Raccontatrekking 2011

13 novembre 2011: Monte Cocuzzo di Carla Primavera

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La consueta uscita con gli Amici della Montagna di Bisignano è un’esperienza ormai consolidata dal 2004, al contrario con Domenico è stata la prima realizzata da accompagnatori e sinceramente, dopo questa escursione, conveniamo che la replica per il prossimo anno è assicurata! Il ritrovo a Castrovillari, già abbastanza numeroso, è stato rimpinguato dagli amici di Cosenza; in totale più di 40 persone entusiaste e pronte ad affrontare una magnifica giornata di sole. La meta finale per alcuni era un “felice ritorno”, per molti altri un primo incontro. Per chi, come me, si è trovata per la prima volta ad ammirare questa montagna, non poteva non rimanere strabiliata da quella magnifica foresta di pietra che ci siamo trovati innanzi. Il Monte Cocuzzo (1541 m) si erge nel settore meridionale della Catena Costiera a Sud - Ovest di Cosenza e rappresenta la cima più alta della catena stessa dominando isolato il paesaggio circostante con la sua cima nuda e frastagliata da piccole guglie e con morfologie tipicamente calcaree. Un giardino di rocce (gli Scaglioni) particolarmente interessanti proprio perché rappresentano il risultato di un’intensa attività tettonica che ha sollevato i corpi di rocce calcaree dal basso verso l’alto con una struttura definita “finestra tettonica”. Molti di noi si sono divertiti ad “agguantare” queste formazioni e tentare di arrivare sulla cima di ognuna! Sicuramente il “parco giochi” ideale per chi come noi ama “giocare” in montagna. L'ascesa finale si affronta lungo la cresta Sud, con il bellissimo panorama che ad Ovest si allunga sulla costa tirrenica (senza foschia, si può ammirare l'isola di Stromboli e, in particolari giornate, tutto l'arcipelago delle Eolie con la costa settentrionale della Sicilia) mentre ad Est sulla Valle del Crati e l'altopiano della Sila. Abbiamo goduto della splendida vista dei paesi della costa tirrenica cosentina: Fiumefreddo Bruzio, Torremezzo, San Lucido, Paola e poi in giù fino ad Amantea. L’arrivo in vetta è stato seguito dalla nostra magnifica pausa picnic! E lì è venuto fuori il meglio di ogni buon escursionista, vi lascio immaginare, arrivederci alla prossima!

29/30/31 0ttobre 2011: Parco del Cilento

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Week-end lungo nel Cilento. Itinerario turistico in collaborazione con il GAP, percorso interessante ma già dalle news si avverte “Il presente programma potrebbe subire variazioni a causa delle condizioni meteo od organizzative”. Le condizioni meteo sono state eccellenti, giornate calde e soleggiate, condizioni organizzative encomiabili, buona l’accoglienza, grande professionalità delle guide, degli albergatori e ristoratori; peccato per l’esiguità dei partecipanti tra cui la improvvisa defezione degli organizzatori. Ma l’esperienza CAI ci insegna che non bisogna desistere e anche senza capi steward, ma scortati dalle più avanzate tecnologie, siamo partiti. Un primo gruppo il pomeriggio del sabato 29, un secondo nella tarda serata. Giunti ad Ascea marina e sistematici nel nuovissimo Hotel Porta Rosa veniamo informati che ci sarebbe stata una variazione sul programma, ovvero che la visita al sito archeologico ad Elea-Velia si sarebbe fatta la mattina e non il pomeriggio a causa dell’ora solare che avrebbe rubato un ora al giorno e, dato che i siti chiudono “un’ora prima del tramonto”, non avremmo potuto ammirare l’acropoli fondata dai Focei in fuga dai Persiani, nel 540 a.C., sulla costa cilentana tra punta Licosa e il promontorio di Palinuro, che ha raggiunto grande fama nell'antichità per la prosperità dei suoi commerci, per la bellezza dei luoghi, per le sue "buone leggi", per la presenza di una scuola filosofica fondata da Parmenide e Zenone. Oggi patrimonio dell’UNESCO. Dato che alle leggi della natura bisogna obbedire, abbiamo invertito l’ordine al programma della giornata del 30: mattina Elea_Velia, tarda mattinata il Monte Sacro, monte facilmente raggiungibile ma, dovendoci fidare del navigatore e del suo percorso suggerito per Vallo e dirupi, siamo comunque giunti in vetta (1705 mt), dove abbiamo ammirato il trecentesco e mistico Santuario della Madonna di Novi Velia e consumato una frugale colazione a sacco, tanto frugale che ci è bastata anche per il pranzo del 31, dopo la visita all’oasi naturalistica a Morigerati. Su in vetta la nebbia ci ha rivelato ancora una volta che della montagna non bisogna fidarsi e, indossati i nostri impermeabili, abbiamo ripreso la strada del ritorno alle 15,30. Vista l’ora e viste le variazioni al programma, abbiamo fatto un fuori programma, sempre guidati dal Tom Tom, abbiamo raggiunto Capo Palinuro per una breve gita in scialuppa per ammirare la Grotta Azzurra e la punta del golfo, con una escursione termica di circa 10 gradi. Rientrati ad Ascea e ristorati dagli chef del Porta Rosa, con una cena a base di Alici, eravamo preparati ad affrontare la giornata del 31. Giornata, quella del 31, trascorsa secondo programma, un saluto a chi ci ha ospitato e partenza alle 8,45 per Morigerati senza dimenticare di impostare la rotta. Percorso suggerito Caselle In Pittari ….. Strada Provinciale 16 Innesto Statale Bussentina-Caselle in Pittari-Casaletto Spartano-Torraca-Sapri, che ci ha condotto verso l’Oasi del WWF dove, accolti da Demetria, abbiamo trascorso una bella giornata all’insegna della natura e potuto godere della pace e tranquillità del paese/ambiente con meno di 300 anime che è Morigerati. Dopo aver consumato all’aperto gli “avanzi” del giorno prima, venivamo cortesemente richiamati da un incauto passante che, non sapendo di che pasta è fatto un “caino”, ci raccomandava di preservare il luogo che ci ospitava! Non certamente offesi ma meravigliati da tanta attenzione e dopo aver raccolto anche i rifiuti altrui, ci incamminavamo per la rotta di ritorno , percorso suggerito: Strada stradale 19 delle Calabrie per il Valico di Fortino fino sulla A3, innesto Lagonegro, uscita casello di Campotenese, percorso panoramico ma indubbiamente molto poco avveniristico, tanto da farci sentire la mancanza e perdonare i nostri organizzatori.

