Raccontatrekking 2010
19 dicembre 2010: Pranzo sociale di fine anno di Mimmo Filomia
Un’altra pagina del libro della vita di sezione è stata sfogliata e va ad aggiungersi alle altre che in questi primi 11 anni hanno colorato e sensibilizzato con avvenimenti entusiasmanti la nostra vita associativa. Puntualmente succede con il pranzo sociale; coincide nell’ultima decade di dicembre di ogni anno quando le attività sono quiete in attesa di esplodere con l’inizio dell’anno forti di un calendario fresco di stampa. Ricco di attività escursionistiche allettante ed equilibrato nelle difficoltà delle sue manifestazioni. Da un breve consuntivo, questo anno, come in passato, gli escursionisti del nostro sodalizio hanno avuto modo di spaziare dal più profondo Sud, al più alto Nord godendo delle meraviglie di Pentidattillo e quelle del massiccio del Monte Rosa, passando dal Vesuvio ai Sassi di Matera ed ancora ad Amalfi per un ritorno culturale, religioso sentito e partecipativo. Solo per citare alcune sortite, sul territorio abbiamo visitato siti archeologici e speleologici, ed è stato possibile soddisfare la voglia di praticare l’arrampicata e quella di ricevere nozioni teoriche pratiche di sci da fondo. Nel corso dell’anno, è stata portata a termine l’attività per la nuova segnaletica, assolvendo l’impegno assunto. Fra l’altro, abbiamo riallacciato i vincoli di amicizia con i corregionali cugini CAI, che tanto vale ai fini di portare avanti le attese, se è vero che uniti si è più rappresentati, in seno al CAI Nazionale. Le due belle foto del calendario 2011 distribuito ai circa cinquanta soci intervenuti, al ristorante Agorà, rappresentano due momenti distinti vissuti nel paesaggio del parco Nazionale del Pollino. Si nota come in esso gli escursionisti si muovono da un lato per scaricare l’adrenalina sprigionata su la cengia vertiginosa attrezzata sul Raganello, lato Pietra del Demanio; dall’altro, gli escursionisti in fila indiana, sono preda del riverbero rilassante del sole sulle nevi immacolate e solitarie dei Monti della Luna. La giornata è terminata fra gli auguri di Buon Natale e felice Anno Nuovo, scambiati affettuosamente tra i vicoli con le prime luci accese del borgo appena sopra il Ponte del Diavolo che unisce le due sponde del Canyon Raganello. Buon Anno!
28 novembre 2010: Monte Grattaculo di R. Alois - F. Martino
C'è chi dice che ripetere troppe volte la stessa esperienza porti a mancanza di entusiasmi. C'è chi dice che avere accanto a sè gli stessi compagni di viaggio, porti ad un senso di quasi noia od assuefazione. C'è chi dice che le nostre montagne sono troppo conosciute e scontate. Chi sostiene almeno una di queste affermazioni, non conosce gli amici del CLUB ALPINO ITALIANO di Castrovillari! Ancora una volta ci siamo ritrovati, al luogo convenuto per la partenza, una ventina di soci, entusiasti di condividere l'ennesima escursione del nostro ricco programma che ci porterà sulla cima del Monte Grattaculo, per la prima volta inserita nelle attività 2010 della nostra sezione. Ancora una volta insieme per salire lassù ,"a faticare", a pensare e meditare a fil di cielo di quanto siano incomparabilmente belli il silenzio e la pace. Sentii parlare di questa montagna qualche tempo fà, quando una sera nella sede CAI della mia sezione, si discuteva della segnatura del sentiero che porta alla cima, che è ottava (con i suoi 1891mt) nella classifica delle vette più alte del Massiccio del Pollino. Sentendo questo nome risi tra me, considerando di come possono essere buffi i nomignoli che spesso dalle nostre parti vengono dati a cose o persone! Ma poi guardando con attenzione una cartina generale del Parco mi resi conto che questo era proprio il nome ufficiale di questa montagna.Incuriosita mi affrettai a chiedere agli amici più esperti il perchè di questo nome e la risposta fù che la versione più credibile sia quella dovuta alla presenza in zona di un arbusto ( rosa canina) le cui bacche lanuginose mangiate dagli animali , provoca disturbi tali che le povere bestie si letteralmente sedevano sulle roccette sfregandoci il sedere! Divertita da questo nome, accettai ben volentieri la proposta di Franco di organizzare insieme questa escursione. Siamo partiti con le nostre auto alla volta di Piano Ruggio, uno splendido pianoro carsico che con i suoi vastissimi prati, boschi, la presenza di due fontane, è una località ideale per passeggiate e pic-nic; nonchè punto di partenza per raggiungere le cime principali del nostro massiccio del Pollino. Alle spalle del De Gasperi si imbocca il sentiero N°902, che in poco tempo(circa 2h di cammino) ci ha portato in cima, accolti da un vento sferzante. La sorpresa della giornata è stata la presenza di tanta neve; infatti abbiamo affrontato l'intero percorso indossando le ciaspole: noi amanti della montagna,con l'esperienza, abbiamo imparato ad essere sempre pronti ad ogni condizione di clima, anche se cambia repentinamente nel corso della giornata. Pioggia, vento, neve, ghiaccio...niente ci ferma! Dopo aver scattato un po' di foto ricordo, abbiamo intrapreso la via del ritorno e ,ben presto, raggiunto il capanno accanto al rifugio, dove abbiamo consumato insieme le nostre colazioni sempre con tanta allegria e calore. Non posso fare a meno di considerare di quanto mi dispiace che il rifugio De Gasperi sia chiuso da circa due anni; ricordo quante domeniche (dopo i corsi di sci di fondo o di ritorno da escursioni impegnative) con le temperature spesso sottozero, siamo stati accolti dal gestore Carletto che ci rifocillava con i suoi buoni pranzetti accoccolati al tepore del caminetto sempre acceso... un saluto affettuoso a lui, nel caso dovesse leggere queste poche righe. Il ritorno a casa, sia che affrontiamo percorsi difficili o come in questo caso più tranquilli sentieri, è sempre accompagnato da emozioni che non si cancelleranno mai: emozioni tutte personali che maturano quando in montagna ci vai con umiltà; ad ascoltare, a imparare, ad apprezzare le piccole cose. Chi dice che l'avventura non esiste più, che tutto è stato scoperto e niente più da esplorare, forse si sbaglia di grosso. Sarebbe il caso di guardare dentro noi stessi, di ricercare quei sogni che stanno dentro di noi e che non riusciamo a far emergere per colpa di una società ormai impostata sull'apparire piuttosto che sull'essere. Quei sogni che fin da bambini ci hanno sempre accompagnato nei giochi o prima di addormentarci, che ci mettevano in condizione di scalare una montagna, viaggiare su un'astronave, essere delle belle principesse...Tutto cio' si era addormentato, assopito in me. Con il frequentare la montagna però tutto a ripreso forma, i sogni sono tornati a galla: sono in un certo senso tornata bambina. Con questa domenica si conclude in nostro ”anno escursionistico”; il prossimo appuntamento è per il 19 dicembre con il pranzo sociale. Vogliamo augurare a tutti gli amici, soci e simpatizzanti della montagna un sereno Natale e un felice Anno Nuovo. BUONE CAMMINATE!
14 novembre 2010: Anello del Petina di Domenico Riga
Un nutrito gruppo di grandi e piccini, dai 18 mesi agli “anta”, si sono dati appuntamento allo svincolo A3 di Montalto Uffugo per rinnovare una piacevole tradizione che ormai dura da diversi anni: l’uscita tra il CAI di Castrovillari e l’Associazione “Amici della Montagna” di Bisignano. L’ultima volta che ho visto gli amici del CAI è stata per l’emozionante ascesa sul Monte Rosa di quest’estate, tra ghiacci, seracchi, crepacci ad altezze per noi iperboliche….. Oggi niente di tutto questo, solo una tranquilla passeggiata tra ameni boschi e suggestivi laghetti, tanto che decido di portare mia figlia Cecilia, che ha già al suo attivo un buon numero di escursioni sulle spalle del papà. La speranza è che un giorno possa amare la natura e la montagna quanto la amano i suoi genitori. La scelta dell’itinerario è figlia del desiderio di far conoscere un’area poco nota ai “cittadini”, ma che invece è di estrema importanza, economica e culturale, per le popolazioni locali. Nel Comune di Montalto Uffugo, infatti, ricade una parte rilevante del Parco Naturale della Comunità Montana Media Valle Crati, comprendente il Rifugio "Mangia e bevi", alcuni laghetti per la riproduzione del Tritone Alpestre e della Salamandra Pezzata, un parco giochi, aree pic nic e un piccolo anfiteatro. Ma soprattutto, da qui parte il sentiero del Pellegrino, che tradizionalmente è percorso dai fedeli per raggiungere il Santuario di San Francesco a Paola in occasione dei festeggiamenti del Santo nei giorni dell'1/2/3/4 Maggio di ogni anno. Proprio al valico che collega Montalto Uffugo a Paola, attraversando l'Appennino costiero, è posto il monumento dedicato al patrono della Calabria. La leggenda narra che San Francesco percorresse proprio tale sentiero per raggiungere, dal suo convento, il centro storico di Montalto e proprio per questo la Comunità Montana ha posto alcuni bassorilievi in rame lungo il tragitto che illustrano momenti della vita del Santo. Alle 9,30 partiamo e il primo tratto in salita lo percorriamo fino al monumento, dove una sosta è d’obbligo per riposarci e rendere omaggio alla bellezza del luogo e alla sua importanza storica e religiosa. Iniziano i rifornimenti alimentari, per il momento giusto uno spuntino,le cose serie arriveranno più tardi! Da qui in poi il percorso è una lunga e piacevolissima passeggiata pianeggiante all’ombra di imponenti faggi e su un ininterrotto tappeto di foglie, dal quale emergono, di tanto in tanto, degli esemplari di funghi “ordinati” che qualcuno si attarda a raccogliere rallentando un pò la marcia del gruppo. “Poco male tanto divideremo il bottino”, pensiamo, senza aver fatto i conti con le barriere difensive invalicabili erette dai raccoglitori che fino all’ultimo difenderanno gelosamente il frutto del loro sforzo…. Arriviamo al punto panoramico della Cresta Mercorella, dove un sole quasi estivo ci accoglie: l’ideale per la pausa pranzo! Al solito vino, salsiccia, liquorini, dolci, come si dice in questi casi “è il momento più bello dell’escursione” e anche quanti non si conoscono hanno modo di condividere momenti indimenticabili insieme, in puro spirito “montanaro”. Rinfrancati nello spirito e nel fisico ripartiamo per la progressiva discesa che ci porterà fino al greto del Vallone Petina, punto di raccolta naturale dell’enorme quantità di acqua che scende dai pendii sovrastanti e che rappresenta la vera ricchezza delle coltivazioni agricole del fondovalle. Tutta questa zona è letteralmente tappezzata di enormi formazioni di muschi (in alcuni tratti si potrebbe addirittura camminare scalzi!) e qui si percorre uno stretto e suggestivo sentierino che ridiscende il corso d’acqua e consente, con brevi digressioni, di osservare piccole cascate e tratti rocciosi la cui bellezza rappresenta la degna chiusura di un’altra splendida giornata passata con grandi amici uniti da una grande passione. Si vede che siamo sereni e rilassati perché trascorre una buona mezz’ora prima di mettere in moto le auto e riprendere la strada del ritorno. Un affettuoso abbraccio a tutti!!
24 ottobre 2010: Periplo del Vesuvio di Mimmo Filomia
Non è dato a tutti avere la possibilità di compiere il percorso ad anello del Vesuvio, attorno a quota 1000m seguendo le indicazioni di una guida d’eccezione qual’è il prof. Onofrio Di Gennaro. Oggi, infatti, l’amico affettuoso, conoscitore di quasi tutti i vulcani della Terra, già consigliere nazionale del CAI, ci ha deliziato, in qualità di vulcanofilo, nell’illustrare tutte le sue conoscenze ed esperienze durante il periplo del Vesuvio. Lo ha fatto, da napoletano radicato, attento studioso del vulcano; ne conosce il vissuto e ne segue il processo evolutivo, attraverso l’analisi dei più insignificanti gemiti di questo, amato odiato, colosso dormiente. Ė amato dai residenti dell’area, per una sorta d’attaccamento morboso alla montagna e alla fertilità dei suoi territori adiacenti; odiato, per le morti e distruzioni che provoca alle genti che dimorano alle sue pendici, quando si agita per espellere, piroclastiti, materiali incandescenti, proveniente dalle viscere della terra. Sono 18 i paesi ad alta densità abitativa che passiamo in rassegna dalla sommità resa agibile e confortevole nel suo sviluppo panoramico a 360 gradi. La base della piramide del Vesuvio misura circa 50 Km. La bocca eruttiva, del suo cratere sommitale, dopo l’ultima eruzione del 1944, misura un diametro di 500 m. La sua altezza, dai detriti interni si eleva per 300 m. Il Vesuvio è una montagna cannone che nel tempo, ad ogni eruzione violenta, appiattisce la struttura del suo edificio vulcanico. Lo dimostra il fatto che all’origine (400.000 anni fa) monte Somma era alto circa 3000 m e per via delle continue eruzioni esplosive, (citiamo,79 d.c. Pompei) di lapilli e gas ed effusive, di lava, nei millenni è sprofondata su sé stessa fino ad adagiarsi a quota 1277m. Dall’ultima eruzione, il Vesuvio ha perso il caratteristico pennacchio che lo contraddistingueva. La fuoruscita del fumo veniva dal piccolo cono andato distrutto. L’orifizio comunicante con la camera magmatica che si agita a circa 10 Km di profondità ora è ostruito, per circa 800 m. Le fumarole che abbiamo osservato, nel freddo del mattino, sono l’effetto di uno scambio di calore roccia aria; tradiscono la vitalità del vulcano, che in realtà è in stato di calma attiva. Abbiamo deliziato lo sguardo osservando, una volta tanto, dal costone panoramico, 1180 m del gran cono del Vesuvio, il golfo di Napoli, la sottostante grigia Valle dell’Inferno e le sagome offuscate di Capri, Ischia e Procida. La visuale suggestiva prosegue, ma cambia lo scenario, che ora è quello della piana campana, intensamente coltivata e fortemente antropizzata. Man mano che si scende lungo un comodo sentiero attrezzato, sono evidenti i sensori che collegati all’osservatorio tengono il vulcano costantemente sotto controllo. Un modo di testare e monitorare nel tempo il vulcano è quello di conficcare, per alcuni metri, un cuneo di legno nel terreno. Laddove la sonda sprofonda nel sottosuolo, significa spaccature interne per attività magmatica prossima; ma si sa, il vulcano, per i suoi precedenti, fa sempre paura per l’imprevedibilità nel manifestarsi. Dopo un breve salto nel bosco tra polvere e lapilli, incontriamo la roccia lavica attaccata dal lichene “stereocaulon vesuvianum” che ne cambia il colore in chiaro e la sgretola. Nel proseguire sul sentiero, intelligente, reso tale per via di locandine esplicative, incontriamo le Giacche Verdi a cavallo (A.N.Gi.V.) che sorvegliano il Parco Nazionale del Vesuvio; con loro ci intratteniamo su un vasto pianoro al cospetto del fronte orientale del Vesuvio per la foto ricordo. Camminando, sempre attraverso un sentiero di granelli di lapilli, sulle rovine che restano dell’ormai primordiale edificio vulcanico giungiamo, nei pressi del punto panoramico di Cognoli, ad una spaccatura profonda, a passo d’uomo, nel fianco del vulcano da dove, in passato, c’è stata una fuoriuscita effusiva di lava. La stessa rotolando e raffreddandosi ha creato delle composizioni singolari a corda molto suggestive. La vegetazione spontanea, arbustiva, incomincia a prendere dimora del luogo con varietà di muschio, ginestra, rovi, valeriana, mentre il pino d’Aleppo per intervento forestale ha già creato habitat per colonie di funghi. Scendendo divertiti ancora tra polvere e lapilli, ci accoglie una radura detta Anfiteatro dove giacciono grossi macigni (bombe) proiettati dalla furia eruttiva. Qua, sono visibili straordinari dicchi, formazione di lava estrusa, appuntiti e ad archi. Noi ne approfittiamo per la pausa colazione e per coniare il brindisi augurale di lunga vita ed amicizia; non disgiunto da quello di tranquillità, per tanti secoli ancora, per questa meravigliosa icona che attira a sé lo sguardo di milioni di persone che si pregiano di condividerne il destino.
