiodo è rimasto infisso saldamente in parete e, nonostante decisi colpi di martello, non si è proprio riusciti a recuperarlo! Questo percorso, che non rappresenta una comune escursione, ma che riveste piùttosto i caratteri di un’ascensione, ci sentiamo di suggerirla soltanto ai veri amanti dell’avventura e delle forti emozioni … amici del C.A.I. e non … poco importa ! Felicitazioni vicendevoli un abbraccio caldo e vigoroso … un attonito, inebriato colpo d’occhio sulla magnifica visione aerea del Raganello, l’imponente scenario di pareti di roccia policroma e verdissime macchie digradanti sul torrente e subito, gambe in spalla, prima verso la vetta e poi in una divertente discesa al Colle Marcione, dove possono concedersi, finalmente, una tregua e un veloce spuntino. Per chiudere l’anello e ritornare all’auto, non resta che ripercorrere a ritroso l’itinerario n° 945 “San Lorenzo Bellizzi – Colle Marcione”, segnato dal C.A.I., i cui dettagli informativi possono essere fruiti accedendo al sistema Webgis, di recente avviato e inaugurato, mediante connessione al sito: www.caicastrovillari.it . E’ questo, un percorso altamente spettacolare dal punto di vista paesaggistico e interessante sotto l’aspetto storico-archeologico, che si snoda lungo un sentiero, un tempo utilizzato dai pastori per raggiungere con le greggi gli alti pascoli del Pollino. Una bella pista scende, dal Colle a valle, nell’intrico di una fitta e cangiante vegetazione; sulla destra, in alto, torreggiano sul mare di verde, le caratteristiche formazioni rocciose della Timpa di Porace e della Muletta. La stradella, divenuta sentiero, conduce su di un aereo belvedere, proteso a picco sul corso del Raganello, proprio sotto gli alti dirupi della Timpa di S. Lorenzo, che incombono maestosi e se si è fortunati, si può ammirare l’aquila librarsi alta nel volo. Il sentiero scende, attraversando un solenne bosco di lecci, mentre il brusìo delle acque del Raganello, vicinissimo ormai, diviene quasi fragore. Il luogo è solenne, maestoso, impressionante ! Si attraversa la cupa Gola di Barile – à Jacca ì Varrìli – lungo la quale le pareti della Timpa di S. Lorenzo e della Timpa di Cassano, altissime, quasi si lambiscono nel cielo. Il gruppo, è ormai vicino alla meta; c’è solo un ultimo ostacolo da superare : la Scala di Barile, una traccia scavata nella viva roccia, che tra cenge, anfratti e pinnacoli, sale per una cinquantina di metri di quota e li riporta all’aperto, sulla collina detritica di Palma Nocera, un interessante sito storico – archeologico, sulla quale erano transitati iniziando la sortita. Un anello davvero fantastico, per concludere, che riserva scenari grandiosi e mutevoli e ricchissimo di quei contrasti naturalistici, che rendono fascinose ed estremamente interessanti le “terre alte” del Pollino.
10 settembre 2006: Ecobike di Mimmo Filomia
La sesta edizione dell’Ecobike -organizzata dal CAI Castrovillari, Gruppo Speleo del Pollino con il patrocinio della Provincia di Cosenza- si è svolta nell’area della lussureggiante Fagosa. I protagonisti -circa 50- hanno respirato aria pura durante tutto il percorso ad anello. Due gli itinerari: uno breve - passeggiata distensiva per meglio osservare i luoghi- per ragazzi e genitori; l’altro più impegnativo per soddisfare i più allenati . Per i due percorsi un comune luogo di partenza: Colle San Martino, località sopra il paese di Civita. Una manifestazione nata con il fine di consentire la partecipazione a tutti ed il cui unico ambìto premio è la gratitudine verso madre natura per averci conservato un angolo incontaminato. L’arrivo è previsto presso il rifugio gestito con cura e passione dagli operatori del C.E.A. (Centro di Educazione Ambientale) di Colle Marcione . L’organizzazione ha messo a disposizione dei partecipanti autobus e mezzi di trasporto per le bici ed -in coda al gruppo- è stato sempre presente il supporto logistico e l’eventuale soccorso. Per tutti, colazione a sacco e maglietta ricordo . La cronaca: i concorrenti più allenati hanno coperto i 21 km dell’anello entro le 5 ore stabilite con l’ultimo concorrente che non si è fatto attendere molto all’arrivo mostrando un sorriso raggiante alla consegna del sacco colazione. Il percorso: un saliscendi sterrato di media difficoltà -più di una volta si è reso necessario portare a spalla la mountain bike- soleggiato fino a quando i concorrenti non sono penetrati nel polmone naturale della faggeta. Per alcuni avventurosi un volontario fuori pista li ha condotti fino a Casino Toscano (1500 m). Una pausa per tutti alla fontana del Principe (1400 m) prima di affrontare la salita per Ratto Piccolo e quindi scendere a Colle Marcione per l’arrivo e la ristorazione.
3 settembre 2006: Sersale - Sila piccola - Valli Cupe di Franco Rose
L’appuntamento era per le 10.00 nella piazza di Sersale. Ma il gruppo proveniente da Castrovillari,(forse per emulare “nerina”, la fiat topolino con la quale Paolo Rumiz, giornalista di “Repubblica”, aveva da poco concluso il giro d’Italia percorrendo le vecchie e tortuose SS della penisola) ha voluto percorrere la strada da S. Giovanni in Fiore, giungendo così con un’ora e mezzo di ritardo. E siccome non tutto il ritardo viene per nuocere, Lilli ed i suoi amici di Grimaldi hanno avuto il tempo ed il modo di visitare il locale mercato, la chiesa principale, che pare che sia tra le più belle della Calabria, con annesso tipico matrimonio super affollato di invitati incravattati e di gustare una tazza di caffè da “Mario”, bar del centro, da poco ristrutturato. L’intero gruppo partecipante all’escursione si è ritrovato sotto l’ombra del “milicuzzu” un albero della piazza centrale di Sersale che, a dispetto del nome, è un’antica e secolare pianta dalle dimensioni enormi tanto che a volerne misurare la circonferenza del fusto, non sarebbero bastate le braccia della metà dei partecipanti alla gita Sersalese. Da lì, in compagnia di Paolo, la guida che ci avrebbe accompagnato per l’intera giornata, abbiamo raggiunto, dopo un breve viaggio in auto, un ameno bosco di pini, a circa 500 m, a differenza dei quasi 800 di Sersale . Una breve sosta in un tipico e sempre bello punto panoramico -dal quale la vista spaziava fino a Le Castella- per apprendere notizie storico-geografiche sui luoghi, tra le quali la presenza di Orlando, impegnato contro i musulmani in epoca medioevale e la conoscenza diretta del “pino laricio”, pianta che ha consentito agli antichi romani di solcare il mediterraneo e, in tempi meno remoti, la costruzione dei più importanti monumenti e palazzi d’Italia. Abbiamo, quindi, iniziato la discesa alle gole di Valle Cupa attraverso un ripido ma agevole sentiero. Durante l’intero percorso, la guida ci ha pazientemente illustrato le piante più rare della flora locale, nonché ù pagliaru, la carbunera e la carcara, diligentemente ricostruite in miniatura per riportare indietro nel tempo chi già, come la maggior parte di noi, di tempo ne ha trascorso un bel pò. Abbiamo appreso delle famose pipe tratte dalle radici dell’erica e degli utili ma ormai superati scoponi e scopini tratti dai suoi rami; dell’esistenza di una pianta dalla quale si ricavava la “manna”, dolcificante utilizzato nell’era ante-barbabietola. E pensare che abbiamo sempre creduto che la manna venisse dal cielo ! Giunti all’ingresso del canyon con in testa un caschetto stile “cantiere” abbiamo percorso circa un chilometro di una stretta gola di arenaria –unica del suo genere- , simile al gran canyon americano per tipologia geologica (col quale si prevede un gemellaggio non appena Bush non sarà più impegnato nella guerra in Iraq). All’interno è stato ritrovato un fossile vivente di felce risalente a 350 milioni di anni fa, quando la terra era abitata solo dal regno vegetale (immaginate che silenzio doveva esserci a quei tempi). L’acqua, limpidissima, pulitissima, altissima e finissima non era “levissima”, ma di un torrentello che ospitava la specie di rana “Italica” che, a dirlo dopo i mondiali di calcio, sembrerebbe che il nome sia di recente invenzione. La cosa più “toga” e rassicurante per chi non vuole affrontare la ripida salita del ritorno, e che è possibile rientrare a dorso di ciuccio al modico prezzo di 10 euro, modernamente detto: trekking someggiato. Abbiamo quindi proseguito per l’agognato ristorante, nella speranza di gustare cibi tipici e gustosi per come la pubblicità dello stesso “ristorante tipico” riportava sui depliant e tabelle varie. Purtroppo le speranze sono state deluse, ancor di più al momento di pagare il conto che non reggeva il cosiddetto rapporto qualità-prezzo. Il cibo più gustoso è stato quello che Mariella ha estratto dal suo stiavuccu: formaggio pecorino mpipirinatu e peperoni mmulicati di una pasta di uovo fresco di galline nostrane. Comunque, il pranzo e stato deliziato dai racconti storici dell’infanzia “pagetica” e della gioventù di Mimmo, il quale si è rivelato, come sempre, persona gradevole, la cui compagnia è indispensabile (insieme alla sua strepitosa ed avveniristica macchina fotografica), per la buona riuscita di una gita (fa anche rima). Ultima tappa, la visita alle cascate del torrente “Campanaro” . Vi si arriva dopo un breve tragitto di 15 minuti e si può ammirare una cascata di 22 metri in cui l’acqua scivola su una roccia liscia e modellata dal tempo. Il posto è suggestivo e digestivo per chi ha gia mangiato e fa pensare al luogo ideale dove ritrovarsi durante i periodi di caldo torrido, infatti la frescura è totale e, considerata la limpidezza dell’acqua, i più termo-temerari possono tranquillamente “sciacquettiarsi” e “idromassaggiarsi” senza paura alcuna di ritrovarsi addosso i resti del pranzo degli abitanti dei paesi limitrofi. Il tutto si è concluso con una vivace discussione sulla strada da seguire per raggiungere più comodamente Castrovillari e, dopo la consultazione della cartina di Lilli, oggetto di attenzioni presidenziali, si è giunti alla conclusione che la strada fatta non andava più rifatta e che per raggiungere il nord era meglio andare verso sud.