23 ottobre 2011: Trekking Urbano di Laura Giannitelli

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Saracena:la solitudine del CENTRO STORICO, la bellezza dei PAESAGGI, la dolcezza dei SAPORI Domenica mattina le nuvole ci accompagnano al punto di ritrovo ma non sembrano cariche di pioggia. La pioggia ci sorprende, nel presto pomeriggio, quando siamo al riparo in un locale dell’antico frantoio Mastromarchi che Giancarlo Falbo ha, con passione, sottratto alla dimenticanza. L’ambiente è accogliente e Giancarlo ci sorprende, completando il percorso di trekking urbano di cui è stato guida attenta, con una piacevole sosta ristoratrice per la delizia del nostro palato: sapori dolci, salati, piccanti accompagnati dal rinomato moscato. Da porta Scarano abbiamo una visione d’insieme di Saracena: due nuclei urbani, il moderno e l’antico, arroccati sulla valle del Garga. Il moderno è un agglomerato di palazzi sicuramente eccessivo rispetto al reale fabbisogno abitativo. Molte case sono disabitate o mai terminate. L’antico si è spopolato e non è più il luogo delle attività quotidiane. Si ha la sensazione che chi abita ancora là viva indisturbato e forse dimenticato. Il serpeggiare dei trekkers urbani incuriosisce e qualcuno ci chiede se è successo qualcosa. Evidentemente non capita spesso di vedere gente aggirarsi tra i vicoli stretti, i sottoportici, le ripide scalinate del centro storico. Eppure il centro storico di Saracena meriterebbe una visita per la struttura araba dell’abitato; i particolari architettonici del passato come gli stemmi lasciati all’incuria del tempo o dell’uomo; gli affreschi come la Madonna con Bambino (XIII secolo), nella chiesa di S. Maria delle Armi o le sculture come il crocifisso ligneo (primi decenni del XVII secolo), nella cripta di S. Maria del Gamio; la cordialità degli abitanti ed i profumi dei sapori che si fanno sentire nei vicoli all’ora di pranzo; le fontane; l’estensione ed il variare del paesaggio di cui si gode dai punti di osservazione più alti. Il centro storico soffre per la mancanza di manutenzione oltre che per l’abbandono diffuso. Anche il convento dei cappuccini, la cui fondazione risale al XVI secolo, è stato definitivamente abbandonato agli inizi del secolo scorso per mancanza di frati. Ma la struttura si conserva ancora integra nella sua forma grazie all’interessamento dei cittadini che hanno raccolto i fondi per ristrutturare il tetto di una parte del convento ed evitare il crollo dei muri. Al di là di questo, nessun altro intervento: il chiostro, la chiesa, il giardino sopravvivono in rovina. Alla diffusa noncuranza del centro storico si è pensato di rimediare cominciando con la costruzione, tra gli antichi palazzi della nobiltà cittadina, di un moderno auditorium al fine di rifunzionalizzare uno spazio, un tempo orto terrazzato del palazzo Mastromarchi. Ma l’auditorium può funzionare da solo come elemento attrattore a prescindere dal recupero del contesto urbano antico di riferimento? Anche in passato un altro spazio è stato rifunzionalizzato. Tra il 1931 e il 1971, il castello di Saracena è stato demolito per costruire, in quel luogo, il palazzo comunale e le scuole elementari. Ad opporsi una donna, Ida Di Pace, che in una lettera scriveva: “…a Saracena la scuola deve essere o nel castello o niente. Eppure c’è tanto spazio!... L’ammasso di ruderi chi lo ha reso tale? E in ogni modo, chi doveva proteggerlo dall’invasione dei nottambuli o da chi lo riduceva ad un letamaio?”(il Tempo n. 342 A. XVII del 10.12.1960). Di un castello sul Garga si fa cenno in un antico documento, come luogo di incontro tra Roberto il Guiscardo ed il nipote ribelle Abelardo nel 1073. Ed intorno ad un fortilizio, storia e leggenda raccontano, fu costruita Saracena quando l’insediamento abitativo (discendente secondo alcuni storici antichi dalla città enotria di Sestio), sull’altro lato della valle del Garga, fu distrutto dall’esercito bizantino nella battaglia contro i Saraceni che l’avevano conquistato nel X secolo e qui avevano fissato la propria dimora. Anche quest’anno, nel nostro terzo anno di trekking urbano, abbiamo camminato per il piacere di riscoprire un centro storico attenti a cogliere particolari dimenticati, storie presenti e passate di vita quotidiana, sentimenti e cultura di cui ogni luogo è pervaso. Solo pensando al centro storico come bene culturale e non esclusivamente come nucleo urbano, è possibile restituire vitalità ai luoghi della memoria.

16 ottobre 2011: Monte Pollino dal Colloreto di Eugenio Iannelli

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Le previsioni meteo ormai condizionano la nostra quotidianità, seppur con quel margine di errore che ogni bravo meteorologo premette in ogni suo intervento mediatico. Ed è proprio su quel margine di errore che noi escursionisti contiamo quando abbiamo in calendario un’uscita. Infatti l’esperienza ci dice che per fare una bella escursione o sperare in una bella giornata non necessariamente essa deve essere perfettamente assolata, calda e senza l’ombra di una nuvola. Spesso è proprio nelle giornate con intesa variabilità che si osserva quanto variegata e meravigliosa sia la natura facendoci cogliere aspetti che non avevamo mai visto o condizioni che non avevamo mai incontrato. Di conseguenza, non facendoci influenzare anticipatamente, ci ritroviamo al mattino al solito posto. In calendario una escursione tra le più classiche: il Pollino dal Colloreto attraverso Colle Gaudolino. Itinerario lungo, faticoso ma sempre affascinante, dove è facile coniugare cultura e natura. Il folto gruppo, lasciate le auto presso l’Agriturismo “Il Colloreto” del nostro gentile amico Giannicola Coscia, passando per l’omonimo Convento prosegue sul sentiero 901 (tratto del Sentiero Italia che arriva al Santuario della Madonna di Pollino) arrivando comodamente al Colle. La giornata è caratterizzata da un forte vento e temperatura rigida, che non ci fanno demordere dal nostro obiettivo originario nonostante il versante Nord del Pollino ci appaia ricoperto di un sottile strato di neve e sia avvolto da nuvole che viaggiano a cento allora. Dal piano, senza tentennamenti, affrontiamo il sentiero che ci conduce subito in quota e sbucati sulla cresta ci prepariamo ad affrontare la parte finale della salita. Ed è qui che incomincia a materializzarsi, davanti ai nostri occhi, tutta la straordinarietà della natura che riesce ogni volta a sorprenderci e a regalarci nuove emozioni e sensazioni con i suoi sempre diversi paesaggi. Infatti ci troviamo al cospetto di uno dei più bei fenomeni caratteristici delle nostre montagne: la galaverna. Non èfacile riuscire ad osservare questo fenomeno che necessita di componenti particolari per materializzarsi: freddo, vento e nebbia. Domenica c’erano le condizioni ideali e così tutto ciò che ci circondava era ammantato della bianca coltre della galaverna che riusciva a disegnare sull’erba, sulle rocce, sugli alberi vere e proprie decorazioni di ghiaccio, ma non solo, nelle doline di vetta, ci sembrava di camminare in una tundra subpolare. Un paesaggio veramente unico che siamo riusciti fortunatamente ad immortalare, ed abbondantemente, con le nostre fotocamere. Dopo aver raggiunto la vetta rapidamente siamo ridiscesi avendo cura di soffermarci ad osservare attentamente le splendide sorgenti naturali Serra e Tufarazzo, dalle cui acque si origina una meravigliosa cascata, nonché un’ulteriore sosta al Colloreto per immortalarlo in tutta la sua bellezza con i colori caldi del tramonto.