10 ottobre 2010: Speleotrekking, grotta di Panno Bianco di Mimmo Filomia
Questa domenica, il fascino e l’emozione di andare in montagna ci hanno gratificato non per avere raggiunto una vetta ma per esserci inoltrati, appena nelle sue viscere buie, alla ricerca di tesori naturalistici, nascosti da millenni. Il complesso montuoso del Sellaro (1436m) nelle pieghe delle sue ferite carsiche, ci ha riservato una affascinante sorpresa. L’anticima orientale al Sellaro, nota per ospitare, incastonata alla roccia, il santuario bizantino della Madonna delle Armi, custodisce -in uno dei suoi vuoti carsici- stalattiti, stalagmiti, colonne, nicchie e varie forme di concrezioni d’interessante formazione calcarea. La porta d’accesso della grotta è una piccola feritoia appena visibile nella roccia, mimetizzata nella boscaglia. Per la visita alla grotta è necessario il casco e la lampada frontale, utili a superare prima uno stretto cunicolo, e poi un diaframma semi aperto, ma soprattutto la curiosità di conoscere ciò che custodisce la terra nel suo grembo. Il camminamento iniziale a passo d’uomo, consente l’esplorazione agevole a tre individui per volta più la guida. La grotta carsica, al momento della nostra esplorazione è priva d’acqua, di detriti da cedimenti e di guano. Ė una cavità chiusa con l’asse allungato e leggermente inclinato. Presenta, nel suo sviluppo di circa 50 metri, tre piccole sale le cui pareti e le volte sono incise da concrezioni carbonatiche conseguenti al lavorio incessante e millenario dell’acqua sulla roccia calcarea. Il colore delle forme dipende dagli elementi che compongono la roccia. L’acqua filtrando dall’alto (carsismo) trascina il calcio e lo deposita in carbonato di calcio, con lento processo chimico in cui intervengono, anidride carbonica e temperatura. Alla luce della lampada frontale a carburo, brillano le gocce d’acqua sulla punta di alcune stalattiti, sorprese nel momento della semplice reazione chimica (stillicidio). Durante la visita si ha la sensazione di imbattersi in una dimora antica profanata e spoglia della divinità ma ricca d’ornamenti. Durante la breve permanenza in grotta, rapisce la sensazione piacevole e confortevole, per la coreografia cangiante su una scena fatta di luci, ombre e forme. Alle stesse viene facile assimilare modelli e manufatti ricorrenti della nostra vita. Si osservano increduli: capitelli, colonne, canne d’organo, drappeggi, statuine, nicchie, colate marmoree fuoriuscite da chissà quanti millenni! Le forme di concrezione, sorprendono per la similitudine ad opere architettate dagli uomini per abbellire scorci di dimore divine! La natura, certamente, nel suo processo di trasformazione è chiamata a suggerire forme ed idee all’uomo; sia esse provenire dal buio dell’ipogeo, che dalla superficie terrestre. La grotta di Panno Bianco, prende il nome dall’omonima montagna che si erge proprio sopra l’abitato di Cerchiara di Calabria. Questo sito, catalogato di facile esplorazione, in catasto dal 1988, è curato dal Gruppo Speleo Sparviere. È un fiore all’occhiello per gli speleologi locali, impegnati nell’opera di divulgazione e nello stesso tempo di tutela di un ecosistema sotterraneo e fragile. L’area carsica, circostante il Monte Sellaro, rappresenta la porta orientale aperta sulla marina jonica per chi vuol entrare nel Parco del Pollino. È un ottimo biglietto da visita per chi con la natura vuol trascorrere il suo tempo libero per praticare, trekking, torrentismo, speleologia, vie ferrate, pellegrinaggi. Il fenomeno carsico più consistente è l’Abisso del Bifurto, chiamato anche “Fossa del Lupo”. Profondo 683 metri, si sviluppa ad asse quasi verticale con più sezioni di calate, molto tecniche ed impegnative. La sua buia vora d’ingresso, è nelle vicinanze dell’area attrezzata omonima, proprio all’inizio del nostro sentiero lastricato. Il sentiero costeggiando il Parco comunale della Cessuta, conduce sulla parete Nord orientale di Panno Bianco. Il vuoto oscuro di questa grotta, nonostante le piccole dimensioni, contiene quasi tutte le specie di concrezioni carbonatiche; quante bastano, a capire e stimolare in estemporanea, l’interesse verso i principi di geomorfologia di cavità.
5 set 2010: Lungo il Raganello … per la via delle capre di Mimmo Pace
Raganello, incalzante successione di impatti ambientali, sfarfallio di riflessi multicolori, paesaggi danteschi, gorgogliare di marmitte, prodigio delle forze della natura, paradiso dei torrentisti… ma non solo. Ai più audaci, esso propone emozioni forti, attraverso la pratica del torrentismo tecnico: un mix di alpinismo e speleologia. Lungo il corso del canyon, sono presenti alcune forre a sviluppo verticale, anche di 400 - 500 metri, come quelle del Grimavolo e del Caccavo, le quali esigono capacità, tecnica e una buona dose di coraggio per discenderle. Ma v’è l’ennesima attrazione che il Raganello riserva: un sentiero, o meglio, una traccia che corre per 3 Km circa su di una cengia naturale, lungo la parete Nord del canyon e che si affaccia su paurosi strapiombi. La gente del luogo, la chiama “Via delle Capre”, perché era frequentata da pastori, costretti a recuperare le greggi, attratte dai verdi pascoli erbosi che orlano la cengia. Bene attrezzato ed equipaggiato, il gruppo di intrepidi del CAI di Castrovillari, tra cui membri del CNSAS Pollino Calabria e di alcuni appassionati amici di Matera è già pronto per la sortita. Prima che l’avventura inizi, ci godiamo lo splendido scorcio aereo sull’alpestre paesello arbëreshe di Civita, che la sommità della Pietra del Demanio ci propone. Percorriamo ora una traccia che corre proprio sull’orlo del dirupo, con diverse visioni mozzafiato. Un capovaccaio volteggia alto, nel cielo blu, rare orchidee selvatiche e gigli tigrini sul nostro cammino. Presto giungiamo al punto di attacco della cengia; ormai la scorgiamo, è proprio sotto di noi: ci caliamo giù e l’avventura inizia. A volte, la traccia si slarga in ampi spiazzi di verdi pascoli, impreziositi dalla macchia mediterranea; a volte corre esile, strettissima, sull’orlo del baratro. Il torrente scorre, tortuoso, mezzo chilometro più giù: il suo brusio sommesso risale dalle profondità della gola. Parecchi sono neofiti per tal genere di imprese e nonostante il batticuore, affrontano con discreta disinvoltura qualche passaggio da brivido. Alcuni tratti sono attrezzati e a rifletterci bene, è solo in quei punti che si procede in sicurezza; altrove basterebbe perdere l’equilibrio per ritrovarsi giù, in fondo al dirupo. La marcia prosegue tra imponenti pareti di rocce policrome, sotto ciclopiche tettoie naturali, inseguendo scenari fiabeschi. Il tempo necessario per una foto ricordo e poi avanti ancora, su per la cengia. Un piccolo gruppo giunge, in avanscoperta, fin nei pressi della forra del Caccavo, più oltre non si va, meglio non azzardare, meglio chiudere in bellezza, magari con un’ arrampicata entusiasmante. Massimo e Tonino scrutano il ciclopico bastione che ci sovrasta e decidono il punto di attacco. Dovremo risalirlo per ritrovare la stradella che ci riporterà al punto di partenza; diversamente saremo costretti a ripercorrere a ritroso la cengia. Tonino s’inerpica come un ragno fin su e assicura una prima corda; Massimo apre una seconda via ancora più impervia ed è costretto a piantare in parete qualche chiodo. Da giù osserviamo il suo gesticolare; i colpi di martello riecheggiano, perdendosi nelle profondità della gola. Finalmente, alla spicciolata, il gruppo può arrampicare in sicurezza, pur se qualche brivido è inevitabile, evviva la sincerità! L’adrenalina corre, specie quando sei giunto su, ti rigiri e vedi i tuoi compagni, piccini piccini, ancora laggiù. Poi, quando ci si ritrova di nuovo tutti insieme, sei doppiamente felice, di poterli riabbracciare, e di aver vissuto intense emozioni, grazie soprattutto alla solidarietà dell’intero gruppo.
28/30 luglio 2010: Riflessioni per una sortita alpina...... di Mimmo Pace
Gioisco tanto, ogni qualvolta posso rievocare, pur se per immagini e riflessioni, le avventure vissute dal CAI di Castrovillari sulla Grande Montagna; ancor più per questa ultima su per i “4000 del Monte Rosa”, poiché ho avuto ventura di viverla assieme a due miei figlioli, Francesco e Mariella, compagni fedeli di mille sortite. Le emozioni vissute sono stampate sui volti dei protagonisti, gli scenari parlano essi stessi un linguaggio universale, sarebbe pura presunzione provare a interpretarle o a descriverli, meglio, forse, alcune considerazioni di carattere generale. È quanto mai riduttivo considerare la Montagna unicamente un monumento di roccia, di neve e di ghiaccio. Essa non esaurisce nella vetta la sua valenza paesaggistica, non ha un solo volto, ne possiede mille, dissimili l’uno dall’altro. La “varietà ambientale” si basa sulla presenza di fattori diversi, come l’altitudine, la diversità delle rocce, i ghiacci, le acque, la morfologia dei solchi vallivi, il manto forestale, le praterie, il pascolo, i coltivi, i quali concorrono a costruire “l’ambiente montano”. Indubbiamente, la Montagna è guardata con occhi diversi: il turista ne considera il solo aspetto estetico e ne apprezza la bellezza, col tipico distacco di chi non è interessato a conoscerla in maniera approfondita, l’alpinista, invece, ne analizza subito ogni canalone, ogni pilastro, ogni cresta, ogni fessura, i suoi occhi tracciano una linea immaginaria che corre, dalla base alla vetta, mentre il pensiero va elaborando un rapido calcolo degli ostacoli da superare. L’escursionista-fotografo riesce, forse, a vivere la montagna con un equilibrio maggiore, è molto desideroso di esplorarla, ma non è così tanto coinvolto da farne una ragione di vita! Oso appunto collocare la mia persona in questa terza categoria di fruitori, innamorati della Montagna: quelli che, cogliendone ogni aspetto con le immagini, tentano di estrarne l’essenza più autentica, proponendola, poi, agli altri con il più profondo appagamento. Sicuramente la Montagna, quella vera, costituisce un trampolino di lancio per la fantasia dell’appassionato, un rifugio del pensiero e dello spirito, uno spazio libero per l’immaginario. Impone però sue regole e sue leggi, che dovrebbero essere il credo per ogni suo fruitore. Se l’Alpinismo, oggi divenuto uno sport abbastanza diffuso e di moda, ha la potenzialità di plasmare degli uomini e di allargare i loro orizzonti, il contatto con la natura grandiosa della Montagna induce sensazioni e suggerisce riflessioni interiori, che stimolano la crescita dell’Uomo che è in noi. V’è, però, il rovescio della medaglia: quel genere di Alpinismo, animato da una ”carica agonistica” così esagerata, da sospingerlo, a volte, verso limiti assurdi e inaccettabili. Una cordata può, in un certo senso, esprimere i valori positivi e negativi della vita: l’amicizia, la collaborazione, la generosità, ma anche la paura, l’egoismo, l’autostima esasperata! Sarebbe necessario e sufficiente solo: “darsi una regolata”. Cosa spinge noialtri a quelle altezze, se non la gran sete di avventura, di scoprire luoghi incantati, di provare emozioni mai vissute, strettamente legate alla gran voglia di misurarci con noi stessi e il tentativo di instaurare, nel clima dell’azione, un istintivo, ancestrale dialogo con la Natura! L’incanto, la musica dei sentimenti è la stessa Natura ad orchestrarli, con il mutevole connubio di forme, esaltate talora da luci accese e penetranti, avvolte, tal’altra, da ombre tenui e ovattate, quali appunto il poetico tramonto e la fulgida aurora che abbiamo potuto vivere dall’alto dei quattromila della Punta Gnifetti. I Lyskamm, la Nordend, la Dufour, la Zumstein, la Parrot, la Vincent, come si può non rimanere affascinati, attoniti, stupiti, di fronte a quei colossi dalle intatte cornici di neve! Si provi ora, solo per un pò, a immaginare il candido, solenne, grandioso Massiccio del Rosa, scintillante di nevi e di ghiacci, completamente spoglio per l’incalzante riscaldamento terrestre e si rifletta; la nostra è una generazione di fortunati, cui è dato ancora vivere tali meraviglie, mentre folli e avidi criminali perseverano, imperterriti, nell’opera di devastazione planetaria. Scendendo dalla Piramide Vincent, il nostro ultimo 4000, il ghiacciaio si apre in paurosi crepacci, sul nostro cammino un groviglio di seracchi, veri palazzi di gelo in equilibrio instabile, già, i Ghiacciai! Essi affascinano perché si muovono con tempi umani: avanzano nei periodi freddi, arretrano in quelli caldi. Da cent’anni, la temperatura in continuo aumento li sta consumando: sulle Alpi il 40% della loro consistenza è già sparita, ogni anno metri e metri in meno di lunghezza e di spessore, nuovi laghetti li costellano, nuovi torrenti serpeggiano sul loro dorso, laddove c’era solo ghiaccio, ci sono ora solo sfasciumi morenici. Se la “febbre della Terra” continuerà a crescere, la loro bellezza diverrà sempre più una rarità. Nuove ere glaciali forse avverranno in un remoto futuro e nuovi imponenti ghiacciai forse si riformeranno, ma a vederli non saranno le nostre prossime generazioni. Siamo felici e orgogliosi di ritrovarci in seno al prestigioso Club cui apparteniamo: potremo così scoprire e fruire ancora di tante nuove meraviglie che la Montagna racchiude e continuare a porre, alla pubblica opinione, tali “ineludibili problematiche”. Questa la nostra “passione”, questo il nostro “credo”. Sulla via del ritorno, un po’ melanconici per l’incantesimo svanito, un pò provati dalla fatica, ma, arricchiti interiormente e “ancor’ ebbri di montagna”, già sogniamo ad occhi aperti la prossima avventura.