26/27 agosto 2006: Notturna di Mimmo Filomia
Per un increscioso imprevisto l’escursione ha subito una lieve variazione di percorso rispetto al programma. Niente di grave! Unico cambiamento la nostra temporanea tendopoli: programmata sulla Grande Porta, l’abbiamo invece allestita a ridosso del sentiero del Passo Malevento, in una radura protetta sotto la Sella Dolcedorme. Tutto questo perchè -alle prime luci dell’alba- potessimo incamminarci per raggiungere la cima Dolcedorme. Motivo? Ripristinare, ancora una volta, la cassetta contenente il Libro di Vetta trafugato -per l’ennesima volta- senza motivo. Episodio che denota il grado di inciviltà di pochi personaggi –di cui conosciamo bene l’identità- che sotto le mentite spoglie di escursionisti commettono atti vandalici che danneggiano l’immagine delle popolazioni e dell’intero territorio del Parco del Pollino. Possiamo assicurare, però, che non l’avranno vinta considerato che il Libro di Vetta è diventato un appuntamento piacevole ed importante ed un punto di riferimento per tutti gli escursionisti che visitano il nostro Parco. Sono le 21.30 circa quando ci muoviamo da Colle Impiso . La piccola carovana ben predisposta guadagna il sentiero che conduce ai piani di Vacquarro. Camminiamo in fila indiana con un grosso fardello sulle spalle muovendo i passi nell’occhio di bue della torcia. La luna è assente l’abbiamo invocata spesso, ma logicamente, per motivi celesti, è interessata a rischiarare altre contrade. Il tempo, a volere essere ottimisti, è così così. Il bosco invece in questo tratto è fitto, magico, impenetrabile a barlumi di luce. Tuttavia si lascia attraversare senza incutere ansie . E’ proprio vero! L’aggregazione fa superare le paure nascoste e immotivate. Ai piani alti di Vacquarro riscopriamo il cielo. Il suo tenue chiarore mostra la sagoma scura del Monte Pollino, che ci sovrasta. Un tempo questi luoghi erano interdetti a persone curiose come noi. Oggi, liberati dal fenomeno del brigantaggio, per un ventennio autore di continui rapimenti fino al 1870, sono tornati luoghi sicuri per attività naturalistiche come la nostra. Gli unici occhi che ci seguono nella notte, sui piani di Pollino, sono quelli lucidi dei cavalli rischiarati dalle nostre lampade. A mezzanotte circa, allestiamo con cinque tende il nostro campo rendendolo funzionale. Inutile dire le difficoltà iniziali per il montaggio; un piccolo cantiere sull’erba che alla fine dopo di tanti, tira e molla, ha visto la sistemazione di un tetto sicuro sulle nostre teste . A questo punto, stranamente la stanchezza ancora non si è impadronita delle nostre forze. Seduti a cerchio onoriamo la rituale cena da campo elogiando le portate di tutti con tanti complimenti per MariaRosaria, Rossella, ed Antonella . L’euforia per le battute scherzose su tutti i partecipanti esorcizza l’ambiente circostante adattandolo alle nostre abitudini sempre nel rispetto del luogo. Per la verità già prima, istintivamente, ognuno sbirciava il proprio giaciglio per un meritato riposo. Alle tre l’ultima cerniera si chiude e decreta il ripristino del silenzio sui Piani di Pollino. Questa esperienza -nel chiuso della tenda- credo abbia generato in ognuno delle riflessioni. E se fossimo rimasti al caldo della nostra stanzetta con tutti i comfort? Ma no! Condividere la natura nell’arco di un’intera giornata, vuol dire adattabilità all’ambiente con ritorno al primitivo, acquisendo conoscenze e nozioni di sopravvivenza. Nella tenda pensieri e attimi di sonno si alternano. Finalmente! Risveglio alle sei, annunciato dal suono dei campanacci delle mucche. Com’è calmo, dolce, naturale e vitale il mattino oggi, rispetto a ieri. Mettiamo la testa fuori della tenda, quando già l’odore del caffè si sparge dalla moca messa in funzione da Franco sul fornello da campo. Chi gradisce latte e caffè si rivolge alla tenda di Rossella. Cena e colazione alla cowboy, mordi e fuggi. In breve con una manovra avvolgente, i portatori si ritrovano tende e sacco a pelo sulle spalle, pronti per la salita alla Serra Dolcedorme. A completare la carovana dei dieci nottambuli due amici mattinieri, che di corsa, per farsi accettare nel gruppo ci offrono altro caffè bollente e biscotti. Giungiamo in cima alle nove, tra lo stupore e meraviglia di chi sale qui per la prima volta. Intanto ci tocca riparare i danni materiali e morali arrecati alla collettività. Interveniamo ripristinando il Libro di Vetta che è posto qui quale custode di espressioni umane esternate in momenti di gioia conquistata. Non solo, contiene tutti gli indirizzi utili per il soccorso alpino. Segue la consueta foto di gruppo in cima . Quando uscirà dall’angolo dei ricordi, sarà la testimonianza di una bella giornata vissuta senza le opzioni abitudinarie personali dei nostri giorni. Le condizioni atmosferiche peggiorate ci consigliano un ritorno per la stessa via . Da oggi intanto amiamo e sappiamo di più di questa località perché ne abbiamo condiviso -nel buio della notte- il silenzio, la cui forza zittisce uomini e bestie.
6 agosto 2006: L’anello dello Sparviere di Gianni De Marco
L’itinerario –realizzato il 6 agosto in collaborazione con le Sezioni WWF del Pollino Calabrese di Castrovillari e del Prof. Vincenzo Arvia di Trebisacce profondo conoscitore dei luoghi- ci ha accompagnato sul crinale nord del monte Sparviere nell’integrità dei luoghi e negli straordinari panorami. Molte sono state le suggestioni offerte da un’esplorazione che consente di svelare il volto più solitario, sconosciuto, silenzioso e anche un po’ malinconico del Pollino: il percorso si è snodato lungo stradelle ben tracciate ed ha toccato due ampie vallate, abbastanza integre e ancora non compromesse dai segni dell’uomo: attraverso boschi e prati si è potuti giungere fino a un popolamento di aceri unico, forse, in Italia. L’itinerario ricade interamente nella zona 1 del Parco Nazionale del Pollino. Siamo sul confine tra Calabria e Basilicata, nella zona interna dell’alto Ionio e precisamente tra i comuni di Alessandria Del Carretto (in provincia di Cosenza) e di Terranova di Pollino (in provincia di Potenza). Cosenza dista dal punto di partenza dell’itinerario, la località Tappaiolo, 128 km; il paese più vicino dotato di servizi, Alessandria Del Carretto, è invece a 5 chilometri. Raggiunta di buon mattino dalla costa ionica Alessandria Del Carretto (975 m) abbiamo percorso 5 km verso le pendici del monte Sparviere, di cui 3 sono asfaltati e gli altri sterrati; la strada però rimane abbastanza larga (è percorribile anche da pullman gran turismo). Raggiunta la località Tappaiolo (1280 m), punto di partenza dell’itinerario, e lasciate le auto presso il Rifugio, prima di incamminarci ammiriamo il paesaggio caratterizzato dal crinale del monte Sparviere e dai profili della Serra di Lagoforano, del Timpone Tacca Peppini e di quello del Timpone della Neviera ; la vallata è molto verde e boscosa, caratterizzata dalla presenza di popolamenti di ontano napoletano (che qui si spingono sino a 1600 m), aceri e carpini. L’itinerario incomincia percorrendo per circa 700 metri la sterrata che conduce verso la località Sciortaglie, fino a raggiungere un rifugio in pietra, usato dai pastori, che si incontra sulla destra (1280 m) . Qui abbiamo abbandonato la sterrata per piegare a destra, salendo e passando a monte del rifugio; superato il primo canale, si prosegue lungo il sentiero fino al secondo canaletto. Quando si notano le opere di presa di una sorgente sulla destra, avanziamo diritto e - superato un breve tratto piuttosto ripido - continuato poi lungo un sentiero il cui tracciato è reso più evidente dalle un folto querceto (più a sud, in località Francomano) e dalle opere di interramento delle condutture dell’acquedotto. Il sentiero attraversa un bosco di ontani e aceri e raggiunge un’altra captazione d’acqua sulla destra; continuando per circa 40 m ci si riporta sulla sterrata lasciata prima. Si incammina lungo la sterrata, salendo sulla destra in direzione di un posto pic-nic e di una sorgente (sull’argine destro della stradella) e si prosegue per dieci minuti sino al canale di vallone Lupara. Il crestone marnoso che si incrocia sulla pendice sinistra del monte Sparviere è molto suggestivo: si tratta di marne argillose grigie e verdastre: le marne, rocce sedimentarie risalenti al Cretaceo, sono –insieme alle calcareniti e alle arenarie– una delle componenti principali della formazione geologica di questo territorio. Prima di lasciare la sterrata si può visitare la cappella-rifugio “Madonna dello Sparviere” in località La Bruscata : si trova lungo la sterrata, a circa 100 metri dal crestone marnoso citato sopra: la prima domenica di agosto vi si celebra la festa dedicata, appunto, alla Madonna dello Sparviere. Nei pressi della sorgente di vallone Lupara, sulla destra, si inerpica un sentiero evidente e molto ombreggiato che sale a tornanti attraverso un bosco di ontani e aceri e in pochi minuti porta alla sorgente “Scifi i petra” (1410 m). Siamo in località La Difesa. In questa zona è stato recentemente osservato dai tecnici dell’Istituto per la Selvicoltura di Cosenza un popolamento di aceri di grande interesse sia botanico che forestale: è stato segnalato come unico in Italia perché al suo interno sono state catalogate ben sei specie di aceri (Acer pseudoplatanus, A. lobelii, A. opalus, A. campestre, A. platanoides, A. monspessulanum). Si prosegue ancora in salita, un po’ a zig-zag, lungo un sentiero ben conservato che corre a sinistra della sorgente e del canale; dopo alcuni tornanti, in prossimità di un abete (siamo ormai a 1470 metri) si sbuca di nuovo sulla sterrata e si continua salendo verso destra. Quest’ultimo tratto si presenta particolarmente suggestivo nel mese di maggio, perché il terreno si copre del manto giallo dei ranuncoli e di molte altre colorate fioriture. Si prosegue sulla stessa strada per circa mezz’ora e si raggiunge un altro rifugio di pastori (a quota 1550), da dove si ha una bella vista su Lagoforano. Formato dallo scioglimento delle nevi, è naturale che in piena estate resti secco. Pare anzi che anticamente gli abitanti di Alessandria avessero praticato sulle sponde del lago un cataletto di tracimazione artificiale per liberarlo più in fretta dalle acque, in modo che d’estate gli animali non si riducessero a bere acqua fangosa e sporca. Dal rifugio si prosegue ancora per circa 200 metri, entrando così in Basilicata, fino a raggiungere un incrocio della sterrata. Questo è il punto più panoramico dell’itinerario. Ci si affaccia su uno scenario singolare e suggestivo, che in 180° raccoglie, da sinistra, lo Sparviere (la sua cima era sicuramente più bella senza il ponte-radio dell’Enel e gli altri tralicci sistemati proprio sul punto più alto) e prosegue con il monte Sellaro, la Manfriana, il Dolcedorme, il Pollino, la Serra delle Ciavole, la Serra del Prete, il bosco della Fagosa, il Timpone della Rotondella, il Timpone Tacca Peppini e il Timpone della Neviera; in primo piano spiccano la Falconara, la Timpa di San Lorenzo e la Timpa di Cassano, attraverso le quali si aprono le gole del Raganello. Chi volesse fare un ultimo sforzo e gustare un panorama ancora più ampio, che si allunga dal Golfo di Taranto a quello di Sibari e ai monti della Sila, può seguire la sterrata a sinistra: salendo e passando vicino al ponte radio, in una mezz’ora si arriva proprio in vetta al monte Sparviere. L’itinerario continua ancora lungo la sterrata, svoltando a destra all’incrocio “panoramico”; si guadagna quota fino a raggiungere, sullo spartiacque, il valico della selletta tra Tacca Peppini e Serra di Lagoforano (a quota 1628 m) con lo sguardo rivolto verso il Timpone della Neviera. Si segue ora la sterrata che porta verso Timpone della Neviera; si scende leggermente di quota sino ad affacciarsi, lungo una pendice di Tacca Peppini, sulla suggestiva valle del Sarmento, racchiusa entro i confini del parco. Si continua a scendere per poi riguadagnare quota con una breve risalita lungo lo spartiacque tra valle Nera e Canale dei Verni (quota 1500). A ridosso della pendice orientale di Timpone Tacca Peppini e sviluppandosi verso Timpone Rotondella, si estende la località valle Nera. Questa valle – il suo nome ha probabilmente origine dal verde scuro degli abeti, in analogia con la Foresta Nera che un tempo ammantava il centro dell’Europa – ospitava, fino agli inizi del secolo, un bosco fittissimo di secolari abeti bianchi: oggi ne sopravvivono solo piccoli gruppi, e quando li si incontra si può facilmente constatare che si tratta di alberi vecchissimi . Nel punto in cui la stradella piega scendendo a destra verso Alessandria Del Carretto bisogna proseguire diritto per altri 500 metri lungo lo spartiacque di “piano Cistone”, mantenendo la linea di quota e passando a monte dei due raggruppamenti di pioppo tremolo che si incontrano; si transita a valle del terzo raggruppamento di pioppi e si comincia a scendere in direzione di un gruppo di abeti. Si scende ancora lungo un tratturo fino a una selletta vicino a un vecchio acero; da qui si prosegue sulla destra seguendo un sentiero che in pochi minuti porta a una sorgente con un abbeveratorio ricavato da un tronco d’albero. Ancora 70 m di cammino e ci si immette in una sterrata, girando a destra (siamo a 1320 metri di quota) nei pressi di una captazione d’acqua. L’itinerario prosegue lungo la sterrata, a monte della località piano dei Fagioli; una volta superata una leggera salita attraverso un querceto si ridiscende (località Spinazzeta), restando a monte di una abetaia molto vetusta, fino a raggiungere Neviera (quota 1330 metri). Sulla sinistra, nelle vicinanze di un dosso (oltre una recinzione in filo spinato), si può notare una grande fossa che gli abitanti di Alessandria usavano nel secolo scorso come neviera: d’inverno la riempivano di neve ben schiacciata, poi ricoprivano il tutto con frasche di abete e uno strato di terra per conservarlo fino all’estate e venderla nei paesi della costa ionica. È da questo uso, evidentemente molto diffuso nel secolo scorso, che il Timpone della Neviera ha derivato il suo nome. Proseguendo per qualche minuto si incontra un prato ove spiccano alcuni pruni, si scende ancora per 30-40 minuti e si raggiunge la sorgente Acqua di Brume (1300 metri), dove ci si può ristorare. Si prosegue ancora sulla sterrata raggiungendo, sullo spartiacque, un bivio: bisogna proseguire a destra per circa 150 metri oppure attraversare in diagonale un terreno incolto sino a una recinzione di siepi, costeggiarla per qualche metro e poi imboccare un sentiero tra le felci, a valle di alcuni casolari, fino ad incontrare una piccola radura. Si procede sulla stessa linea di quota fino ad incontrare una sterrata che conduce allo spartiacque, in prossimità di un traliccio: il panorama si apre sull’intera catena del monte Sparviere. Si prosegue lungo la sterrata –d’inverno sarebbe un percorso ideale per praticare lo sci da fondo– che, attraversata la località Cesine, ci fa incontrare un esemplare di pioppo tremolo degno di essere segnalato e poi, in pochi minuti, raggiunge Tappaiolo a conclusione dell’anello dello Sparviere.
