Raccontatrekking 2007
Anno 2007: Consuntivo delle attività sezionali di Mimmo Filomia (Commissione escursionismo)
Con l’ascesa alla
montagna della Calcinara, che sovrasta l’abitato di Morano Calabro,
si chiude simbolicamente l’anello di un sentiero che ci ha visti
protagonisti -durante l'anno- attraverso itinerari che si sono sviluppati
su buona parte del territorio dello stivale compreso la Sicilia. Infatti,
intercalati dalle escursioni locali, alcuni appuntamenti del programma
ci hanno consentito di visitare ambìti santuari dolomitici:
Marmolada, Monte Civetta, Tre Cime di Lavaredo, fino a Piazza Armerina
ed Agrigento per una rivisitazione di tracce di insediamenti romani
e greci e per poi inoltrarci in Aspromonte, area suggestiva ricca
di vie escursionistiche, già antropizzata dai greci minori
colonizzatori insediatisi sulle colline sovrastanti la fiumara Amendolea.
Dalle Dolomiti, invece, siamo tornati estasiati! Qui il Padreterno
sembra si sia divertito a creare, tutto intorno, picchi e guglie immense
ed altissime, concedendo poco spazio al cielo e costringendo il visitatore
a camminare con il naso all’insù. Ovunque abbiamo appreso
stili e modi di vita da emulare oppure evitare, affinché il
confronto con le realtà ambientali locali ci possa far crescere
in misura sostenibile. Un territorio, il nostro, competitivo, secondo
a nessuno! Vero è che gli alpinisti non in competizione non
cercano ampi spazi, ma dislivelli, per le loro quotidiane ascensioni.
Quello appena vissuto è stato un programma variegato, per tipologie
e contenuti. Si sono favorite le attività estreme: ghiacciai,
arrampicate, ferrate. I simpatizzanti delle discipline emergenti sono
stati premiati con le lezioni di sci da fondo e la progressione con
le racchette da neve. E’ stato dato ampio spazio all’educazione
ambientale per avvicinare i giovani alla montagna, mentre per lo stesso
motivo gli adulti hanno beneficiato di una gara-passeggiata in mountain
bike nel parco. Non sono mancate escursioni in ambienti rilassanti,
boschi e colline panoramiche, con l’intento di interagire con
le altre realtà associative ma senza tralasciare la possibilità
di arricchirci culturalmente con la visita a siti -testimonianza di
civiltà passate- che hanno fatto la storia: templi, scavi archeologici,
musei e castelli. La commissione escursionismo ringrazia tutti i soci
per il consueto contributo di idee e suggerimenti resi per la stesura
del programma attraverso la compilazione del questionario, ma soprattutto
ringrazia coloro i quali hanno messo a disposizione la loro esperienza
e disponibilità per la conduzione e la buona riuscita delle
escursioni. E’ importante ricordare che il contributo va inteso
come un momento di aggregazione, crescita costruttiva ed organizzativa
nell’interesse dell’associazionismo. Il consueto pranzo
sociale di fine anno ci ha visti riuniti per gli auguri e la presentazione
e consegna del programma attività 2008. Un carnet di 32 escursioni,
distribuite nell’intero arco dell’anno, che vuole essere
un invito ai soci e simpatizzanti a partecipare sempre più
numerosi, da protagonisti attivi, per la crescita del sodalizio.
Buona montagna a tutti!
9 dicembre 2007: Morano Calabro - Monti della Calcinara di Mimmo Filomia
L’audacia, la perseveranza
e il buon senso, questa domenica, sono stati nostri ottimi alleati
per eludere le turbolenze atmosferiche presenti sulla zona ed insistenti
per tutta la nottata precedente.
Siamo partiti, comunque, equipaggiati per la pioggia e ferrati in
previsione di eventi meteo negativi. Spronati da una mattinata fredda
e soleggiata, decidiamo che se escursione deve essere, meglio affrontarla
con ritmo sostenuto, riservandoci di far tesoro del proverbio che
recita: uomo avvisato mezzo salvato.
La partenza, alle 9.30 in prossimità del convento dei cappuccini
di Morano Calabro (foto
1), su un sentiero che alterna lunghi tratti di salita
a brevi tratti pianeggianti (foto
2). La posta in palio è una vista panoramica su
Morano nel contesto della splendida valle del Coscile sovrastata dalla
catena del Dolcedorme. A Sud - Ovest invece sarà visibile tutto
il perimetro meridionale del parco con i monti dell’Orsomarso.
La testimonianza di tronchi bruciati giacenti sul costone brullo denota
che anche qui le lingue di fuoco sono state protagoniste in negativo.
Il complesso montuoso della Calcinara prende il nome da alcune fornaci
a cielo aperto adibite, in passato, alla cottura di pietre calcaree
per la produzione di calce. La montagna è situata sulla linea
di demarcazione del parco, linea che per un capriccio non scende ad
incorporare tutta la valle del Coscile per unirsi, naturalmente, alla
punta meridionale del Monte Manfriana. L’esclusione dell’area
equivale ad una forzatura; un mal tolto alla vocazione naturale dell’intera
area come si evince da questa altura. La più alta quota di
livello è raggiungibile attraverso una serie di sentieri facilmente
percorribili e panoramici (foto
3). Le nostre guide ci consigliano quello più
soleggiato che risulta anche più lungo con vista aerea su Morano
le cui case da quassù sembrano, adagiate una sull’altra.
In realtà sono distaccate quel tanto necessario per l’accesso,
disposte a ventaglio intorno al poggio per ricevere tutta la luce
del sole. Il castello dalla cima le sovrasta tutte (foto
4). Il sentiero nei pressi di Pietra Civita (foto
5) svolta sulla destra, lasciando intravedere tra folate
di vento e corpi nuvolosi, M. Caramolo ed alcuni rilievi attorno al
M. Palanuda e Cozzo Pellegrino. Verso Est, onnipresente, il Sellaro
visibile anche da questo osservatorio, è in linea con Monte
Sant’Angelo oltre il quale si intravede Castrovillari. All’orizzonte
il mare Jonio si distingue dal cielo per qualche grado di tonalità
di azzurro in più (foto
6). Sui saliscendi della balconata di collegamento delle
cime dobbiamo fare i conti con un vento gelido che spinge nuvole minacciose
e dispettose. Noi le interpretiamo come un motivo in più per
ritornarvi in tempi migliori. La posizione di questa montagna torna
utile all’economia di tutta la vallata perché la protegge
dalle correnti tirreniche, l’approvvigiona di sorgenti, mentre
le terre alte favoriscono la pastorizia e la pratica boschiva. Finalmente
giungiamo in quota; vi restiamo per qualche attimo di soddisfazione
e riflessione personale. La foto di gruppo ci trova in posa spontaneamente.
E poi! Come si può negare un’istantanea, con questi sfondi
meravigliosi, c‘è solo l’imbarazzo della scelta
più suggestiva. Per il ritorno, allertati dalla minaccia di pioggia,
abbiamo usato il rito abbreviato che ci ha visti divertirci come specialisti
di slalom fra arbusti e sassi. Oggi, i nostri cari monti, innevati
quel tanto che basti per mostrarsi alteri, ce li portiamo a casa ripresi
da una nuova prospettiva.
Ci lasciamo dandoci appuntamento per il pranzo sociale e per i consueti
auguri di fine anno.
P.S.: Le ultime foto, infatti, sono dedicate alla splendida giornata trascorsa tra il borgo abbandonato di Laino Castello (foto 8) e il ristorante “Chiar di Luna” di Laino Borgo (foto 9).
Buona montagna a tutti e Auguri di Buon Anno 2008!
24/25 novembre 2007: Parco Nazionale d’Aspromonte - Area grecanica di M. Filomia
Soci
del CAI e amici del GAP di Castrovillari - nell’ultimo
fine settimana di novembre - si sono ritrovati a Bova (RC) per una
escursione formativa che conduce da questa località a 870 s.l.m.
a Roghudi vecchio, 527m. Nella serata precedente ci siamo concessi
una visita ai ruderi del castello normanno per una panoramica notturna
su Bova e sulla costiera Jonica. L’altimetria del sentiero dell’
indomani, un saliscendi prolungato attraverso alcuni calanchi degradanti
sulla fiumara Amendolea, ci impegnerà in una progressione lunga
ma non stressante. In realtà i tratturi in discesa si alterneranno
con quelli in salita come per venire in aiuto al viandante; tipica
conformazione questa dei sentieri del tempo in cui gli stessi erano
anche vie di comunicazione fra le comunità rurali (foto
1). L’obiettivo dell’escursione è
la rivisitazione di luoghi suggestivi abitati nei secoli da una minoranza
etnica Greco - Bizantina. Nel percorrere il sentiero andremo indietro
nel tempo dove le attività quotidiane erano subordinate al
susseguirsi dei ritmi lenti delle stagioni. Abbiamo azzerato i potenziometri
che regolano le nostre attività frenetiche, per rivivere un
giorno nei luoghi dove ancora la vita procede adagio, in un’atmosfera
di quiete e ospitalità.
Una prerogativa di questa gente ellenofona è la spiccata dedizione
al canto ed al ballo attraverso i suoni di una musica popolare coinvolgente
e aggregante con antichi strumenti come tamburelli, pifferi, organetti,
zampogne. Abbiamo deciso, nell’immaginario collettivo, di far
visita a quello che resta della collettività di Roghudi vecchio,
che dal 1971 non alberga più fra le sue mura perché,
suo malgrado, costretta ad evacuare dalla furia delle acque della
fiumara. Le nostre guide Angelo & Angelo, di nome e di fatto,
ci avviano sin dal mattino sul tratto del sentiero che da Vùa
(Bova, in grecanico) conduce a Lestizi (668m). Il percorso agevole
consente una sbirciatina verso sua maestà l’Etna mentre
sulla costa calabra si nota nelle stessa direzione la sagoma di Pentedattilo
(foto 2). Oggi
il vulcano mostra la sua vitalità innalzando al cielo il suo
pennacchio purtroppo offuscato dallo scirocco, per noi passeggiare
al suo cospetto ci riempie di orgoglio. Siamo certi che le popolazioni
del luogo -inconsciamente- gli rivolgano già al mattino un
primo sguardo per il prosieguo rassicurante della giornata. Lungo
il percorso si nota l’abbandono della mano operosa dell’uomo
che da questi calanchi e coste, instabili per frane e terremoti, consolidati
mediante terrazzamenti, ha saputo trarre sostentamento con la pastorizia
e l’agricoltura . Attività fine a se stesse, con scambio
in merci, mai commercializzate con moneta, per l’isolamento
di questa area in cui i grecanici per secoli hanno vissuto, custodi
del loro idioma, parlato, più che scritto. La testimonianza
che questo territorio è stato un tempo fertile tanto da bastare
per le esigenze primarie, si capisce in località Spartusa (671m)
per una serie di casolari diroccati nelle vicinanze di incolti uliveti
e castagneti. La presenza di alcune piante di gelso -coltivate per
le foglie- fa pensare che un tempo veniva anche lavorata la seta.