18 set 2011: Il CAI Pacific Nord West (PNW) di Seattle (USA) in escursione sul Pollino di Eugenio Iannelli

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Con Francesco Greco ci siamo conosciuti circa due anni fa quando, insieme alla moglie Cam e due amici americani, era venuto in Calabria per visitare più da vicino i luoghi del Pollino con la speranza di riuscire ad organizzare un viaggio con i soci della loro sezione del Pacific Nord West di Seattle. In quella occasione effettuammo una bellissima escursione sui Monti dell’Orsomarso e precisamente sul balcone panoramico di Cozzo dell’Orso. Una giornata indimenticabile trascorsa tra panorami mozzafiato e assaggi di prelibatezze nostrane. Da allora un continuo scambio di comunicazioni ha reso possibile la non facile organizzazione di questo viaggio che avrebbe toccato tutti i parchi della Calabria. E così nel mese di settembre 17 soci della Sezione CAI di Seattle, guidati da Francesco e Cam, sono atterrati in Calabria e dopo aver visitato il Parco Nazionale d’Aspromonte e quello della Sila sono approdati sui monti del Pollino. Una visita particolarmente attesa e programmata per suggellare, con una bella escursione e visite guidate nei nostri paesi, il gemellaggio con gli amici americani. La comitiva, tra cui un gruppetto di etnia giapponese, è giunta sul Pollino molto motivata e desiderosa di conoscere le nostre bellezze apprezzate -fino a quel momento- solo via internet ed ha soggiornato al rifugio Biagio Longo. L’ escursione, che ha visto la partecipazione di un folto gruppo di nostri soci, aveva come meta finale la Serra Dolcedorme e si è sviluppata ad anello attraverso la sorgente di Spezzavummula, Colle Gaudolino, Pollinello con i suoi Pini Loricati e il longevo Patriarca, Sella di Malevento per un ritorno poi dai Piani di Pollino e Piano di Rummo. Itinerario lungo che ci ha tenuti impegnati per circa dieci ore ma appagante dal punto di vista naturalistico. Entusiasti durante il cammino gli amici di oltre oceano suggellavano il passaggio ad ogni pianoro, ad ogni punto panoramico, ad ogni incontro ravvicinato con il pino loricato con la loro universale, unica e famosa esclamazione “oh my God” che non lasciava spazio a fallaci interpretazioni. A fine giornata centinaia le foto scattate, i commenti positivi espressi, i ringraziamenti per la bella esperienza vissuta e la cordiale accoglienza. Altre mete del gruppo, durante il loro soggiorno a Castrovillari, sono stati Morano Calabro, Civita, Cerchiara di Calabria e San Lorenzo Bellizzi dove hanno potuto apprezzare le bellezze architettoniche e naturalistiche dei luoghi. Nel salutarci tutti hanno sottolineato di aver vissuto una esperienza unica, emozionante testimoniata dall’ammirazione per questi luoghi dove natura, ambiente e cultura riescono a fondersi mirabilmente. Per noi del CAI di Castrovillari oltre a essere felici e orgogliosi per aver potuto conoscere, ospitare e accompagnare amici così lontani con cui condividiamo però l'amore e la passione per la Nostra montagna e per tutte le montagne del mondo, la consapevolezza di essere divenuti ormai un fondamentale punto di appoggio logistico ed organizzativo per tanti gruppi di escursionisti e attraverso questa nostra attività riuscire a far conoscere e promuovere il nostro meraviglioso ambiente naturale, la cultura delle nostre popolazioni contribuendo così al loro sviluppo sociale, economico e sostenibile. A dimostrazione di ciò basti dire che la Città di Castrovillari, nei mesi appena trascorsi, ha ospitato grazie alla locale Sezione CAI, oltre che al CAI PNW di Seattle anche i folti gruppi CAI di La Spezia, Brescia e Inverigo a dimostrazione che Castrovillari può e deve essere, come noi sosteniamo da tempo ormai, la Città del Parco.

4810 metri: Scalata del Monte Bianco di Eugenio Iannelli

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IL CAI DI CASTROVILLARI SUL TETTO D’EUROPA - UN CASTROVILLARESE SUL TETTO D’EUROPA

Alpinisti: Eugenio Iannelli, Alessandro Veneziano. Guida alpina: Beppe Villa.

22 agosto 2011: Giornata di acclimatamento di entrambe le cordate con traversata del ghiacciaio della Vallee Blanche dall’Aguille du Midi (m3800) al Rifugio Torino (m 3400); ore 5 di percorrenza solo andata;

23 agosto 2011: con la Funivia dei Ghiacciai arrivo all’Aguille du Midi (m3800) e trasferimento al Rifugio des Cosmiques (m3613) con 250 m di dislivello su ghiacciaio;

24 agosto 2011: partenza dal Rifugio des Cosmiques (m3613) all’1,45, dopo aver scalato attraverso la Spalla del Tacul (4.100 m), il Col du Mont Maudit (m4345), il Col de la Brenva (m4333), in 5 ore e trenta è stata raggiunta la vetta del Monte Bianco alle ore 7,16. Ritorno al Rifugio des Cosmiques (m3616) alle ore 12,20;