30 luglio 2006: Ascensione a Monte Serramale di De Luca Giuseppe
Posto a cavallo tra il territorio di Tortora e Laino Borgo, il Monte Serramale (1274m) è una montagna aspra e scoscesa, ripida in tutti i suoi versanti e scarsamente frequentata . Nonostante la quota modesta, offre a chi raggiunge la sua vetta ampi panorami in tutte le direzioni: dalla Montea e Monte Ciagola a sud, il massiccio del Pollino ad est, il complesso monte Sirino, Alpi e la Spina a nord. Ad ovest scorci dell’azzurrino mar Tirreno con il Cristo di Maratea che emerge su una cuspide rocciosa dall’orizzonte . Il programma prevede l’ascensione al Serramale partendo da Pizzino, ridente frazione di Tortora, attraverso una sterrata che conduce alla “Serviola”, sella posta fra il Serramale e La Cocuzzata e il successivo attacco della cresta ovest. L’ambiente nel primo tratto è incantevole, lussureggiante di vegetazione tipicamente fluviale, simile a quello che si può incontrare lungo il fiume Argentino. Dalla Serviola in avanti , inebrianti fragranze di timo, origano e salvia accompagnano i nostri passi in una atmosfera autunnale. Oggi siamo pochi, causa sicuramente i postumi della conquista del Gran Paradiso della settimana scorsa, nonché del tempo inclemente (paurosi temporali mattutini verificatisi in mattinata). Sarà proprio questo a trasformare una normalissima e tranquilla escursione in una suggestiva e originale avventura, rischiando forse qualcosa. Nel gruppo oggi abbiamo una presenza femminile d’eccezione: Patrizia, una coriglianese di New York che ci ha “scoperto” via internet. Alla fine ne uscirà eccezionalmente soddisfatta, lei che ha visitato molti parchi americani compreso il Grand Canyon. Ne deduciamo quindi, che il nostro Pollino riesce a trasmettere emozioni fortissime. Ma veniamo al bello. Nonostante la continua minaccia di rovesci decidiamo di arrivare in vetta. Riesco appena a scattare qualche foto ed il tempo volge al peggio. Folate di nebbia e nuvoloni neri carichi di acqua ed elettricità investono la montagna. Bisogna fare in fretta e ridiscendere il crinale fino alla testata del canalone che si getta ripido dal versante nord della montagna ed è ricoperto dalla faggeta . Grazie a Dio avevo verificato il percorso un mese fa. Ciò si rivela davvero provvidenziale allorquando -entrati nel bosco- riusciamo a trovare un ricovero in una grotta discretamente profonda sotto una parete calcarea. Opportunamente l’abbiamo battezzata “grotta della salvezza”. Appena giunti si scatena l’inferno: pioggia battente e fulmini a ripetizione con boati secchi ed improvvisi . Inevitabilmente abbiamo per un attimo pensato a cosa sarebbe potuto accadere se ci fossimo trovati ancora in cresta. Apprendo solo ora che scrivo che nella stessa giornata sei escursionisti avventuratisi su Serra Dolcedorme hanno dovuto allertare i soccorsi perché sorpresi dalla stessa tempesta. Restiamo bloccati in grotta per circa un’ora e riusciamo ad ammirare la montagna in questa veste severa e pericolosa, ma con la costante consapevolezza di avvicinarsi ad essa sempre con il massimo rispetto. Mentre un po’ d’ansia aleggia nel gruppo, Patrizia sembra divertirsi come una matta rapita dalle atmosfere cangianti che quelle condizioni riescono a creare. Ma come sovente accade in estate, la quiete segue la tempesta; rispunta il sole e folgoranti lame di luce trafiggono le fronde boscose generando fantasmagorici contrasti e chiaroscuri quasi surreali che allieteranno i nostri occhi e il nostro cammino fino alle auto . Non posso che essere personalmente soddisfatto di questa mia prima volta come organizzatore di una escursione in seno al CAI, davvero movimentata, indimenticabile.
18/24 luglio 2006: Parco Nazionale del Gran Paradiso. Non solo vette di Mimmo Filomia
La Valle D’Aosta è stata la meta preferita dalla nostra Sezione per una serie di escursioni nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, nel cuore delle Alpi centrali Craie e Pennine. I movimenti tettonici di centinaia di milioni di anni fa, la deriva dei continenti e il lento corrugamento della crosta terrestre hanno regalato a questa regione -più di tutte- le cime più significative delle Alpi nel dominio dei quattromila metri, creando ovunque angoli di paradiso. Dopo gli sconvolgimenti iniziali che hanno plasmato la conformazione del nostro pianeta, la natura -ora in fase distensiva- mostra al tempo stesso la dolcezza delle valli, l’imponenza maestosa delle cime, l’impetuosità dei fiumi che da queste parti -per guadagnare l’alveo madre della Dora- sono costretti a precipitare disegnando spumeggianti cascate incorniciate da arcobaleni e favolosi laghetti verdi. Tutto questo spiega la presenza di un escursionismo multi etnico sempre in crescente fermento. La cima del Gran Paradiso (4061m) -meta del gruppo più audace- è l’epilogo dell’omonimo altipiano più vasto d’Italia costellato da ghiacciai. Vi si giunge non senza difficoltà forti di un’accurata preparazione, coadiuvati da esperte guide del luogo. Li accompagnamo e li seguiamo nella tappa d’avvicinamento al sentiero, penetrando nella valle selvaggia di Savaranche da dove scorgiamo sovrastante prima il Monte Grivola e poi la cima del Gran Paradiso. In tre cordate sarà affrontata il giorno seguente. Mentre gli amici sono impegnati a guadagnare la quota del rifugio Chabod, la comitiva più turisticamente impegnata visita il centro storico di Aosta. Il 20 luglio, per la gioia di chi va in montagna, per vivere in spazi aperti senza affrontare impegnativi dislivelli si svolge l’escursione al lago alpestre del Miage, situato nei pressi del massiccio del M. Bianco. Vi giungiamo dopo una breve visita alla cittadina turistica di Courmayeur. Da qui una navetta ci ha portato alla località Visaille, seguendo una stradina panoramica alla sinistra del traforo del Bianco, consentendoci di avvicinarci al sentiero a quota 1656 m. Ci troviamo nelle Alpi centrali e precisamente nella Val Veny. La bella e calda giornata, anche qui, ha favorito un notevole afflusso d’escursionisti d’ogni età. Notiamo, fra tanti, coppie d’anziani anche stranieri dal passo lento ma sicuro recarsi in pellegrinaggio verso i luoghi in cui sono stati protagonisti in gioventù. Numerosi giovani escursionisti provenienti da tutta Europa si uniscono a noi in un breve tratto di sentiero comune. Il loro passo però li porterà verso il rifugio Gonella sul ghiacciaio del Dòme a 3071m . Le acque del lago Miage sono racchiuse in un contenitore granitico in ambiente morenico alimentato dalle acque del disgelo, in cui l’omonimo ghiacciaio un tempo immergeva la punta della sua lingua vasta circa 11 kmq. Qui chi avesse ancora dubbi sulle conseguenze cicliche dei cambiamenti climatici ne ha la prova. Difatti, oggi il lago di colore verde per il limo finemente sciolto è ridotto notevolmente di profondità. Non potendosi alimentare direttamente dal ghiacciaio se non attraverso torrenti sotterranei, vive in regime di magra, mostrando sull’alveo i segni delle passate piene. Tutto ciò perché l’innalzamento planetario della temperatura -nel corso degli anni- ha fatto sciogliere anche questo ghiacciaio che si è ritirato fino alle falde del massiccio -come un nastro trasportatore- lasciando allo scoperto massi e detriti morenici. Ora l’ambiente desolato, per la gioia dei visitatori, è persino frequentato da famiglie di stambecchi. Il ritorno coincide per la stessa strada fino allo chalet Miage, dove abbiamo brindato alla conclusione della bella giornata. La foto ricordo scattata da una coppia di Rumeni, sancisce l’evento. 21.07.06 > Chamonix- ghiacciaio Mer de Glace su via ferrata con trenino a cremagliera. Partenza di buon’ora da Sarre albergo base. Solita visita a Courmayer poi via di corsa verso il rinomato tunnel del Bianco per giungere a Chamon ??? ?O¨?º?ix. Il trenino rosso a due carrozze non tarda ad arrivare. E’ preso d’assalto da una folla di turisti più che altro alla ricerca di refrigerio. Si! …perché da queste parti nelle giornate afose si può trovare sollievo inoltrandosi sotto il ghiacciaio Mer de Glace un tempo stimato di circa 45 kmq . Mentre il trenino si arrampica verso la località Montenvers (1913m) ammiriamo uno splendido panorama sulla valle francese di Chamonix (1035m). Dopo mezzora siamo già sul più gettonato ghiacciaio Mer de Glace. In telecabina, scendiamo di quota per la visita alla grotta di ghiaccio scavata nel ghiacciaio spesso 200 m e situata sotto le cime del Grandes Jorasses (4208m) e Grands Charmoz (3842m). All’interno abbiamo avuto modo di ammirare forme di animali e salottini estratti da ghiaccio cristallino e sapientemente illuminati e conservati a temperatura per i numerosi visitatori. Non è mancato il momento per fare acquisti di souvenirs, per se stessi e per i familiari lasciati a casa. Una visita al museo dei cristalli scoperti sul massiccio del M. Bianco ed al museo della fauna ci tiene impegnati fino all’ora della colazione. Al ritorno a Chamonix alcuni salgono -in funivia- sino all’Aiguille du Midi (3842m) -versante francese del Bianco- per ulteriori panorami mozzafiato; altri -comodamente seduti sul trenino di città- ne hanno visitato i punti più caratteristici. 22.07.06 > Vallèe de la Thuile (1441m) - Rifugio Deffeyes (2494m) Questa mattina l’idea è di avvicinarsi il più possibile al famoso ghiacciaio del Rutor. Dopo la sveglia facciamo tutto velocemente, tant’è che ci troviamo subito nella cittadina turistica di La Thuile grazie alla guida indolore della linea Santoro. Dopo il controllo all’equipaggiamento personale ci avviamo per il sentiero che ci porterà da La Joux -attraverso il sentiero n. 3- alla prima cascata. La giornata si presenta soleggiata ma le previsioni indicano rischio di pioggia al pomeriggio. Intanto anche su questo sentiero c’è fermento. La prima parte -attraverso un bosco di pini cembri, larici e faggi- si presenta abbastanza tranquilla con punti panoramici sulle tre cascate. Fuori dal bosco si intravede il Bianco con i suoi ghiacciai. Salendo la difficoltà aumenta ma la prima meta è un bivacco alpino nei pressi di un laghetto glaciale molto panoramico che invita alla siesta. Ormai il rifugio Deffeyes è ad un tiro di schioppo. Ci separa un comodo sentiero che con ampi tornanti avvolge un bastione di 400m circa. Giungere in questi luoghi è una gioia per tutti. Un gratificazione per il nostro fisico che -in montagna- ci insegna a non sollecitarlo oltre misura per assecondare il proprio egoismo. La carovana tra impacchi freschi e meritati riposini sale ed ogni tornante ci riserva una scena panoramica diversa. Ormai ci siamo: valichiamo. Lasciamo alle nostre spalle la dolcezza delle valli per ammirare la severità del territorio brullo che precede quello delle nevi incontrastate del ghiacciaio del Rutor. Il buon odorino che pervade l’aere intorno al rifugio Deffeyes ci trattiene inesorabilmente a gustare le specialità dello stesso. Le Alpi sono luoghi favolosi. Alcune cime, unitamente al colore sembrano essere state appuntite per magia. Lo stesso regime delle acque sembra affidato al gioco di un fato che assorbendole dal ghiacciaio crea laghetti e cascate prima di consegnarle alla Dora e poi al mare attraverso il fiume Po. Ritorniamo a casa appagati. Il bollettino ha visto una ripresa della pioggia, una calata del sole ma soprattutto un’impennata dell’umore.