Proseguendo, il sentiero ci conduce nei pressi di uno stazzo, nel
cui recinto le capre, una risorsa del luogo, nervosamente sostano
per via del riposo concesso al pastore (foto
3). Il cespuglio verde di un’invadente euforbia,
a forma semicircolare, ci accompagna per quasi tutto il percorso,
alternandosi alle gradazioni degli altri colori autunnali della macchia
(foto 4). In alcuni
tratti esposti il sentiero diventa un manufatto organizzato in pietra
a secco per renderlo più sicuro al passaggio di animali da
soma impiegati per raggiungere i campi o gli altri borghi. Buona parte
di una giornata veniva sottratta al lavoro per il viaggio. La fiumara
Ammendulia, che è ben visibile dal sentiero aereo presso Noi’
(516m) (foto 5),
nasce dal Monte Montalto e ha consentito per secoli spostamenti a
dorso di muli, oggi si notano persino i segni dei fuoristrada lungo
il suo greto. Alcuni tornanti ancora in salita ci allargano la visuale
su un panorama più ampio. Adesso si scorge meglio la fiumara
che, libera dalla morsa dell’ Aspromonte meridionale, disegna
un ampio giro proprio sotto l’abitato di Roghudi vecchio. Lo
stesso si adagia in simbiosi con il crestone di roccia che scende
ad immergersi nella fiumara (foto
6) e le sue mura -fatte con la pietra del luogo- lo mimetizzano
con l’ambiente riducendone l’impatto. Si fa fatica a riconoscere
i motivi della sua dislocazione senza un’apparente limitrofa
fonte di lavoro o attività turistica. Si può giustificare
la sua posizione -incuneata al centro dell’area- per sopperire
alla mancanza di strade di comunicazione per cui risultò comodo
presenziare l’ambiente agricolo, boschivo, pastorale. Anche
per noi moderni viandanti, sulle orme dei greci, i cui spostamenti
prendevano molte ore di un giornata di lavoro, è prevista la
sosta ristoratrice. Un’idea inseguita e proposta da tutti, tant’è
che è bastato -su un belvedere d’eccezione- una tovaglia
adagiata sull’erba, esposta al sole, colorata da cibi semplici
e genuini portati a dorso di schiena
(foto 7), per riunire il gruppo (foto
8). Da quassù il tratto contorto dell’Amendolea
ci appare come un fiume di sassi bianchi e levigati attratto dalla
marina e a cui si accompagna uno povero ma scrosciante nastro d’argento
d’acqua. La foschia, presente per lo scirocco, ci lascia intravedere
la torre di Amendolea e di fronte, al di là della fiumara,
i paesi di Gallicianò e Roccaforte del Greco, poi, Roghudi
vecchio, Chorio di Roghudi ed il monte Cavallo. Anche in questa area
le comunità Greco - Bizantine hanno edificato guardando la
Madre Patria ad oriente sul mare. Riprendiamo la marcia, puntando
decisamente verso valle nella Fiumara, per poi entrare nel paese di
Roghudi attraverso una interminabile scalinata (foto
9). Ai lati degli stretti vicoli, gli usci delle case
dai quali nessuno ad accoglierci con un saluto, ma solo porte, finestre
spalancate e tetti scoperti per sempre, liberando l’aria che
non sarà più costretta a conservare e condividere l’intimità
famigliare. Le case rustiche sovrapposte rappresentano ora un sicuro
ricovero per gli armenti; ambienti scavati nella roccia sottintendono
la presenza di animali da cortile. Il paese, già invaso dal
muschio, presto sarà preda della vegetazione, quindi dell’oblio.
Attraversandolo si ha l’impressione che sia cessato il giorno
in cui il mattone forato ha cercato di sostituirsi alla pietra. Pochi
attimi di luce ancora per vedere, poco lontano, la Rocca del Drago
e le Caldaie del Latte caratteristiche conformazioni rocciose circondate
da una leggenda. Vi si narra di un drago mangiatore di bimbi, le madri
-preoccupate- scendono a patti con il drago promettendogli ogni giorno
caldaie di latte in cambio della vita dei loro figli! La leggenda
allude all’indole mite dei Grecanici che li vuole più
commercianti che combattenti (foto
10).
Se è vero che anche il turismo si sta orientando verso uno
sviluppo sostenibile, gli amici di Pucambù (dove andate!, in
grecanico) -cooperativa San Leo di Bova- hanno centrato la causa.
Saranno protagonisti in un area bistrattata economicamente e socialmente
negli ultimi decenni. Si prenderanno la rivincita su altre realtà
turistiche sature e contaminate, grazie ai suoi antenati che nel colonizzare
questi luoghi, lo hanno fatto in modo eco sostenibile.
11 novembre 2007: Rifugio CAI “ Biagio Longo” - Monte Palanuda di E. Iannelli
Una giornata uggiosa ha
accompagnato la folta truppa di escursionisti che -incuranti della
nebbia- ha raggiunto la cima del Palanuda. In altro contesto meteo
il raggiungimento della vetta avrebbe consentito la visuale di grandi
orizzonti ma -nelle condizioni presenti- gli escursionisti hanno potuto
apprezzare la montagna nel suo aspetto pienamente autunnale, il che
riveste comunque un particolare fascino.
I colori e gli odori intensi del bosco, il morbido letto di foglie
che ricopre il sentiero, i muschi intrisi di umidità che ricoprono
alberi e rocce (foto 1),
qualche sparuto gruppo di loricati che fa capolino tra la nebbia e
un gruppo affiatato che percorre in silenzio il sentiero gustandosi
il tutto (foto 2).
La comitiva è numerosa, piacevolmente arricchita dalla presenza
dei soci dell’Associazione “Amici della Montagna”
di Bisignano, da amici escursionisti provenienti da Diamante e Roggiano,
particolarmente folta la rappresentanza femminile.
Dopo aver lasciato le auto ci incamminiamo attraverso la carrareccia
che ci conduce al Rifugio “Conte Orlando”. Centenaria
struttura -di proprietà del Circolo Cacciatori di Mormanno
(foto 3) -
ha rappresentato per tanto tempo un ottimo punto di riferimento per
la frequentazione della montagna. Recentemente ristrutturato -ma non
dotato delle infrastrutture necessarie- purtroppo oggi non è
utilizzato e frequentato per sfruttare tutte le potenzialità
che offre l’intero territorio.
Dal Rifugio parte il sentiero n. 636 -segnato dalla nostra sezione-
che ci conduce dapprima al valico di Acina Spina (foto
4) e successivamente all’ampio Pianoro di Cambìo.
Proseguendo attraverso il Vallone Fornelli e la salita Deo Gratias
raggiungiamo la cima del monte.
Purtroppo la nebbia avvolge completamente la sommità lasciando
spazio solo all’immaginazione. Gli organizzatori -dopo le consuete
foto di rito e dopo aver valutato i tempi di percorrenza- hanno avviato
la comitiva sulla strada del ritorno prevedendo di far consumare la
colazione al sacco nell’accogliente Rifugio. Qui, al caldo della
stufa a legna, tutti hanno condiviso e consumato le prelibatezza preparate
con estrema cura a casa e portate nello zaino.
14 ottobre 2007: Stage di arrampicata di Eugenio Iannelli
Si
è tenuta a Frascineto -nei giorni 13 e 14 ottobre 2007- una
interessante iniziativa volta a valorizzare l’attività
di arrampicata libera sportiva che si svolge sulle falesie delle “Piccole
Dolomiti” che abbracciano la comunità albanofona del
Pollino (foto 1).
Sabato 13 si è sviluppato un incontro/dibattito presso la sala
consiliare dello stesso comune dal titolo “Arrampicata? Progetto
equilibri”, nel quale sono stati enunciati i fondamenti didattici
ed educativi dell’attività. Alla presenza di un folto
e competente pubblico hanno partecipato all’incontro: Rosetta
Console, Assessore allo Sport della Provincia di Cosenza, D. Braile,
Sindaco di Frascineto, D. Gioia, Assessore all’Ambiente di Frascineto,
Pino Tropeano, Presidente Regionale UISP, G. Cugnetto, istruttore
UISP di Arrampicata e responsabile del “Progetto Equilibri”.
Tutti i relatori hanno inteso sottolineare -evidenziando la straordinarietà
della disciplina e le sue peculiarità educative- come siano
ormai maturi i tempi per sviluppare una programmazione specifica che
abbia come obiettivo la divulgazione dell’arrampicata sportiva
nella nostra regione e particolarmente a Frascineto -dove le caratteristiche
orografiche del territorio si prestano in maniera eccellente alla
sua pratica- tale da determinare una ricaduta positiva per la promozione
turistica del territorio e del Parco del Pollino.
Domenica 14 ha avuto luogo uno stage di arrampicata (foto
2) -organizzato dall'ASD Gaia UISP di Lamezia Terme in
collaborazione con il Comune di Frascineto e la Lega Montagna UISP-
nel quale esperti e neofiti hanno potuto vivere l'ebbrezza di queste
avventure verticali. L'associazione Gaia UISP -per coloro i quali
si avvicinavano per la prima volta a questa disciplina- ha messo a
disposizione gratuitamente gli istruttori, l'attrezzatura e l'assistenza
tecnica per svolgere in tutta sicurezza l'attività. Gli istruttori
UISP - coordinati dall'esperto Giovanni Cugnetto - hanno guidato ed
assistito nell' arco della giornata gli appassionati di tutte le età
(foto 3)
intervenuti numerosi presso le pareti di Frascineto. Entusiasti i
commenti da parte di tutti a fine giornata e condivisa la speranza
di poter al più presto ripetere la bellissima esperienza
(foto 4).