28/30 luglio 2010: Quattro 4000m nel massiccio del Monte Rosa di Mimmo Filomia
Con una tre giorni fruttuosa gli amici del Cai di Castrovillari si sono portati nuovamente sul massiccio del Monte Rosa -nelle alpi Pennine- dove hanno raggiunto 4 vette oltre i 4000 m. Siamo tornati di nuovo in vetta! Quella tosta, sublime che consente di tenere la testa nelle nuvole e nell’atmosfera più alta e più pura, riservata agli intrepidi che osano. Dopo un anno d’allenamenti con l’assidua frequentazione della montagna, con escursioni mirate a vincere i dislivelli del massiccio del Pollino, ottimo banco di prova, per abituare il fisico e la mente ad una performance in alta quota, siamo tornati nel cuore delle Alpi alle prese con il massiccio del Monte Rosa. L’appellativo al massiccio, trae origine dall’antico nome celtico “roëse” che significa ghiacciaio. Per la seconda volta, a distanza di sei anni, ma con più ampi orizzonti, si è puntato su una delle più alte vette alpine, Punta Gnifetti 4554m dove c’è la Capanna Margherita. Ė il rifugio più alto d’Europa, ritenuto un santuario per gli escursionisti che -almeno una volta nella vita- gli devono un pellegrinaggio per esultare alla bellezza del creato e per trascendere alle sue stesse origini. Il rito spontaneo, liberatorio, e corale, poi, di levare le mani al cielo per essere giunti sul gradino più alto, è un ringraziamento alla buona sorte. Un gesto, quest’ultimo, che persegue ed anima lo sportivo che si cimenta con le proprie forze in imprese, in cui la fisicità è subordinata alle forze esterne: freddo, ghiaccio, rarefazione dell’aria. Significa anche scrollarsi di dosso la quotidianità per esaminarla scorporata da tutte le banalità di cui si nutre, al cospetto di un macrocosmo corrugato, incantato, concentrato intorno a noi che riconduce alla fragilità umana. Il Rifugio Capanna Margherita è anche un osservatorio; un occhio magico su quasi tutte le Alpi, dedicato ed inaugurato dalla Regina Margherita di Savoia nel 1893, già allora frequentatrice appassionata dei luoghi. Da allora sono cresciuti gli appassionati di montagna che si beano restando in contatto ravvicinato con i suoi giganti emergenti dall’alba al tramonto. A vederli nella loro disposizione casuale orogenetica, sembra che tutti: picchi, guglie, cime, vogliano emergere, infreddoliti dalla morsa del ghiaccio, per guadagnarsi il primo e l’ultimo sole del giorno. Su questo paesaggio poco terrestre, gli elementi della natura si divertono cambiando continuamente scenografia. Il calore, imprigionato nelle valli ed abissi, sale lentamente lungo le pareti, trasformandosi in vaporosa panna. Avvolge schiere di nubi in affannosa ascesa; i raggi del sole poi, la trafiggono ed il gusto è servito per gli attenti osservatori di panorami con effetti speciali. Di notte, quassù, sembra di essere catapultati in un ambiente surreale. L’argento vivo fa brillare le costellazioni celesti amiche dell’uomo. Le stelle sono più nitide, perchè sgombre da pulviscolo, perciò ancora più vicine. Si confondono con l’argento riflesso dalla neve, complice la luna, sui coni rovesciati e le silhouette granitiche che si stagliano fino a pungere il cielo stellato. All’alba, il sole, puntuale e geometrico lancia la sua prima retta di luce a sua altezza il Monte Bianco, man mano, il pennello solare arrossirà le altre circa settanta vette sui quattromila di questo arco alpino. Il panorama a 360° dall’osservatorio, ti costringe a schiacciare il naso sul vetro dell’oblò per seguirne i confini; senza contare le sensazioni e riflessioni soggettive confortevoli che ne scaturiscono. Per questo motivo è un punto ambìto da pittori, poeti, fotoamatori, ricercatori, semplici appassionati. Le nostre cordate, lo hanno raggiunto con una performance di sei ore; a passi lenti e continui, sul ghiacciaio del Lys investito in alcuni tratti da nevischio, vento e temperatura attorno a -12 gradi. Non è bastato questo ad impensierirci! In quattordici, suddivisi in quattro cordate d’intrepidi alpinisti, ci siamo adattati ad un ambiente lontano dalle nostre latitudini. La tappa d’avvicinamento, ambientamento alla quota, è iniziata il giorno precedente da Gressoney lungo la valle del Lys; con tre salti di funivia e l’attraversamento a piedi dell’ormai ridotto ghiacciaio dell’Indren. Guadagniamo cosi, la quota 3500m del rinnovato Riugio Città di Mantova, dove pernottiamo. Il secondo giorno, ascensione alla Punta Gnifetti; ci uniamo in processione alle tante altre cordate che parlano lingue diverse ma sorrisi e condivisioni d’intenti uguali, come affermare che ciò che la città divide la montagna unisce. Ogni cordata è condotta da una guida alpina che tiene gli “alpinisti” imbracati trattenendoli in sicurezza. Con non poca fatica, quando il sole è allo zenith, finalmente, una dopo l’altra le cordate sfilano davanti alle bandiere della Svizzera e dell’Italia poste davanti il rifugio, al confine delle due nazioni. Il rifugio -posto su uno strapiombo vertiginoso- rappresenta un’oasi per chi vi arriva stanco ed infreddolito. È una bolla d’aria sospesa in cielo, entro la quale, viene fuori lo spirito di comprensione ed adattamento reciproco. L’interesse prioritario è quello di condividere a 360° le suggestioni che il panorama ciclopico regala sui monti più noti: Monviso, Gran Paradiso, Monte Bianco, Cervino, Lyskamm, Dufour, Zumstein. Il terzo giorno sveglia all’alba, si fa per dire, per chi è riuscito a dormire; in realtà si avverte nervosismo celato e un gran desiderio d’aria fresca. All’alba, dopo colazione, tutti alle prese con l’equipaggiamento (imbraco, ramponi, bastoni). Si parte per affrontare, la discesa dalla Capanna Margherita, per poi risalire e mordere, con l’adrenalina a mille un sentiero vertiginoso, abissale a schiena d’asino, per la cima più alta delle quattro raggiunte, Punta Zumstein (4583m). Il buon giorno si vede dal mattino! Questo è radioso, per affrontare sulla strada del rientro il Balmenhorn (4167m) -il Cristo delle vette- benedicente i pellegrini in transito, numerosi, e l’intera vallata del Lys che degrada verso Gressoney. Il posto è ideale per godersi il panorama su tutto il ghiacciaio e prendere l’abbronzatura appena sotto il Corno Nero. Scendiamo per la parete attrezzata del Cristo delle vette, per fare posto ad altri escursionisti che incalzano. L’umore è buono, tanto che si ha voglia di scherzare, cosi al colle -sotto la Piramide Vincent- passiamo per le armi con i bastoni incrociati, l’ultima cordata accolta poi con un battimani. Ormai è fatta! Resta solo l’ascensione al cupolone di ghiaccio della Piramide Vincent (4215m) che in poco tempo è raggiunta dalle quattro cordate. In cima l’entusiasmo sprizza dai pori, per avere creduto nelle proprie forze e per la bellezza del panorama che si spinge dalle sottostanti vallate: Alagna, Gressoney, Champoluc fino a spaziare sulle alpi Marittime e Monte Bianco. Scendiamo a malincuore dal vertice ventoso di questa piramide. In cuore, però siamo sazi di neve, di cime, di quote, di picchi, corni, seracchi. Suggelliamo il momento con un corale abbraccio e la consueta foto ricordo, noi, Rossella Alois, Mariarosaria D’Atri, Mariella Pace, Giovanni Ferraro, Mimmo Filomia, Franco Formoso, Salvatore Franco, Eugenio Iannelli, Mimmo Mandarino, Francesco Pace, Mimmo Pace, Alessandro Veneziano e Domenico Riga e Giuseppe Viggiani del CAI di Cosenza, unitamente e fraternamente agli accompagnatori, Simone, Felice, Alberto e Bruno, guide di Gressoney.
28/30 luglio 2010: Il gruppo escursionistico nella terra dei Walser di Chiara Pace
Il gruppo escursionistico, che nella recente sortita valdostana, ha affiancato quello Alpinistico, ha intrapreso percorsi ben più agevoli, ma senza meno interessanti, sia dal punto di vista culturale, che naturalistico e paesaggistico. Tre giorni di “full immersion”, a contatto con la natura, la cultura, la storia, in compagnia di Sergio, che, con energica competenza, è stato il nostro paziente e infaticabile Virgilio. Lo sfondo, presente in ogni scorcio, in ogni panorama, con la sua imponenza … sempre lui … il Massiccio del Rosa, con le vette dei Breithorn, del Castore e Polluce e dei Lyskamm. Ci ha ospitato la Valle di Gressoney o del Lys … Terra dei Walser, una moltitudine di popolo, che, tra il XV e il XVII secolo, lasciò il Vallese per colonizzare il Sud del Rosa. Il primo nostro approccio è stato Castel Savoia, fatto edificare da S.A.R. Umberto I per la consorte Margherita, la cui passione per questa vallata alpina e per la grande montagna che la sovrasta, ha promosso fama e fortuna per questa terra. Mentre il Gruppo Alpinistico, sfidando le incerte condizioni del tempo si cimentava nella risalita del Ghiacciaio di Indren, per raggiungere il Rifugio Città di Mantova, il Gruppo Escursionistico fruiva un interessante itinerario culturale, visitando il Forte di Bard e girandosi l’Aosta antica. Il forte è una struttura difensiva imponente, composta da tre corpi di fabbrica altimetricamente sfalsati, eretto in posizione strategica su di uno sperone roccioso all’imbocco della Valle d’Aosta. Distrutto dalle truppe napoleoniche nel 1800, fu ricostruito dopo un trentennio e adibito a prigione militare e a deposito di munizioni. Oggi è sede dell’avveniristico Museo delle Alpi, che, con l’ausilio di moderne tecnologie audiovisive, in circa 30 sale, consente ai fruitori uno stretto e coinvolgente contatto con le Alpi, facendone palpare con mano ogni aspetto … da quelli prettamente tecnico-scientifici, a quelli naturalistici ed anche antropologici. Dalla sommità della fortezza, cui si giunge grazie a singolari ascensori panoramici, si ammira la profonda valle, segnata dal fluire delle smeraldine acque della Dora Baltea. Non si poteva andar via, però, senza aver visitato anche il borgo medievale, sorto lungo la strada romana e sito ai piedi della rocca, come pure lungo il tragitto di ritorno, alcuni castelli valdostani … di Verres, di Fenis e quello dei Signori di Quart. La visita ad Aosta – l’antica Augusta Praetoria - , un gradito fuori programma, ha toccato le tappe obbligate della città che fu avamposto romano: l’Arco di Augusto la Porta Praetoria, gli scavi archeologici del Teatro Romano, la Collegiata e il Chiostro di Dant’Orso, la Cattedrale. Di sapore decisamente escursionistico e in linea con lo spirito del CAI, l’itinerario del giorno successivo: superando un dislivello di quasi 850 metri, tra funivia e seggiovia, è stato possibile un autentico salto dalla Valle del Lys a quella d’Ayas. Dal Colle di Bettaforca, balconata panoramica sul Massiccio del Rosa, che da lassù sembrava così vicino, da potersi quasi toccare, col pensiero sempre rivolto all’intrepido Gruppo Alpinistico che si cimentava nell’ascesa di ben tre 4000, con un’agevole passeggiata lungo il Vallone della Forca, abbiamo toccato il Rifugio Ferraro. Energica e ospitale, nonché esperta veterana dei 6000 e in procinto di sfidare un 7000, la proprietaria, che ci ha fatto gustare dell’ottima polenta, innaffiata da un soave Barbera. Un’ ombrosa stradella ci ha condotto all’incantevole Piano di Verra, da cui abbiamo intrapreso un sentiero, che con un modesto dislivello porta alla meta della nostra escursione: il Laghetto Blu, adagiato sotto la morena del ghiacciaio di Verra, che, nel turchino intenso, riflette l’imponente sagoma rocciosa della Rocca di Verra. Godutoci lo spettacolo, abbiamo proseguito lungo il lago fino a un belvedere, che offre un singolare colpo d’occhio sull’antico letto del ghiacciaio e sulle vette del Rosa. Il ritorno al pianoro ... una foto ricordo … e tutti giù verso St. Jaques, dove ci attendeva il bus. Un tantino più impegnativo l’itinerario propostoci da Sergio l’indomani: una sortita sulla Punta Regina – 2388 m – per il Colle della Ranzola; un rilievo erboso, aspro e tondeggiante posto lungo la dorsale che si erge tra le valli d’Ayas e del Lys e il cui toponimo si deve alla Regina Margherita, che lo ascese nel 1898. L’anello si apre con una entusiasmante e panoramica salita in seggiovia a Weissmatten: da qui, un sentiero ameno, a tratti aereo e scosceso, spesso avvolto nel cupo verde, porta prima al Colle della Ranzola e poi in vetta, per fruire di orizzonti smisurati sulla catena alpina. Il colle non ha solo valenza militare, testimoniata dal muretto a secco eretto dalle truppe austriache e russe per difendersi da quelle napoleoniche nel 1800: sotto una statua della Madonna allogata sul muretto, è ben visibile la targa a ricordo dello scrittore russo Lev Nikolaevic Tolstoj, peregrino in questi luoghi. Con l’ascesa a Punta Regina s’è conclusa la breve e intensa puntata nella Valle … ma una nota la merita appieno la nostra guida Sergio … competente, energico, disponibile, paziente, ha condotto e seguito l’intero gruppo, sforzandosi a interpretare le non poche “esigenze” manifestate strada facendo … ed anche il piccolo Daniele, la giovanissima e ormai consolidata mascotte, che, sempre in testa al gruppo, spesso, via facendo, scrutava pensieroso il Rosa … impaziente di sapere se … gli intrepidi del primo gruppo, nonno e zii compresi, fossero riusciti a scalare tutti quei 4000 !! La sera, a cena, vicendevoli elogi e brindisi … col mirto di Mimmo Pace e lo spumante di Giovanni Ferraro … a festeggiare l’impresa e consolidare l’ amicizia e la coesione del gruppo.