20 luglio 2006: Il CAI di Castrovillari sul Gran Paradiso di Mimmo Pace
Brillava di una luce insolita … quasi folgorante e tremula agli occhi velati di pianto di qualche intrepido, attempato quasi settantenne felice di aver toccato quelle altezze, la bianca Madonnina, che dalla vetta del Gran Paradiso, un 4000 tutto italiano, volge lo sguardo benigno e benedicente sulla nostra Italia. Era il mezzodì dello scorso 20 luglio e ben tre cordate da 5 uomini , composte dal Presidente e da Soci del CAI di Castrovillari - 6 dei quali, provetti giovani volontari del C.N.S.A.S. Pollino Calabria – avevano raggiunto la vetta del Gran Paradiso e si apprestavano, in fila indiana e ramponi ai piedi (diversamente non si può, attesa l’estrema pericolosità di un passaggio in vetta), a porgere un saluto e un grato omaggio alla bella e dolce Madonnina e a vivere anche le emozioni forti e gli sconfinati orizzonti che questa vetta offre a 360° sull’arco alpino centro-occidentale, dal Monviso, al Parco Nazionale della Vanoise, con le vette eccelse della Grand Casse e della Grand Motte, alla maestosa catena del Bianco e, più lontani e soffusi d’azzurro-viola, la piramide del Cervino e il possente Massiccio del Rosa. Una montagna davvero difficile il Gran Paradiso! Sicuramente a noi proibita l’ascensione della Nord, una parete quasi verticale, rivestita di ghiacci eterni e riservata alle grandi firme dell’Alpinismo . E’ stata optata perciò la Via Normale, con attacco dal Rifugio “F. Chabod”, a 2750 m di quota, raggiunto il giorno prima con partenza dal fondo della Valsavaranche e risalendo, alle prime luci dell’alba dell’indomani, dapprima il Ghiacciaio di Lavachey e poi quello del Gran Paradiso. Pur tuttavia, questa Via non rappresenta una facile escursione su ghiacciaio d’alta quota! Occorre, invece, destreggiarsi nel superamento di seracchi, profondi crepacci , scoscendimenti e rampe durissime di ghiaccio vivo ed impone un notevole impiego di risorse ed anche una tecnica di progressione, di certo superiore a quella resasi necessaria per toccare la pur eccelsa Punta Gnifetti a 4554 m sul Massiccio del Rosa, raggiunta due anni or sono sempre dalla nostra Sezione. Sono stati necessari una preparazione accurata e minuziosa, un impegno costante, nonché un notevole sforzo organizzativo. Il buon fine della “spedizione” riveste, pertanto, particolare rilevanza e ci inorgoglisce tutti . Davvero superfluo fare nomi; pur tuttavia è quanto mai doveroso segnalare Teresa Lalìa, una giovane, intrepida, coraggiosa ragazza di Sangineto e Giuseppe Tramontana di Castrovillari, un baldo ventinovenne al suo primo approccio con la Grande Montagna. Ancora un successo, quindi, favorito e indotto dalla cooperazione e dal vincolo sinergico della solidanza … princìpi questi, che, tra la Gente del CAI di Castrovillari rappresentano ormai una realtà consolidata ! Non ci arroghiamo di passare per atleti di grosso calibro o di primo piano, ma nutriamo tanta voglia di superare ostacoli anche duri, nonostante le limitate risorse di cui disponiamo. Ciò, per la grande passione che scorre nelle nostre vene, per la Natura e per la Montagna … ed anche per far conoscere agli altri che apparteniamo alla Terra di Calabria! Una delle tre guide alpine che ci accompagnava, verso la fine dell’ascensione, ebbe d’un tratto ad esclamare: “Toh! … mi compiaccio vivamente con voi, perché siete riusciti ad organizzare e concludere un’autentica spedizione tutta Calabrese”.
25 Giugno 2006: Alto fiume Grondo di Michele Custodero
Simpatica intersezionale del Cai di Bari col Cai di Castrovillari. (Vabbè del Cai di Bari c'ero solo io, ma non fa niente). Era da parecchio che mi ero ripromesso di visitare la zona del torrente Grondo e quando ho letto sul programma che la sezione di Castrovillari organizzava un'uscita ho colto l'occasione al volo . La valle del torrente Grondo è senz'altro una delle meno conosciute dell'Orsomarso. Si trova tra S. Donato di Ninea e Acquaformosa. In questa zona la montagna "precipita" a valle molto rapidamente dando luogo appunto al corso del Grondo che in alcuni punti si inforra, e all'ancor meno conosciuta forra del torrente Galatro. I sentieri di accesso e attraversamento risalgono ai tempi andati della transumanza e sono per lo più sconosciuti e invasi dalla vegetazione arbustiva che, nelle zone in cui il sole riesce a penetrare il folto della faggeta, cresce rigogliosa ed esuberante. La nostra escursione parte da quota 950m. lungo una stradella sterrata che stacca in pieno tornante la bitumata che sale a S. Maria al Monte. Siamo in 12 e la compagnia è allegra. Non ero mai uscito con gli amici di Castrovillari e l'incontro è stato decisamente piacevole. Il primo tratto procede a mezza costa lungo la sterrata al cui bordo è stata costruita una condotta d'acqua che capta e dirotta (evidentemente per irrigazioni) parte del torrente Grondo. Entriamo nel bosco superando due strette pareti di roccia. Qui il sentiero si restringe e "la canaletta" prosegue a cielo scoperto. Sentiamo il rombo del Grondo sempre più vicino. Il sentiero si restringe sempre di più fino a costringerci a camminare su uno stretto cordolo di pietra con a destra la canaletta invasa dall'acqua e a sinistra il versante della montagna che strapiomba verso il torrente . Proseguiamo come funamboli ancora per una ventina di metri dove la canaletta si immette sotto una graziosa e prorompente cascatella del torrente. Pensavo che il Grondo fosse un torrente per lo più asciutto, ma qui mi sono dovuto ricredere. L'aria fresca mitiga la canicola della giornata che inviterebbe al bagno. Di fronte a me vedo che il sentiero prosegue dal lato opposto al corso d'acqua (traccia in giallo su cartina). Ma il nostro itinerario è diverso. Ritorniamo quindi sui nostri passi per aggirare il Grondo più in alto. Si comincia quindi a salire su evidente sentiero fino a raggiungere una sella in zona "Mandria delle Vacche". Come al solito constato che i sentieri sul terreno raramente coincidono con quelli delle vetuste tavolette dell'IGM. E' decisamente un bel posto per perdersi. Ma la nostra guida sa il fatto suo e prosegue decisa e sicura facendosi varco con decisione tra felci e rovi. Qualcuno si sofferma a cogliere fragoline di bosco. Ma il sole negli slarghi tra i faggi picchia impietoso e sollecita a proseguire. Fortunatamente l'ombra mitiga molto la calura della giornata. Attraversiamo vecchi sentieri e improbabili stradoni testimonianza della forte frequentazione e sfruttamento del territorio realizzato nel secolo scorso ma ora in totale abbandono e graduale sfaldamento. Facciamo un piccolo fuori-pista in discesa e scendiamo sul letto del torrente che in questo punto scorre placido e lento. Nicola è già avanti diretto ad una fonte che conosce solo lui. Guadiamo e gli siamo dietro. Si rabboccano le borracce mentre qualcuno scatta qualche foto ad una cascatella lì vicino . Poco dopo ripartiamo risalendo la destra orografica del torrente. Salvatore impartisce istruzioni per scattare qualche foto ad effetto. Si fanno delle battute, si ride e si scherza. Più in là raggiungiamo un'altra cascatella con laghetto dove si decide di fare la pausa pranzo e la fatidica foto di gruppo . Si sta bene vicino all'acqua e la temperatura è decisamente mite. Dopo il pranzo e un breve riposo si riparte per il ritorno. Ogni tanto si fa capolino dal folto del bosco per ammirare il paesaggio circostante. "Là in fondo abbiamo lasciato le auto" dice Nicola. "Cavolo, tutta questa strada abbiamo fatto! Dò un'occhiata alle mia cartine. "Mhh, ancora un'ora e saremmo arrivati a Piano di Ferrocinto . ma va bene così". Per tornare indietro facciamo una variante su uno stradone aperto per favorire il taglio del bosco, che - dice Nicola - è molto intenso. Ormai non manca molto alle auto e, malgrado l'orario, il sole è più impietoso che mai. Comincio a richiudere i bastoncini telescopici. E' stata una bella giornata, molto istruttiva e piena di stimoli a ritornare. E la compagnia . decisamente piacevole. So che ci rincontreremo .. Un ultimo saluto e una bevuta ad un bar di Acquaformosa e sono già sulla via del ritorno.
11 giugno 2006. Cerchiara di Calabria: Intersezionale Regionale CAI di Mimmo Pace
Lo scorso 11 Giugno, di prima mattina, la Piazza Fontana Vecchia di Cerchiara di Calabria, il caratteristico storico borgo alle falde del Sellaro, era insolitamente gremita di Gente del C.A.I. Si erano date lì appuntamento folte rappresentanze delle 4 Sezioni Calabresi del Club Alpino Italiano (Catanzaro,Cosenza, reggio calabria, Castrovillari), per lo svolgimento di una “poliedrica” Intersezionale Regionale, nonché una sessantina di Soci della Sezione di Mantova, in Calabria per un approccio col nostro Pollino. Felice la decisione della Sezione CAI di Castrovillari, nell’aver scelto quale “teatro delle attività” questo lembo di territorio del Parco, così ricco di testimonianze storico-artistiche ed anche così variegato e interessante dal lato naturalistico e paesaggistico. L’evento è stato patrocinato dal locale Ente Comunale. Le circa 200 anime del CAI presenti hanno così avuto solo l’imbarazzo di scegliersi l’attività da svolgere: una trentina di più intrepidi, guidati e sostenuti da alcuni validi e disponibili volontari del C.N.S.A.S. Pollino, hanno percorso la bella e tecnica doppia tratta di ferrata, che dal letto del Caldanello risale, a manca, con dislivello di 300 metri, ai resti dello storico castello normanno, mentre a dritta percorre un’esile, aerea cengia, lungo una strapiombante parete rocciosa. Hanno potuto così vivere emozioni intense e ammirare, anche se con un po’ d’ansia e batticuore, la selvaggia bellezza del luogo. Un altro nutrito gruppo ha optato per una visita al Santuario di S. Maria dell’Armi, ossia delle grotte, - dal greco: "Ton Armon"- uno dei sette Santuari Mariani del Parco del Pollino, a più di mille metri s.l.m. : in origine un eremo, fondato da monaci anacoreti greci nel X secolo, restaurato nel 1440 dopo il ritrovamento, in una delle diverse grotte rupestri, di alcune tavolette bizantine e ampliato agli inizi del XVI secolo dal Principe Pietro Antonio Sanseverino e più tardi dai Marchesi Pignatelli di Cerchiara, dopo il ritrovamento dell’effige della Vergine, dipinta su di una tavola di pietra. Una significativa testimonianza di arte rinascimentale, incastonata in un contesto paesaggistico di grande respiro. Il vasto piazzale del Santuario ha costituito la base di raduno e partenza, per una foltissima schiera di amanti dell’escursionismo, che hanno risalito, attraverso un dolce sentiero le aspre balze del Sellaro, tra brulle pietraie e imponenti bastioni di roccia, tenaci sassifraghe, rigogliosa macchia mediterranea e cespi di scarlatte peonie. Eravamo almeno in 120 sulla vetta del Sellaro, a 1439 metri di altitudine, una vetta non eccelsa, questa, ma che offre una vista a 360° dalla lontana Sila Greca ai Monti d’Orsomarso, dalle vette eccelse del Pollino, al tormentato profondo solco del Canyon del Raganello, ai Monti dello Sparviere e, per chiudere l’anello, a Sud, sulla vasta Piana di Sibari e i lidi dell’antica Magnagrecia, sfumati tenuemente e protesi sull’immensità azzurrina dello Jonio. Pienamente appagati, ci siamo ritrovati tutti a pranzo, alla “Caldana”, proprio accanto alla “Grotta delle Ninfe”, una sorgente di acque calde sulfuree, che, in un anfratto roccioso, sgorga copiosa dalle viscere del Sellaro e alimenta, prima una piscina termale e poi il corso del Caldanello. Nell’antichità, le donne sibarite, cultrici della bellezza, accorrevano numerose a questa fonte per rendere vellutata la loro pelle! Ancora una volta, per concludere,il C.A.I. ha centrato i suoi molteplici obiettivi: • affiatamento, collaborazione e solidarietà tra uomini; • acquisizione di un maggior grado di sicurezza, attraverso una maturata esperienza delle proprie capacità fisiche; • camminare per conoscere l’ambiente montano e tutelarlo, con grande attenzione verso la “cultura del Territorio;” • arricchimento interiore, attraverso scambi culturali tra Gente di diverse origini, costumi ed usi di vita; • ma anche rapporti collaborativi e sinergici con le Istituzioni locali, per favorire e indurre la conoscenza, la promozione e la valorizzazione del Territorio in cui viviamo.