30 settembre 2007: L’anello dell’Angioletto di De Luca Giuseppe
L’escursione di oggi parte dal centro di S. Sosti e sembra assumere già dal principio le caratteristiche di una ascensione particolarmente impegnativa e dura (foto 1). Ciò a causa del notevole dislivello da colmare, ben 1222 m, impostoci dalla mancanza di mezzi fuoristrada che avrebbero permesso al gruppo di 13 audaci di raggiungere il punto di partenza da una maggiore altitudine. Il centro, di origine greco-bizantina, sorge a 363 m ed è situato alle falde del gruppo montuoso della Mula, settore S-O del Pollino , al centro di una ampia conca boscosa dove si apre la valle del torrente Rosa (foto 2). Nasce come comunità di fuggiaschi ed emigrati che trovarono asilo presso il Santuario Basiliano di San Sosti .Ogni anno è meta di centinaia di pellegrini che raggiungono il santuario della Madonna del Pettoruto situato in una zona incantevole dal punto di vista paesaggistico (foto 3). La valle del fiume Rosa era una antica via istmica che consentiva gli scambi commerciali tra le città greche di Sibari e Laos, quindi tra Jonio e Tirreno. L’importanza strategica del luogo è suffragata anche dalla presenza del Castello della Rocca, un articolato complesso fortificato d'età medioevale collocato su una strapiombante rupe rocciosa a 550 m che domina la gola del torrente Rosa. La rocca nasce probabilmente già nell'XI secolo d.C., come provano i rinvenimenti monetali di età bizantina e cessa la sua funzione nella seconda metà del XIII secolo. Ebbe una funzione di vigilanza della via istmica denominata in questa fase storica “Via del sale”, perché attraverso di essa veniva trasportato sui porti del Tirreno il salgemma dalla miniera di Lungro (foto 4). S.Sosti è nota soprattutto per il ritrovamento nel 1846 in località Casalini di Porta Serra, di un’ascia votiva in bronzo, notissima agli epigrafisti per la dedica in dialetto dorico, iscritta in caratteri achei da Kyniskos Ortamos, importante funzionario della misteriosa città di Artemisia, ad Hera,moglie di Zeus, regina del cielo. In questa località pare esistesse infatti,un tempio a lei consacrato. Dunque una valle ricca di storia e intrisa di spiritualità. Il gruppo si ritrova nella piazzetta del paese. Non disponendo di auto fuoristrada, indispensabili per percorrere la sterrata piuttosto malmessa che porta al pianoro di Casiglia, optiamo per il sentiero che si stacca dal Castello della Rocca e risale l’erta scoscesa in direzione della rupe detta “Due dita” (foto 5). La via fa parte del sentiero “Italia” ben segnalato e tracciato dai soci del CAI. Nelle prime ore del mattino i caldi raggi del sole investono in pieno tutta la valle rivelandone la sua selvaggia e primitiva bellezza, e mentre il gruppo procede compatto in un andirivieni di tornanti che si incuneano nell’ampia montagna, giunge fino a noi il riecheggiare di canti religiosi provenienti dal santuario. Fa da contraltare a questo già suggestivo scenario la Montea, splendida montagna dalle creste aguzze e dal profilo alpestre. Anche la luna amica accompagna i nostri passi (foto 6 e 7). Dopo un’ora e un quarto circa raggiungiamo il pianoro di Casiglia, dove sorgono alcuni rifugi in legno, purtroppo in completo stato di abbandono e una fonte per far provvista d’acqua (foto 8). Al bivio per Piano di Marco ove prosegue il Sentiero Italia, svoltiamo a sinistra per il sentiero che sale al Campo di Annibale, ampio pianoro circondato dalle cime della Mula, della Muletta, della Serra Scodellaro e di Cozzo Fazzati dove una leggenda narra che Annibale vi si sia accampato. A primavera è possibile ammirare nei paraggi favolose fioriture di peonie “peregrina” e “macula”, specie endemiche e rare dell’Appennino. Il nostro cammino è deliziato comunque dalla presenza di qualche agrifoglio e da una diffusa fragranza di timo (foto 9). Dopo aver aggirato il Cozzo della Civarra,abbandoniamo la sterrata e ci immettiamo sul costone a sinistra fino a sbucare su un piccolo promontorio da dove si gode una vista mozzafiato sulla valle del Rosa e sulle alpestri cime di Montea (foto 10). Orientandoci a vista nel folto del bosco raggiungiamo la “Pietra dell’Angioletto”, maestosa e solitaria. Si tratta di una protuberanza rocciosa a 1265 m. che emerge dal costone sovrastante il torrente Rosa in territorio di S.Sosti (foto 11 e 12). Pare che il toponimo derivi da Angioletto, un giovane pastore precipitato appunto nel dirupo sottostante. Pare che i locali attribuiscono il toponimo non alla Pietra in questione ma allo strapiombo roccioso dirimpetto ad essa, chiamandolo “a tagghiata’i Gangiuliaddu” - la tagliata di Angioletto (foto 13). La zona è estremamente selvaggia e scarsamente antropizzata, come del resto accade in molte zone del Pollino. Dalle sue pareti precipiti spuntano pini loricati pensili disposti orizzontalmente, davvero uno spettacolo più unico che raro (foto 14). Il difficile deve ancora venire. Iniziamo a risalire l’ aderta pendice che porta in cima allo Scodellaro (1586 m.), inizialmente superando alcune placche lisce con l’ausilio della corda, aggirando poi altre facili roccette da destra, e successivamente risalendo con fatica la dura rampa di nuovo nel bosco. Il tutto è reso più difficile dal caldo davvero inusuale di questi tempi, che causa purtroppo a qualcuno problemi di crampi (foto 15). Ammirevole invece la volontà e il coraggio di due inglesi oggi unitesi a noi, Liz e Francis con sua figlia Katia alla loro prima escursione in assoluto; davvero la prova del nove, senza mai lagnarsi o mugugnare (buon sangue anglosassone non mente) (foto 16). Giunti in vetta non resta che meritarci il dovuto riposo, una sobria colazione accompagnata da un buon bicchiere di vino rosso che non può mai mancare e godere al contempo di un panorama circolare che spazia dalla pianura di Sibari alla Montea, al Tirreno e al gruppo della Mula e naturalmente S. Sosti e la Valle del Rosa ai nostri piedi. Davvero una splendida balconata questa Serra Scodellaro (foto 17). Non ci resta che ridiscenderne il crestone verso est per incrociare la pista sterrata che porta a Casiglia, e da li a S. Sosti per chiudere questo spettacolare anello.
22/23 Settembre 2007: Agrigento e Piazza Armerina di Laura Giannitelli
La “Villa Romana
del Casale”, la “Valle dei Templi”, il “Giardino
della Kolymbetra”:
Un viaggio in Sicilia, tra la costa e l’entroterra, dove paesaggi
naturali diversi e dalla prorompente bellezza lasciano affiorare le
imponenti tracce di un superbo e lontano passato.
Il nostro viaggio in Sicilia ha inizio ufficialmente a Villa San Giovanni
in attesa dell’imbarco che, in quanto turisti, non ci mette
particolarmente di cattivo umore. Anzi è una buona occasione
per decidere una sosta rapida a Messina (foto
1) dove onorare l’eccellente cannolo siciliano.
Nel riprendere il viaggio seguiamo la costa ionica fino a Catania
e da qui ci inoltriamo nell’entroterra, in direzione di Piazza
Armerina, per riaffacciarci sulla costa mediterranea ad Agrigento.
L’itinerario lungo la costa ionica è un alternarsi di
piane coltivate ad agrumeti, ampie insenature, spiagge interrotte
dagli scogli. Nell’entroterra lo sguardo spazia su un paesaggio
collinare armonioso ma brullo che mostra il colore scuro dell’argilla
del terreno e il colore giallo dell’erba bruciata dal sole.
Piazza Armerina è uno dei centri archeologici più importanti
della Sicilia noto per i mosaici pavimentali della “Villa Romana
del Casale”, una fastosa villa patrizia di età imperiale
(III-IV secolo d.C.) occupante una superficie di circa 3.500 metri
quadri (foto 2).
Gli ambienti della villa (circa 40) sono disposti su tre livelli sul
pendio di un colle: le terme; il grande peristilio intorno al quale
si affacciano le stanze di soggiorno e le foresterie, la basilica
e gli appartamenti privati; la grande sala da pranzo con triclinio.
I mosaici, per la varietà dei soggetti e dei colori utilizzati
nel rappresentarli, sono un prezioso strumento di lettura riguardo
la vita, gli usi e i costumi di epoca romana: dai mosaici della caccia
raffiguranti la cattura degli animali destinati ai giochi nell’anfiteatro
(foto 3);
ai mosaici delle terme raffiguranti corse di quadrighe nel circo Massimo;
al mosaico delle dieci ragazze raffigurante dieci fanciulle impegnate
in gare ginniche e abbigliate con costumi simili al moderno bikini.
Non mancano i mosaici geometrici e i mosaici raffiguranti scene mitologiche:
il sacrificio campestre a Diana, gli Eroti pescatori, Ulisse e Polifemo,
le fatiche di Ercole. Non passa inosservato il celebre tondo con scena
erotica.
Domenica mattina la nostra meta è la “Valle dei Templi”
(foto 4).
Lo spirito fiero dei Siciliani emerge immediatamente nella guida che
ci accompagna quando ci racconta come per gli Agrigentini la città
si affacci non sul mar Mediterraneo bensì sullo stretto di
Sicilia o quando, con orgoglio, ricorda gli storici antichi nel distinguersi
da noi Italioti di Magna Grecia. I Siciliani erano meglio noti come
Sicelioti. I greci chiamavano la Sicilia “Trinacria” per
i suoi tre capi; i romani la soprannominavano “Triqueta”
per la sua forma triangolare. Nel museo archeologico San Nicola di
Agrigento ammiriamo la decorazione del fondo di un vaso. È
la più antica riproduzione della Trinacria, un simbolo religioso
di origine mesopotamica che rappresenta la Sicilia: una testa che
si regge su tre gambe disposte a raggiera. Di eccezionale bellezza
e di inestimabile valore sono i numerosi vasi di ceramica (corinzia,
attica a figure nere e a figure rosse, italiota e siceliota) esposti
nel museo e databili dal VI al III secolo a.C. Altro vanto del museo
è il kouros conosciuto come l’Efebo di Agrigento (480-470
a.C.): è evidente come quel lontano scultore abbia abbandonato
la tecnica della rappresentazione rigida del corpo, tipica delle statue
arcaiche. Ma il nostro stupore è tutto per il grande Telamone,
una scultura di 7,65 metri composta da conci di tufo. È solo
uno dei colossali giganti in pietra che erano parte del tempio di
Zeus Olympios e che rappresentavano Atlante o Telamone condannato
da Zeus a reggere sulle spalle il peso della volta celeste per essersi
ribellato all’ordine olimpico.
Ad un centinaio di metri distante dal museo ha inizio la “Via
Sacra” dove si susseguono in processione, dalla sommità
ai piedi di un colle parallelo al mare, i templi dorici (di Era, della
Concordia, di Ercole, di Zeus e delle divinità Ctonie, di Castore
e Polluce) (foto 5).
Costruiti in tufo arenario con la fronte principale rivolta ad oriente,
testimoniarono la floridezza economica e sociale che l’antica
Akragas, fondata nel 581 a.C., raggiunse in breve tempo. Ancora oggi
quel che resta, in condizione di eccezionale integrità, ci
lascia immaginare la magnificenza di quella che Pindaro definì
“la più bella città dei mortali”. Il filosofo
Empedocle disse dei suoi concittadini: “Gli Agrigentini si godono
il lusso come se domani dovessero morire, ma costruiscono palazzi
come se dovessero vivere in eterno” (foto
6). Lo splendore dell’antica Akragas non è
offuscato dalla città nuova, arroccata sulla collina a nord
della Valle dei Templi, con i suoi palazzoni in cemento che devastano
il paesaggio e che, solo per il breve tempo di un commento, distolgono
la nostra attenzione.
Le antiche vestigia si fondono armonicamente con la vegetazione della
macchia mediterranea, con i colori del mare che ci separa dall’Africa
e con le stagioni. L’estate appena trascorsa ci offre un paesaggio
arido dove il giallo della terra arsa dal sole si uniforma al colore
ambra del tufo dei templi. Ma la piccola valle situata tra il Tempio
di Castore e Polluce e il Tempio di Vulcano, nota come il giardino
della Kolymbetra, è tutta un vegetare di ulivi, aranci, mandorli,
agavi, ficodindia, carrubi, lentisco, pistacchi che si mostrano rigogliosi.
Il sito è quasi certamente quello dell’antica peschiera
d’acqua dolce (profonda circa 9 metri e dal perimetro di 1.250
metri) nella quale convogliavano le acque del sistema idrico della
città e dove si allevavano pesci tropicali da servire nei raffinati
pranzi agrigentini.
Il giardino della Kolymbetra è l’ultima tappa della nostra
passeggiata archeologica in Sicilia e ci lascia godere, immersi nella
natura, dei sapori e dei profumi della colorata e speziata cucina
siciliana. Un pranzo semplice ma appetitoso: dalla frittata di cipolla,
alla caponata, al pane intriso d’olio e profumato di origano,
alla pizza ripiena e coperta di pomodoro, alle melanzane e alle olive
sott’olio, al formaggio. Il tutto accompagnato da un buon vino
locale e addolcito da un croccantino di mandorla e pistacchio.
25/26 agosto 2007: Notturna a Piano Caramolo di Ivana Coscarella
Anche
quest’anno, come consuetudine, è stata organizzata la
notturna. Il luogo scelto si trova nei monti dell’Orsomarso,
precisamente ai piedi di Monte Caramolo (foto
1).
“I monti dell’Orsomarso sono fisicamente separati dalla
catena del Pollino dalla Piana di Campotenese e rispetto al massiccio
del Pollino, questa area si presenta più ricca, variegata e
selvaggia. Essi costituiscono l’estrema propaggine della catena
appenninica, oggi interamente compresa nel Parco del Pollino. La cima
più alta di questo gruppo montuoso è quella di Cozzo
del Pellegrino (1987m), circondato da cinque cime minori che si aprono
intorno alla valle dell’Abatemarco. A settentrione troviamo
il gruppo del Monte Palanuda (1623 m), in cui si apre la splendida
valle dell’Argentino e quello del Monte Ciagola (1462 m) che
sorge nella spettacolare valle del Lao; ad oriente quello del Monte
Caramolo (1872 m), le cui pendici cadono verso la valle del Garga,
folta di rigogliose foreste; a meridione, infine troviamo, prima il
gruppo del Monte La Mula (1935 m) e poi la Montea (1785 m), dalle
caratteristiche tipicamente alpestri.”