18 luglio 2010: Torrentismo nelle gole alte del Raganello di Mimmo Filomia
Nella descrizione di questa briosa escursione, mi rivedo prima dell’ultimo salto sulla sponda orografica sinistra del torrente, seduto su uno dei due grossi macigni posti -dalla furia della natura- a fungere da tappo all’ingresso del canyon. In pochi attimi, mi tornano in mente, senza svanire, le sequenze a ritroso del film delle azioni di giornata. Solo cinque ore prima eravamo passati sotto lo stesso masso contorcendoci tra la stretta apertura, proprio come aveva fatto l’acqua passando nel foro del troppo pieno. Ogni racconto di queste escursioni è diverso dall’altro, perché ogni anno, il fiume consegna a chi intraprende la sua risalita nuove aperture, insenature, passaggi obbligati con grado di difficoltà variabile come la portata dell’acqua. Insomma, per certi aspetti, nella gola si rivive in modo naturale e selvaggio quello che offre in forma esasperata l’acqua park. La megastruttura artificiale per giochi acquatici ogni anno si aggiorna, ma non come la nostra gola con le sue piene creando ostruzioni e nuovi passaggi per catturare visitatori, in cerca di sorprese ed imprevisti singolari. Ci lasciamo carrucolare uno per volta, nelle acque del fiume, come bruchi con l’ausilio della corda appesa ad un provvidenziale tronco trascinato e incastonato dalle precedenti tumultuose piene. Iniziamo il percorso cercando di schivare l’acqua saltando divertiti sulle pietre. Ben presto ci accorgiamo che il gioco non si presta alla severità del luogo, le cui pareti calde, strette ed altissime fanno da termoregolatore all’ambiente che è confortevole. Schizzi e spruzzi d’acqua non si fanno attendere, come pure pareti da sormontare per cimentarsi con il successivo ostacolo. Gli ostacoli oggi non ce li siamo fatti proprio mancare! Si tratta di scegliere il minore, ma a volte quello difficile e insormontabile, con la complicità dell’acqua che ti sfiora vertiginosa sotto le gambe, è l’emozione che cercavi. Le vertiginose pareti del canyon viste dal basso verso l’alto, aperte come un melograno nella fase distensiva della crosta terrestre dopo l’orogenesi, sono quelle dell’attuale Timpa di San Lorenzo, Timpa di Cassano e Timpa di Porace; danno l’idea della forza immane della natura. Al loro confronto noi ci muoviamo nelle sue lacrime che scivolano verso il mare e tra granelli che le lasciano defluire borbottando presso la Gola di Barile nei giorni d’ira. Dopo mezzogiorno, la maggior parte della luce che giunge in fondo è quella riflessa del sole sulle alte rocce rosse. Camminando in quest’orrida feritoia profonda circa 800 m si perde di vista il cielo. Nel bel mezzo del cammino gli ostacoli sono come le ciliegie. Ogni svolta ne offre uno diverso e invitante; puoi tuffarti, arrampicarti, scivolare sulla roccia levigata. Le cascate d’acqua poi sono favolose, vengono incontro porgendo l’acqua da destra e sinistra. Sono di vario tipo, confluenti, elicoidali, fragorose e silenziose; tutte ad altezza giusta per idromassaggiarsi! Man mano che ci si inoltra le pareti sono sempre più strette e levigate dall’acqua che scende veloce nell’alveo tortuoso, a gomito, rendendo difficili gli appigli. Talvolta, il corso del canyon sembra sparire mimetizzato dietro una parete che si spalanca dopo aver sussurrato “apriti sesamo” a nuove favolose visuali. Ormai manca poco alla meta prefissata; siamo però combattuti dall’idea di rinunciare all’impresa per via di qualche nuvola che riesce a far giungere fin quaggiù le sue gocce. Vedrai è una nuvola passeggera! L’euforia è tale che raddoppia gli sforzi e cosi senza accorgerci siamo sotto l’ombelico del canyon. Qui il Raganello raccoglie le acque provenienti dalle sue sorgenti e fa la sua prima e più classica delle cascate nelle sue gole prima di giungere nello Jonio e prima di avere bagnato divertiti altri appassionati che gli vengono incontro lungo il suo corso. Oggi per noi può bastare; prima di rientrare alla svelta, con la grazia di un battito di mani, licenziamo le ninfe poste a guardia della meravigliosa vasca idromassaggio. Sotto la cascata a bocca di brocca, facciamo il nostro bagno originale e primordiale.
27 Giugno 2010: Anello di Serra del Prete (sentiero n. 920) di M. Filomia e R. Alois
La fortuna aiuta gli audaci, anche quando si tratta di superare le avversità climatiche della giornata, per esaudire il desiderio sopito di raggiungere questa vetta che siede maestosa con i suoi 2180m di quota, alla sinistra cardinale del Pollino. Il clima incerto, ha ridotto il numero delle persone che già avevano dato l’adesione per la sortita. Cosi, come allo stormire del vento, cadono le prime foglie… Non si nasconde, che l’incertezza è subentrata anche in noi quando in circa venti ci siamo ritrovati a Colle dell’Impiso (1560m) luogo di partenza. Dopo un’attenta valutazione fisica dei partecipanti, correlata alle possibili evoluzioni climatiche, si decide di affrontare da Nord-Ovest, il sentiero di nuova segnatura CAI Castrovillari. Lo stesso si è dimostrato agevole nonostante la discreta pendenza per il dislivello di 650 m. Per, la cronaca da consegnare agli annali della meteorologia, quassù, ha riscontrato sui tratti esposti un’ atmosfera tipicamente invernale, con temperatura prossima allo zero. Ė stata una giornata straordinaria di fine giugno, tipicamente alpina, se aggiungiamo di avere trovato lungo il cammino, una lunga lingua di neve ghiacciata protesa verso la cima, avvolta nella nebbia sferzata da raffiche di vento. Ė uno –strano- fenomeno d’inizio estate, ancora all’insegna dell’incertezza. Al sentiero 920 di Serra del Prete (le pietre, localmente dette, e ’pprete) oggi abbiamo consegnato il certificato di collaudo a piè d’opera, per averci indirizzato con i segnali e gli omini nella nebbia più fitta, controfirmato da un gruppo d’escursionisti nottambuli di Matera incontrati a Piano Ruggio! Raggiungiamo la cima in poco meno di due ore. Qui, in ambiente ostile per le condizioni atmosferiche avverse, ci concediamo un attimo di riposo che immortaliamo con la foto di gruppo, con l’effetto speciale nebbia. Lungo la vetta, ancora protagonista la fitta nebbia pregna di particelle igroscopiche che ci ha tenuto refrigerati ed isolati dal contesto panoramico. Isolati ma tranquilli, nel loro habitat, anche i cavalli. Li abbiamo sorpresi quassù, dapprima riuniti al pascolo fra l’erba alta ed umida, poi scalpitanti, per un nostro tentato incontro ravvicinato curioso. Scalpitante, curioso, instancabile è stato anche il piccolo Antonio che in avanscoperta si è divertito con entusiasmo ad avvistare omini e segnali lungo il sentiero. Finalmente al piano di Gaudolino vediamo il primo raggio di sole della giornata. Con esso anche il fumo azzurrognolo del camino della baita. Questa volta l’eccezione fa la regola, il fumo conferma anche l’arrosto di chi ci ha preceduto di buon’ora. La finalità, l’uso di un rifugio, baita non gestita a scopo di lucro, è sinonimo d’ospitalità universale a disposizione di tutti. Spetta a tutti i frequentatori, rispettarla, accudirla, ma non per questo accampare diritti di precedenza stanziale una volta rifocillati. Dopo la pausa colazione, consumata sul terrazzino della baita, con vista sul Pollino in apparizioni fugaci tra una folata di nebbia e l’altra, intraprende il viaggio di rientro. Ci lasciamo alle spalle il fumo della baita, che oggi per noi è stata motivo di calore familiare. Poco lontano ci soffermiamo per dissetarci alla generosa sorgente di “Spezzavummola”; poi di filata siamo tutti lungo il sentiero per Vacquarro e quindi Colle dell’Impiso. Le cinque ore complessive dell’escursione rispettano anche la tabella segnaletica del percorso posta all’inizio.
13 giugno 2010: Direttissima del Dolcedorme di Mimmo Pace
Non credevo ai miei occhi, quando, al punto di ritrovo, vedevo lievitare così tante presenze … dieci, venti, trenta, quaranta e passa … un autentico e inatteso boom, che già da subito, poneva problemi organizzativi. Il regolamento del CAI prevede un tetto massimo di 25 partecipanti per escursione … ma, come si poteva pensare di escludere gente accorsa con tanto entusiasmo! Indubbiamente, soltanto una gran voglia di avventura, una gran sete di scoprire angoli di natura intatta della nostra montagna, unite alla volontà di ingaggiare una sfida con se stessi più che con essa, condividendo con altri esperienze e sensazioni, potevano aver spinto così tanti a ritrovarsi assieme, non per una piacevole e distensiva passeggiata, ma per una tra le più severe e faticose ascensioni che il versante calabrese del Pollino propone: la Direttissima sulla Serra Dolcedorme - 1400 metri di dislivello in solo qualche chilometro -. Noi organizzatori di tal genere di sortite in seno al CAI di Castrovillari, restiamo appagati e ripagati da simili massicce partecipazioni, non fosse altro che per aver potuto indurre interesse e amore per la montagna - per la nostra in particolare - coinvolgendo tanti giovani e non più giovani nella nostra intramontabile passione … un apostolato, quasi, proteso alla conoscenza, alla fruizione e quindi alla promozione dell’intero Comprensorio del Pollino, di cui la nostra Città di Castrovillari rappresenta il punto di cerniera. Rispetto al passato è stato possibile un gran salto di qualità e non mi riferisco solo e tanto ai progressi che, anno dopo anno, con l’impegno di tanti, la nostra Sezione CAI è riuscita a realizzare, quanto agli anni ’50 dello scorso secolo, allorquando pochi giovani appassionati di questa nostra montagna, i quali s’erano prefissi l’obbiettivo di farla conoscere e valorizzare - i “Pionieri del Pollino” -, non riuscirono a far nascere qui a Castrovillari una sezione del Club Alpino Italiano, a causa della generale indifferenza della gente. Oggi, il CAI a Castrovillari c’è ed è vivo e operante e i riscontri positivi si succedono, giorno dopo giorno. Comodamente sdraiato sul sofà di casa, mentre mi godo il meritato riposo - i vecchietti, si sa, tardano a recuperare - chiudo gli occhi e rivivo la magnifica avventura di ieri, dedicata alla scoperta del volto alpestre del nostro Pollino. Rivedo la nutritissima variopinta schiera, prima scalpitante e ansiosa, a tratti vociante e chiassosa, incedere con passo cadenzato e sicuro nelle selve di Vallepiana, fin sul Passo di Vallecupa … l’ascensione per l’aereo Crestone Sud, tra rocche e campanili da superare, ripide e scivolose scarpate da risalire, enormi macigni dalle forme bizzarre, adorni di loricati contorti dalla furia degli elementi … il vestiario madido di sudore, la fatica stampata sui volti, assieme alla ferma determinazione di proseguire nell’impresa. Rivivo la sosta al “campo base”, un minuscolo terrazzo sospeso tra rocce e loricati secolari, da cui si gode un superbo scenario, che, dalla valle del Coscile, si staglia lontano sui Monti d’Orsomarso. Ammiro il “plotone” arrancare vistosamente su per la dura erta, tra i maestosi loricati e vado riflettendo: quando mai così tanta gente tra quei patriarchi, avvezzi solo ai grandi silenzi, all’urlo dei venti, al turbinio della neve, alle immobili arcane atmosfere. Sarebbe d’uopo il silenzio, siamo in un tempio della natura, anni fa, qualche amante del nostro Pollino, ha perso la vita nello scoprire questi luoghi. Per un verso temo che quella colonna di persone usi violenza a quell’ambiente così selvaggio, così intatto, così solenne, ma poi mi ricredo: quella è solo una “cavalcata storica” sicuramente irripetibile e, in ogni caso, una testimonianza d’amore per la nostra montagna. Ora osservo il gruppo dividersi: una decina risalgono i dirupanti bastioni di vetta, attraverso un difficile e angusto canalino; i più, impegnano la Gola del Turbine e ne risalgono il ripidissimo scosceso pendio, incastonato in un mondo di pietra, fatto di maestose, corrugate cortine, dirupi e desolate pietraie instabili. Questa gente soffre, ma non demorde. La motivazione è forte, forse ancor più forte di quella di un grappolo di affiatati uomini del CAI, che, diversi anni addietro, attraverso la stessa via, conquistarono questa montagna nella sua veste invernale, interamente rivestita di nevi e ghiacci scintillanti. Resta per noi, quello, un ricordo gradito e indelebile. Quante emozioni in vetta, il fascino dei grandiosi orizzonti, lo stupore e l’ebbrezza di coloro che per la prima volta hanno potuto raggiungerla, quel formicolio di gente, originato dalla fusione con un altro folto gruppo di escursionisti, che, a guisa di cappello, ricopre l’intera sommità del Dolcedorme, il compleanno della piccola Sofia, festeggiato con una curiosa minitorta, sormontata dall’immancabile candelina. E poi la sorpresa del nostro indefettibile e insostituibile Presidente: fiero e soddisfatto, estrae dal suo zaino un fiammante nuovo libro di vetta - già il terzo in qualche anno appena- letteralmente preso d’assalto per esternare e testimoniare le proprie impressioni e sensazioni vissute durante la scalata al Tetto del Parco. La discesa, poi, la lunga interminabile discesa per la cresta Est e per il verdeggiante ripido Vallone del Faggio Grosso, tra scheletri di vetusti patriarchi consunti dalle tenzoni con gli elementi e calcinati dal sole. Qualcuno soffre, forse più che in salita … le ginocchia doloranti sovente cedono … ma non importa; con abnegazione, incoraggiato giungerà a valle interamente appagato, felice di esser riuscito nell’impresa e pronto per qualche altra sortita, forse ancora più affascinante di questa.