3 giugno 2006: Tra le bocche eruttive dell’Etna di Mimmo Pace
Dopo la fantastica ascesa notturna sullo Stromboli, nel 2000, era del tutto scontato che le attenzioni della Gente del C.A.I. di Castrovillari si concentrassero sul Mongibello o Etna, che dir si voglia, che dall’alto dei suoi 3240 m, rappresenta il più maestoso e possente vulcano d’Europa . Come da programma, lo scorso 2 giugno un nutrito gruppo di una trentina di Soci opta per questa “avventura vulcanica”. Per risalire dalla costa, ai 1900 metri di quota del Rifugio Sapienza , il piccolo autobus che ci porta … ansima quasi, lungo gli innumerevoli tornanti che si snodano nello scuro mare di magma, frutto di infinite eruzioni. Al Rifugio ci attende Gigi Sciacca, un atletico ragazzo del C.A.I. di Catania, che ci farà da guida. Presto, una fitta e fredda nebbia avvolge il rifugio, ma l’interno è caldo e accogliente, la comitiva allegra e la serata interessante e istruttiva: Gigi ci propone un video sul vulcano. Abbiamo così modo di osservarlo nelle sue fasi eruttive, entrando nella sua dimensione vera. Apprendiamo così, che Etna deriva dal greco “aitho“, che significa “ardo, fiammeggio”; che il vulcano si formò 500mila anni addietro e che è composto oltre che dalla profonda voragine del cratere sommitale, da numerosi vulcanelli laterali e da centinaia di coni minori, detti “avventizi”. Sono proprio questi “vulcanelli laterali” che, quando si aprono alle basse quote, causano le peggiori devastazioni. Emblematico esempio, i Monti Rossi, piccole colline proprio alle falde del vulcano e prospicienti la piana, da cui fuoriuscì il mare di magma incandescente, che distrusse completamente Catania nel VII sec. d.C. L’indomani, nonostante l’inclemenza del tempo, risaliamo con la funivia a 2500 metri di quota; da qui inizia l’ascensione, o meglio la marcia lungo la comoda pista che si svolge sulla interminabile distesa di ciottoli, sabbie, rocce eruttive dalle forme bizzarre, che rappresenta la vera essenza di questa grande montagna. Avanziamo nel cupo grigiore di un fitto nebbione , che monta su con vento tagliente e che ben presto diviene nevischio; non demordiamo però: tutto sommato quel mondo ci affascina! Le rocce nerastre, ricoperte da una sottile coltre nevosa, appaiono come personaggi di un mondo surreale. Nonostante tutto, continuiamo a marciare e, finalmente, la sorte ci arride; come per incanto, il cupo grigiore svanisce … il paesaggio si dipana finalmente alla nostra vista in tutta la sua grandiosità . Il Mongibello è lassù, non molto distante per la verità, ma non toccheremo la sua vetta … Gigi ci dissuade, il tempo è incerto e nella nebbia in questi posti si rischia di perdersi. Ci rassegniamo e puntiamo verso un cratere, in tutto simile a un enorme pozzo, che sprofonda in un vertiginoso abisso. Una foto ricordo e si riprende a salire ; sul culmine … ecco le “bombe”: enormi macigni tondeggianti, eruttati dal vulcano. Allo svanire della nebbia, si profilano all’orizzonte alcuni ciclopici crateri simili a torri merlate, mentre il colpo d’occhio sulla vetta diviene impressionante e merita un ricordo memorabile ! Discendiamo alla Torre del Filosofo , altro enorme cratere policromo; ne percorriamo l’orlo nella nebbia. E’ davvero incredibile come il manto nevoso, che si esprime in forme bizzarre, possa resistere così a lungo al calore che emana dal suolo! La sabbia e i ciottoli vulcanici, scottano quasi a toccarli ! Il tempo si rabbuia e ricomincia il nevischio che ci induce a scendere al capolinea della funivia per un breve pic-nic. Da qui, iniziamo una facile, briosa discesa, affondando nella morbida sabbia vulcanica, lungo il tracciato della funivia. Incrociamo tenaci macchie di spinosissimi Astragalus Etnensis (il famoso cuscino della suocera, per intenderci!) ed anche splendidi cespi di Saponarie in fiore, che riescono a vegetare tra sterili e scure frange magmatiche. Presto, siamo giù al rifugio Sapienza, e dietro i vetri possiamo goderci, ormai al sicuro, la neve, che per un po’ viene giù proprio fitta . L’indomani è una mattinata limpida, che ci consente, durante l’iter di ritorno appena intrapreso, di ammirare il gigante, tenuemente imbiancato dall’insolita nevicata notturna di giugno , col suo pennacchio di gas, confuso alle nubi che ne sovrastano la vetta, giganteggiare sull’immensa piana catanese, ma anche di stupirci ed emozionarci di fronte a visioni sconvolgenti, che aiutano forse a farci comprendere la straordinaria potenza delle forze della Natura, che in questi luoghi hanno seminato profondi sconvolgimenti, terrore e sistematica devastazione dell’infaticabile opera dell’Uomo. Una capatina fugace alla bella Catania che Giorgio Pace, dinamico Vicepresidente della locale Sezione del CAI, nelle vesti di Cicerone d’eccezione, ci illustra sapientemente, i saporiti bocconi gustati in un localino che si affaccia su di un’ombrosissima via di Messina, gli immancabili cannoli alla ricotta e le cassate da far gustare in famiglia, anche per farsi un po’ perdonare il frequente “distacco” dagli impegni familiari , il movimentato approdo sulla costa calabra, e poi, quella breve, intensa sosta sul Capo S. Elia, per ammirare, in una visione quasi aerea, la Costa Viola, lo Stretto e, sfumata nell’immensità azzurrina del Tirreno, la scura sagoma dello Stromboli. Orizzonti sconfinati , spettacoli grandiosi, emozioni visive che la Terra di Calabria, a chi desideri viverle, riserba.
21 maggio 2006: Piano Campolongo di Lungro - Laghetto Garga di Saracena di Lorenzo Russo
Sul sentiero, ricordi che sopravvivono al tempo. "Dal racconto di tre nostri amici la trama fittissima di fatti di una vita laboriosa, operosa e modesta".
IL CAI di Castrovillari, i soci di Saracena e la nostra Amministrazione Provinciale rappresentata dal Consigliere Biagio Diana hanno operato in sinergia per il successo della giornata dedicata alla riscoperta dei sentieri dimenticati. Il percorso Piano di Campolongo – Laghetto Garga, una volta frequentatissimo, è stato, per una giornata, "riportato in vita" dai partecipanti all'escursione . Oggi è l'itinerario della solitudine, la località della quiete; si può marciare per ore e ore senza incontrare anima viva. Il paesaggio circostante è solenne: partendo dalla Fontana di Campolongo e via via, durante il tragitto, guardando verso Nord c'è la serra Cuparelli con i suoi 1525m, la vetta suprema del Monte Caramolo, il Colle del Lupo e la Picarella; quest'ultimi due monti, posti l'uno di fronte all'altro, nascondono il Portone, un canalone dal fascino quasi misterioso delle terre inesplorate che intagliato in profondità nella roccia lascia emergere due strani torrioni che, visti da lontano, formano, nello scenario naturale dei monti , una imponente “V”. Proseguendo verso la Fontana di Vallone Lungo gruppi di cespugli di ginepri emanano un profumo magnifico e all'arrivo a quest'ultima meta, nei luoghi più riparati, vistose fioriture di Peonia Peregrina ravvivano il paesaggio. Un tratto di Vallone Lungo sovrasta notevolmente il territorio a Sud Est, da lì si domina l’ intera Piana di Sibari e l’ escursionista ha una chiara visione dello sconfinato paesaggio sottostante. La veduta "aerea" è spettacolare, in un solo colpo d'occhio si spazia da Rossano al massiccio della Sila e a Sud ben oltre la diga dell' Esaro. A fine percorso si continua su un tratto del sentiero noto alle genti locali con il nome “la scala”; questo, sistemato con gradini di pietra scavati nella roccia, si pensa sia stato assestato nei secoli scorsi dai monaci del convento di Santa Maria ad Flumen per giungervi ad una piccola chiesetta, oramai distrutta, ubicata sopra il fiume, la cui costruzione risale al XI° secolo. Il paesaggio prossimo all'intero sentiero ispira un sentimento di profondo rispetto per la forte relazione che si scorge tra uomo, lavoro e natura; vistosi sono i segni di una presenza antropica lontana, spiegati dai nostri tre amici del CAI Egidio Guaragna, Di Leone Nicolino e Carmine De Martino . Rievochiamo insieme la successione dei fatti e di situazioni del passato ripercorrendo a ritroso il percorso con una breve intervista all'ex vicepresidente del CAI di Castrovillari Egidio Guaragna.
Dimmi, quando sei stato per la prima volta sul sentiero e quali ricordi hai?
Con mio padre sono stato sul sentiero che dal laghetto conduce al Piano di Campolongo. Se non ricordo male era il 1947. Lungo il Fiume Garga allora esistevano vecchi mulini in disuso, funzionavano con il sistema delle condotte forzate delle acque. Proprio al laghetto c'era una segheria che lavorava il legname, fu realizzata presumibilmente intorno agli anni trenta.
Prima di allora qualcuno te ne aveva parlato?
Si, del fiume se ne parlava e anche del sentiero. Ma ricordo poco.
Riferiscici del poco.
Lungo il Garga c'era una centrale elettrica, gestita da una società costituita da soci cittadini. So che fu impiantata nel 1908 e forniva energia alla Rueping, una società Italo-Tedesca impegnata nello sfruttamento dei boschi locali. Del sentiero se ne sentiva parlare dai pastori che vi conducevano il bestiame o da coloro che vi raccoglievano erbe officinali o funghi.
Ritorniamo al percorso e alla "sua vita".
Percorrevano il sentiero periodicamente i boscaioli locali assunti dalla Rueping, i contadini, gli operai del rimboschimento e i pastori. Oltrepassato il laghetto e la Scala vi sono dei pianori che allora erano coltivati a grano, a patate e granoturco. Anche a Vallone Lungo, che è il pianoro successivo, vi erano colture simili. Poi, intorno agli anni '50 gli operai del rimboschimento vi costruirono dei rifugi, ancora oggi sul luogo vi sono i resti delle strutture. Di Valle Cupa, che è la tappa successiva, tutti hanno il ricordo della fittissima nebbia. Chiamata così forse perché l'eccessiva nebbia impediva la vista del sentiero o del bestiame portato a pascolo.
E dell'ultima tappa cosa puoi dirmi?
Durante il disboscamento operato dalla Rueping il Piano di Campolongo era il centro di smistamento e c' era la funivia che portava il legname a valle; nei momenti in cui si fermava gli adulti e i ragazzi la usavano per scendere in paese o per salire, poiché in alcune zone procedeva lenta e quasi a pelo d'erba. Piano di Campolongo era dotato di energia, di acqua e vi era anche il dopolavoro giacchè gli operai rimanevano in montagna anche per lunghi periodi. C'è da dire ch'era un pezzo di montagna molto frequentato.