Il racconto della scalata

Dall’Aguille du Midi (m3800) raggiungiamo il Rifugio des Cosmiques (m3613) nel tardo pomeriggio e dopo aver consumato una frugale cena, proviamo a riposare e dormire. Ci riusciamo per ben … due ore, ma la sveglia -a mezzanotte e mezza- è implacabile, colazione all’una, partenza all’una e quarantacinque. Una volta vestiti e attrezzati con imbrago, corda, frontale, piccozza e ramponi partiamo, con in testa la Guida Alpina Beppe Villa (Accademico del CAI), portandoci nuovamente nel vallone sottostante. Con un breve dislivello inizia quella che viene chiamata la "normale del Tacul", la via Francese n° 1 (grado PD+) con un dislivello totale di 1400 metri. In breve si formerà una suggestiva fila indiana di alpinisti con la frontale accesa diretti alla vetta. Una successione di luci che sembra non finire mai e che ci dà subito l’idea di quanta salita c’è da fare e di quanto dislivello è necessario affrontare. Ma -parafrasando un termine ciclistico- le gambe girano, e senza intimorirci proseguiamo con grande energia. Sintetizzando al massimo la salita, per raggiungere la vetta bisogna superare “tre gradini”: il primo porta alla Spalla del Mont du Tacul (m4100); il secondo porta al Col du Mont Maudit (m4345), seguito da una zona in leggera discesa fino al Col de la Brenva (m4303); e poi l'ultimo dislivello che porta fino ai 4807 della vetta. La partenza così "mattiniera" fa sì che i primi due gradini vengano affrontati ancora con il buio. Si sale per larghi pendii, superando grandi crepacci coperti di neve fino a raggiungere l'ampia cresta nevosa della "Spalla del Tacul" (m4100). Da qui inizia la cosiddetta "Normale del Maudit" che scende a mezzacosta fino all’ampia "Sella del Col Maudit" (m4035). Si punta verso destra (ovest) e si passa – velocemente - una zona di seracchi e riprendendo quota si arriva ad una crepaccia terminale di grosse dimensioni. Da qui inizia il punto più difficile dell'ascesa: un rapidissimo pendio di circa settanta di metri di dislivello che porta al "Col du Mont Maudit" (m4345). Una parete di ghiaccio e roccia che nella parte sommitale tocca i 65 gradi di pendenza. Alla base di questa parete le varie cordate fanno la fila per poterla superare. Non per nulla "maudit" in francese significa: maledetto! È per superare senza problemi questo punto che è necessario tirare fuori il meglio di sé: allenamento, estrema concentrazione, sangue freddo e la giusta tecnica di uso dei ramponi e della piccozza nonché la capacità e la fortuna di riuscire a schivare le frequenti scariche di palle di ghiaccio provocate dalle cordate che precedono. Infatti è in questo punto che molta gente abbandona. La quota e le difficoltà oggettive cominciano a farsi sentire (m4345) e la vista dell'ultimo balzo ancora tutto da affrontare può far dire basta. Si lascia la "normale del Maudit" e perdendo quota si arriva al "Col de la Brenva" (m4303). Si affronta poi il faticoso pendio del "Mur de la Côte", si prosegue passando prossimi ad affioramenti rocciosi a quota 4577 e senza altre difficoltà si guadagna la cima (m4807) in circa un'altra mezz'ora. Alle ore 7,16 siamo in vetta, cinque ore e trenta complessive. L’emozione è veramente tanta. Con gli occhi lucidi ci avvinghiamo immediatamente in un abbraccio fraterno e ci complimentiamo a vicenda anche con le due altre cordate (una francese e una spagnola) presenti in quel momento sulla vetta. Mi inginocchio e, come all’inizio di questa avventura, con il Segno Cristiano per eccellenza, ringrazio Dio per avermi concesso questo privilegio. Un forte vento e la bassa temperatura ci mettono duramente alla prova ma non ci impediscono di prendere la fotocamera per immortalare il momento più bello della nostra vita e avventura sportiva alpinistica. Il panorama dalla vetta è fantastico ma - purtroppo - limitato alla sola parte francese per l’imperversare delle nuvole dalla parte italiana. Alle 7,28 si riparte per la stessa via. Tante le cordate ancora in cammino verso la cima, tra queste quelle della Guardia di Finanza -in divise d’epoca- che con la salita sul Monte Bianco desiderano celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Abbandonata la naturale e consapevole tensione della salita, una fantastica giornata di sole ci accompagna per tutta la discesa facendoci godere di paesaggi mozzafiato, infinite cime ammantate di neve, scarpate di ghiaccio, monumentali seracchi e paurosi profondi crepacci e ci fa affrontare con una maggiore naturalezza i punti più difficili. Il nostro sguardo riesce ad allungarsi sino al Monte Cervino e al Monte Rosa e immancabilmente il ricordo va a ritroso nel tempo - all’estate 2010 - quando dalla Capanna Regina Margherita (m4554) sul Monte Rosa sognavamo di salire sul Tetto d’Europa che scrutavamo in lontananza. Alle ore 12,20 siamo nuovamente al Rifugio des Cosmiques. Dopo un breve riposo e un misurato pranzo, alle 14,45 giungiamo alla funivia dell’Aguille du Midi dopo aver affrontato gli ultimi 250 metri di dislivello, questa volta in salita, che separano il pianoro glaciale dagli impianti della teleferica. Durante la discesa in funivia tornano alla mente tutti i momenti della salita, fatichiamo ancora a credere di aver scalato il Monte Bianco, forse da domani ne saremo maggiormente consapevoli. Siamo dispiaciuti per i nostri compagni di cordata costretti ad interrompere la loro ascesa ma allo stesso tempo siamo felici, orgogliosi, fieri per aver concluso felicemente questa impresa, per essere stati, i primi cittadini di Castrovillari e Trebisacce a scalare il Monte Bianco e, inoltre, aver rappresentato la prima cordata italiana giunta, quella mattina, in vetta al Bianco. Ma la soddisfazione più grande è di essere riusciti ad issare il glorioso vessillo della giovane Sezione CAI di Castrovillari sul Tetto d’Europa con la speranza di stimolare il raggiungimento di traguardi sempre più ambiti e prestigiosi.

Parco Nazionale delle Cinque Terre di Carla Primavera

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Questo breve ma intenso viaggio nel panorama della Liguria e delle Cinque Terre, finalmente è stato compiuto. Era un progetto non tanto ardito, dal punto di vista escursionistico, ma tanto desiderato da quello paesaggistico e culturale. Il primo giorno, nel pomeriggio, ci ha accolto il bellissimo borgo marinaro di Portovenere, situato nella parte più occidentale del golfo di La Spezia, il paesaggio unico, il porto turistico, gli stabilimenti balneari, le possibilità di immersione negli innumerevoli anfratti creati dal mare sulle scogliere davanti al borgo e sulle isole, rendono questo luogo una delle mete più famose del panorama turistico italiano. Portovenere fu un centro già noto ai Romani e deve il suo nome (dal latino Portus Veneris) alla presenza di un tempio dedicato proprio alla Dea dell’Amore. Al termine della strada che costeggia il molo, si apre una spianata più grande del paese stesso; in un gioco di piani inclinati, grandi rampe di scale e affiorare di nude rocce, ecco apparire i ruderi del vecchio castello e, proprio sull’estremità della punta, la chiesa di San Pietro. Si tratta di una costruzione romanico-gotica di tipo ligure, costruita, come si diceva, sui resti del tempio di Venere. Di qui si può godere uno splendido panorama, dalla loggetta romanica si vede il primo tratto di costa verso le Cinque Terre, mentre dall’ingresso si dominano il golfo e l’isola di fronte. Souvenir apprezzato da molti di noi è stato, naturalmente, il pesto! Il secondo giorno, ci hanno dato il benvenuto due nostri amici del CAI di La Spezia: la vice presidente della Sezione Laila Ciardelli e Luciano Bonati, che molto amabilmente ci hanno accompagnato lungo tutto il percorso. Con questa piacevole compagnia abbiamo affrontato un percorso un pò più impegnativo, che ci ha condotto dal paesino di Biassa fino a Portovenere. Partendo da Biassa si sale lungo la mulattiera su una scalinata in pietra, ampia e perfettamente conservata, si giunge alla chiesetta di Sant'Antonio, meta di picnic per generazioni degli spezzini anche per la presenza di un punto di ristoro e di una fontana. Scegliamo di continuare sul sentiero per il borgo di Campiglia, il percorso, che inizialmente segue una strada, lascia presto l'asfalto ed entra nella lecceta in corrispondenza del "menhir di Biassa" un monolite eretto artificialmente e probabile testimonianza di presenza umana preistorica. Si narra che attorno ad esso è più volte comparso il diavolo per mettere in fuga i passanti terrorizzati; stranezza che mal s'accorda col segno della redenzione sovrapposto alla pietra maggiore, e che mostra come più antiche della croce fossero quelle tradizioni che la croce non è riuscita mai ad estirpare. Da qui il sentiero, parte in terra battuta e gradinato in pietra, arriva in 20 minuti alla fontana di Nozzano, la cui vasca sottostante è luogo di riproduzione per il Tritone Alpino, osservato e fotografato da tutti noi con notevole curiosità! Dalla fontana si giunge, con un’ascesa di venti minuti, nell'ambiente panoramico di Tramonti, al paese di Campiglia, dove il nostro amico Luciano ci ha presentato Enrico, simpatico cantiniere che ci ha allietato con allegri sorsi di ottimo vino! Da qui si attraversa una vasta pineta e si prosegue immersi nella macchia mediterranea sul sentiero di costa, un percorso panoramico e un pò difficoltoso per le continue rocce sconnesse che occorre superare, raggiunge un punto dal quale si comincia a vedere, come in un paesaggio surreale, il promontorio di Portovenere, l’Isola Palmaria, il Tino e il Tinetto, con le loro rocce a picco sul mare. Si giunge così a dominare dall'alto il paese di Portovenere, percorrendo una ripida discesa seguita da una scalinata che costeggia le mura del castello e si arriva alla piazza del paese. Ci fosse stato più tempo non avremmo disdegnato un tuffo in mare! Il terzo giorno ci ospita Genova e il suo affascinante Acquario,con le sue vasche colorate e pullulanti di vita! Oltre i magnifici mammiferi di grossa taglia, miriadi di piccoli esseri anche un pò spaventati dalla nostra presenza, rettili, foche e i fantastici pinguini che ci hanno offerto uno spettacolo a dir poco esilarante! Era come se fossimo tornati tutti bambini, gli occhi sbarrati da tanta magnificenza e i sorrisi meravigliati di chi, per fortuna, ancora rimane attonito da tanta vitalità. Nel pomeriggio un giro turistico in battello per osservare questo enorme porto, punto di snodo marinaro importantissimo, la visita guidata a piedi del borgo antico conclude questa piacevolissima giornata. Il quarto ed ultimo giorno ci ha visto immergerci nello scenario davvero unico delle Cinque Terre: Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso. Da programma ci siamo spostati in treno fino a Riomaggiore e da qui è iniziata l’avventura. Primo tratto del sentiero definito Sentiero dell’Amore che termina a Manarola, è questa piccola stradina a picco sul mare dove lo scenario davvero fa immaginare l’Amore, piccoli segni sul percorso fanno immaginare migliaia di coppie che si sono giurati amore eterno. Da Manarola, causa cedimento del sentiero per frana, si prosegue in treno fino a Corniglia. Paesino incantevole abbarbicato su un promontorio, raggiunto dopo un’interminabile scalinata, per riprendere il sentiero Azzurro fino a Vernazza e poi ancora fino a Monterosso. Nell’ultima tappa ci siamo concessi un tuffo ristoratore in mare!