L’appuntamento è alle 16 a Piano Novacco (1315 m) che
raggiungiamo attraversando il paese di Saracena e imboccando la strada
montana situata nella parte più alta del paese. Novacco è
un ampio piano ideale per lo sci di fondo e dotato di numerose strutture
ricettive, molte delle quali però, attualmente non attive.
In poco tempo ci siamo tutti, 30 persone circa molto entusiaste di
partire. Ci avviamo da Novacco con le auto; ancora in prossimità
del piano, poco più avanti, svoltiamo a sinistra e intraprendiamo
una sterrata, alla fine della quale lasciamo le macchine. Da qui inizia
l’escursione vera e propria, imbocchiamo il sentiero n. 631
che ci porta verso piano Scifarello e successivamente a Piano Caramolo
(1572 m), luogo dove pernotteremo. Giungiamo a Piano Caramolo all’imbrunire
(foto 2). Montiamo
le tende (foto 3)
e approfittando dell’ultima luce del giorno, andiamo in cerca
di legna per preparare il fuoco nel rustico caminetto all’interno
della struttura in cemento ivi presente. Mentre qualcuno provvede
ad accendere il fuoco, nel frattempo c’è chi sta già
imbandendo la tavola. La carne e il salame arrostiti sono pronti in
poco tempo e insieme alle altre pietanze che ognuno di noi ha portato,
prepariamo una cena magnifica (foto
4). E’ giunta sera, e con la lampada frontale in
testa, tra la bella serata (la temperatura è molto gradevole)
ed Eugenio che racconta le “sue” barzellette, non c’è
proprio voglia di andare a dormire. Verso l’una ci chiudiamo
tutti nelle tende, qualcuno - approfittando della temperatura mite
- preferisce dormire all’aperto (foto
5). La mattina ci svegliamo di buon’ora, il sole
è già sorto, facciamo colazione all’aria aperta:
siamo attrezzatissimi! Infatti c’è anche chi ha portato
un piccolo fornellino per preparare tè e caffè caldo.
Giusto il tempo di terminare la colazione e ci incamminiamo subito
per l’ascensione al Monte Caramolo. Attraversiamo in diagonale
il pianoro adibito a pascolo che ci troviamo di fronte, posizionato
in direzione della cima e in poco tempo giungiamo di nuovo sulla strada
sterrata; da qui intraprendiamo un sentiero nel bosco, semplice da
percorrere e molto suggestivo, che in poco tempo ci porta in vetta
(questo in inverno costituisce un eccezionale itinerario da fare con
le racchette da neve o per praticare lo sci da fondo escursionistico).
In vetta il panorama da ammirare è stupendo. Infatti la cima
del Caramolo ci offre la vista dell’intera catena del Pollino,
di Cozzo del Pellegrino e della Mula. Immortaliamo il panorama con
le dovute foto e scattata la rituale foto di gruppo (foto
6), riscendiamo per lo stesso sentiero. Il sole è
già alto in cielo e in poco tempo raggiungiamo di nuovo il
rifugio di piano Caramolo; vicino ad esso ci sono le nostre tende
che ci accingiamo a smontare per prepararci ad intraprendere di nuovo
la strada del ritorno. Preparati gli zaini, imbocchiamo il sentiero,
che in un’ora e mezza circa ci riporta di nuovo al punto di
partenza. Riprendiamo le auto e in poco tempo giungiamo nuovamente
a piano Novacco. E’ già mezzogiorno e così sotto
al fresco del bosco ne approfittiamo per mangiare, tutti insieme,
le pietanze non consumate le sera prima. E così anche questa
giornata si è conclusa. Fortunatamente le condizioni climatiche
sono state a nostro favore, infatti ci hanno regalato un bel sole
caldo che ci ha accompagnato in entrambe le giornate.
Questa è stata per me la prima notturna, un’esperienza
bellissima, che rifarei di nuovo e subito. E’ molto emozionante
passare la notte in montagna per poi svegliarsi la mattina immersa
nella natura e in mezzo ai monti illuminati dal sole appena sorto.
E’ un’esperienza che consiglio a chi non l’ha mai
fatta, perché grazie ad essa potrà apprezzare e gustare
ancora di più le emozioni che offre la montagna!
DOLOMITI … che passione! di Mimmo Pace
Un
frugoletto di cinque anni appena, simile a un piccolo cerbiatto, risaliva
intrepido e spedito le aspre falde del dirupante, maestoso Civetta,
una tra le vette più importanti delle Dolomiti.
Il suo cuoricino batteva forte, ma il suo intento tenace non vacillava.
Anelava, anzi, di restare sempre in testa al gruppo, ansioso di scoprire
coi suoi occhi di bambino, orizzonti a lui del tutto inusuali e luoghi
incantati, che la grande montagna immancabilmente offre a chi ama
scoprirla.
Il nonno, incredulo, quasi sbigottito, lo seguiva dappresso e gli
tendeva a tratti la mano, smisuratamente felice, per essere egli stesso
totalmente complice nell’aver suscitato nel suo nipotino l’esplosione
di una passione così grande per la montagna e per l’avventura,
doppiamente felice, così, per aver potuto rivivere, in quei
magici momenti, ricordi ormai così lontani … la prima
sortita sulla nostra montagna di un altro frugolo, il suo figlioletto,
che, a soli otto anni, avrebbe potuto dire di aver percorso l’intero
arco montuoso del Parco Nazionale del Pollino !!
Senza farla troppo lunga, oso affermare che bimbi simili, in giro
ce ne sono davvero pochi e rappresentano un valido esempio da seguire
e la chiave di lettura di uno stile di vita da adottare da parte di
giovincelli e signorinelle, che questa Società fondata sul
consumismo e sulla cultura del superfluo, avvia inesorabilmente verso
la frivolezza, la mollezza e, purtroppo, talvolta, verso facili quanto
pericolosi trastulli!
Non solo. E’ una lezione di vita anche per gente adulta, e ce
n’è tanta, che ovattandosi come meglio può, adotta
un solo imperativo categorico: “ proteggersi dal sudore e dalla
fatica a tutti i costi per la vita “.
Questo, l’insegnamento offertoci dal piccolo Daniele, “mascotte”
a pieno titolo del Gruppo C.A.I. di Castrovillari, che dal profondo
Sud, arso dal sole e dagli incendi, ha avuto ventura di rifugiarsi
tra i verdi e freschi anfratti boscosi delle Dolomiti
La Punta Penìa della Marmolada (3343 m), regina di queste montagne,
il primo e più importante approccio del “Gruppo Alpinistico”,
raggiunta con disinvoltura, nonostante i crepacci di un ghiacciaio
in agonia e di una via ferrata protesa lungo un dirupante costone.Tra
i quindici del gruppo, diversi neofiti, tra cui un prete, il nostro
Don Franco, dalla cui gestualità traspariva timore e preoccupazione
durante il percorso, ma il cui volto brillava di insolita luce, una
volta conclusa l’impresa e raggiunte quelle altezze !
Il gruppo dei “sedentari”, attraverso la funivia, non
senza i risibili patemi di sopravvivenza di alcuni, toccava i tremila
di Punta Rocca, avendo così modo di fruire i grandiosi scenari
che da lassù si godono ed anche visitare un interessante museo
della Grande Guerra, allestito in quota, proprio sui luoghi che ne
furono teatro.
Momenti di allegra, cordiale e spensierata convivialità nell’accogliente
albergo Adriana, adagiato sulle fresche e smeraldine acque dell’incantevole
lago di Alleghe, un posto da non perdersi assolutamente.
L’indomani ci attende una sgroppata in bus tra le Dolomiti:
in vista, Pelmo, Nuvolau, Antelao, Sorapis,Tofane, Cristallo, Cadini
… poi, dal Rifugio Auronzo, l’interessante iter escursionistico
attorno alle Cime di Lavaredo, tre maestosi, insormontabili, aerei
baluardi rocciosi, emblema delle Dolomiti, lungo un paesaggio lunare,
che offre mille spunti per contemplare e riflettere, fino al frequentatissimo
Rifugio Locatelli che si specchia nelle acque di due minuscoli, incantevoli
laghetti.
Una fugace visita/shopping nella rinomata, ma carissima Cortina d’Ampezzo
conclude la sortita.
Il giorno dopo, altra avventura non meno interessante lungo le scoscese
balze del Civetta, alla scoperta di angoli di natura intatta e solenne,
tra cuspidi vertiginose, pittoreschi laghetti e aeree visioni mozzafiato
su Alleghe, il suo splendido lago e la superba chiostra di giogaie
lontane, al cospetto della Nord: la “parete delle pareti”.
Quasi tutti fanno ritorno al vicino Rifugio Coldai, per rifocillarsi
e ritornare con tutta calma a valle. Solo alcuni audaci, si spingono
fino all’aereo Rifugio Tissi e, attraverso una ripidissima,
tecnica discesa, pienamente appagati, possono ritornare in albergo.
L’avventura è felicemente conclusa e ne abbiamo già
un’altra da proporre per il prossimo anno. Sarà una meta
alpinistica importante o alcune facili escursioni, poco importa! Quel
che davvero importa è: Indurre amore e rispetto per la montagna
- Destare attenzione per la cultura del territorio – Favorire
la promozione umana, attraverso la coesione solidale e rispettosa
di Gruppo.
Noi del CAI di Castrovillari, siamo consapevoli che, con un pizzico
di elasticità, si può star bene insieme e godere, in
perfetta sintonia, di ambienti fantastici, per fortuna ancora fruibili,
che tantissimi trascurano … forse per mera, inerte pigrizia.
Li attendiamo a braccia aperte!
Sono tante le motivazioni positive per iscriversi al C.A.I. e proprio
in virtù di ciò il nostro gruppo va arricchendosi sempre
più di nuove, numerose adesioni .
Se poi, l’anno venturo, trovassimo, per fortuna, sulla nostra
strada un altro “piccolo Daniele”, ciò costituirebbe
il fondamento di uno sprone a proseguire nell’opera di proselitismo
a favore dell’importante sodalizio in cui siamo fieri di poter
interpretare una parte attiva.
8 luglio 2007 > Ecobike 2007 di Eugenio Iannelli
La settima edizione della ciclotrekking in mountain bike -organizzata dal CAI Castrovillari con il patrocinio della Provincia di Cosenza- si è svolta quest'anno nella parte Nord del Parco e precisamente nella zona di Piano Ruggio. I protagonisti -circa 40- si sono equamente divisi nei due itinerari: uno più breve - passeggiata distensiva per meglio osservare i luoghi- per ragazzi e genitori; l’altro più impegnativo per soddisfare i più esigenti ed allenati. Luogo di partenza: Colle del Dragone , località sopra Campotenese a pochi km dalla amena chiesetta della Madonnina. Una manifestazione nata con il fine di consentire la partecipazione a tutti ed il cui unico scopo è trascorrere una bella giornata in montagna praticando una simpatica e naturalistica attività sportiva. I due gruppi hanno viaggiato appaiati fino al Rifugio De Gasperi di Piano Ruggio ed hanno continuato fino a Colle dell'Impiso dove uno dei due drappelli, attraverso i Piani Vacquarro e Franciosso ha raggiunto Piano Visitone dove ad aspettarlo c'era l'intera comitiva. L’organizzazione, come da programma, ha messo a disposizione dei partecipanti autobus e mezzi di trasporto per le bici ed -in coda al gruppo- è stato sempre presente il supporto logistico degli uomini del Corpo Forestale dello Stato. Per tutti, colazione a sacco e maglietta ricordo. I concorrenti più allenati hanno coperto un percorso, particolarmente ostico ma altrettanto esaltante, che li ha condotti al cospetto di luoghi bellissimi con panorami mozzafiato sulle cime del Dolcedorme, Pollino, Serra Crispo fino alla base del grandioso costone roccioso su cui svetta il Santuario della Madonna del Pollino . Durante il percorso numerose sono state le attestazioni di meraviglia, da parte dei partecipanti, che non immaginavano di potersi trovare immersi in luoghi di tanta intensità e bellezza che si sono goduti fermandosi più volte lungo il percorso. Dopo la meritata colazione al sacco la maggior parte dei bikers ha deciso di fare rientro a Castrovillari in bici con l'intento di onorare fino in fondo la partecipazione.