14 maggio 2006: Dal Far West sul Cozzo dell’Orso di Mimmo Pace
Si, proprio così ! Steve e Cam, due cittadini di Seattle, accompagnati da Frank Greco, un cosentino trapiantato da anni nella città americana del Pacifico, hanno potuto unirsi alla comitiva del CAI di Castrovillari in una sortita lungo la Dorsale del Pellegrino: meta il Cozzo dell’Orso, a m 1561. Il calendario prevedeva il raggiungimento della stessa meta, attraverso un’escursione molto più dura, con partenza dal fondovalle dell’ Abatemarco, ma il programma è stato variato, per dovere di ospitalità ed anche perché i 3 del West americano potessero fruire di un approccio più ampio, ancorché fugace, dei variegati aspetti naturalistici che questo lembo di Parco offre. Una veloce risalita in fuoristrada dall’altipiano di Campotenese verso i pianori del Masistro e il luminoso Piano di Novacco e poi verso la Fiumarella di Rossale, tra i boschi solenni della Serraiola, per giungere sulla verde conca di Tavolara, su cui, coi loro confini, convergono i Comuni di Verbicaro, Orsomarso, Saracena, S. Donato di Ninea e Lungro. Fugace visita al placido laghetto e breve sosta alla copiosa e freddissima Fonte Spaccazza, che corre giù a valle a creare il Fiume Argentino. La corsa riprende lungo la bella sterrata forestale. Finalmente, i motori tacciono e l’allegra comitiva inizia la marcia nella solenne faggeta , giungendo presto ad un aereo valico. Risalendo il ciglione roccioso, tra faggi giganteschi, fa capolino un solitario picco adorno di loricati ; ci inerpichiamo lungo il costone zigzagando liberamente nella boscaglia e in breve giungiamo alla meta: il Cozzo dell’Orso. Da quassù, la vista è davvero mozzafiato ! Dal cupo verde dei suoi ripidissimi fianchi, emerge la granitica vetta del Pellegrino ancora innevata, mentre sotto di noi, in una visione aerea, l’Abatemarco e la sua profonda, lussureggiante valle, sovrastata dalla conica, inaccessibile vetta del Trincello, su cui sorgeva un “Kastron” medievale, vedetta - presidio per la costa e l’entroterra. L’occhio corre ora lontano, tra l’azzurro del Tirreno e l’immensa distesa verde, il “ polmone del Parco”, che riveste i Monti dell’Orsomarso, fin sui fianchi del Palanuda. E’ proprio giunto il momento per scattare qualche foto ricordo. Gli amici americani restano estasiati; non immaginavano di fruire di visioni così fiabesche e neanche di sapori calabresi così intensi, vari ed esclusivi, come quelli spuntati fuori dai nostri zaini e proposti loro dalla nostra calda ospitalità. Ridiscesi al valico, era d’obbligo una visita a “Boccademone”, forra profonda e inviolabile, originata da macigni ciclopici distaccatisi dai fianchi della montagna, sulle cui ripidissime falesie e dirupi, restano abbarbicati bellissimi esemplari di loricati. In breve raggiungiamo le auto e la sortita si conclude con una visita al nostro rifugio ai piedi del Palanuda, i cui lavori di riattamento e ristrutturazione procedono spediti e che presto sarà attivato e potrà ospitare, ci auguriamo, tanti appassionati di natura e montagna. I nostri ospiti sono manifestamente più che soddisfatti; non ci hanno promesso che l’anno venturo ritorneranno, è vero - ma che in America “faranno un gran tifo” per il nostro Pollino - a Seattle e dintorni - tra gli amici che frequentano le Montagne Rocciose.
7 maggio 2006: Fiume Rosa – Varco del Palombaro di Mimmo Filomia
L’escursione odierna, programmata in collaborazione con gli amici dell’A.I.N. Calabria (Associazione Italiana Naturalisti), ha visto i protagonisti impegnati nella risalita del fiume Rosa. Il sentiero inizia dall’arco eretto in onore della Madonna del Pettoruto e prosegue fino al Varco del Palombaro. Rappresenta un segmento cruciale di un’antica via attraverso la quale sono transitate intere generazioni dedite al commercio dell’ossidiana prima, di prodotti naturali poi, merce di scambio tra il Tirreno e lo Jonio. Un percorso obbligato e di facile controllo come dimostrano i ruderi di roccaforti militari (Artemisia e Castello della Rocca). Una via istmica, con un unico accesso e sbocco, incuneata nelle floride valli scoscese e ripide tra i monti Mula e Montea. Il clima caldo-umido, favorito dall‘influenza del vicino mare e dalle correnti atmosferiche perturbate atlantiche, contribuisce a farne una zona boscosa, ricca d’acque. Il risultato? Un ambiente da favola! Una passerella nell’intricata e rigogliosa vegetazione d’ontani, frassini, erbe aromatiche, orchidee varie, felci, piante acquatiche. Qui come nella valle dell’Esaro, alligna il Tasso (Taxus baccata) ed a quota più alta il Faggio. Una gioia per i naturalisti che possono spaziare tra l’utile ed il dilettevole. Le copiose piogge che cadono a ridosso di queste montagne non fanno altro che aumentare la portata del fiume, restituendo l’acqua attraverso sorgenti e cascate laterali. Il fiume Rosa scorre nel suo letto per 19 km prima di diventare tributario del fiume Esaro. Nasce dalle sorgenti dette I Capi di Rosa ad 850 m in una radura sovrastata dal boscoso Montalto. L’acqua, con tocco magico, sgorga da più ferite dal terreno ed a rivoli scende a valle. Il fiume stretto nelle sue gole è costretto a scendere veloce. Le sue acque argentine, superando un dislivello di circa 500 m con balzi e cascate, provocano un continuo fruscio. Il sentiero s’intreccia con esso più di una volta, creando all’inizio qualche difficoltà. Dopo la prima performance, tutto diviene facile e divertente. Man mano che il sentiero entra nel cuore della Valle del Rosa l’ambiente diventa suggestivo. La natura selvaggia e incontaminata del luogo, sorpresa al risveglio primaverile, fa bella mostra di sé al nostro passaggio aiutata da un gioco di luci ed ombre ad effetti speciali. Ogni anfratto è un’oasi naturalistica da cui è difficile staccarsi! Un esempio è la copiosa sorgente a cascata dei Pisciuottele, lato monte Mula e la cascata, appena fuori sentiero, del Savuco, lato monte Montea. Oltre alla meraviglia, c’è posto anche per la fantasia. A stuzzicarla è l’antro mascherato: un grosso bastione di roccia color ruggine, levigata e modellata dall’acqua. Il chiaroscuro intrigante conferisce alla roccia le sembianze del volto di una strega, figura, sempre presente nella leggenda della valle. Lungo la risalita, spesso in settembre, s’incrociano gruppi di fedeli che si recano in pellegrinaggio al Santuario del Pettoruto, con altrettanti pellegrini che muovono per venerare S. Ciriaco protettore del paese di Buonvicino, situato dalla parte opposta della valle, a 12 km dal mar Tirreno. Una peculiarità di questo sentiero è di tenere il frequentatore sempre impegnato con una tipologia di tracciato che richiede buone doti d’equilibrio ed orientamento. Il risultato che ne consegue è quello prepostoci: trascorrere una giornata fuori del comune quotidiano.
30 aprile 2006: Piano Pedarreto – Piano Ermite - Monte Grasta - Piano Pedarreto di Mariella Anele
L’anello percorso oggi ha degnamente sostituito l’escursione prevista dal programma, non certamente per impegno fisico e la novità che il Monte Alburno ci riserverà prossimamente (21 maggio), ma sicuramente per la rinnovata consapevolezza della missione di conoscenza e tutela del paesaggio propria del CAI. La tranquilla escursione inizia con il consueto ritrovo al piazzale bus delle FdC alle 8.00 di mattina, ma siamo veramente pochi, il cambio di programma ha ingannato anche i più tenaci frequentatori. Si parte, non si può rinunciare a dare il benvenuto a un nuovo socio di cui ancora non conosciamo il nome: Giuseppe. Il filo di Arianna che ha segnato la giornata di oggi comincia con l’incontro casuale al bar con i responsabili del Riccio (associazione ambientalista), un breve scambio di vedute sul problema del governo del nostro Parco Nazionale e il rinnovato impegno comune nel percorrere insieme un cammino di tutela e valorizzazione del nostro territorio. Si, perché è questo il filo conduttore della giornata. Partiamo dal Rifugio Fasanelli di Rotonda, la tranquilla camminata nel bosco ci conduce sul Monte Grasta, uno sguardo alla Valle del Mercure, che la nebbia fa intravedere senza nascondere la tanto contestata Centrale Elettrica ed il dubbio della necessità di tanta potenza ci invade. E’ presto quando siamo lassù, si rinvia anche il pranzo che questa volta, al contrario del solito, è molto frugale e veloce. Nel riprendere il cammino del ritorno i tentennamenti del mattino sono confermati dalla pioggia che ci accompagnerà fino all’una, quando consumeremo il veloce spuntino davanti al rifugio Fasanella, recentemente ristrutturato con i lavori in corso, ma già oggetto di atti vandalici. Con un po’ di amarezza, ma con la speranza che la struttura venga presto consegnata ad un gestore professionale e volenteroso che ha a cuore le sorti del nostro Parco, ci avviamo verso casa, ma pervasi dal nostro spirito sociale ci rechiamo a visitare il Rifugio De Gaspari, chiuso da pochi mesi. Qui i nostri occhi non vogliono credere a ciò che hanno di fronte! Non è possibile che chiuso da così tanto poco tempo sia già abbandonato e distrutto: porte scardinate ed acqua che -versandosi copiosamente dai balconi- continuativamente fuoriesce dall’idrante anti-incendio funzionante come se dovesse spegnerne uno lungo forse mesi e che ha, purtroppo, distrutto tutto quanto c’era da distruggere. Un giro intorno al rifugio alla ricerca dell’interruttore centrale dell’acqua che non si trova; allora si trascina fuori la pompa dell’idrante che continua a far scorrere acqua, una telefonata a chi può ed ha l’autorità ad intervenire, ma lo sdegno è grande di fronte all’ennesima azione di degrado e non curanza delle nostre risorse, tanto necessarie quanto indispensabili per il nostro sviluppo economico. Per l’ennesima volta, a causa della mancata prevenzione e dell’incuria, anziché conservare ed utilizzare si dovrà riprogettare, ristrutturare e ridare in gestione con enorme dilatazione dei tempi e spendendo tanto denaro pubblico. Ma la cosa più grave sarà la dimostrazione palese –agli occhi delle centinaia di scolaresche che affollano in questo periodo il Parco e le migliaia di turisti che verranno in estate- della mancanza di una seria ed efficace opera di controllo, prevenzione, valutazione e programmazione che porta danni economici irreparabili e allontana irrimediabilmente i frequentatori del Parco. Si riprende la strada del ritorno e, per rinsaldare la nostra speranza e capacità di invertire la rotta di un percorso così desolante, ci avviamo verso contrada Campolongo di Mormanno dove ha sede il rifugio che presto la nostra Associazione ristrutturerà e gestirà con in mente solo propositi di azioni concrete per far crescere, fra la gente, la consapevolezza e la conoscenza del valore del paesaggio, che nessuna legge, divieto o sanzioni potranno garantire e tutelare fino a quando non faranno parte del patrimonio di ciascuno di noi.