23/24 luglio 2011: Il caffè sospeso di A. Noioso

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Era lì pronto, Mimmo, con giubbetto arancione, cappellino e borsello a tracolla. Intorno echeggiava il rumore molesto del vento freddo che dalla notte imperversava in quella conca di contrada Conserva di Lauria posta sul versante Est del Monte Sirino (m1907). Nel trovarlo così disponibile ad offrire, in prima mattina, il caffè a tutti (circa 23), mi sono ricordato del famoso caffè sospeso che anni fa si usava a Napoli: quando una persona era felice, invece di pagare un caffè ne pagava due, uno per sé e unoper il cliente che veniva dopo (il tutto è menzionato anche da Luciano De Crescenzo in un suo lavoro letterario). La felicità di Mimmo era evidente come quella di tutti noi del CAI Castrovillari dopo aver trascorso una serena e felice serata piena di cose buone da mangiare. Certo l’atto di cortesia di Mimmo scaturiva anche dalla necessità di voler rimediare all’aver dimenticato maldestramente a casa il caffè e dal fatto che noi eravamo lì impietosamente sempre a sottolinearlo. Mi è sembrato giusto iniziare così il racconto dell’appuntamento annuale che il CAI riserva alla famosa notturna estiva, inizialmente prevista per Colle Gaudolino, ma spostata successivamente ai piedi del Monte Sirino. In questa occasione si è privilegiato un luogo sconosciuto ai più, se non agli appassionati di sci da discesa, fuori dal Parco del Pollino ma particolarmente bello ed accogliente. La location avrebbe anche consentito di fare, il mattino successivo, un percorso facile alla portata di adulti e bambini. Infatti, con disinvoltura, in circa 45 minuti, abbiamo raggiunto il lago Laudemio (m1515) attraverso un sentiero utilizzato per la manutenzione dello skilift che da Conserva sale sulla dorsale che porta sul Monte Sirino e poi scivola velocemente giù al lago. Incantevole località, un bellissimo lago naturale, sicuramente di origine glaciale, da cui sembrano ergersi le cime maestose del Monte Sirino e del Monte Papa (m2004). Nella stessa giornata abbiamo potuto assistere anche ad uno evento sportivo che ben si integra in quel territorio, infatti, si svolgeva in contemporanea alla nostra escursione, la 4° prova di Coppa Italia di MTB/XC Giovanile ES-All con partecipanti provenienti da tutta la penisola. Dopo la bella e facile escursione la giornata continua in un agriturismo per assaporare le specialità della zona; a tavola però non possiamo fare a meno di ripensare alla sera precedente dove gli amici Franco, Nino e Francesco -coadiuvati egregiamente dalle gentil signore- hanno preparato diverse pietanze prelibate, con ottima qualità e professionalità. Non paghi dei posti visitati, nel rientrare, decidiamo di fermarci sulle sponde del Lago Sirino dove ci diamo i saluti finali davanti ad una rossa e grande anguria.

10 luglio 2011: Discesa del fiume Argentino di Mimmo Filomia

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Il fiume Argentino è chiamato cosi, per le sue acque limpide, chiare e incontaminate. Si forma alla confluenza della Fiumarella di Rossale e quella di Tavolara che raccolgono le acque provenienti dal sottosuolo del più ampio altopiano di Novacco in territorio di Saracena. Nella parte alta del suo percorso -che è di 18,5 Km- riceve piccoli affluenti da destra e sinistra rispettivamente dalle sorgenti Fornelli, Corno Mozzo, Castello Brancato, Timpone Camagna, Timpone Garrone. Sono acque che sgorgano da montagne impervie, lussureggianti, perciò incontaminate; il bacino iniziale del fiume, prima di arrivare in località Povera Mosca, potrebbe essere assimilato ancora a una sorgente a cielo aperto. Le acque sono tumultuose, hanno in sé l’argento vivo sin da quando le due fiumarelle si uniscono in località Varco della Gatta (650m) formando la prima delle spettacolari cascate che si incontrano seguendo il suo corso fino ad Orsomarso; dove si chetano prima di unirsi al fiume Lao e quindi sfociare nel Mar Tirreno. Per gli appassionati di torrentismo l’Argentino è un ottimo banco di prova. Quante volte da piccoli nelle gite famigliari avremmo voluto mettere i piedi nelle fresche acque di un fiume? Bene, oggi questo desiderio si avvera concedendo sfogo cosi ad una emozionante edizione di giochi senza frontiera con sfide il cui premio è il passaggio al successivo ostacolo. La portata delle sue acque è il coefficiente di difficoltà con cui fare i conti. Rappresenta anche quel pizzico d’ignoto verso cui ci si addentra ad ogni svolta del fiume e che non rende monotoni i giochi con l’acqua. Succede, infatti, che i guadi non sono cosi come li hai superati l’anno precedente e, dove contavi di saltare divertito senza bagnarti sui massi, ora devi immergerti fino alla cintola per guadagnare in progressione l’altra sponda. I massi fra cui destreggiarsi, viscidi per la presenza di ferro e muschio, non sempre sono sicuri ma decisamente instabili per le piene tumultuose precedenti. L’approccio ideale per affrontarlo è quello di percorrerlo solo in discesa per diminuire i tempi di percorrenza. Tuttavia anche la risalita può essere piacevole, però necessita confrontarsi con un dislivello di 1000 m avendo nelle gambe almeno sette ore di torrentismo. In venticinque, tra cui due coppie di amici del CAI di Rieti, abbiamo preferito -per questione logistica- scendere sul letto del fiume da Piano Novacco (1321m) lungo il sentiero CAI 635 che conduce al monolito di Pietra Campanara. Dopo avere scollinato la Serra di Novacco lasciamo sulla destra il sentiero che va alla Pietra Campanara, per immetterci su quello che, proveniente dalla sorgente di Rossale e rifugio Fornelli, porta nella valle. Scendiamo nel folto intricato bosco del Vallone Fornelli, ci dissetiamo alla omonima fresca sorgente e tra un salto di ruscelli e traversi sempre degradanti, giungiamo sulla riva destra orografica. Alla nostra sinistra -a circa un’ora di cammino- c’è Varco della Gatta. Il tempo necessario per il cambio equipaggiamento e subito diamo corso all’avventura nelle acque fredde dell’Argentino nel momento in cui il sole a perpendicolo scende nella valle. Dapprima ci si diverte a saltare sui massi fin quando la severità del fiume impone il battesimo con l’acqua. Ci si orienta per ritardare la “bagnata” e allora si sfrutta l’aiuto di tronchi e di corde per proseguire la discesa alla ricerca dei segreti che questo fiume custodisce. Un passaggio sul costone, tra il profumo intenso di lauro, ci consente di ammirare la seconda cascata, la più classica delle cascate il cui tuffo, dal trampolino dei suoi 20 metri d’altezza, realizza il massimo del punteggio; eppure, l’aria ammirevole, di cui si contorna, sotto sotto contiene i suoi misteri impenetrabili alla curiosità. Qui decidiamo di fare lo spuntino della giornata. Le apparizioni del sole nell’alveo si fanno sempre più rade; lo invochiamo per riscaldarci dopo alcuni prolungati passaggi esposti, intriganti, frizzanti, piacevoli. A seguire incontriamo una caverna ricca di concrezioni, le cui pareti rigonfie, sprizzano acqua da tutti i pori; è qui che il protagonista, insieme all’escursionista, è l’acqua tumultuosa che si deve assecondare mentre man mano ti gela gli arti ed il corpo. L’ambiente è degno di un girone del purgatorio dantesco, dove per raggiungere la tranquillità delle acque devi attendere il turno, sotto lo stillicidio dell’acqua al pari del muschio e dei capelvenere, sulle rocce. In alcuni tratti il fiume non vuole intrusi; lo avvertiamo e cosi, seguitiamo sul sentiero sulla riva sinistra orografica che, ad un certo punto, ci regala la visuale di un’altra splendida cascata a tre salti. Poco più avanti si ridiscende nel fiume per guadarlo definitivamente e per immettersi sul sentiero in alto a destra che conduce a Povera Mosca. Il sentiero è ricco di sorgenti che invitano a bere l’acqua che sgorga dalla roccia della montagna al di sotto di Castello Brancato. La traccia si insinua nel bosco e riappare sul fiume che bisogna guadare per ben sei volte poiché tanti sono i ponti in cemento che –sostituendo i più adatti ponti in legno- hanno cambiato in peggio il volto di questa splendida valle e che sono in attesa di essere ultimati. Ci troviamo nelle montagne dell’Orsomarso chiamate cosi, per via dell’omonimo paesino di 1200 anime situato più giù tra mare e monti, dove l’auto ci darà i vestiti asciutti ed i pensieri per tornare nella vita civile.