6 giugno 2010: Anello di Serra Crispo di Adalberto Corraro
Quanti chilometri abbiamo percorso? Quanti passi abbiamo fatto? Quante calorie abbiamo bruciato? Queste le parole che riecheggiano all'ombra di Fosso Jannace di ritorno dalla bellissima e lunga passeggiata affrontata. Siamo in 22 e ci diamo appuntamento in località Fosso Jannace (1250 m) nel comune di San Severino Lucano. Coadiuva l'escursione Quirino Valvano, guida ufficiale del Parco di San Costantino Albanese e socio del Cai di Potenza. Alle 9 partiamo, affrontiamo le gole di Jannace con occhi stupiti rallentando più volte per immortalare le innumerevoli cascate e i giochi d'acqua nelle forre. Saliamo guadando il torrente per il sentiero attrezzato con ponti in legno, all'ombra di un folto bosco di faggio misto ad abeti bianchi secolari. In un'ora siamo al Piano di Jannace: le nuvole non ci permettono di spaziare verso le vette ma i nostri occhi sono invasi da uno scoppio di colori con il risveglio della natura dopo il rigido inverno appena trascorso. Un passaggio obbligato ai "Monumenti", proprio ai piedi di Serra Crispo, monoliti rocciosi scolpiti nel tempo dal ghiaccio e conservati intatti ai nostri occhi, per poi imboccare la Rueping che ci porterà fino a Pietra Castello. (con il termine Rueping viene indicato il sentiero utilizzato dalla ditta tedesca, la Rueping appunto, per il trasporto del legname. Agli inizi del 1900 tutta l’area del Pollino è stata devastata dai disboscamenti: un vero e proprio martirio di faggi, abeti e pini loricati che venivano trasportati con teleferiche e con vagoni verso valle). Imboccata la Rueping iniziamo il vero anello di Serra Crispo spaziando il nostro orizzonte in questo primo tratto verso Cugno dell'Acero, Terranova di Pollino e la gola della Garavina. Arriviamo a Pietra Castello dove i primi Pini Loricati ci danno il benvenuto. I più temerari non esitano a salire proprio sulla punta del Castello salutandoci dall’alto. Ma non abbiamo molto tempo, la strada da fare è tanta e dobbiamo ancora affrontare la salita verso i Piani di Pollino. Dopo la Piana dei Moranesi iniziamo a scorgere le vette, Serra Crispo e Serra delle Ciavole, ma ancora siamo distanti. Recuperiamo le ultime forze per affrontare la salita che in meno di un'ora ci porta alla Grande Porta del Pollino (1970 m). Il meritato pranzo lo consumiamo sui Piani gustando salumi, polpette, vino e finanche ottime ciliege portate dalla Puglia. Dopo una visita al pino loricato “Zì Peppe”, attraversiamo il Giardino degli Dei immortalando nei nostri scatti fioriture e Pini Loricati. Scendendo ci accorgiamo dell'enorme ferita della frana che tra fine Marzo e inzio Aprile è caduta dal versante Nord di Serra del Prete verso i Piani di Vacquarro, segno delle abbondanti nevicate verificatesi nell'inverno appena trascorso. A Piano Jannace l'anello di Serra Crispo è compiuto ma ancora dobbiamo scendere verso Fosso Jannace. Ma nessuno di noi è ancora esasusto e allora si decide di prolungare verso il Santuario della Madonna del Pollino, dove ci accolgono zampogne e tamburi suonate a devozione della Madonna. Oggi, prima domenica di giugno, la Statua della Madonna è stata portata al monte in un lungo pellegrinaggio da San Severino Lucano. Dopo la visita alla Madonna, la discesa lungo la cresta del Santuario è riflessiva e guardando verso l'orizzonte ognuno di noi viaggia con la mente ricordando chissà cosa…. Ma siamo subito alle macchine, il sogno svanisce, torniamo alla normalità interrogandoci su quanto abbiamo camminato! Non lo sapremo mai, 18 o forse 20 o addirittura 22 km,! Non importa, ognuno di noi ha visto immensità della natura e paessaggi mozzafiato e terrà a mente in ricordo un immagine di questa bellissima passeggiata. Io non dimenticherò il padre che seduto sulla cresta con la sua bimba guardano insieme verso la vetta della montagna.
30 maggio 2010: Aieta (m 535) - Monte Curatolo (m1030) di Mimmo Filomia
In questa ultima domenica di maggio, i soci delle sezioni del Club Alpino Italiano si sono ritrovati sui sentieri del territorio nazionale, ramificati in 60 mila Km (tanti ne conta la Rete Escursionistica Italiana) per promuovere la giornata nazionale dei sentieri. L’intenzione è quella di sensibilizzare l’opinione pubblica, sull’importanza di quest’indispensabile strumento, utile per la conoscenza delle nostre montagne. L’attività “Sentieri “ per le sezioni CAI è considerata una risorsa che consente di valorizzare la montagna rendendola più accessibile e sicura. Creare una rete di sentieri efficiente, significa dunque indirizzare sempre più visitatori in aree interessanti spalmate sulle terre alte del territorio nazionale altrimenti ignorate turisticamente. In molti casi è il sentiero che parte o talvolta, giunge strategicamente nei pressi di: borghi rurali ricchi di tradizioni e storia, feste popolari, santuari di montagna; spesso ripercorre le vecchie mulattiere del sale, incrocia vie istmiche, di transumanza. Quest’antica traccia, segno dell’uomo non più migratorio ma sedentario nei luoghi, non conduce solo in vetta. È anello di congiunzione del presente, che si confronta con il passato attraverso le testimonianze che, appunto, trova lungo il percorso. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti per invogliarsi a riprendere la salutare attività del camminare! Oggi, gli amici del CAI di Castrovillari, si sono dati appuntamento ad Aieta per un’escursione nel Parco Nazionale del Pollino. Prima della partenza o al rientro dall’escursione, consigliamo una breve visita a questa cittadina, dai portali in pietra lavorati con stemma del casato. Le case addossate con discrezione le une alle altre sorrette da porticati ed archi, sono raggiungibili a piedi, per strette viuzze talvolta interrotte da scalinate. Il paese, secondo la tradizione, è sorto verso il X° secolo attorno ai monasteri dei monaci bizantini che qui si sono rifugiati. I resti del primo nucleo urbano di Aieta Vetere sono sul monte Calimaro, costruito lontano da incursioni marinare, poi abbandonato per il clima ostile. La storia di Aieta è ricca di avvenimenti che vedono l’avvicendarsi del dominio di feudatari prepotenti, (Martirano-Spinelli). A testimonianza della loro dominante presenza, resta solo la dimora delle generazioni succedutesi: un palazzo signorile del sedicesimo secolo, stile rinascimentale d’ottima fattura, che si erge ancora prepotente, sulle casupole, con il suo loggiato a cinque archi sorretti da colonne. Noi, ormai lontano da quei tempi, per niente intimoriti, lasciamo la quiete invidiabile del centro del paese per ripercorrere l’antico sentiero che conduce alle sue origini: monte Calimaro e Monte Curatolo. Aieta è la città dell’aquila; ce lo indica anche un rilevo su pietra di cui è ornata la fontana del centro storico, da cui parte il sentiero 665 di nuova segnatura. Il paese, di circa mille anime, è posto tra mare e monti. Rappresenta un’altra via di accesso al grande Parco Nazionale del Pollino, dal litorale Tirreno. Lasciamo le ultime case arroccate, seguendo una comoda scalinata in pietra a tornanti che ci conduce giù nella vallata. Un ponte sulla Fiumara del periodo feudale, consente ancora oggi l’accesso ai resti di mulini ad acqua ed ai campi coltivati. Seguendo il segnale, il sentiero guadagna quota aprendo la visuale su ampi orizzonti. Nell’entroterra svetta su tutti i contrafforti, il monte Ciagola. Una bella visuale, ci viene offerta dalla marina di Aieta, attuale Praia a Mare e l’isola di Dino. Per la gioia dei pittori bisogna salire sempre più in alto, per godere del declino del sole che infuoca il cielo dietro le frastagliate insenature del Golfo di Policastro, proiettando le ombre sul mare, protetto dal Cristo di Maratea. Il profumo delle ginestre, ci ha accompagnato lungo il percorso, fra cespugli verdi d’Erica. Ben esposto al sole nella parte iniziale del percorso, il sentiero poi si è articola nel bosco ombroso e soffice, per il fogliame, prima di svettare sulla balconata panoramica di Monte Curatolo. In cima, ci uniamo idealmente alle migliaia di soci che come noi, oggi, mani levate al cielo, hanno festeggiato la giornata dedicata ai sentieri, magnificando le proprie montagne.
25 aprile 2010: Timpa di San Lorenzo di Mariarosaria D’Atri
La giornata non è delle migliori, il tempo è nuvoloso e cade anche un pò di pioggia; ma gli intrepidi soci del Cai non si fermano per poche gocce d’acqua. Puntuali ci ritroviamo in tanti all’appuntamento, persino bambini e nuovi amici che vogliono fare l’esperienza dell’escursione domenicale. Dopo i saluti ed il caffè nel bar aperto già da un pezzo, facciamo il punto della situazione, considerando che le condizioni meteorologiche non sono le più promettenti. Decidiamo di effettuare comunque l’escursione, anche se con le nuvole che incombono pesanti il fascino del percorso perderà la sua spettacolarità. Si organizzano in fretta le macchine e si parte alla volta di San Lorenzo, un piccolo paesino contornato da una cerchia di monti intagliati da una profonda gola scavata dalle acque tumultuose del torrente Raganello, che partendo dalla sorgente alla base della Falconara e scendendo verso il mare, termina il suo lavoro di scavo sotto l’abitato di Civita, per poi sfociare nell’ampia vallata omonima. Lungo la strada per raggiungere San Lorenzo possiamo osservare alcune strutture oggi abbandonate che ci suggeriscono una breve nota di storia: durante il ventennio fascista, un gerarca (tale Michele Bianchi di Belmonte Calabro?) si occupò di quel territorio soggetto a forte instabilità ed a frane, provvedendo alla costruzione della briglia all’altezza di Pietra Ponte e progettando lo spostamento dell’abitato in quella zona; si iniziarono a realizzare le opere di urbanizzazione e le prime strutture pubbliche da adibire a Municipio e Caserma dei Carabinieri che sono quelle che noi oggi vediamo lungo la strada. La realizzazione del progetto venne interrotta a causa del successivo evento bellico, ed è rimasta incompiuta poiché nel dopoguerra l’abitato è stato invece spostato in un'altra zona più a nord. L’abitato originario però è ancora dove noi oggi lo troviamo, e non è franato a valle. Quando arriviamo nella piccola piazzetta del paese troviamo già qualcuno uscito a respirare l’aria frizzante del mattino. Dal belvedere si può ammirare la nostra meta, la parete più imponente, la Timpa di San Lorenzo. Nel piccolo borgo montano il tempo sembra essersi fermato, tutto scorre con una calma ed una tranquillità quasi irreale; ci siamo noi però oggi a portare un pò di confusione con il nostro vociare, un altro caffè al volo e si riparte; aggiriamo la Timpa risalendo fino al Colle di Conca. Man mano che si sale l’ambiente intorno diventa sempre più aspro ed isolato, ma ricco di fascino per il panorama che si apre alla nostra vista. Poche case sparse, dove già gli abitanti sono al lavoro, qui la vita è dura bisogna alzarsi presto a custodire il bestiame che poi è fonte stesso della sopravvivenza. Passiamo sotto la Falconara e poco dopo lasciamo le macchine. Inizia qui il nostro percorso, il tempo è sempre incerto, ma ormai siamo qui e andiamo avanti. La parete si offre maestosa davanti a noi, per una prima parte è fuori dalle ripide gole e quindi è più facilmente accessibile e via via percorrendo le lunghe cenge ci si incammina verso la parte più alta ed esposta della Timpa. Alta 1652 m questa parete è tra le più imponenti dell’intero Appennino. Il sentiero iniziale è facile e molto comodo, è ben curato e si percorre con tranquillità anche quando si inerpica tra le rocce che conducono alla vetta. Le auto diventano man mano piccole sotto di noi e si distinguono nitidamente i campi arati. I grossi massi calcarei che delimitano il sentiero ci guidano verso la linea di cresta da ove si ammirano panorami mozzafiato a strapiombo sulle Gole. Proseguiamo decisi sotto un vento sferzante che a tratti sembra volerci piegare, e sulle rocce bianche levigate si distinguono nitidamente tracce di rudiste (molluschi bivalvi del Cretacico che vissero tra 150 e 65 milioni di anni fa). Man mano che saliamo lo spettacolo è sempre più emozionante… quasi l’intera catena del Pollino si offre imponente e maestosa davanti a noi, da sinistra a destra la Manfriana, il Dolcedorme, Serra delle Ciavole, Serra di Crispo, la Falconara, in lontananza si scorge Timpa di Pietrasasso e sotto di noi L’ABISSO …. La profonda e spettacolare Gola del Raganello. Parafrasando una vecchia canzone “L’EMOZIONE NON HA VOCE”, e davvero le parole non bastano per descrivere le sensazioni che si provano. Ci si sente liberi e quasi onnipotenti quassù in alto, ma al tempo stesso piccoli e coscienti del nostro nulla di fronte all’onnipotenza del creato. Il vento è sempre sferzante, ma non lo avvertiamo più, persino il suo sibilare quassù diventa musica, diventa silenzio. Ci raccogliamo tutti in cima per la consueta foto di gruppo e poi tutti liberi di scorazzare tra questi enormi massi calcarei. Una pietra rossa colpisce l’attenzione di tutti, ci avviciniamo con curiosità e meraviglia e rimaniamo a bocca aperta: un simpatico e nutrito gruppo di coccinelle disposte quasi a forma di cuore sta lì a scaldarsi sul tepore della pietra baciata da un pallido sole. Riprendiamo lentamente la strada del ritorno, il tempo è sempre incerto e le nuvole diventano minacciose. Giunti alle macchine un altro spettacolo ci attende, proprio lì vicino una distesa immensa di orchidee.. bisogna fare attenzione ce ne sono talmente tante che è impossibile camminare senza calpestarle. Ci spostiamo da lì per cercare una postazione un po’ riparata dal vento. La chiesetta di Sant’Anna, costruita per dare un luogo di preghiera e di riferimento ai pastori che, vivendo lì isolati, raramente potevano recarsi in paese, oggi ci accoglie al riparo delle sue mura per poter consumare i nostri pasti frugali ed offrirci un momento di riflessione guardando la Timpa davanti a noi. Ormai i nuvoloni sono diventati grossi e neri e ci inducono a intraprendere la strada per il ritorno. Un’altra breve sosta al bar della piazzetta di San Lorenzo, e l’ultima foto di gruppo con la Timpa alle spalle, e poi tutti via, con gli occhi pieni dei panorami stupendi, e il cuore pieno di entusiasmo pronti a ritrovarci insieme alla prossima avventura.