23 aprile 2006: Castrovillari - Madonna del Riposo - Monte Sant’Angelo di Mimmo Filomia
Numerosi sono stati i partecipanti che hanno risposto con entusiasmo all’escursione turistico- culturale organizzata dal CAI di Castrovillari in collaborazione con la Pro-loco del Pollino. Scopo della passeggiata è un ritorno alle antiche e sane tradizioni che si svolgevano intorno alla Madonna del Riposo, sul monte Sant’Angelo. L’appuntamento è in piazza Giovanni XXIII alias U Tunnu o se volete alla Ciampa i cavaddu . Prima della partenza, una gara improvvisata per la realizzazione della miglior foto di gruppo. Agli escursionisti/fedeli -che raggiungono rione Sant’Angelo attraversando via Sibari- si uniscono tanti amici partecipi della interessante iniziativa. Impegnati in un percorso sostenibile e panoramico, i ragazzi sono i primi a socializzare, seguono a ruota gli adulti. Entrambi si liberano di ogni pregiudizio personale manifestando la gioia di vivere immersi nella natura. Cristina, una simpatica ragazza, che alla partenza, seduta sul muretto della piazza avrebbe preferito rimanere a casa, al rientro, ha esternato la soddisfazione di aver trascorso una giornata semplice ma straordinaria. Il Monte Sant’Angelo è per le generazioni giovanili del comprensorio, il banco di prova della prima gita in montagna. Ha tenuto a battesimo -negli anni- tutti coloro che hanno avvertito il bisogno di saggiare le proprie attitudini nei confronti della natura da cui mirabilmente siamo circondati. La sua forma conica, docilmente accessibile, la sua vicinanza e quell’ obelisco bianco a metà costa incuriosisce i ragazzi. Per la sua peculiarità paesaggistica, morfologica, religiosa e la sua centralità, questo monte (alto appena 794 m), rappresenta un faro alla vista del quale -rientrando a casa- ci si rassicura. Un monte magico! Per gli scolari di un tempo -accompagnati fin quassù per la gita scolastica- una immagine ricorrente da riprodurre e colorare nei suoi contorni inequivocabili sull’album di disegno. Poi da grandi? Solo promesse di rivisitazione. Intanto la montagna è lì, può aspettare. Le nuove generazioni si confrontano direttamente con realtà lontane! Per altri subentra -per pigrizia- l’assuefazione alle montagne. Eppure madre natura ad ognuno di noi ha assegnato un pezzo di montagna con l’intento di tutelarlo con la nostra frequentazione nel rispetto delle generazioni future. Si narra -attraverso scritti autorevoli- che fino a mezzo secolo fa i nostri nonni per consuetudine trascorrevano “u marte i Pasca” nei pressi “da Madonna du Repusu”. Si saliva fin quassù da pellegrini per venerare l’effige della Madonna, custodita con devozione, gelosamente, nella cappella da un cittadino Castrovillarese. Per la circostanza è doveroso ricordare la figura del noto banditore comunale: Necola u ietta bannu. Questi, nonostante curvo sotto il peso degli anni, in ascesa solitaria, si recava quassù a portare decoro. Ora la cappella situata a 665 m, è spoglia di sacralità. La leggenda popolare attribuisce alla chiesa della Madonna del Riposo la dimora di una delle sette sorelle venerate dai fedeli pellegrini di un’area che va da Cerchiara di Calabria a S. Sosti. Oggi –purtroppo- rimane aperta ai quattro venti e all’interno fanno bella mostra di sé fraseggi di pessimo gusto dipindi sulle pareti sempre più degradate. Registriamo attorno al rudere un nutrito gruppo di fedeli legati alle manifestazioni tradizionali ed alle proprie origini. Amare le tradizioni significa viaggiare a ritroso nel tempo per scoprire come eravamo. Oggi, più che mai, c’e bisogno di intraprendere questo viaggio perché le nuove generazioni si allontanano dal proprio territorio. Alla promozione di queste iniziative sarebbe utile che tutte le associazioni culturali partecipassero in comunione per sollecitare le autorità preposte alla protezione di strutture e costumi locali. Il CAI di Castrovillari, consapevole dell’importanza e della frequentazione del luogo, ha recuperato il tradizionale sentiero provvedendo alla sua pulizia e apponendovi la segnaletica ufficiale del CAI (le bandierine rettangolari bianco-rosse). Tutto ciò perchè siamo convinti che chi cammina sul sentiero rispetta quanto sta fuori del tracciato, garantendo l’equilibrio ed il monitoraggio dell’ambiente. Durante la giornata, soleggiata e fresca, si sono visti bambini euforici tenuti a bada da altrettanti entusiasti genitori mentre nei meno giovani questi luoghi hanno sollecitato la memoria, facendo rivivere in loro gli anni della spensieratezza. Intanto, un lungo serpentone variopinto ha portato una ventata d’aria nuova per questi pendii che non meritano di essere lasciati solitari. Auguriamoci che questo eremo continui ad essere frequentato per maggiori momenti d’aggregazione, come nel passato, dalle comunità vivaci di Saracena, San Basile e Morano. Una breve riflessione spirituale in Cappella, ci ha consentito di riprendere fiato, per poi scalare la cima di Monte Sant’Angelo. Anche l’occhio vuole la sua parte! Il breve e facile sentiero che collega la cappella alla cima, in mezz’ora, ci ritrova tutti in fila ordinatamente. La buona compagnia per molti è stato il motivo trainante per socializzare e giungere alla meta. L’arrivo in vetta ci ha gratificato di un bel panorama a 360 gradi dove spiccano la vetta di Serra Dolcedorme e Monte Caramolo e poi giù su valli e paesi fino al mare Jonio. A questo punto -per non smentire la tradizione e tenere fede al programma- non abbiamo resistito al piacere di gustare all’aria aperta i nostri prodotti tipici locali. Lo abbiamo fatto partecipando ad una mensa comune imbandita sul prato, mettendo a confronto e valutando positivamente l’arte culinaria di varie scuole. All’unanimità è stato riscontrato che -pur nella frugalità- i nostri cibi sono essenziali. Sono saporiti, ricchi d’energia, sapientemente cucinati nonostante si tratti di alimenti poveri. Ad un ricco menù di affettati, di fritture e formaggi, fanno eco, dolci ricoperti da varie marmellate, paste secche e ciotaredde accompagnati mirabilmente da vino rosso delle vigne! Tutto rigorosamente di produzione indigena. Dopo ciò è stata dura alzarsi per la rituale foto ricordo che ha sancito la conclusione della escursione fuori porta con vista panoramica su Castrovillari, Morano, S.Basile, Frascineto e Saracena. Un caloroso ringraziamento agli organizzatori, M. Filomia - F. Martino - F. Sallorenzo – C. Zicari – V. Fossiano per avere pianificato la manifestazione. Arrivederci al prossimo anno.
9 aprile 2006: Pantanelli – Serra Aulici – Pianoro dei Sette Frati di Luigi Perrone
Per la maggior parte di noi, residenti nella parte centrale del Massiccio del Pollino, la tappa di avvicinamento al punto di partenza è abbastanza lunga. L’escursione in programma, infatti, parte da Grisolia, uno dei piccoli paesi arroccati all’interno del Parco Nazionale del Pollino, compreso nel Massiccio dei Monti dell’Orsomarso e più precisamente del Cozzo Pellegrino. Da Campotenese, dopo circa 2 ore, si giunge fin sulla costa tirrenica e toccando il paese di Orsomarso, costeggiando il fiume Argentino che confluisce nel Lao -copiosissimo in questa stagione- attraversiamo Marcellina, Santa Maria del Cedro, per poi risalire a Grisolia. Dal paese -in pochi km- raggiungiamo la località Pantanellli. Ci troviamo nel punto di incontro di molte valli, strette ed incassate, da dove discendono fiumi e torrenti: la valle del torrente Serravecchia, quella del torrente Chiurera, il vallone dello Sfrasso, che si congiunge con il Varco del Palombaro e da cui scende il Torrente Vaccuta che finisce in mare. Questa località, notevole fonte di rifornimento idrico per i paesi a valle, presenta vecchi pilastri in cemento, resti di una stazione della teleferica dove enormi quantità di legname, soprattutto di faggio, venivano lavorate attraverso una attività boschiva che nei primi anni del ‘900 era presente in tutta la zona. Siamo in 11, tra cui alcuni nuovi soci, e siamo pronti ad affrontare i quasi 1000 metri di dislivello che ci separano dalla meta. Il primo tratto e costituito da un bosco di leccio i cui rami -caduti a causa delle intemperie- ostacolano il passaggio sul sentiero che ripercorre una vecchia mulattiera . Giunti su Serra Aulici -un piccolo spiazzo su una cresta rocciosa- possiamo vedere le cime delle montagne che conosciamo (la Mula, il Montalto, le pareti spioventi delle gole del torrente Serravecchia) ma osservate da tutt’altra angolazione . Da tutto ciò il nostro socio -membro del soccorso alpino- rimane affascinato. Lasciamo lo spiazzo e proseguiamo fino ad intersecare una strada sterrata che, probabilmente, sale da Varco del Palombaro e costeggia tutto il Montalto . Ne percorriamo un tratto, ma siamo disturbati da alcuni fuoristrada che in un pianoro sottostante fanno a gara per fare più danni possibili. Lasciata la sterrata imbocchiamo un sentiero abbastanza largo che ci porta, aggirando la parete sud-est del Montalto al pianoro dei Sette Frati, al di sotto della Mula. Qui, a 1600 m, con nostra grande sorpresa, troviamo la neve. La marcia si rallenta e la fatica aumenta nonostante l’incoraggiamento del sottoscritto e di Massimo. Ad un certo punto quando il sentiero si apre, ci appare in tutta la sua maestosità e bellezza la Montea, la Montagna, con i suoi canaloni disegnati dalla neve, una visione superba con tutta la valle del fiume Rosa fino ad intravedere la Pietra Pertusata e la Tavola dei Briganti. La giornata è bellissima, tersa, baciati in viso dal sole non riusciamo a distaccarci da questa meravigliosa visione . E allora -considerato l’orario e calcolando i tempi di ritorno- decidiamo di sostare e consumare la colazione al sacco. Grazie al silenzio che ci circonda, qualcuno è preso anche da un profondo torpore! Il pianoro dei Sette Frati si intravede, ma preferiamo restare al cospetto di cotanta bellezza che ci riempie gli occhi ed il cuore. L’importante è condividere bei momenti con altre persone, e raggiungere altri tipi di meta, anche interiori, in questi meravigliosi posti che la natura ci ha regalato e che spetta a noi tutti conservare per le generazioni future. Al ritorno ci fermiamo all’inizio del paese, nei pressi di una fonte, punto panoramico di eccellenza, dove riusciamo a scorgere tutte insieme la Montea, il Montalto, il Pellegrino, la Mula, il Trincello con l’abitato di Verbicaro . Chiudiamo questa magnifica ed ennesima giornata assaporando -vicino al mare- un bel gelato al caldo di un bellissimo sole primaverile.
19 febbraio 2006: Frascineto - Serra Dolcedorme di Mimmo Filomia
Per questa escursione –1100 m di dislivello- telefonate, accordi verbali e promesse, non sono state insufficienti per vincere la pigrizia che lega gli uomini alle abitudini quotidiane. Intanto, considerata la vocazione estremamente conservatrice ed ambientalista del Parco e constatato che lo stesso chiude le sue vie d’accesso per le ferie invernali -da quando cadono i primi fiocchi di neve fino alla loro dissoluzione- non ci resta che trovare una via alternativa. Strada bloccata! No party? Scherzi a parte, continuando cosi, noi frequentatori della montagna, saremo costretti, nostro malgrado, a trascurare Colle Impiso come baricentro dei sentieri d’altura. In realtà, per chi proviene da Sud e vuole raggiungere i piani alti e le cime intorno al Pollino è già una esagerazione attraversare Piano Ruggio. Cosi oggi per effettuare la nostra escursione, decidiamo, con un pizzico di curiosità, di avvicinarci al sentiero penetrandovi attraverso la strada -scalfita nella montagna- sopra Frascineto. Attualmente è una rotabile sterrata, aperta sulla continuazione della strada che conduce alla Madonna di Lassù. Si sviluppa con più tornanti panoramici fin sopra il carnaio (luogo dove viene posto il cibo per le aquile). Speriamo che lo scopo della strada –estremamente invasiva-, una volta integrata con l’ambiente attraverso infrastrutture naturalistiche, possa avvicinare la gente ai sentieri di montagna per meglio tutelarla. L’ errore più grave è quello di farne una via d’attraversamento. Premesso ciò alle 8, zaino in spalla, da quota 1150 m ci avviamo in direzione della cresta dell’infinito per evitare un vallone scosceso e guadagnare la via della transumanza d’alta quota . La incrociamo sotto il Colle della Scala: è una pista ampia, battuta dal calpestio degli animali ed attraversa le pendici di Passo del Principe, prosegue per quelle del monte Manfriana, fino a Piano Pallone. In questo tratturo il cammino è agevolato dal terreno soffice, ideale per una salut???? ????º?are passeggiata mattutina. Rappresenta un naturale belvedere sulla sottostante urbanizzata vallata, che si apre a ventaglio, dalla foce del Coscile alla piana di Cammarata e Sibari, fino al mar Jonio. Guadagniamo l’altura di Piano Pallone (1541m) con la temperatura che non ci preoccupa, solo una piccola contrarietà per il pensiero di non riuscire nella scalata alla vetta per la nebbia minacciosa che l’avvolge. Da questo luogo d’osservazione la proiezione del sentiero in direzione del Dolcedorme incute rispetto. Il dislivello di 726 m -che ci separa dalla cima- si articola su un percorso innevato che attraversa il bosco e le rocce prima di arrivare a Passo del Vascello (1951m). Intanto una mandria di cavalli –incuriosita- solleva la testa dalla pastura, poi, al piccolo trotto, agitando le criniere, cede il passo cambiando pascolo . Il manto nevoso sempre più alto ci costringe a calzare le racchette da neve. Sotto i pendii rocciosi della Manfriana il bosco, particolarmente fitto, ci costringe a deviare il percorso per superare alcuni grossi faggi abbattuti dalle bufere. Ci troviamo nelle vicinanze di una vecchia tana di lupi. Il tempo di dubitare dell’esistenza della dimora, quando ecco, due loro tracce confermano che qui sono di casa e sono appena rientrati da una sortita famelica . Proseguiamo sulle loro orme fino a Passo del Vascello. Qui le strade si dividono, noi andiamo verso l’alto a sinistra, mentre le tracce dei due lupi vanno per la Fagosa. Salendo di quota la coltre nevosa si fa più consistente, le creste sono tutte incorniciate e racchiudono paesaggi da favola (Foto 8 e 9). Accovacciati in una piccola dolina -creata dalla neve accumulata dal vento- al riparo, facciamo la nostra mezz’ora ristoratrice. Nel silenzio, portate sulle ali del vento ci raggiungono fievoli, i messaggi musicali carnascialeschi di Castrovillari. Sotto di noi, il Pino di Michele, spadroneggia affogato nella neve come un mestolo nella polenta. A questo punto la meta è vicina . Ci separano solo 180 m di dislivello. Le ultime creste prima del dolce eremo ci sovrastano colme di neve. La decisione audace di proseguire matura con qualche attimo di esitazione, ma ponderata. Per sicurezza calziamo i ramponi; ma il più lesto di noi già è divenuto un puntino in alto. La giornata non è di quelle più belle, le lunghe folate di nebbia -che repentine salgono dai dirupi di Celsa Bianca- ci avvolgono lungo la cresta per poi dissolversi nella vallata opposta. Allora non ci resta che rincorrere la volpe! La salita è più facile del previsto grazie al fondo morbido sotto gli scarponi. Giungiamo in cima alle 14.30 . Il solo vegetale, a non essere coperto da circa un metro e mezzo di neve è il bastoncino di vetta che, imprigionato nelle pietre votive sottostanti, fuoriesce appena. La nota interessante è la conformazione superficiale a scaglie del manto nevoso intorno alle ultime curve di livello. Il naturale gioco, vento-gelo, a cui la neve è sottoposta ha contribuito a creare un immenso parquet Loricato. E’ già! L’associazione di idee scaturisce dal fatto che le scaglie conformate in risalto sulla neve sono simili a quelle della corteccia del Pino Loricato. Una foto di gruppo con l’autoscatto suggella la presenza in cima . Al ritorno siamo stati più lesti, ma ancora in debito con la luce solare. Il campanaccio di una mucca, ancora al pascolo sul costone, ci ammonisce del ritardo. L’animale continuerà a pascolare più per inerzia che per fame. Agitando inconsciamente il campanaccio richiamerà il suo gruppo a raccolta. Un bel tramonto e la visuale notturna di Castrovillari e dintorni, sono la ciliegina sulla torta, di questa bella giornata alpina.