26 giugno 2011: Colle Impiso – Serra Crispo di Eugenio Iannelli

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Domenica 26 giugno, spostata a data da destinarsi la Montea per dovere di ospitalità e amicizia, una bellissima escursione su Serra Crispo (2050m) ha suggellato il gemellaggio tra le Sezioni CAI di La Spezia e di Castrovillari. I 40 consoci liguri, alloggiati in un albergo cittadino e reduci dall’aver scalato la vetta del Monte Pollino il giorno precedente, erano ansiosi, curiosi ed impazienti dell’incontro ravvicinato con i pini loricati del “Giardino degli Dei”, da noi tanto decantati. Il folto gruppo, dopo un piccolo breafing a Colle Impiso si avviava verso Piano Vacquarro per poi proseguire verso Colle Gaudolino. L’idea originaria era percorrere il sentiero che attraverso Piano di Rummo arriva direttamente ai Piani di Pollino e poi per la Grande Porta conduce a Serra Crispo. Ma una gentile signora ci confida di aver lasciato, nella salita del giorno prima, la macchina fotografica a Colle Gaudolino, sul prato, dove si era fermata a riposare le stanche membra. Non si poteva deludere una tale cortese richiesta e cosi repentinamente attuiamo un cambio di itinerario dirigendoci verso Gaudolino, sia per non mortificare l’ aspettativa del ritrovamento ma anche e soprattutto per dissetarci a quella fantastica sorgente che è “spezzavummula” e che tanto successo aveva mietuto tra gli spezzini il giorno prima. Nel frattempo ci rendiamo conto di aver indovinato la giornata ideale, ventosa quanto basta per limitare il caldo, la sudorazione e per mantenere il cielo terso e sereno per tutta la giornata. Inutile dire che arrivati al Colle, con sommo gaudio della gentil signora ma soprattutto con grande nostro piacere, abbiamo ritrovato la macchina fotografica. Al momento del ritrovamento inutile dire che i commenti si sono sprecati ... Dopo una bella foto di gruppo si prosegue sul sentiero che, tagliando attraverso la parete Nord del Pollino ci porta ai Piani. Una breve sosta e si riparte per la Grande Porta e “Zì Peppe”. Il folto gruppo si dispiega ordinatamente lungo la salita destreggiandosi tra buoi e cavalli, presenti in gran quantità. Lentamente ci avviciniamo ai primi pini loricati, è a questo punto che l’ansimare che prima aveva caratterizzato la marcia in salita lascia immediatamente e repentinamente il posto a frasi di stupore e meraviglia. Le macchine fotografiche impazziscono e tutti corrono a farsi abbracciare da questi giganti buoni. Sosta pranzo alla Grande Porta dove “Zì Peppe”, monumento arboreo sacrificato alla ottusità e all’ignoranza del genere umano, vive il suo ennesimo momento di notorietà. Dopo il pranzo proseguiamo verso Serra Crispo ma la marcia si fa lenta, non per la fatica o per il pranzo, ma perché ogni pino loricato del “Giardino degli Dei” viene giustamente e meticolosamente attenzionato, fotografato, ammirato, e a ciò si aggiunge l’accurata osservazione del magnifico panorama: la Fagosa, la Valle del Raganello, le Timpe di San Lorenzo e Porace, Pietrasasso e delle Murge, la Falconara fino ad arrivare a La Spina, Zaccana, Alpi, Sirino e per finire da un lato Capo Spartivento e dall’altro il Golfo di Policastro. L’avevamo detto che era la giornata ideale! Ogni volta che si ritorna quassù e si contempla questo luogo, si scrutano, si esplorano questi alberi millenari sembra di essere completamente avvolti e rapiti dal mistero dell’eternità. Facciamo fatica a venir via ma il tempo è tiranno. Si rientra per la stessa strada ma lo sguardo, fin quando è possibile, è sempre proteso all’indietro poiché gli occhi e la mente desiderano ancora nutrirsi di quella splendida ed eterna visione. A fine giornata d’uopo i ringraziamenti di tutti i partecipanti ma soprattutto di Maurizio, Presidente della Sezione, e Giuliano, organizzatore della gita nel Pollino. Di questi ringraziamenti uno riunisce in se tutto il possibile e ci rende fieri ed orgogliosi di quello che noi del CAI Castrovillari -nel nostro piccolo- riusciamo a regalare agli escursionisti che vengono nel nostro parco: INPAGABILE. Ci congediamo dandoci appuntamento in terra ligure per l’uscita che la nostra Sezione farà a fine agosto nel Parco delle Cinque Terre.