17/18 aprile 2010: Pentedattilo di Carla Primavera
L’idea era partita da lontano… in un afoso pomeriggio di agosto in compagnia di un “vecchio” amico, Peppe Marino, con il quale avevamo condiviso l’anno prima un viaggio e, forse, la voglia di riorganizzare insieme qualcosa era nata già in quel tempo. Il posto è Pentedattilo, una magnifica rocca con annesso un paesino che alle fiabe davvero non ha nulla da invidiare, dove magia, leggenda e tragedia si intrecciano in un sol luogo! Inizialmente doveva essere solo domenica la nostra uscita, ma il desiderio di stare insieme e di visitare più possibile quei luoghi, ha fatto anticipare la partenza al sabato. L’allegra compagnia ha pernottato in un magnifico Ostello, gestito egregiamente da una cooperativa sociale che mira al reinserimento lavorativo di tanti giovani che hanno lottato per il recupero della legalità, in questi posti bellissimi che però si scontrano quotidianamente con una realtà che non gli appartiene. Questo per noi, uomini e donne di montagna, è stato un momento di grande socialità collettiva, davvero contenti di dare il nostro, seppur minimo, contributo. Conoscere i gestori dell'ostello, le guide che ci hanno accompagnato, il Presidente e alcuni soci della Sezione di Reggio Calabria, ci ha regalato un fantastico momento, fatto di cordialità, socialità e convivialità! La mattina, Saverio, la nostra guida, ci ha accompagnato lungo il percorso ad anello che ci avrebbe condotto dapprima alle Rocche di Santa Lena e poi a Pentedattilo. Inizialmente la discesa verso la fiumara di Sant’Elia, dove il paesaggio, anche se costituito essenzialmente dal letto del fiume, ci ha deliziato con una esplosione di colori che solo la primavera sa dare! Poi la risalita, dolce e lenta, eravamo più di 50 persone, davvero una bella truppa! Arrivati alla volta di una selletta abbiamo ammirato la Rocca di Santa Lena (m551) e lì la nostra fantasia di eterni bambini ci ha fatto immaginare su quelle magnifiche rocce, tratti somatici, animali e… forse mostri immaginati nella nostra infanzia! Da lì, sulla nostra sinistra, l’agglomerato roccioso di Pentedattilo faceva capolino da sempre, con la sua caratteristica e inconfondibile forma, appunto, quella di una mano e da quando siamo partiti, questa magica rocca ci ha fatto compagnia, con il suo sguardo, la sua mole e la sua storia. Percorrendo l’ultima parte del sentiero, sempre molto panoramico, siamo giunti nel paesino, pittoresco e magico allo stesso tempo, dove esattamente 324 anni prima si era consumata una delle tragedie amorose più eclatanti della storia: la strage degli Alberti, signori di Pentedattilo. Storia di un amore contrastato e di un destino scellerato senza lieto fine dove i due protagonisti vivranno del ricordo di un amore vero lontani l'uno dall'altro per il resto dei loro giorni. E ancora oggi, la leggenda narra che nelle notti buie e senza luna, chi si avvicina al castello di Pentedattilo può udire, provenienti da quei ditoni di pietra, dei lamenti umani, ora più deboli ora più forti, che il vento trasporta in lontananza e che fa raggelare il sangue. Suscita senz'altro stupore e perplessità la circostanza che il popolo, incolto e superstizioso, usasse con disinvoltura i materiali maledetti del castello per edificare le dimore dove trascorrere la vita senza il timore di importarvi gli anatemi di vendetta di cui narra la leggenda. E siccome è accertato che buona parte dei materiali sono serviti per l'ampliamento dell'abitato, bisogna dedurre che il popolino non doveva essere poi tanto superstizioso ed incolto per come si è tentato di dipingerlo; è lecito, al contrario, supporre che l'infarcire di elementi fantastici il racconto tornasse comodo alla comunità che, arricchendo di un alone di leggenda la tradizione storica del luogo, accresceva il prestigio di cui godeva presso le genti del circondario. Insomma un luogo davvero fantastico, dove non si sa dove finisce la storia e inizia la leggenda!
11 aprile 2010: Madonna del Riposo di Mimmo Filomia
L’ escursione alla Madonna del Riposo, giunta alla sesta edizione, si è svolta secondo la tradizione castrovillarese, che vuole la sua gente festeggiare la pasquetta su questa altura panoramica, soleggiata e salubre. Domenica è stata registrata, una partecipazione significativa di persone in rappresentanza di paesi limitrofi che, pure in passato, facevano loro la manifestazione in una miscellanea di canti, balli e gare di leccornie pasquali. La sezione del Club Alpino di Castrovillari attenta a promuovere e rivalutare ogni tipo di manifestazione aggregante che vede coinvolta la montagna si è proposta per recuperare questa tradizione, fervente in passato, poi man mano, affievolitasi nel tempo. La presenza entusiasta numerosa, premia il sodalizio del CAI locale per l’opera divulgativa e rigenerativa di affezione ai luoghi attorno alla città del Pollino. La dolce ascesa verso l’icona bianca ottagonale (665m), incastonata sul monte Sant’Angelo, è stata motivo per socializzare e rinsaldare vincoli di amicizia e condivisione delle sane tradizioni del territorio. Il sentiero che conduce fin sopra Monte S’Angelo, (794m) inizia nei pressi della caserma Manes. Si articola fin sopra l’ex tiro a segno e poi prosegue sul costone sovrastante Castrovillari. Prosegue gradatamente aprendo visuali nitide sulla catena del Dolcedorme, Orsomarso e sul mare Jonio. La gita alla Madonna del Riposo per gli scolari di un paio di generazioni fa era molto gradita. Oggi è snobbata ma al tempo aveva la sua funzione didattica sul campo, con la percezione dei confini, dell’orizzonte, la distanza fra paesi limitrofi, la distinzione dei monti, il mare. Una visuale aerea alla ricerca poi, della tua casa nella tua città, raggruppata appena sotto i tuoi occhi! Una sensazione piacevole viene anche dalle montagne ancora innevate, più severe e suggestive che la circondano in una conca aperta verso la piana di Sibari. I campanili delle comunità urbane, sparse sul territorio, in realtà, in un solo colpo d’occhio da quassù risaltano vicini e senza vessilli! Il multicolore serpentone degli escursionisti, è stato impegnato in una attività motoria, lenta, progressiva e proficua, in una bella mattinata di primavera. Grazie al collegamento con Radio Nord Castrovillari tutti i radioascoltatori hanno potuto seguire in diretta l'evento che ha trasmesso le impressioni di viaggio degli escursionisti lungo tutto il sentiero. Dopo la sosta alla Cappella, che attende che vengano realizzate le promesse fatte, si è proseguito per la cima per la gioia e la curiosità esaudita di un centinaio di partecipanti, fra bambini, genitori e rappresentanti di associazioni locali. Il rito dei tovaglioli colorati, stesi stracolmi di tipicità pasquali, sul prato antistante la chiesetta, in un’atmosfera gaia e spensierata e la foto ricordo, hanno concluso una giornata rilassante e propositiva.
Un piccolo inciso a margine di questo articolo però il lettore ce lo deve consentire. L'Assessorato all'Ambiente della Provincia di Cosenza nell'anno 2007 ha individuato, finanziato e reso esecutivi con il progetto "Rete Ecologica Provinciale" la segnatura di diversi sentieri su tutto il territorio provinciale fra cui il nostro. E' però risaputo che i sentieri è bene farli ma è ancora più importante manutenerli per permetterne la sicura e continua fruizione. Ebbene, dopo solo due anni, i segnali posti lungo il sentiero, a causa delle condizioni climatiche e di altri fattori naturali, si sono deteriorati e la capannina posta all'inizio del sentiero è crollata miseramente sotto il suo peso. Il CAI di Castrovillari, viste le lamentele di attenti e sensibili cittadini e il disinteresse e la palese inoperosità dell'Ente Provincia, con grande senso di responsabilità, nello spirito dei suoi dettami costituzionali, pur non essendone responsabile diretto e con la speranza di fare cosa apprezzata, si è fatto carico della situazione e con l'impegno dei suoi soci/volontari ha provveduto alla manutenzione del sentiero e del ripristino della capannina. Però un brivido ci corre lungo la schiena, se tanto mi dà tanto, che fine avranno fatto i tanti segnali e le decine di capannine sistemate sui sentieri tracciati in tutto il territorio provinciale?
28 marzo 2010: Pietra del Demanio di Patrizia Caputi, CAI Potenza
Era domenica 28 Marzo 2010. Il sole ancora stentava a far capolino nel cielo quando, alle ore 6 circa, noi del CAI di Potenza, incuranti delle poche ore di sonno trascorse, decidevamo di partire per Civita. Nella graziosa e accogliente piazzetta principale del paese c’erano ad attenderci Mimmo Pace e gli amici del CAI di Castrovillari, felici di condividere con noi una giornata in montagna. Dopo l’immancabile caffè della domenica preso al bar, accompagnato da un gustoso cornetto, “vitale” quest’ultimo per alcuni di noi al mattino presto, l’organizzatore dell’escursione ci portava a vedere quello che avremmo dovuto affrontare in giornata. Ed eccola lì, imponente e maestosa, la parete della Pietra del Demanio, sovrastante il Canyon del Raganello, che con i suoi 600 m di dislivello in quasi perfetta verticalità stava quasi a comunicarci che non sarebbe stato facile solcarla. Così, dopo l’analitica descrizione del percorso fattaci da Mimmo e una buona dose di coraggio da lui trasmessaci, ci avviavamo verso lo splendido Ponte del Diavolo che, col suo ardito slancio sulle gole del Raganello, disegna uno scorcio davvero pittoresco del Sud d’Italia, offrendo a noi la comoda occasione di vederci agilmente proiettati nel bel mezzo della parete della Timpa del Demanio, a 40 m sul torrente. Una volta attraversata la mulattiera che percorre il Fosso Casalicchio, iniziavamo fiduciosi la salita tra macigni, cespugli e pietraie instabili. Proseguivamo in allegria tra chiacchierate e risate fino a quando ci siam trovati sotto la parte più ripida e interamente rocciosa della montagna, tratto più duro fino alla vetta. Ed è stato proprio da quel momento in poi che la paura ha preso il sopravvento su alcuni di noi di Potenza, acerbi di quel tipo di esperienze. La montagna si mostrava davvero in tutta la sua severità; richiedeva coraggio, abilità, forza fisica e d’animo. La vetta sarebbe stata il premio dei soli più forti e caparbi. La notevole verticalità che si presentava ai nostri occhi e le vedute da brivido eran capaci di creare stati vertiginosi anche ai più avvezzi. Ma proprio qui si è visto lo spirito di solidarietà che anima gli amanti della montagna. Grazie al generoso aiuto offerto dagli impavidi Vincenzo Armentano, Vincenzo Telesca, Mario Riccardi e Canio Cufino, le parole di sostegno degli amici di Castrovillari, l’acceso incitamento proveniente dall’intrepido Mimmo, in testa al gruppo, che si faceva strada sicuro di sé tra quelle rocce esposte, anche per alcuni di noi più timorosi è stato possibile conquistare la vetta, felici di aver vinto quella sfida e appagati pienamente dalla vista mozzafiato sul Canyon del Raganello e sul Golfo di Sibari. Grazie di averci fatto vivere questa avventurosa esperienza.