17 giugno 2007 > Torrente Peschiera di Cian Fabrizio
Un folto gruppo di circa trenta persone, in maggioranza calabresi talvolta valicano i monti per visitare e conoscere il versante lucano del Parco Nazionale del Pollino. L’escursione in programma prevede la visita ad uno dei tanti luoghi, forse uno tra i più belli del parco ma abbandonati e sicuramente poco conosciuto. Lasciamo le macchine quasi sulla Cresta Fagosa, nel comune di Castelluccio, seguiamo a piedi l’agevole tratturo per raggiungere la piana che dai locali viene chiama i pruvin’ , di mattina lo scenario che si offre ai nostri occhi è sicuramente degno di una prima, forse precoce pausa, sicuramente per riempire le borracce ma per ammirare le vette del Monte Alpe, le vette del Sirino e monte Zaccana . Ci dirigiamo verso Est, dopo poco l’attenzione di tutti i partecipanti cade sui frutti che il ricco sottobosco offre ai partecipanti, dapprima le fragoline che crescono copiose ai fianchi del sentiero, le ciliege e poi, forse più graditi, i funghi. Qualcuno stenta nel raccogliere, forse nel rispetto dell’amore per la natura che è dentro ogni frequentatore della montagna ma alla fine molti cedono pensando che madre natura sicuramente ha creato i frutti di bosco per saziare gli amanti della natura. Finalmente si giunge nel fiume Peschiera, l’abbondante acqua e la rigogliosa crescita di vegetazione ci fanno osservare bene l’ambiente, ma gli esperti trovano subito un passaggio, rendendolo ancora più agevole sistemando opportunamente qualche masso . Fiume guadato e il cammino prosegue sul sentiero, tra fitta vegetazione che non permette quasi mai la visione del sole, in molti casi, giochi della natura hanno creato vere e proprie volte che ci accolgono e si mostrano in tutta la loro armonia. Dopo poco raggiungiamo il recinto del Capriolo del Bosco Magnano nel comune di San Severino, sicuramente il rumore di 30 persone avrà fatto scappare i simpatici esemplari ma i segni del loro passaggio, e forse anche di qualche altra specie, sono facilmente visibili nel fango che si è creato a causa delle piogge dei giorni scorsi. Da qui iniziano un po’ di difficoltà, il sentiero originale non è più visibile per la crescita della vegetazione e nuove strade sono state aperte nel bosco per permettere il passaggio dei mezzi che ripuliscono con il taglio “intelligente” dei fusti, e così tra una stradina a destra e una a sinistra il pensiero comune è che il sentiero originale è sparito, meglio affidarsi al senso d’orientamento. Da qui inizia la gita che permette ai partecipanti di immergersi nel passato e vivere un’esperienza forse simile a quelle che spesso si leggono nei racconti de “La rivista”. Lunghi pianori sulle sponde del fiume, orizzonti lontani che s’infrangono sulle vette. Raggiungiamo la sponda del fiume e con un po’ di ritardo sulla tabella di marcia sostiamo per la pausa pranzo. Come sempre questa è un momento di grande comunità e allegria, dopo un primo momento di silenzio dovuto ai morsi della fame, successivamente le conversazioni si fanno sempre più allegre e tra una barzelletta e un aneddoto è giunto il momento di riprendere il cammino. La ripartenza ci fa tornare indietro nel tempo e tra lo studio della bussola e della cartina e l’orientamento personale l’amore per la montagna e l’esperienza di molti dei partecipanti realizzano un sentiero unico. Esso ci porta in una vallata che a molti ricorda le scene dei film di guerra ambientati nel Vietnam , e aspettando il “coreano” che sbuca dalla copiosa vegetazione ci dirigiamo verso il colle di fronte a noi. I colori della vegetazione ci indicano che non lontano da noi ci sono molte zone paludose e finalmente incrociamo la traccia del sentiero che risale il colle, la visione del Monte Zaccana sulla nostra destra ci indica che siamo sulla strada giusta. Dopo poco ci ritroviamo sul tratturo che taglia la cresta Fagosa, ormai siamo giunti alla fine e come previsto alle ore 17 siamo nuovamente alla Fontana della Fagosa; la stanchezza non si sente, il caldo e l’allegria del gruppo ci permette di giocare un po’ con i consueti ed estivi “gavettoni” di acqua dopo la rituale foto di gruppo . Restiamo ancora a goderci la temperatura piacevole, sarebbe un peccato sprecarla. Prima di salutarci ci ritroviamo tutti insieme in nuovo locale di Castelluccio, “Il Covo di Ascy”, che per taluni -scherzando- “Chissà cosa nasconde!”. E’ solo l’occasione per continuare a chiacchierare davanti ad una bella bibita dissetante come una allegra brigata che ha preso pieno possesso del locale. Come spesso descritto nei racconti di una volta…la domenica invece di riposarsi ci si sveglia presto al mattino per andare in montagna e al termine della giornata, ci si ritrova tutti al bar per raccontare le emozioni della giornata. E’ stata una singolare esperienza ma anche questa è montagna.
10 giugno 2007 > Carolei - Valle del Fiume Busento di Domenico Riga
Il racconto dell’escursione odierna inizia……un giorno prima. Sabato pomeriggio, infatti, io e Massimo siamo lungo il percorso per fare una verifica, necessaria a valutare l’effettivo stato del sentiero, che si trova in una zona poco frequentata e per nulla mantenuta dagli enti competenti (Comunità Montana? Comune? Boh!). Sopralluogo provvidenziale! Una folta vegetazione, stile foresta amazzonica, ricopre parte del sentiero e siamo costretti, armati di una cesoia e di un bastone, a farci largo tra una moltitudine di rovi (graffi dappertutto), ma alla fine riusciamo a rendere la via agibile per l’escursione del giorno dopo. Una banale considerazione: se io e Massimo in un paio di ore siamo riusciti a fare questo, cosa potrebbe fare una squadra di operai ben equipaggiati anche con una sola giornata di lavoro? E poi si parla di valorizzazione delle risorse naturali e sviluppo turistico! Al fiume Busento, meta dell’escursione, è inoltre legata una delle vicende storiche più importanti dell’intero Mezzogiorno d’Italia. Si racconta che, dopo il saccheggio di Roma (410 d.c.) che aveva fruttato un tesoro d'immenso valore, Alarico, re dei Visigoti, decise di spingersi verso sud per attraversare lo Stretto di Messina e raggiungere l'Africa. Durante il viaggio, tuttavia, Alarico si ammalò improvvisamente e dopo una breve malattia morì nel Brutium, nei pressi di Consentia, l’attuale Cosenza. Fu allora che questo esercito di barbari che aveva razziato Roma si lanciò in una grande opera di ingegneria idraulica, deviando le acque del Busento allo scopo di scavare la tomba del loro re nel letto del fiume. Secondo quanto scritto da Jordanes nel “De rebus Geticis”, i Goti impiegarono un gran numero di schiavi per compiere le opere necessarie e poiché costoro conoscevano il luogo in cui era stata scavata la tomba regale, vennero trucidati tutti in maniera che in nessun modo il segreto potesse trapelare. Il letto del Busento ospitò il sepolcro ornato dai trofei di Roma e il corpo di Alarico fu calato nella tomba dopo essere stato abbigliato con l'armatura da parata e attorniato d'oro e gioielli. Dopo la deposizione le acque furono ricondotte nel loro letto naturale e il luogo dove era stato sepolto il re dei Goti rimase per sempre un segreto. In ogni caso domenica mattina ci ritroviamo in circa 40 per l’abituale e ormai consolidata uscita Amici della Montagna - CAI Castrovillari, un evento a cui ogni anno che passa sono sempre più affezionato, sia perché ho il privilegio di coorganizzarlo, sia perché tante belle e nuove amicizie nascono e si fortificano. La partenza è dal borgo della Motta di Domanico per raggiungere attraverso una ripida discesa un affluente di sinistra del Busento sul quale si trova, a circa 10 metri di altezza, l’imbocco della Grotta Scura . La Grotta è formata da una prima galleria in leggera salita che, subito dopo un breve abbassamento della volta, immette in un ambiente più vasto, a tratti adorno di poderose e tozze stalattiti, terminando a 160 metri dall’imbocco in uno stretto cunicolo. Fissata una corda, sono in molti a percorrere, con lampade frontali e torce, tutta la cavità, rimanendo estasiati dalle concrezioni e dagli ambienti fiabeschi dell’interno . Dopo questa emozionante digressione inizia il tratto da noi “pulito”: si passa senza eccessive difficoltà e sembra comunque di attraversare una foresta pluviale, anche per la presenza di numerose stazioni di Farfaraccio , arbusto tipico anche di altri ambienti fluviali calabresi, quali ad esempio l’Argentino o il Rossale. Ecco i guadi, cinque, sei, non riusciamo più a contarli, ma ognuno di essi riserva cadute in acqua, goffi movimenti, schiamazzi e risate (qualche giovanotto ne approfitta per prendere in braccio le “donzelle”), c’è anche qualche ponticello in legno presente lì chissà da quanto tempo . L’ambiente è sovrastato da alte rupi, su una delle quali sorge proprio la Motta. È ora di mangiare e ci fermiamo in uno spiazzo adiacente un antico mulino, dove scattiamo la foto di gruppo e diamo inizio alle ….. danze. Come al solito gli amici di Castrovillari sono imbattibili: primi, secondi, vino e chi più ne ha più ne metta, il tutto condito dalle barzellette del Presidente che suscitano risate a non finire. Dopo un’ora abbondante riprendiamo il cammino, rimane da fare un ultimo guado proprio sotto un’alta rupe, dove il fiume sembra sprofondare per poi riemergere alcuni metri dopo. Un groviglio impressionante di radici sostiene questo enorme macigno che accoglie anche un piccolo arco naturale alla sua base. Siamo vicini all’arrivo, rimane solo da dissetarsi presso una fresca e copiosa fonte e ammirare forse la parete più alta, circa 80 metri, che si trova lungo l’affluente Vennariello. In breve siamo alle macchine in località Piè la Terra di Carolei, gli autisti salgono con le auto lasciate preventivamente la mattina al punto di partenza fino alla Motta, per poi tornare a recuperare gli altri. È, purtroppo, il momento dei saluti con vecchi e nuovi amici. Queste giornate, ahimé, durano sempre troppo poco, ma mi piace pensare che, in fondo, “L’escursione più bella è sempre la prossima”.