18/19 giugno 2011: Notturna “tre giganti nella notte” di Gerardo Dipinto

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19 luci nella notte, in fila per i sentieri delle tre cime del Massiccio: Pollino, Serra Dolcedorme e Serra delle Ciavole, ed il chiarore della Luna che per tutto il tempo ci ha illuminato il sentiero che ci ha portati in vetta al Dolcedorme per aspettare l’Alba della fonte della nostra Vita. Eravamo li, di notte, dopo ore di cammino perché “tutte le mattine ci svegliamo e troviamo già a riscaldarci il Sole, ed è sempre Esso a farsi trovare pronto, mai che l’abbiamo cercato noi.Ma quante volte l’abbiamo aspettato e tanto desiderato perché venisse a riscaldarci e darci un pò di luce per comprendere quanto importante Esso sia?”. Eravamo li e l’abbiamo aspettato e desiderato e l’abbiamo immortalato in centinaia di foto come se fossimo in una tribuna d’onore per lo spettacolo di una Star, ed abbiamo meditato insieme leggendo alcuni versi sulla “Bellezza del Creato”: Imparare a guardare la Natura, sentire la natura, essere Uno con ciò che ci circonda, ecco la vera meditazione. Entrare in contatto con la spiritualità stessa della Terra. Meditare è vivere la natura e le sue forme di espressione, sentirle sulla pelle ;il vento, il sole ma anche la neve la nebbia o la pioggia, è rotolarsi nelle foglie d’autunno, assaporarne i profumi e i colori, aprire le mani alla pioggia, sfiorare coi piedi nudi l’erba che nasce, sdraiarsi tra i fiori appena sbocciati, far scricchiolare piano la neve sotto le suole, muoversi in silenzio nella nebbiolina autunnale, illuminarsi al sole, a faccia in su per perdersi nel cielo stellato, scoprire le sensazioni degli animali che si muovono di notte, nel chiarore lunare muoversi sulla neve in un mondo uguale ma diverso, per aspettare l’alba in cima ad una montagna, avvicinarsi con rispetto ad una scintilla di quel GrandeMistero che…. tutto anima e in tutto si nasconde. La Natura è sempre lì, con la sua energia potente, infinitamente ricca di spunti e di insegnamenti. E' pronta a nutrirci senza riserve, a guarirci con la sua bellezza e con la sua magia, a consolarci quando siamo senza speranza, mostrandoci ………. il Miracolo che è la Vita. e puntuale alle 5,25 -dopo essersi fatto annunciare da un’Aurora dipinta con tutte le sfumature dal giallo al rosso- eccolo elevarsi all’orizzonte dall’oriente come un Amico che ci visita ogni giorno. In pochissimi minuti, a vista d’occhio, la stella più bella dell’universo ci ha avvolti in un bagliore sfolgorante, riscaldando i nostri corpi e illuminando i nostri volti già provati dalla fatica. L’abbiamo immortalato in centinaia di foto e poi abbiamo proseguito il cammino contenti e soddisfatti che anche quel giorno eravamo li ad assaporare il miracolo del la Vita. “Insieme si possono fare cose che non sono possibili da soli, perché pur essendo in molti e diversi, è bello pensare che tutti assieme, in queste occasioni siamo una cosa sola. ”Grazie a Imma, Vito, Francesco, Roberto, Giuseppe, Nino, Pietro, Matteo, Gerardo, Eugenio, Vito, Arcangelo, Mirco, Adalberto, Domenico, Alessandro, Franco, Salvatore, Gaetano. Buona strada!!

22 maggio 2011: Cascata del Marmarico di Mimmo Filomia

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Con spirito di ricerca di angoli reconditi della nostra meravigliosa Calabria e che infondono meraviglia negli occhi dei visitatori tanto da restarne incantati, questa volta il CAI di Castrovillari si è proposto per una sortita alla cascata del Marmarico. Essa si trova nel Parco Naturale Regionale delle Serre al confine tra le Serre Catanzaresi, dorsale monte Pecoraro 1423m, montagne della Ferdinandea e l’Aspromonte, nel comune di Bivongi (RC). La colonna d’acqua, alta circa 110 m e che precipita con un salto spettacolare (da quota 800m) e spumeggiante, nelle sue fasi di caduta presenta tre piscine, due nella parte mediana del salto e l’altra alla base. Detiene il primato di essere la più alta dell’Italia meridionale. A vederla dal basso, la cascata di schiuma bianca scivola adagiandosi alla roccia da cui pende quasi immobile come di marmo bianco. Alla sua base, le acque, finalmente, si chetano un pò nel laghetto; ai bordi del quale i massi di granito levigato, ricorrenti nella vallata, fanno da trampolino per un salto refrigerante estivo. Le micro gocce che pervadono l’ambiente circostante e le sue fresche acque, raccolte nel palmo della mano sono motivo di carezza per il giusto premio a sorella acqua per la spettacolare esibizione, in caduta libera e fragorosa. Le acque dello Stilaro, che qui creano un ambiente idilliaco, poi acquisteranno di nuovo la libertà guadagnando l’ombroso vallone Folea per poi unirsi al torrente Ruggiero e attraverso la fiumara stessa dello Stilaro, sfociare nel mare Jonio, vicinoa Monasterace. Per alcuni la voglia di immergersi nella piscina naturale è un modo di interagire con la mitologia. Qui la bellezza della natura, fa invocare quelle ninfe che, un tempo con il loro vocio e grazia, rendevano questo luogo regale e paradisiaco. Altri, invece, direttamente calati dalla civiltà vi giungono in tuta e scarpette da astronauta per una missione esplorativa in un angolo della terra nascosto nel bosco fra le montagne, ancora incontaminato e incantevole. La cascata del Marmarico si può raggiungere a piedi muovendo nei pressi di Bivongi, lungo uno sterrato di circa tre Km, oppure tramite servizio navetta con fuoristrada. L’ultimo tratto, di circa un Km, invece diventa escursione per tutti a partire dal ponte in cemento, sotto il quale le acque dello Stilaro ricevono con fragore quelle del torrente Ruggiero. Il sentiero nella valle Folea, si sviluppa lungo il greto del fiume tra grossi massi granitici levigati ed una fitta vegetazione di macchia mediterranea dove primeggia una specie di erica, felci e varie infiorescenze rigogliose. Un ponte di legno, ci consente di saltare sulla destra orografica del fiume ed a metà percorso, una provvidenziale fontana disseta tutti. Ormai ci siamo! Il fragore dell’acqua si fa più intenso, dapprima scorgiamo il laghetto tremolante che accoglie un getto spumeggiante d’acqua che stupiti seguiamo a ritroso fin sopra la montagna! Vorremmo raggiungere e vedere l’inizio del salto; ma da questa posizione, non c’è sentiero per farlo, se non raggiungere sulla sinistra una postazione mediana più panoramica. Curiosità mezza appagata, pazienza! Chi vuole, è libero di pensare che tutta quella massa d’acqua in caduta libera proviene dal cielo per stupirci! La crisi economica in atto, la viabilità attrezzata che accorcia i tempi di percorrenza, favorisce il turismo veloce, osserva e ritorna. Bivongi e d’intorni si prestano bene a questa tipologia di turismo. In fondo c’è sempre tempo per focalizzare poi questi luoghi perché associano bene, natura, cultura storica, sacra, greca - bizantina per la presenza della Cattolica di Stilo ed il monastero di S.Giovanni Theristis, ristrutturato e curato dai seguaci della Diocesi romeno - ortodossa d’Italia. L’interno è ricco di affreschi e testimonianze di pellegrini provenienti dal Monte Athos nonché resti di particolari architettonici. Interessanti sono anche le testimonianze di archeologia industriale dell’epoca borbonica. Il clima è mite in inverno e caldo in estate. A valle, un’ampia area attrezzata accoglie i visitatori.