Patrizia Caputi e gli amici del CAI di Potenza
28 marzo 2010: Pietra del Demanio, il gendarme del Raganello di Mimmo Pace
L’azione di scalare una montagna, superando le sue asperità, dovrebbe configurarsi in una somma di valori e non in un risultato cronometrico o in un record da raggiungere, regolato peraltro dal freddo calcolo. Ancor peggio, se ci si convince che Alpinismo equivale a saper piantare chiodi e piazzare nutz e friends. Ciò, non può che deprimere l’avventura, che per sua stessa definizione, non è altro che la scoperta, l’andare con passione ed interesse verso ciò che non si conosce per misurarsi con se stesso ed arricchirsi dentro, senza offendere l’ambiente. Non si confonda l’alpinismo col tecnicismo: l’avventura, col mero spettacolo! Per quanto possa apprezzare i virtuosismi e le esibizioni di alcuni atleti della montagna, oso affermare che essi esprimono solo il gesto di sapersi appendere a un appiglio, il più delle volte artificiale, peraltro piuttosto sterile e che, sicuramente, non manifesta alcuno dei valori ideali ed emozionali cui la “filosofia della montagna” si ispira e di cui è permeata. Aprirsi una via di risalita su di una montagna, grande o piccola che sia, richiede di saper individuare, tra le difficoltà che essa propone, un percorso logico, semplice e pulito per raggiungerne la sommità. È la montagna stessa a indicarcelo; bisogna solo coltivare la passione e studiarne ed apprenderne il linguaggio, scoprendone le “debolezze”, intese come possibilità che essa ci offre per poterla conquistare. Confesso di ammirare da sempre gli alpinisti dell’ ‘800. Essi si avvicinarono alla montagna con lo stesso spirito con cui, nel mio piccolo, anch’io ancora mi avvicino; cioè, provare ad ingaggiare una competizione con se stessi più che con la montagna ed instaurare, nel clima dell’azione, un istintivo, ancestrale dialogo con la natura. Questo il mio credo ed il mio apostolato, che da qualche tempo oso portare avanti nel CAI di Castrovillari, nella speranza di convertire a tali idee e coinvolgere quanti più soci possibile. Un gradito quanto inatteso riscontro s’è avuto proprio la scorsa Domenica, nell’ascensione frontale lungo la parete Sud della Pietra del Demanio: l’immane bastione calcareo proteso sul Canyon del Raganello, con strapiombanti, vertiginose, policrome pareti. Ne sono stati protagonisti 16 Soci della nostra Sezione, più 9 Soci della Sezione CAI di Potenza, con una quota rosa davvero straordinaria, pari a un terzo dei partecipanti! Una vetta così modesta - appena 856 m. slm - potrebbe indurre a ritenerne l’ascensione alquanto banale. Al contrario, la Pietra del Demanio offre a chi la risale emozioni alpinistiche, scenari maestosi e inattese vedute da brivido, assieme ad aspetti naturalistici sorprendenti, impreziositi dalla macchia mediterranea, che qui si esprime in tutto il suo splendore. Una cavalcata, quindi, in un ambiente infido, severo e solenne, tra rocce, pinnacoli, anfratti, scoscendimenti, che ha messo a dura prova la tenacia dei partecipanti, che mai ha vacillato, poiché totale era la determinazione nel compiere l’impresa ed alta la motivazione. Cieli tersi ed azzurrini su di noi, spazzati da folate di maestrale a tratti anche teso. Grandi assenti i grifoni, di recente reintrodotti nel Parco, di cui non ci è stato possibile ammirare l’elegante volteggiare ed il possente colpo d’ala … forse perché disturbati dall’insolita e vistosa presenza. L’iter ha inizio dal leggendario Ponte del Diavolo e si svolge per breve tratto sulla storica mulattiera, che percorre il Fosso Casalicchio e che un tempo collegava Civita a Cerchiara di Calabria e San Lorenzo Bellizzi, nonché alle decine di masserie occhieggianti tra verdi macchie e coltivi. Lasciata la mulattiera, nei pressi di un ruscello, si inverte la rotta, affrontando un lungo traverso in dura erta, tra macigni, placche, salti, cespugli e pietraie instabili. Giunti alla Grotta Rossa, una maestosa cavità policroma, la si attraversa procedendo oltre, fino ad un’evidente pietraia, da risalire sulla destra, fin sotto l’incombente parete rocciosa. Ha qui inizio il tratto più duro, con alcuni passaggi su roccia alquanto esposti; l’iter prosegue lungo canalicoli scoscesi ed imponenti formazioni rocciose da superare con attenzione e destrezza. Dopo tali asperità, il percorso diviene meno impegnativo e tra rocce e splendide macchie, si giunge in vetta. Da lassù, vista aerea mozzafiato sul Raganello, di cui si può ascoltare il sommesso brusio risalire dalle profondità del Canyon e sul paesello arbëreshë di Civita, appollaiato in posizione alpestre e incastonato tra le prime propaggini orientali del Pollino; all’opposito versante, la mole del Sellaro, che ospita il Santuario della Madonna dell’Armi, nonché calde sorgenti sulfuree ed abissali cavità naturali. Attraverso una traccia di sentiero alquanto impervia, ma di notevole interesse naturalistico e morfologico, si discende lungo il fronte orientale della Pietra del Demanio, chiudendo l’anello proprio sul ruscello nei pressi del quale, all’andata, s’era invertito il senso di marcia. Quaggiù, due altre sorprese: una splendida cascata che viene giù lungo una levigata ed imponente placca multicolore ed una copiosissima sorgente, un piccolo fiume, scaturente come per magia, dalla ciclopica e compatta cinta rocciosa, il cuore di pietra di questa singolare montagna. In meno che non si dica, siamo di nuovo affacciati ai parapetti del Ponte del Diavolo ad ammirare dall’alto il Raganello, che impetuoso lascia le profondità del canyon e corre, lungo l’assolata fiumara, verso il mare.
21 marzo 2010: Coppola di Paola di Salvatore Franco
“…Quando sarai al cospetto delle “Pietre mutanti” ti sarà chiaro il fenomeno unico ed irripetibile della vita…” (sentierimoranesi.blogspot.com)
Beh, se dovessi dare un titolo a questa bellissima giornata di montagna, nella quale molti dei protagonisti hanno esplorato e solcato per la prima volta, la magnifica cresta di Coppola di Paola, mi verrebbe da dire: “quando gli uomini ritornano bambini”. Perché la montagna è soprattutto divertimento e gusto di salire ma questa giornata di “ascesa invernale”, in un giorno di primavera anzi, nel giorno di inizio primavera è stata capace di insegnarci tanto. E anche il sole che ci ha abbronzato, ha fatto si che tanti spettri burrascosi che il maltempo ci ha portato, si sciogliessero come la neve. Quella stessa neve che ha dato più bagliore ai “piani rilucenti”; quella stessa neve che per un bel po’ è diventata la nostra semplice sala-giochi o meglio ribattezzata come “neve-park”, facendoci sorridere ad ogni sali-scendi su uno scivolo improvvisato. Partiti da Colle del Dragone, abbiamo fin dall’inizio affrontato la semplice ma intensa salita che di li a poco ci ha portato al cospetto di un enorme ammasso roccioso. Aggiratolo sulla sinistra e saliti sul vero e proprio crinale è iniziata la bella ascesa sulla prima punta di Coppola di Paola. Dopo una piccola sella che congiunge le due cime siamo arrivati sulla vera cima alta 1919 mt e dopo un pranzo un po’ in anticipo siamo scesi per il canalone che sbuca proprio sulla strada per piano Ruggio, in corrispondenza del versante nord di Timpone Viggianello. Ormai la strada per il ritorno era quasi terminata ma una sorta di soddisfazione personale ed un pensiero agli amici più cari mi ha fatto riflettere su come questa montagna si è presentata ai miei occhi, dalla prima volta, sorprendendomi per la sua semplice bellezza. Grazie a tutti, grazie a chi è stato assieme a me, grazie a chi questa montagna me l’ha fatta conoscere.
21 febbraio 2010: "In punta di ciaspole" di Vincenzo Alvaro
È una di quelle giornate in cui il cielo inviterebbe a restare a casa. Ma nel punto di ritrovo per la seconda edizione di “Pollinociaspole” il popolo della montagna non si lascia scoraggiare dalla plumbea giornata e si decide di rispettare al meglio l’appuntamento con la natura e le sue meraviglie. E la decisione non sarà delusa nel corso della giornata. Si parte, in carovana per raggiungere il punto di partenza. Piano di Novacco, con le sue estese braccia pianeggianti verso la faggete coperte di bianco, è lì silenzioso, nel freddo della mattina, ad accogliere il gruppo di escursionisti ed amatori del Club Alpino Italiano che si ritrovano in questa domenica per il consueto appuntamento invernale con Pollinociaspole. Siamo nella parte calabrese del Parco Nazionale del Pollino, a circa 1330 metri sul livello del mare, che da queste parti, su qualche vetta che guarda anche verso i monti dell’Orsomarso, si può ammirare in tutta la sua maestosa infinità. Ma non oggi. Oggi il cielo ha deciso di piangere, e solo in qualche attimo di giornata, sorriderà con sprazzi di sole ai circa sessanta amanti delle ciaspole. Si informano le racchette da neve e ci si raduna all’incrocio della carrareccia che taglia in due il pianoro e conduce alla Fiumarella del Rossale. Tutto è ammantato di bianco. Lucente e magico anche in una giornata grigia come questa. I riferimenti stradali, le staccionate, persino i contenitori per la raccolta dei rifiuti, scompaiono sotto il peso soffice della neve. Siamo oltre il metro. La patina bianca scesa dal cielo ha coperto tutto, ha preso il sopravvento, delicatamente, sopra ogni cosa. Solo le costruzioni in pietra e cemento, come la ex Caserma Afor e il rifugio comunale di Novacco, restano visibili ad occhio umano. Tutto il resto è solo immaginato sotto la coltre di neve. Ci si raduna in cerchio per il breefing iniziale dell’escursione. I neofiti iniziano simpaticamente a rumoreggiare con le strane pinne di plastica ai piedi. I più “vissuti” della montagna elargiscono consigli sull’utilizzo delle racchette, gli appassionati soci del Cai con gli sci ai piedi sono già in movimento lungo i saliscendi naturali del pianoro. Si parte. Tutti in fila indiana. A godere del silenzio della natura innevata, rotto solo dal rumore delle ciaspole e dal vociare degli escursionisti, che in alcuni tratti, sembrano quasi parlare sottovoce per non disturbare la regina: madre natura. D’un tratto la meraviglia. Dove prima c’era la strada carrozzabile che porta alla fiumarella e al cancello che porta al Piano di Tavolata, la natura bianca ha partorito un letto di acqua che scava la terra con la potenza e la delicatezza che le compete. Attorno due muraglioni bianchi lo proteggono e lo cullano lungo tutto il suo percorso. È da qui che ti accorgi di quanta neve sia caduta in questi giorni. Ad un tratto il cielo si apre, il sole bacia e premia le fatiche della carovana che guada il fiume di neve e si dirige verso il Piano Vincenzo. Tra la faggeta, passaggi semplici ed alcuni più difficoltosi, si guadagna l’arrivo in questo altro splendido scenario naturale: il posto giusto per la foto ricordo. Ciaspole in ariae il clik è bello che fatto. Pronto per essere conservato nell’archivio delle tante esperienze in punta di piedi per educare al contatto sano e genuino con la natura di questo splendido parco nazionale disteso tra Calabria e Basilicata. Si ritorna con un anello ideale, al punto di partenza, passando per la faggeta che si inerpica alle spalle della ex caserma Afor. Da lì il punto di vista sullo sconfinato e meraviglioso Piano di Novacco è dei più intensi. Il rifugio in fondo al piano è pronto ad accogliere e rifocillare la truppa di ciaspolatori. Ancora una volta la natura ha fatto il suo dovere: madre accogliente ed emozionante. Come sempre.
7 febbraio 2010: Direttissima del Dolcedorme (crestone sud) di Franco Formoso
Le belle giornate di inizio settimana, il freddo secco e pungente facevano si che si prospettassero per la domenica delle condizioni ideali per la prevista escursione in programma: ascensione del crestone sud del Dolcedorme (direttissima). Ma qualche dubbio c’era. Di questo inverno ballerino che ogni fine settimana ci regalava pioggia e maltempo non c’era da fidarsi. Infatti arrivati a Venerdi le condizioni del tempo sono cambiate. Pioggia a valle e nevicate sulle montagne ad alta quota. Io e Massimo (organizzatori), subito ci siamo resi conto che purtroppo, ciò in cui speravamo, ossia una uscita con neve dura che ci avrebbe dato la possibilità di indossare i ramponi, era sfumata. Ma noi non siamo persone che si arrendono facilmente. Anzi più aumentano le difficoltà e più diventiamo tenaci e forse anche un po’ testardi. Poi bisogna dire che in inverno non sempre si può aspettare il bel tempo o che ci siano le condizioni ideali per fare l’uscita. A volte bisogna osare. Spesso le migliori escursioni vengono fuori cosi. A volte bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco anche contro le avversità del tempo. Naturalmente con tutta la prudenza e l’umiltà possibile. La domenica mattina a partire siamo in quattro. Io, Massimo. Domenico e Carmelo, che si è fatto un lungo viaggio da Reggio Calabria (infatti lui è socio del CAI di Reggio Calabria), per poter partecipare all’uscita. Piove ma man mano che saliamo di quota la pioggia si trasforma in neve. A Valle Piana ci accoglie la neve, neve sotto i piedi e neve sopra la testa. Un grande mantello bianco che copre tutto il bosco. Neve fresca perché sono due giorni che viene giù ininterrottamente. Man mano che saliamo, sprofondiamo sempre più, ma gli sforzi e la fatica vengono premiati dal suggestivo e immacolato spettacolo che si offre ai nostri occhi. Già questo basta a compensarci della nostra tenacia. Alla selletta di Valle Cupa, prendiamo a sinistra e iniziamo a risalire il crestone. La neve alta ci rende arduo l’avanzare ma noi andiamo avanti con la forza e la voglia di salire, di misurarci , di godere di questa giornata anche perché ha smesso di nevicare e il cielo si sta aprendo, infatti ogni tanto uno spicchio di azzurro spunta dal grigio delle nuvole. L’unico ostacolo è rappresentato dalla troppa neve fresca. Arrivati alle rocce, iniziamo a scalarle e a divertirci con alcuni passaggi di misto. Intanto qualche sporadico raggio di sole ogni tanto fa capolino e ci conferma che avevamo ragione. L’uscita era possibile. Bisognava avere solo il coraggio di osare. Continuiamo a salire pur a prezzo di grosse fatiche. A volte la neve fresca non ti permette di fare un passo, fai per salire e torni indietro. A volte incontri dei piccoli passaggi che ti attirano. Non ci dimentichiamo che siamo alpinisti e anche in condizioni come queste cerchiamo sempre qualche variante per effettuare un’arrampicata o un passaggio particolare. Man mano che andiamo avanti ci rendiamo conto che però non riusciremo a raggiungere la vetta. Ormai l’orario non ce lo permette più e anche a voler essere ottimisti, con le condizioni della neve attuali, arriveremmo in vetta molto tardi e non riusciremmo a tornare giù con la luce del giorno. Allora decidiamo di arrivare fino al “campo base”. Continuiamo a salire a costo di molte fatiche, poi superiamo un bel canalino di misto e arriviamo finalmente al pianoro chiamato “campo base”. Consideriamo l’escursione finita. Quasi un’impresa. No era facile arrivare sin qui con le condizioni odierne. Ci fermiamo un po’ a tirare il fiato e a fare un pò di foto. Il riposo degli audaci. Una stretta di mano e un abbraccio pongono il sigillo sulla dura scalata di oggi. Poi iniziamo a scendere per tornare alle macchine. La discesa, dura e lunga, non ha storia. Concludiamo questa escursione con una gioia interiore grande e con la conferma che fin dove è possibile, si può arrivare. È con i visi stanchi e le membra doloranti che arriviamo alle auto, ma anche con una nuova forza: la forza degli audaci.