13 maggio 2007 > Anello di Macchiafraga (Sila grande) - di Ivana Coscarella
Fallistro – Botte Donato –Timpone Carcara – Fallistro
L’escursione odierna è una intersezionale; l’itinerario mi intriga e così decido di parteciparvi. Questa mia avventura voglio raccontarvela. Sto parlando, ovviamente, dell’escursione che ci ha condotto nel Parco nazionale della Sila, precisamente quella grande. A guidarla è Francesco Bevilacqua e prevede un itinerario di media difficoltà (E). Il tragitto disegna un anello, intorno alla zona di Fallistro; faranno da contorno al panoramico sentiero monte Botte Donato (1928 m) e Timpone Carcara (1692 m). L’appuntamento è nei pressi di Fallistro. Il gruppo è numerosissimo, sono presenti anche gli amici dei CAI di Catanzaro e Cosenza. Noto poi, con grande piacere, la presenza di nuovi soci iscritti al CAI di Castrovillari; sono tre ragazzi di Lungro che, molto entusiasti, mi dicono che questa è una delle loro prime escursioni . Si parte! La nostra avventura inizia con un piccolo fiume che va guadato: tra qualcuno che si mette scalzo e chi cerca di attraversarlo saltellando sulle pietre, tutti riescono a raggiungere l’altra sponda senza alcun problema. Il sentiero prosegue allo scoperto per poi ricondurci subito nel bosco, costituito unicamente dai caratteristici pini laricio. Nel fresco del bosco il tragitto è piacevole e pianeggiante e tutti insieme proseguiamo. Quello primaverile è uno dei periodi più belli per camminare in Sila, in quanto abbiamo potuto ammirare le diverse fioriture tipiche di questo periodo. È stato davvero un piacere immortalare con la fotocamera i bellissimi colori delle orchidee, le stupende viole, gli asfodeli non ancora fioriti e i profumatissimi narcisi . Fra freschi tratti di bosco e soleggiate radure proseguiamo. In tarda mattinata giungiamo ad una deviazione di sentiero, la prima cosa che noto è una salita molto irta; dicono che da lassù si vede un panorama bellissimo. Penso che ne varrà la pena e nonostante la salita, salgo. Effettivamente avevano ragione, tra pini laricio, abeti e alcuni esemplari di abete bianco, scorgo un panorama stupendo, ne è valsa davvero la pena! Ammirato il panorama e fatte le dovute (foto torniamo indietro (la discesa è più piacevole!) e riprendiamo il sentiero . Siamo giunti quasi a metà percorso ed essendo mezzogiorno inoltrato, lo stomaco inizia a brontolare (ed ha pure ragione, deve pur rifarsi dopo tutto questo cammino!). Finalmente, con grande gioia, giungiamo ad una fresca radura: si mangia! In un angolino al fresco, sul prato verde, “imbandiamo la tavola” … come al solito dai nostri zaini esce di tutto: dalle succulente pietanze a salumi e dolci. Così, mangiando e sorseggiando un po’ di buon vino, che ovviamente non manca mai, ci rimettiamo in forze; lo stomaco non brontola più: possiamo proseguire! Il sentiero prosegue lungo un bosco di faggi giungendo ad un’ampia radura: è il punto adatto per scattare la rituale foto di gruppo, siamo tantissimi . Così, fatta la foto, e ammirato il bellissimo prato verde fitto di fiori nel quale siamo immersi, proseguiamo per il nostro tragitto. Siamo quasi giunti alla fine della nostra giornata, e che giornata! E’ stata un’escursione fantastica; fortunatamente, anche il tempo è stato dalla nostra parte, infatti ci ha regalato una temperatura gradevole e un bellissimo cielo sereno. Adesso siamo veramente arrivati al termine dell’escursione, in lontananza scorgo il piazzale con l’autobus del CAI di Cosenza (le nostre macchine sono al piazzale vicino). Ci raggruppiamo, qualcuno stanco chi meno, ci salutiamo e ognuno prosegue per la propria strada, con l’augurio che si ripeta al più presto una bella esperienza come questa. Alla prossima!
6 maggio 2007 > San Sosti – Casiglia – Acqua Di Frida – San Sosti di Pina Bonfilio
Complice una bella giornata di sole è stata effettuata l’escursione ad anello S. Sosti, Castello della Rocca, Fontana Casiglia, Acqua di Frida, S. Sosti, già programmata per il 25 marzo, ma rinviata a causa del maltempo. Ritrovo alle 8.30 a San Sosti nella piazza principale situata a 363 m. In attesa dei ritardatari di turno siamo stati allietati, durante le presentazioni, da una musichetta abilmente modulata da un suonatore di organetto che nella zona accompagna i pellegrini al Santuario del Pettoruto. Oggi siamo guidati da Vincenzo Maratea e Francesco Rotondaro due grandi esperti della fauna e della flora del territorio. Entriamo subito in progressione lungo un tratto del Sentiero Italia individuato con il n. 601. Dapprima su un selciato che ci conduce nei pressi dei ruderi del Castello della Rocca a quota 551 m. Il Castello era una roccaforte militare costruita su uno strapiombo roccioso a guardia della valle del fiume Rosa, antica via istmica tra Ionio e Tirreno. Abbandoniamo il selciato per procedere con brevi tornanti su un sentiero panoramico. È ben visibile la Montea e il sottostante Santuario del Pettoruto affollato di fedeli e immerso nel verde del bosco. Si passa poi sotto il caratteristico crinale Due Dita, sormontato da una roccia dalla tipica forma di due dita della mano. Andiamo avanti con soste di pochi minuti per riprendere fiato, fotografare e rifocillarci. Percorriamo tratti a volte in salita, altri in piano, su un terreno fangoso che restituisce l’acqua delle piogge e nevicate invernali. Finalmente arriviamo al rifugio Casiglia (1006 m), una tipica costruzione moderna in legno destinata al degrado per mancanza di fruitori. L’acqua fresca della fontana abbeveratoio invoglia alla pausa, ma desistiamo; meglio farne provvista. Proseguiamo sullo sterrato, avendo cura di piegare a destra, lasciando il Sentiero Italia svilupparsi sulla sinistra verso il vallone Zoppatura. Continuiamo a camminare nel bosco verso l’acqua di Frida, passando per Acqua Marcia (detta così impropriamente), il nome doveva essere Acqua di Marzo perché i pastori a marzo vi convogliavano e riempivano le vasche per far abbeverare gli armenti per il periodo estivo. Riemergiamo dal fitto bosco per una lezione estemporanea di flora e fauna alla luce del sole. E’ giunto il momento più bello dell’escursione! Ci troviamo nel luogo di destinazione circondati da tantissime varietà di orchidee ed infiorescenze dai nomi strani, su cui altrettanti insetti si posano per far bella mostra di sé. La nostra meta è quasi vicina, vogliamo tutti arrivare al Piano di Marco e al campo delle peonie fiorite in località Iaconelle, cosi chiamate nel dialetto Sansostese. Perdiamo le speranze quando ci accorgiamo che le piante non sono fiorite. La fioritura è stata bloccata dal freddo degli ultimi giorni. Ma non recediamo e incoraggiati dell’esperto Vincenzo andiamo avanti fino a quota 1000/1100 m dove ci accoglie un esplosione di colori rosa e rosso cupo: sono le peonie, peregrina e mascula, in fioritura sorrette da foglie verdissime la cui forma fa la differenza della specie. Lo spettacolo è bellissimo, i (fotografi si saziano di scatti, gli occhi e il cuore si deliziano alla meravigliosa visione della natura. Per ricompensare la natura di una simile visione, possiamo solo adoperarci affinché la mano distruttrice dell’uomo -armata dal falso progresso- non stravolga l’ecosistema. Intanto tutti, distratti dall’ambiente confortevole, avvertiamo la fame. Torniamo indietro e al rifugio della forestale ed in una piccola area attrezzata pranziamo, ci godiamo il bel sole che ci ha accompagnato per tutto il percorso e immortaliamo in una (foto il gruppo degli escursionisti . Man mano che discendiamo, intravediamo tutta la vallata riconoscendo i paesi: S. Sosti, Malvito e il suo castello, S.Caterina Albanese, San Marco, San Lorenzo , Altomonte e la costa Jonica, i monti della Mula (1936 m), la Muletta (1717 m) e la Montea (1785 m) cara soprattutto a noi tre escursionisti di Sant’Agata d’Esaro, da poco tempo soci del CAI di Castrovillari. Che altro dire, spero di essere con voi anche alla prossima escursione e godermi la giornata portando sempre dentro di me il ricordo di luoghi e visioni bellissime che la natura è sempre pronta ad offrirci.
29 aprile 2007 > Dietro l’angolo…il torrente Iannello di Emanuele Pisarra
Stupendo …semplicemente fantastico! Due affermazioni tra le tante che sintetizzano la gita del nostro Sodalizio al Torrente Iannello, affluente di destra del Fiume Lao, nel territorio di Laino Borgo. Anche questa volta e come da programma l’escursione domenicale della nostra sezione si è svolta secondo dottrina così come - ancora una volta - è stato rispettato lo spirito di portare gente alla esplorazione del “dietro l’angolo”, spesso trascurato o sottovalutato proprio perché è troppo vicino al nostro naso tanto da dire: “sì un giorno ci andremo”; molte volte quel giorno non arriva mai e spesso ci sentiamo friggere quando qualcuno ne enuncia le bellezze, le emergenze naturali e paesaggistiche che si trovano ad un ora di macchina dalla città. In questa occasione abbiamo veramente ammirato un tratto di forra solcato da un corso d’acqua , spesso a carattere torrentizio, con splendide marmitte e diversi passaggi in acqua alquanto impegnativi. Più volte si è dovuto guadare il Torrente, bagnandosi fino alle ginocchia . La fortuna ha voluto che quest’anno le ultime piogge primaverili ci hanno fatto trovare il Iannello ben gonfio, con le sue cascate in piena e la vegetazione rigogliosa e verde come non mai. Noi abbiamo percorso solo un piccolo segmento centrale al corso d’acqua. Però il Iannello, nasce come naturale confluenza di due canali, entrambi provenienti da Monte Rossino, splendida cima interna della Catena costiera calabrese. Il primo, il Fosso Serrapotolo, proviene dalle Pendici di Sud-Ovest; mentre il secondo, il Fosso San Pietro, in seguito, ingrossandosi diventa Vallone della Pomara, di provenienza da Nord-Est si uniscono a 543 metri di quota, all’altezza della contrada Iannello di Laino Borgo da dove il corso d’acqua prosegue, per circa nove chilometri, verso il fiume Lao con il nome di Torrente Iannello. La nostra proposta escursionistica per conoscere il Iannello parte dalla Masseria Bonello della contrada omonima, prosegue verso l’alveo fluviale e, in breve, si avanza in acqua passando da una sponda all’altra. Alberi di Frassino, Ontano, Ornello e Cerri si alternano a equiseti, rovi e altra vegetazione riparia che dà una grande suggestione ad un ambiente ovattato, interrotto solo dal rumore dell’acqua , mai monotono, spesso irruento . “Avventuroso, selvaggio – dice Elena del Gruppo di Nemoli – mentre Maddalena – del gruppo di Alberobello parla di una prova di forza personale nell’affrontare l’acqua del Torrente”. Due testimonianze (tra le tante raccolte) che dicono tutto sulle aspettative di chi ha partecipato alla gita amabilmente condotta da Ugo Orsini del Canoa Club di Laino Borgo con la collaborazione di Mimmo Pace . Infine, è interessante ricordare che alla gita si sono accodati anche diversi escursionisti provenienti da Bari, Alberobello e Nemoli. Quest’ultimi sono venuti a conoscenza della proposta escursionistica attraverso il nostro sito.