5 febbraio 2006: Fontana Cornia – Montea di Massimo Gallo
Il gruppo, oggi ridotto a causa delle avverse condizioni meteo, si muove verso la Montea, nella zona meridionale del Parco, dove la natura si esibisce mostrando il meglio di sé: gole profonde, canaloni ripidissimi, cime aguzze, creste affilate, tutte caratteristiche che rendono questo pezzo di Calabria estremamente selvaggio ed impervio. Oggi è previsto l’utilizzo di ramponi e piccozza, uscita alpinistica; la Montea si presta perfettamente allo scopo, il solo problema però è rappresentato dalla poca neve, questo inverno non è stato generoso come quello che l’ha preceduto. Arriviamo alla fontana di Cornia (1032 m), dove lasciamo le auto, e di materia bianca, neanche l’ombra. Decidiamo di salire dal versante sud/ovest, attraverso un inedito e ripidissimo costone che in alto si congiunge al lungo crestone principale della montagna. Partiamo con condizioni atmosferiche che non lasciano presagire nulla di buono, una fitta nebbia avvolge tutta la montagna, e non riusciamo a vedere nemmeno a che quota troveremo la neve. Dopo aver percorso un tratto del sentiero che da Cornia và verso Renazzo, intraprendiamo la salita verso la vetta della “montagna di Hera”, consci del fatto che essa non si concede mai facilmente, sia per le sue caratteristiche morfologiche, sia per il meteo, poiché essendo molto vicina al mare, è soggetta a bruschi e violenti cambiamenti del tempo. Intanto procediamo sullo sconosciuto contrafforte, il quale và ad irripidirsi sempre più, divenendo aereo e spettacolare e dove incontriamo i primi pini loricati. Qui ci troviamo a dover superare due brevi tratti difficili, nel secondo dei quali ci avvaliamo di una corda per procedere… la sicurezza prima di tutto! Usciti dalle difficoltà, verso quota 1300, purtroppo, come era d’altronde nelle previsioni, il tempo peggiora e ci troviamo in un pesante nebbione scuro e in una fitta nevicata, non ci resta che scendere per il classico sentiero, abbassandoci velocemente di quota, con la nevicata che -trasformatasi in pioggia- ci accompagna fin giù. La Montea -oggi- ha voluto nascondersi, non ci ha accettati, forse Hera -la regina dell’Olimpo- in una delle sue scenate di gelosia al marito Zeus… non voleva nessuno lassù.
22 gennaio 2006: Falconara - Serra delle Ciavole di Fabrizio Cian
Sono le sette del mattino quando ci ritroviamo tutti all’autostazione di Castrovillari, il sole timidamente sta sorgendo. In breve decidiamo come organizzarci per arrivare -via Colle Marcione- alla Falconara, luogo di partenza per la Grande Porta del Pollino. Dopo qualche minuto di macchina e un po’ di sballottamento per la strada sconnessa a causa del fango e del ghiaccio, scendiamo dalle auto. Davanti a noi si erge la cresta sud di Serra delle Ciavole, e alle nostre spalle la Timpa di San Lorenzo e la Falconara che ci nasconde qualche nuvola. Solo un primo tratto -grazie alla poca neve- è percorso senza racchette . Il nostro cammino continua osservando la parete Sud di Serra delle Ciavole che si avvicina, offrendoci la vista di qualche pino loricato innevato. Camminando nella faggeta innevata e oltrepassata Masseria Rovitti usciamo nello spiazzo di Casino Toscano, l’ormai vetusto e diroccato casolare lambito da uno dei tanti ruscelli che confluiscono nel Raganello, il torrente amato dai torrentisti e sogno di quasi tutti gli escursionisti. Da qui possiamo ammirare il valico della Grande Porta con Serretta della Porticella a sinistra e Serra Crispo sulla destra . Rientriamo nel bosco e, risalendo il vallone in leggera pendenza, passiamo nei pressi delle Tre Sentinelle (pini loricati) che sembrano salutarci; raggiungiamo il valico , i Piani del Pollino sono una grande distesa nevosa che sembra aver ammorbidito tutti gli avvallamenti e le collinette cancellando le distese dei ginepri sferici che li ricoprono in estate. Guadagniamo il Pino della Grande Porta, di cui solo la cima si rende visibile . In pochi -affascinati dallo spettacolo dei pini loricati completamente imbiancati - decidiamo di raggiungere il folto bosco di pini sulla cresta di Serra delle Ciavole . La salita non è semplice a causa del ghiaccio. Lo spettacolo ci gratifica di ogni fatica, tra giochi di ghiaccio, la panoramica totale sui piani e le vette del circolo del Pollino, le macchine fotografiche scattano ripetutamente, forse per portare a chi è rimasto a casa, le immagini di uno spettacolo unico . A malincuore lasciamo la cresta per raggiungere il gruppo che nell’attesa si è rifocillato. Non rimane che consumare celermente la colazione mentre il cielo da azzurro è divenuto grigio e la nebbia ci avvolge, regalandoci però scenari quasi fiabeschi. Restano poche ore di luce e la discesa è più veloce, qualcuno per affrettarsi ancor di più utilizza una nuova specialità sportiva invernale: il fondo.schiena. Al ritorno la valle del Raganello ci regala un’ultima immagine, il buio è vicino e i nuvoloni della mattina si sono addensati, nei nostri cuori ringraziamo di aver trascorso una giornata all’insegna della candida neve e del limpido cielo azzurro.
8 gennaio 2006: Vallone del Colloreto – Pollinello Marco Ercoli
Quando si dice - il lupo perde il pelo ma non il vizio - ecco qui il branco pronto ad ascoltare e a rispondere al richiamo della foresta! Al punto di ritrovo le menti deconcentrate dalla sveglia di buon mattino e soprattutto i corpi infreddoliti da una tipica giornata di inizio anno che promette grande soddisfazione ma -vista la meta- anche un grande impegno fisico e mentale. Quella di oggi è la “prima invernale” del 2006. Una decina i valorosi appassionati di questi climi. Claudio, Franco, Eugenio, Marco, Massimo, Mimmo F., Mimmo P., Salvatore e Vincenzo. Partenza dall’autostazione alle 7,40 per Morano Calabro e poi su verso il vallone di Colloreto nei pressi di un sottopasso autostradale, dove, a circa 825 metri di quota, lasciamo le auto. Il sentiero si sviluppa alla destra orografica del vallone per la Scala di Morano , antico sentiero utilizzato sia da pastori per la transumanza sia da pellegrini che -con un lungo ma affascinante tragitto, spesse volte a dorso di mulo- attraverso il colle di Gaudolino, la sorgente di Spezzavummola e i piani di Vacquarro raggiungevano l’importante Santuario della Madonna del Pollino. L’impegnativa meta della giornata è a quota 2000 m, per giungere all’albero che per dimensioni e posizione è tra i più simbolici del Parco del Pollino, il Patriarca, un millenario esemplare di pino loricato (pinus leucodermis) di circa due metri di diametro, abbarbicato su di un costone impervio e roccioso al di sopra della vetta del Pollinello lungo la dorsale che collega quest’ultimo al monte Pollino. È doveroso ricordare che nel corso di un attenta campagna di ricerca e di approfonditi studi dendrocronologici effettuati nel 1988 su tutto il territorio nazionale e promossi nei primi anni ’70 da Franco Tassi insieme a soci dell’allora giovane WWF, vennero censiti ben 14 esemplari di pino loricato-su Serra delle Ciavole- di cui uno contava già allora ben 920 primavere! Divisi in gruppi poco distanti tra loro iniziamo lentamente a camminare -in direzione del Colle di Gaudolino- apprezzando lo stupendo scenario naturale nel quale siamo immersi e per ben due volte, avvistiamo, a breve distanza, due tipici scoiattoli neri dalla pettina bianca, che si arrampicano su esili pini neri, forse incuriositi dalla nostra presenza. Arrivati al punto in cui il nostro sentiero incontra quello proveniente dal convento di Colloreto -sulla sinistra orografica della vallata a circa 1240 m- inizia a mostrarsi in tutta il suo fascino l’aspetto invernale dell’escursione. Sui massi che vengono lambiti dal nostro incedere si possono notare molte stalattiti di ghiaccio, alcune di esse -per la forma- sfidano la legge di gravità. Il mio compagno mi fa gentile prestito delle sue racchette da neve anni ’70 che mostrano un certo gusto “retrò” ma che risulteranno di grande aiuto per il prosieguo dell’escursione. In cambio faccio strada sulla neve -sempre più alta e farinosa- che provoca non poca fatica ma anche soddisfazione al pensiero di agevolare il cammino di chi segue. Arriviamo alle 11,10 all’abbeveratoio del Colle di Gaudolino a quota 1665 circa, dove effettuiamo una breve sosta, sapendo che ci aspetta ancora molto cammino per la meta prevista . L’atmosfera al piano di Gaudolino con tutto ciò che lo circonda, è veramente da fiaba! Si riparte ed entrando nel fitto del bosco -in direzione del Pollinello- ci troviamo a fare i conti con una enormità di neve soffice che ci costa in termini di stress psico-fisico. Inoltre -giunti sul versante sud verso Castrovillari e complice un leggero vento di scirocco- ci avvolge una nebbia molto fitta che ci fa più volte fermare e riflettere sul da farsi . Stoicamente e caparbiamente non molliamo e –lì dove il sentiero è poco visibile- le indicazioni di Salvatore ci consentono di proseguire sul giusto cammino, riuscendo con un ultimo "colpo di reni” ad uscire dal bosco e raggiungere -a quota 2025- il crinale del Pollinello dove possiamo osservare, poco sotto di noi, il fantastico Patriarca . Tutt’intorno il “Paradiso”, la nebbia aumenta o diminuisce nel giro di pochi minuti facendoci apparire e scomparire il magnifico spettacolo creato dalla galaverna che -con il suo freddo abbraccio- attanaglia i sovrastanti pini loricati della cresta a quota 2045 circa . Decidiamo di proseguire ad anello attraversando la spettacolare conca nevosa ai piedi del monte Pollino; solo la visione della nostra lunga scia e -qua e là- tracce di qualche animale, forse lepri, ci convince di essere sul nostra beneamata Terra . Scendiamo, con molto prudenza, verso il Colle Gaudolino, non prima di aver scattato innumerevoli foto affascinati dal meraviglioso panorama. In mezz’ora siamo di nuovo all’abbeveratoio, ci rifocilliamo mangiando qualcosa e bevendo anche un goccio di buon vino bianco casereccio e dell’ottimo “fragolino”. Rinfrancati nel corpo e nell’anima, iniziamo la discesa. L’ultimo tratto del sentiero -al sopraggiungere del buio- lo effettuiamo con l’ausilio delle lampade frontali. Alle 17 circa arriviamo alle auto, stanchi ma appagati da una giornata indimenticabile.