24 gennaio 2010: I Piani del Masistro e i Monti della Luna di Mimmo Pace
C’erano 13° sottozero la scorsa domenica mattina a Piano dell’Erba, un ameno angolo di natura, poco al disotto dello splendido Piano di Novacco, nel cuore dei monti del Caramolo. Nell’aria immobile del terso e gelido mattino, 32 paia di ciaspole colorate, scalpitano e crepitano nel diafano biancore di quell’ambiente ovattato. È la carovana del CAI di Castrovillari in marcia sulla neve alta, verso i Piani del Masistro e i Monti della Luna. Variegate le presenze; dai neofiti -e sono ormai in tanti, giovani e meno giovani- ai più esperti, assidui, convinti e tenaci sostenitori delle iniziative sezionali. Diverse, quindi, le anime, ma unica la voglia che le accomuna: scoprire e vivere l’incantesimo degli ambienti fiabeschi che la nostra montagna offre, portarsene dietro un grato ricordo, anche fotografico, per aver modo di trasferire ad altri le proprie emozioni, in un clima sano e cordiale di utile e proficua socializzazione. Fa parte del gruppo anche il piccolo Daniele -7 anni, il più giovane dei Soci della Sezione, già esperto di ambienti alpini- e sgambetta speditamente con le sue mini-ciaspole, ansioso di vivere quei luoghi incantati, che il suo nonno gli ha proposto per immagini al computer. Ma, perché il curioso epiteto di “Monti della Luna”, conferito alla chiostra di rilievi che si protendono sulle dolci praterie del Masistro, popolate di mucche scampananti e branchi di cavalli al pascolo? Lo si deve sicuramente alla particolare loro conformazione, nonché alla brulla natura dei soprassuoli, in tutto assimilabile, specialmente d’Estate, al paesaggio lunare. L’innevamento conferisce un fascino particolare a questi luoghi e se ci si ripropone di percorrere in tale condizione i declivi di cresta del Timpone del Vaccaro, Serra Ambruna, Monte Caroso, Cozzo Barbalonga e del Tabaccante, attraverso un singolare saliscendi, si ha modo di cogliere e vivere i mutevoli aspetti di questa montagna, coi suoi recessi fascinosi. Ma, gambe in spalla, lungo la traccia degli sci di Giancarlo, diligente direttore di sortita, impresse sulla neve il giorno prima, durante la preventiva ricognizione dell’iter. E così, si taglia il Piano di Mezzo, si risale zigzagando nella neve alta e farinosa il pendìo, ora lieve ora duro, che porta sulla sommità del Timpone del Vaccaro. Sul dolce declivio di cresta, il gruppo si sparpaglia, ciascuno alla ricerca dello scenario che più lo avvince: c’è solo imbarazzo nella scelta tra la maestosa Catena del Pollino, il gruppo del Caramolo, la profonda alta Valle del Garga, la Serra di Novacco, il Vernita, il Ciagola, i lontani Alpe e Sirino, protesi sulla linea di orizzonte, aldilà del sottostante vasto, candido Piano Grande del Masistro. Sembra proprio una processione! Quando mai tanta gente su queste montagne tanto belle, quanto sconosciute! È proprio tutto merito del CAI. Finalmente la foto di gruppo. Ci si distende ora, in mille ghirigori, lungo la discesa fin giù al valico, per poi risalire il fianco Sud della Serra Ambruna e buttarci a capofitto lungo il suo fianco Ovest, in una briosa e divertente discesa, fino a toccare il tracciato del Sentiero Italia e più giù ancora, fino al piano per un meritato e ricco spuntino, crogiolandoci al sole. Sulla via del ritorno, mi ritrovo un po’ distanziato dal gruppo. Attraversato l’interminabile Piano Grande e risalita l’erta verso il Piano di Mezzo, mi volgo indietro per ammirare ancora il superbo paesaggio e rimango impressionato dalla quantità di orme che la nutritissima schiera ha lasciato lungo il suo percorso … in tutto simile ad una strada, originatasi come per magia lungo i candidi costoni e la vastissima distesa innevata del piano. Mi sopravviene, allora, spontanea una riflessione: “per dindirindina, quanta gente nuova nel CAI di Castrovillari! Fioccano le nuove adesioni di giovani e non più giovani, attratti, forse, dall’eco di sortite sempre più affascinanti, programmate, organizzate e felicemente concluse”. Di questo passo, fra breve saremo in tanti e dovremo inventarci qualcosa per non trasgredire le norme del CAI, per cui il numero dei partecipanti ad un’escursione non può essere superiore a 25. Alla luce di codeste sempre più massicce, variegate e interessate partecipazioni, siamo orgogliosi di poter affermare con convinzione, che l’opera di proselitismo, tenacemente perseguita in ambito sezionale, inizia a dare buoni frutti, sia in termini di presa di coscienza ed osservanza dei princìpi educativi che attengono alla conoscenza ed alla rispettosa fruizione dell’Ambiente, che a beneficio dell’immagine della nostra Terra e della nostra Gente.
17 gennaio 2010: Piano di Marco (m1053) – Il Campo (m1503) di C. Primavera
L’intento era quello di partire presto per avvicinarci il più possibile al punto di partenza e così è stato. Alle 7 in punto l’equipaggiato gruppo partiva dal semicerchio di Castrovillari, destinazione Monte Mula (m1935). Escursione difficile da organizzare in inverno a causa del manto nevoso che non permette –in genere- il raggiungimento di una adeguata e vicina base di partenza tale da poter effettuare l’escursione in una sola giornata. Infatti per molti anni è rimasta nelle intenzioni degli organizzatori ma fino a domenica mai realizzata. Altri partecipanti dei paesi vicini si sono aggregati al gruppo e insieme -29 persone- abbiamo raggiunto quota 900m (al di sotto del Piano di Marco, m1053) da dove è partita l’escursione. Per essere il 17 gennaio, pieno inverno, davvero non mi aspettavo tanta partecipazione! Tra gli altri, abbiamo “battezzato” due nuovi giovanissimi soci, Gabriele e Luigi, e quattro non soci, che con la loro caparbietà e tenacia sono arrivati valorosamente fino in fondo! Altra realtà importante è stata la nutrita partecipazione dei nostri soci dei paesi vicini: Cassano Ionio, Lungro, Mormanno, Policastrello, Rotonda, San Sosti, Trebisacce, nonché Michele, nostro socio da Brindisi. Questo è il CAI Castrovillari: libera aggregazione in libero ambiente… Il gruppo incede con passo regolare con le racchette da neve lungo un’agevole carraia, ma si fa qualche “fuori pista”, sulla neve è concesso, un po’ per abbreviare il percorso, ma soprattutto per attraversare luoghi altrimenti celati. Lo spettacolo che viene offerto ai nostri occhi è da favola: pini all’inizio e più sù superbi faggi, dove la neve ha cristallizzato le gemme già pronte per la primavera, i loro rami sembrano essere tentacoli di piovre giganti che a tratti sembrano lambirci, volerci accarezzare per poi invece stagliarsi maestosi verso l’infinito. Sull’immacolato manto nevoso scorgiamo tracce di vita, orme di piccoli animali che -nella notte o nelle ore precedenti- sono stati protagonisti della vita che scorre imperturbabile su queste fantastiche montagne. Noi a domandarci: che sarà uno scoiattolo, una lepre o una volpe? E con la fantasia immaginarci ricerca di cibo, cacce tra specie che sono destinate a soccombere rispetto a “nemici” di più grossa taglia! Tutto è divenire in quei luoghi, nulla rimane immutato, tranne la magia… Dopo qualche passaggio un pò insidioso, oltre che scosceso, e qualche piccola sosta per rinfrancarci, il gruppo si avvicina alla deviazione per il Campo di Annibale (m1503). C’è una decisone da prendere: salire in cima come da programma o fermarsi al Campo? Il consulto è facile, verificata la ormai tarda ora e un probabilissimo rientro notturno (29 persone non possono essere un gruppo veloce!) gli accompagnatori decidono di fermarsi al grande e bellissimo piano. Raggiungiamo il ricovero in legno e lamiera situato al centro dello stesso e probabile dimora estiva di un pastore. Si presenta decisamente angusto ma noi siamo felici lo stesso, fuori il vento e la bassa temperatura ci fanno sembrare la baracca un grand hotel! Ci sistemiamo e consumiamo la colazione al sacco in allegria, gustiamo con sano ottimismo il cibo sicuri che la nostra mèta, non era l’obiettivo principale della giornata, ma il NOSTRO obiettivo è e sarà sempre, l’incontenibile ammirazione che abbiamo per questi luoghi, la sconfinata e inesauribile energia che la montagna concede a tutti noi, e che a nostra volta, nel nostro piccolo, desideriamo ricambiare. Davvero grazie …
10 gennaio 2010: Acquafredda - Piano Novacco di G. Rubini
Sono pronto a scrivere per raccontare a voi tutti questa mia “prima” esperienza con il CAI Castrovillari e per giunta sulla neve. Devo ammettere a me stesso e a voi altri che l’escursione è iniziata alcuni giorni prima, in giro nei negozi alla ricerca di ciaspole, ghette e altro materiale per l’appuntamento di domenica 10 Gennaio. La mattina della domenica è davvero una mattina d’inverno, l’acqua scende giù in modo copioso e tentare una escursione sulla neve è davvero impresa ardua. Ma come si dice in questi casi “all’amore non si comanda” e il sentimento prende il sopravvento sulla “fredda” ragione e si parte, con cambio di itinerario da Coppola di Paola si ci sposta su Novacco partendo da Campotenese. Con i potenti mezzi del nostro secolo, si raggiunge l’incrocio di Masistro, e dopo un po’ di su e giù con le autovetture, una volta parcheggiate a ridosso della strada, si parte per raggiungere prima il Piano di Masistro e poi, decisione presa lungo il cammino, Novacco … (e meno male!!!). Dopo aver indossato l’equipaggiamento, il mio in parte nuovo di zecca, si inizia a camminare. Io sono timoroso, timoroso nel passo, nella direzione, nel dire e non dire, nell’atteggiamento, ma spero sia naturale per un “novello” del CAI, che come prima uscita affonda i piedi un una neve splendida e candida, bianchissima e pulita, luminosa e immacolata, quasi avendo timore di rovinare questo paesaggio romantico e fiabesco, fatto di neve, alberi con i rami piegati dal peso della stessa, silenzi assordanti e sbuffi di vento robusti da spostarti l’asse del cammino. E poi il timore più grande è giustificato dalla presenza di gente esperta di montagna e di escursioni, che ti guarda e attentamente segue il tuo cammino, ti consiglia e ti chiede, ti scruta e ti assiste, quasi a volerti trasmettere la propria esperienza, come patrimonio suo, tuo e della natura che ci circonda, ci avvolge, ci fascia e ci proietta in un paesaggio con poche luci, in chiaro scuro, con i colori dell’inverno, del freddo e della neve, ma che colorano e riscaldano il cuore, l’animo e la mente. L’escursione è bella, interessante, stimolante, ci si parla, si chiacchiera, si scherza, si fa attenzione ai posti, la cosa che mi colpisce in modo particolare e mi inorgoglisce, è il fatto di essere “ i primi” a segnare la neve in questa domenica di Gennaio. Si passa davanti al Piano di Masistro, e senza dover pregare molti i presenti, il gentile Eugenio decide di proseguire per il Piano di Novacco, con la mia approvazione e felicità. Si scende a Piano dell’Erba, sommerso anch’esso dalla neve, con al centro del pianoro il cristo di legno che vigila sulla montagna e speriamo anche sugli escursionisti, naturalmente per chi è credente; si prosegue per raggiungere a quota 1315 mt. Novacco ed il suo accogliente e caldo Rifugio. Dopo aver oltrepassato l’ultimo tratto di strada in salita e lasciato alla spalle, lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è davvero mozzafiato. La neve ricopre per circa 80 cm. di altezza tutto il piano nella sua interezza, si sente in lontananza solo il rumore del gruppo elettrogeno che alimenta il Rifugio e nella mia testa oltre allo stupore e alla meraviglia per lo spettacolo senza prezzo che ho davanti, ce il pensiero di un piatto caldo. Ma prima di arrivare al Rifugio vengo “disturbato” da una voce amica, che mi chiama da dentro una di quelle belle casette che sono disposte in modo ordinato in un angolo del Piano di Novacco, è un mio caro amico di Castrovillari, che con una allegra comitiva tutta fatta di castrovillaresi aveva deciso di passare la notte del Sabato lì, ma poi “per colpa della neve” sono rimasti bloccati e impossibilitati a tornare nelle loro case e nella nostra amata Castrovillari. Colpa della neve, che cade nei mesi d’inverno e copre tutto, e fa si che i malcapitati possano godere di un’altra notte nel cuore di una montagna che regala questi scherzi senza costo … però bisognerebbe chiederlo a loro cosa davvero pensano. Dopo un po’ di relax passiamo a degustare un buon piatto di maccheroni al sugo, del vino, migliore quello di Mimmo Pace, frizzantino come lui, e le nostre scorte alimentari messe lì in comunione dei beni con gli altri commensali, ben otto temerari della neve. (Per pura sincerità, il torrone al caffè era ottimo). Alle 15, dopo aver salutato i nostri paesani/amici, ci mettiamo sulla strada del ritorno, con passo spedito per arrivare al punto di partenza prima che le notte abbia vantaggio su di noi e sul nostro cammino. Alle 17 in punto, come degli svizzeri in Calabria, siamo alle macchine e cosi sulla strada di casa. Grazie a tutti, certo che la prossima volta sarà certamente ancor più bello.