22 aprile 2007 > Piano Ruggio (m 1570) – Serra Del Prete (m 2181) di Mimmo Filomia
E’ esplosa la primavera! Finalmente ecco una notizia che si vorrebbe leggere ed ascoltare dai giornali e dalla TV, le cui conseguenze non possono che essere benefiche per tutti. L’uscita odierna ci regala una giornata primaverile speciale, da condividere con gli amici del Club Alpino di Cosenza su Serra del Prete, nel Parco del Pollino (foto). La bella giornata ci sorprende tutti! Persino le gemme turgide della faggeta -che degrada da Timpone Capanna e da Serra del Prete a delimitare il sentiero che conduce al Belvedere di Malvento- sembrano sorprese a richiamare linfa vitale per la germogliazione. La variopinta e allegra brigata, circa 80 escursionisti, dopo il raduno con foto ricordo a Piano Ruggio, si muove scaglionata e assistita da tre guide . La meta ravvicinata dell’itinerario è il Belvedere (1600m); uno spazio delimitato da una staccionata panoramica sulla valle del fiume Coscile, Morano e Castrovillari, dove si possono ammirare -perennemente abbarbicati alla roccia- i Pini Loricati . La meta intermedia invece comincia attorno a quota 2000 m su di un vasto e panoramico altipiano erboso. La meta finale è rappresentata da un’irraggiungibile quanto faticosa cima a quota 2181m. La stessa è tenuta nascosta da alcune alture poste in sequenza sul groppone della montagna. Sono circa le 11 quando riprendiamo la progressione, lasciandoci alle spalle il punto panoramico . Ci aspetta un primo tratto nel bosco per poi uscire allo scoperto su un sentiero pietroso. La difficoltà di questo sentiero è rappresentata dai sassi disseminati su tutto il percorso, segno questo, di un ecosistema stravolto dal taglio indiscriminato degli alberi, erosione del vento e slavine. Oggi come sempre, ha prevalso lo spirito di socializzazione e scambio d’idee tra i partecipanti, i tanti discorsi fanno eco sulle pietre del sentiero anziché sulle piastrelle, lungo i marciapiedi delle cittadine di provenienza. Continuiamo a salire incuriositi, non curanti della fatica perché ogni quota guadagnata ci riserva un nuovo panorama; anche per il sole è tempo di salire e quando giunge al punto più alto del cielo ci illumina riscaldandoci a sazietà in un ambiente terso e incontaminato dove lunghe lingue di neve ci accompagnano dai margini del sentiero, recando uno refrigerio psicologico contro la calura . Sul dorso della montagna invece, ampi inghiottitoi e doline ancora innevate ci regalano una visione alpina del luogo. Che dire poi dei contorni! Il Pollino, un bellimbusto spavaldo coperto da invitanti rivoli di neve, nasconde, rendendo appena visibile, sua altezza il Dolcedorme anch’esso luogo ambito per visioni emozionanti . Durante il percorso si unisce una simpatica comitiva jonica di Rossano che spesso, come ci raccontano, preferisce la montagna al mare, perché attratti dalla magia di questi luoghi salubri. Intanto, i più dotati fisicamente, sono arrivati in vetta. Già, non tutti rispondono alle sollecitudini del percorso allo stesso modo. In lontananza li abbiamo visti apparire e scomparire in fila più volte, come puntini colorati a tratti appesi al cielo altre volte progredire come le maglie di una catena su dossi e creste . In un ambiente ampio, sicuro per la presenza dei compagni di viaggio, dove tutte le forze della natura sembrano predisposte al nostro volere, c’è persino qualcuno che ritrova la padronanza delle sue forze. La salita in solitaria deve avergli sollecitato l’inconscio a godersi la natura pienamente, o meglio, inebriarsi di sole, rotolarsi nella neve, sedersi per riflettere; osservare, gridare al mondo i propri umori. La riacquistata fiducia in se stessi può avvenire così, in una semplice escursione durante la quale si mette in gioco la propria esistenza, sollecitata dallo spirito di collaborazione degli amici a vincere una comune meta. Una terapia naturale da imitare nella vita di tutti i giorni per giungere sulla strada della guarigione dall’isolamento, per fare di noi una forza utile nel collettivo. Un caloroso grazie ai numerosi amici del CAI di Cosenza che ci onorano della loro presenza, rendendo piacevoli le manifestazioni. Non è mancato il momento aggregante della pausa colazione fatto di vari assaggi tipici. Dopo il brindisi augurale sul campo, intraprendiamo la via del ritorno sullo stesso sentiero lasciando spazio ad una simpatica e curiosa foto di gruppo . Siamo tutti convinti della validità di questi incontri mossi alla ricerca dell’amicizia fra uomini, che camminano a quote alte per toccare più da vicino il cielo.
15 aprile 2007 > Riscoprendo tradizioni desuete di Mimmo Pace
Sul piccolo pianoro adiacente alla minuscola, solitaria chiesetta adagiata sui fianchi del Monte S. Angelo, un tempo dedicata alla Madonna del Riposo, una roccia ha fatto da altare per la celebrazione da parte del sempre disponibile Don Franco Oliva, di una S. Messa che, arricchita dalle interessanti proposte riflessive del sacerdote, ha solennizzato l’ormai nota manifestazione promossa, per il terzo anno consecutivo dal Club Alpino Italiano di Castrovillari, con la collaborazione e l’intervento attivo, stavolta, del Centro Anziani di San Girolamo. Prima del rito liturgico, nell’aere terso della radiosa mattinata, con gli sguardi protesi sulla Cittadina del Pollino, erano riecheggiati i versi di Fedele Carelli, un poeta castrovillarese dell’ottocento, nonché quelli del poeta artista Salvatore Rotondaro, che descrivono in maniera pregevole e alquanto sfiziosa, le radici di questa devozione popolare e di questa festa paesana. Nata nel ‘700 e mantenutasi viva fino agli anni cinquanta, vedeva il Lunedì dell’Angelo confluire sul Monte S. Angelo, frotte di devoti rendere prima visita alla SS. Vergine, raffigurata in un dipinto ormai da tempo scomparso, e poi , a gruppi, attorno alla chiesetta, far merenda, festeggiando fino a sera con danze e canti al suono di zampogne, organetti e tamburelli. Spogliandomi, per un po’, dalle vesti di socio e rappresentante del CAI, desidero esprimere alcune riflessioni di ordine personale, e quindi di libero cittadino, al fine di informare la pubblica opinione, con la speranza che tali convinzioni vengano condivise e sostenute dalla Collettività : Il restauro, la bonifica e il recupero dello storico manufatto dalla interessante pianta ottagonale, edificato nel 1836 a devozione di tal Andrea Bellusci da S. Basile, che, a causa dell’incuria colpevole di quest’ultimo cinquantennio, si presenta oggi ai nostri occhi abbrutito, espoliato, scalcinato e vandalizzato fino a tal punto, da scoraggiare un sacerdote a celebrarvi una S. Messa: questa la priorità assoluta da portare avanti e da sostenere con forza presso le Istituzioni locali, le sole, peraltro, competenti ad operare un tal genere di interventi! Ciò, per far si che la devozione popolare si ridesti e ritorni viva e con essa rifiorisca e si rivitalizzi in toto una “kermesse popolare” così colorita e pregna di folclore castrovillarese. Diversamente, potranno solo continuare ad esser proposte, e curate anche con tanto zelo e merito, manifestazioni che non riusciranno mai a centrare l’obiettivo che pure in tutta buona fede si ripropongono e, pertanto, con esito sterile . Non ci si dovrebbe, quindi, limitare agli effetti, sempre positivi, per carità, che un momento di aggregazione produce, attestando, tral’altro, encomiabili iniziative sinergiche tra gruppi associativi! Occorrerebbe, nel contempo un impegno serio e costante, che una buona volta induca l’Amministrazione Comunale ad eliminare gli ostacoli che si frappongono – e mi riferisco ai contrasti tra chi afferma di essere proprietario della Cappella e chi, figurando proprietario dei terreni, avanza pretese anche sul manufatto – ridonando ai castrovillaresi non solo la Cappella restaurata, ma anche la gioia di poter far rivivere una devozione popolare solo sopita. Un vero e proprio “restauro ecologico” di questo monte singolare, dalla cui sommità, un tempo frequentata da eremiti, S. Francesco di Paola, pellegrino verso la Francia, benedisse la Calabria, ma che ancor’oggi sopporta due giganteschi ed invasivi pannelli della Telecom, per giunta non più in funzione, che deturpano il paesaggio e feriscono lo sguardo di chi ammira la splendida Catena del Pollino. Ciò, anche alla luce dei recenti interessanti rinvenimenti di ordine archeologico . Una diffida alla rimozione è stata inoltrata da tempo, a chi di competenza, dall’Amministrazione Comunale, senza che finora abbia sortito esito alcuno. Si auspica e si attende ora l’emissione da parte del Sindaco di Castrovillari di un’ordinanza di demolizione di quelle orribili “ferraglie”, le quali, peraltro, non sono le sole, anzi, magari lo fossero, a offendere e deturpare le bellezze naturalistiche del nostro Pollino.
11/18 marzo 2007 > San Martino di Castrozza di Eugenio Iannelli
San Martino di Castrozza (1450 m) -nonostante sia già stata meta (nel 2003) di una nostra settimana bianca- ha riscosso notevole successo di partecipazione. Due infatti gli autobus che hanno portato circa settanta sciatori calabresi a godere di questa interessante vacanza fatta di sport e divertimento. Come tutti gli anni efficiente ed ampia l'organizzazione della UISP che ha presentato un programma completo e colmo di interessanti iniziative. Tra queste la consolidata partecipazione degli operatori della Lega Montagna UISP che hanno elaborato ed attuato un programma ad hoc con lo svolgimento di bellissime escursioni con le racchette da neve e l'avvicinamento alla pratica dell'arrampicata indoor. I tenaci sciatori hanno potuto esprime le loro potenzialità sulle piste che vanno dall’Alpe Tognola a Malga Ces, passando per Cima Tognola , Valcigolera e Punta Ces, ben 45 km serviti da impianti moderni e veloci. Il paese é sovrastato dalle Pale di San Martino , un gruppo di vette bizzarre e fantastiche che da secoli affascina alpinisti ed escursionisti, ed è collegato alle altre valli dolomitiche mediante il valico di Passo Rolle (a 1980 m), a sua volta dominato dalla guglia aguzza del Cimon della Pala e con 15 km di piste oltre i 2000 m. Il territorio costituisce il cuore del Parco naturale detto di Paneveggio- Pale di San Martino. Il gruppo CAI/UISP ha soggiornato all’Hotel Belvedere -ottimo albergo dotato di tutti i comfort ivi compresa la piscina, sauna, bagno turco, sala fitness dove nel pomeriggio gli sportivi riuscivano a disintossicarsi dalla fatiche dello sci. Hotel dotato di grandi spazi, curato nei particolari, ottimo nella cucina e con una grande gentilezza ed accoglienza. Già il pomeriggio stesso dell’arrivo, alla segreteria UISP, gli ospiti hanno avuto la possibilità di ritirare la Neveuispcard, iscrivendosi ai corsi collettivi o individuali di Scuola Sci e alle attività della settimana. Così dal giorno dopo, mentre i principianti si accingevano a inforcare per la prima volta gli attrezzi e gli avanzati s???i dirigevano ansiosi verso gli impianti di risalita – molto gettonati sono risultati gli impianti del Tognola -, anche il folto seguito di non sciatori, affratellato alle comitive provenienti da tutt’Italia, ha avuto i suoi incontri ravvicinati con i dintorni innevati. Numerosa nel gruppo la presenza di bambini di tutte le età che si avvicinavano per la prima volta alla pratica dello sci accompagnati da pazientissime mamme che soddisfacevano tutti i loro bisogni rendendo le giornate meno faticose. Gli stessi, dopo la scuola sci, continuavano nel pomeriggio nelle loro attività sportive in piscina o nella sala giochi con l'animazione dell'hotel. Alla sera, dopo una passeggiata e l'acquisto di qualche souvenir sul bellissimo corso del paese montano, tutti insieme, un dopo cena in completo relax nella hall dell'Hotel con uscita finale per trascorrere qualche ora nei locali caratteristici del posto. Anche quest'anno molti sono stati i docenti che hanno partecipato al corso di Formazione e Aggiornamento per Docenti e Dirigenti Scolastici delle Scuole di 1° e 2° grado, riconosciuto dal Ministero della Pubblica Istruzione (DM 177/2000, art. 4), che ha visto la partecipazione, come docente, del bravissimo Maestro e Tecnico federale di sci Andrea Della Valle . La settimana -trascorsa sotto il segno di un fantastico sole- ha consentito a tutti di conoscere l'affascinante realtà di NeveUisp che stupisce con la sua poliedrica capacità organizzativa riuscendo a soddisfare le esigenze degli oltre mille partecipanti provenienti da tutta la penisola. Alla fine della manifestazione un emozionato e soddisfatto Bruno Chiavacci (Presidente della Lega Sci nazionale) ha dato appuntamento ad Alleghe 2008 per festeggiare alla grande il 25° compleanno di questa bellissima e longeva manifestazione.
28 gennaio 2007 > Colle Impiso - Colle Gaudolino di Mimmo Pace
“L’escursione delle sorprese”
L’aprirsi inatteso della boscaglia in una ripida ampia radura, adorna di faggi centenari, resa splendente dallo scintillare delle nevi al sole di un radioso mattino d’Inverno, annuncia all’ escursionista il Colle Gaudolino(m 1684). Sul Colle, stavolta, ci attende una sorpresa. Con nostra grande meraviglia, la rozza, malferma capanna di pastori, al limite del bosco, in cui tante volte avevamo avuto modo di rifocillarci durante le nostre sortite invernali sul Pollino, era sparita ! Al suo posto, come per incanto, sorgeva, aggraziato nelle forme e perfettamente funzionale, un rifugio in miniatura interamente realizzato in legno. Poco dopo, ecco la seconda graditissima sorpresa ! Il localino interno era letteralmente gremito da una briosa compagnia: ben 25 tra Soci e amici del gruppo Speleo del Pollino di Morano Calabro, Presidente compreso, saliti al Colle dal versante opposto, attraverso lo storico e ardito sentiero, che, dai ruderi del Monastero del Colloreto, risale la grandiosa, spettacolare gola a cavallo tra il M. Pollino e la Serra del Prete. Erano convenuti quassù, per festeggiare l’inaugurazione della minuscola struttura. Ci informeranno così, che il simpatico manufatto è stato donato spontaneamente da un imprenditore e che fungerà, sia da ricovero per pastori, che quale punto d’appoggio per qualche avventuroso escursionista. Magnanima, lodevole, oculatissima iniziativa, soggiunge chi scrive, che dovrebbe esser presa come modello ed esempio dall’Ente gestore del Parco Nazionale del Pollino, mediante la realizzazione, non di un’ altra soltanto, bensì, di almeno una trentina di strutture simili, da allogare nei punti più strategici delle Terre Alte del Pollino assurte a Parco. Ciò, se si avesse a cuore, per davvero, di favorire e incentivare almeno le presenze escursionistiche “fai da te”, che, in ultima analisi, attesa l’assoluta carenza di Rifugi ospitali ed attrezzati in tutto questo “po’ po’ di Terre Protette” – 192.000 Ha. circa - , sarebbero, alla fin fine, le uniche possibili e consentite! Altro che in???terminabili giri di scartoffie … insormontabili paletti burocratici anche per un nonnulla -- i “nulla osta facili” vengono invece rilasciati, tra l’altro, per l’orditura di mostruosi cavi e l’elevazione di giganteschi tralicci, che hanno finito col deturpare ed annientare le più belle e verdi valli del Parco -- … completa assenza di idee, ma principalmente di Progetti veri, tesi, non solo a far assumere alle aree protette il volto di un vero Parco e a promuoverne l’immagine, ma che si prospettino anche concretamente redditizi per la Gente del Parco … o … ancor peggio … forme malaccorte e stravaganti di impiego di pubbliche risorse, le quali, in termini di investimento naturalistico, produrranno solo e soltanto un bel niente ! Vivaddio, allora, “Aree Protette” da CHI ? … e contro quali altre brutture, sfregi, e scempi, oltre a tutti quelli già inferti sull’intero volto del Parco e avallati o ratificati bravamente e puntualmente, proprio dall’Organo Tutore ! Ma … bando, in questa sede, ai “processi”, anche se le Comunità sono per davvero stanche ! Onoriamo, per un po’, la calda ospitalità di questi amici, che hanno portato quassù, per l’occasione, ogni ben di Dio: da freschi e profumati salumi, che scoppiettano sulle braci ardenti del grande camino, a gustosi formaggi e a un bicchiere di buon vino. Presto 5 di noi, i più arditi, nonostante l’ora ormai tarda, dopo una breve sosta rifocillante, lasciano l’allegra brigata banchettante e si avviano, chi su ciaspole e chi sugli sci, lungo il ripido, scosceso crinale che risale sulla Cresta NW del Pollino. Nei presi del Rifugetto – altra sorpresa - avevamo prima notato la presenza di una graziosa bimba finlandese, in compagnia dell’atletico papà, sbucato non si sa da dove, che ci aveva chiesto informazioni sul Pollino e poi, senza minimamente scomporsi, s’era subito avviato nella neve alta, con la piccola sulle spalle! A dispetto di questa stagione invernale, voglio sperare solo anomala, caratterizzata da penuria di innevamento, il nostro iter si svolge, con nostra gran???de gioia e sorpresa, su 80 cm. di neve fresca, farinosa, immacolata, o meglio con le sole orme degli scarponi del finlandese, che poi Massimo, l’unico del gruppo a toccare la vetta del Pollino, ci confermerà di aver visto salire fino in vetta con la bimba ! … Potenza e tenacia finlandesi. Luigi, Giancarlo, Alessandro e il sottoscritto, termineremo la nostra ascesa proprio sulla sommità della Cresta per aver modo di ammirare gli stupendi scenari che da lassù si godono, aspetti di un mondo fiabesco ed intatto, che rappresenta l’essenza del Pollino . Queste poche immagini, pur se belle e rappresentative, non indurranno mai le sensazioni e le emozioni di chi ha avuto ventura di vivere quel mondo incantato e solenne. Una facile, briosa, sicura discesa lungo le tracce e, velocemente, facciamo ritorno al rifugio, per ricongiungerci a qualcun altro del gruppo, rimasto in “meno stressante” attesa e intraprendere assieme la via del ritorno. Dal Colle Gaudolino, in breve, in un mondo ovattato, già immerso nelle ombre della sera, scendiamo giù, lungo il bosco solenne, fino a giungere ad un bianco pianoro. Una mezzoretta soltanto ci divide ormai dal posto di parcheggio del Colle dell’Impiso, da dove il nostro iter aveva avuto inizio. Toh! … mi sfuggiva proprio la sorpresa delle sorprese! La tratta di strada montana calabrese, una vera scorciatoia che, attraverso il Colle del Dragone, conduce al Piano Ruggio, proseguendo per il Colle dell’Impiso, forse, per la prima volta da quando esiste, aveva visto, proprio il giorno prima, uno spalaneve all’opera! Ignari di tanto miracoloso evento … ahinoi ! … anche stavolta ripercorriamo, come sempre, un lunghissimo tragitto obbligato di oltre due ore, in territorio lucano, regolarmente transitabile nella stagione invernale ! Frattanto, i raggi del sole, ormai al tramonto, indorano di calde tinte la gelida vetta del Pollino, che da qui, appare un grande cuore di roccia e ghiaccio, che si staglia, nitido, nell’azzurra serenità del cielo.
14 gennaio 2007> Piano di Lanzo - Cozzo Pellegrino di Mimmo Filomia
A.A.A. neve cercasi!…L’appello, accompagnato da riti propiziatori è rivolto da più parti e a madre natura che quest’ anno ci ha regalato un inizio d’inverno mite con scarse precipitazioni nevose. Per fortuna il Parco del Pollino, dove solitamente ci muoviamo, è esteso tanto da suggerirci fianchi di crestoni e sentieri, esposti felicemente a nord, con riserva di neve. La scelta della prima escursione in calendario è unanime e ci vedrà protagonisti in venti sul Cozzo del Pellegrino, (1987 m). Con partenza da Castrovillari la tappa di avvicinamento prevede l’attraversamento di San Donato di Ninea, per poi proseguire fino al rifugio Piano di Lanzo (1352 m). Qui, una breve verifica allo zaino ed alla attrezzatura e via per il sentiero. Sono le 8.30 quando intraprendiamo, sulla sinistra della strada, il Sentiero Italia, identificato col n. 601. Procediamo su sterrato passando alla destra della Madonnina , fino ad incrociare il sentiero derivato n. 621 che conduce a Cozzo Pellegrino. La giornata è stupenda, il cielo particolarmente terso tanto che ci si chiede dove mai saranno andate a finire le nuvole?…Lo sapremo in cima! Intanto incontriamo nei pressi di Piano Puledro (1481 m) le prime chiazze di neve . Man mano che ci addentriamo nel bosco, avvertiamo la necessità di calzare le racchette da neve perché il manto nevoso è sempre più consistente. Poco prima di mezzogiorno, a quota 1600 m usciamo dal bosco. Dopo una breve pausa ristoratrice, affrontiamo la cima dal costone nord . Intanto il sole è declinato oltre lo zenit. La neve durante la progressione in salita si presenta sempre più gelata ma ancora duttile sotto la pressione delle racchette chiodate. Per un brivido in più attacchiamo la vetta in verticale appena sopra l’inghiottitoio… Prove di vertigini! Alla spicciolata siamo in vetta accolti da un fresco venticello, lo stesso imprigiona -sotto di noi- un mare di nubi stratificate e compatte, in quarantena . Sembra siano riunite a convegno su tutta la costiera tirrenica (dal loro assemblarsi si spera venga fuori un comportamento più naturale delle manifestazioni meteo stagionali). In realtà il fenomeno delle nubi stratificate ed estese sul mare su questa cima e dintorni è consueto. Oggi, però, grazie a questo fenomeno, abbiamo avuto la fortuna di osservare alcune isole dell’arcipelago delle Eolie e persino l’Etna con il suo fievole pennacchio; la sua forma a panettone si stagliava nitida su una lingua di mare oltre il banco di nubi sottostanti. Increduli e distratti dalla rara visione, abbiamo trascurato alle nostre spalle la soleggiata catena del Pollino e Serra Dolcedorme, che con ancora i segni di una nevicata natalizia, reclamavano un pizzico d’attenzione!. Li abbiamo immortalati nel loro splendore facendone motivo di sfondo alle nostre foto di gruppo . Intanto il sole, prima di perdersi dietro l’orizzonte rilascia gli ultimi raggi di calore sul costone N-O proiettandovi le nostre lunghe ombre. Questa condizione ha reso il fondo praticabile, facilitando il ritorno, divertendoci a rincorrere la lepre, scarpone su orma, diritto in discesa . Tutti impegnati in una gara d’equilibrio fino a riprendere il sentiero nel bosco. Una breve pausa attorno ad un cumulo di neve, ci riunisce per gustare la prima neve dell’anno addolcita con il mosto cotto (la famosa surbetta). Poi ancora neve sotto le racchette , mentre il sole abbandona gradatamente le vette arrossate. Perfino l’Etna , avvolto in un tramonto arancione rimane visibile all’imbrunire da quota 1500 m. Da buoni estimatori, siamo grati al dio Eolo che dalla sua dimora ha tenuto a bada venti, nubi e foschie per tenerci aperto il sipario per una stupenda visuale. Torno a casa entusiasta di avere dominato e spaziato, su un vasto panoramico territorio, lambito da due mari.