15 maggio 2011: Rifugio Biagio Longo - Monte Palanuda – Piano Novacco - Rifugio Biagio Longo di Eugenio Iannelli

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Con alcuni dei soci di Reggio Calabria ci eravamo lasciati ad aprile del 2010 -in qualità di accompagnatori- nella bellissima escursione realizzata nel Parco Nazionale di Aspromonte e precisamente a Pentedattilo. Quella, però, non poteva definirsi a pieno titolo una “intersezionale” per vari motivi. Questa, considerata l’organizzazione e la massiccia presenza dei soci delle due Sezioni, aveva pienamente le caratteristiche di una uscita intersezionale che andava a riprendere le tante escursioni fatte insieme nel corso degli anni confermando e consolidando un rapporto collaborativo, di stima e amicizia reciproca che si è sempre mostrato compatto nonostante le vicende istituzionali ed umane lo avessero, negli ultimi anni, incrinato. Al Rifugio, prima della partenza, eravamo veramente in tanti e noi di Castrovillari non potevano non essere soddisfatti del successo di partecipazione sebbene il percorso che ci apprestavamo a compiere rappresentava uno degli itinerari classici che si dipartono dal Rifugio. Ma un’ulteriore motivo di soddisfazione lo si leggeva negli occhi di tutti per la presenza dei soci reggini che, facendo base al nostro rifugio, avevano approfittato del week end per visitare -il giorno precedente- i luoghi più noti e centrali del Parco; ma soprattutto per la presenza, sempre più costante, di soci provenienti da diverse realtà territoriali del Pollino. Provo ad elencarle con la speranza di non dimenticare nessuno: Corigliano Calabro, Firmo, Frascineto, Lauropoli, Lungro, Saracena, Spezzano Albanese, Rossano Calabro, Trebisacce, Viggianello e Castrovillari. C’è da essere contenti! Dopo i saluti di rito ed il breafing il gruppo si muove. Nel percorrere il primo tratto di strada –dove insistono numerose aziende agricole private- e osservando il serpentone che vi si dispiegava mi rallegravo del fatto che nel nostro piccolo, grazie alla presenza della nostra struttura in questa zona, contribuiamo giorno per giorno alla conoscenza, alla promozione turistica e alla crescita culturale ed economica di questo parte del territorio del Parco che ricade nel Comune di Mormanno. Ma veniamo all’escursione: attraverso il sentiero n. 636 passando per la fonte Acqua la Pietra facciamo la prima sosta al Rifugio Conte Orlando, di proprietà del Circolo Cacciatori di Mormanno e la cui costruzione risale al 1904; per avere 107 anni si mantiene in ottima forma. Proseguiamo nel bosco fino al valico di Acina Spina e da lì giungiamo a Piano Cambìo dove ormai da tempo non ci aspetta più il bellissimo pianoro circondato da altissimi faggi che lo adornavano e lo abbellivano. Ci accoglie, purtroppo, uno spettacolo veramente triste, che viviamo ormai anni e che purtroppo non appresta a fermarsi, il taglio completo della bellissima faggeta che circondava il piano e dintorni. Sono tre anni che ormai questo scempio va avanti e non riusciamo a coglierne la fine. Ogni volta che torniamo scopriamo una nuova parte di bosco sventrata e martoriata dalle motoseghe, solcata e scavata dai pneumatici degli enormi camion che vanno avanti e indietro per trasportare la legna. Grandi faggi ridotti a miserimozziconi lasciati a marcire sul terreno. Qualcuno di noi, attraverso gli anelli del tronco, cerca di contarne gli anni. Tanti esemplari ne avevano almeno cento.Ci coglie un grande senso di frustazione nel pensare che ci vorranno minimo cinquant'anni per ritornare a vederlo nel suo antico splendore e che tutto ciò è fatto con il solo scopo di guadagnare poche migliaia di euro. Superato il piano raggiungiamo il crinale per immetterci sull’antica mulattiera che giunge al Vallone Fornelli e di qui alla sella. Continuando impegniamo la dura dorsale Ovest che ci porta in vetta. Prima però un breve passaggio sull’anticima, antipasto panoramico, da dove allunghiamo lo sguardo sul mar Tirreno con S. Maria del Cedro e Scalea, La Valle dell’Argentino, i Crivi di Manciacaniglia, monte La Caccia, Montea, La Mula, Cozzo Pellegrino, Cozzo dell’Orso e andando verso Nord il Ciagola, La Destra, La Spina, Zaccana, Alpi, Sirino, il Golfo di Policastro. Subito dopo tutti in cima per continuare ad ammirare tutta la catena del Pollino, il Caramolo, Scifarello, Timpone della Magara, la Pietra Campanara, i boschi delle fiumarelle di Rossale e di Tavolara che convergono nel Varco della Gatta. È vero il Palanuda non tradisce mai, 360 gradi di emozioni. Tanto il tempo trascorso in cima, ma la strada è lunga, riprendiamo il cammino non prima di aver fatto la consueta foto ricordo, consumato il pranzo a sacco e salutato due amici che ci hanno raggiunto. Da qui lasciamo il sentiero segnato e attraverso una lunga ma comoda discesa nel bosco giungiamo dapprima a Piano Novacco e successivamente a Piano dell’Erba dove facciamo una piccola sosta per dissetarci alla fresca fontana. Riprendiamo il cammino immettendoci sul sentiero 601 (Sentiero Italia), destinazione Piano Masistro dove, inoltrandoci nel bosco fino alla prima selletta, facciamo ammirare a tutti la bellezza straordinaria di questo luogo con i suoi tre piani concatenati tra loro. Abbandoniamo il 601, che porta a Morano Calabro e ritorniamo sui nostri passi per consumare gli ultimi chilometri che, attraverso le contrade Acquafredda e Rosole, ci permettono di chiudere l’anello giungendo a Piano Campolongo e al nostro Rifugio. Dopo questa favolosa giornata salutiamo affettuosamente i nostri amici reggini con i quali, nel corso della giornata, abbiamo pianificato un’altra escursione intersezionale questa volta in terra di Aspromonte.

8 maggio 2011: l’anello di Scifarelli di Mimmo Filomia

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Siamo tornati fra i boschi delle montagne di Saracena che ci hanno visti protagonisti già qualche settimana fa in ascesa al monte Caramolo attraverso la via del “Portone”. Oggi, a primavera inoltrata, la montagna si è vestita completamente del fogliame novello che ci ha accolto all’ombra dei suoi alberi già rigogliosi in una giornata calda e mite dove nulla faceva presagire che il giorno dopo, su questi luoghi, facesse capolino di nuovo la neve. Una primavera capricciosa! Oppure la stagione più attesa e variabile dell’anno, per la sua prorompente vitalità, cerca di erodere giorni all’estate, per abbassare la temperatura globale media? Sono considerazioni e non dati certi da acquisire, ma è giusto annotarli per un riscontro a medio e lungo termine. La bella giornata ci mette tutti di buon umore, iniziamo l’escursione risalendo un tratto del sentiero UCS 631 (Novacco-Caramolo) che da Novacco (1311m) ci porta sul verde pianoro di Scifarelli. Qui, ci attende una prateria tappezzata, dai fiori dello zafferano e varietà di violette che a distesa o a ciuffi, ci fanno esclamare: che meraviglia! In inverno invece con la neve, la zona è una meraviglia per i fondisti. La pendenza da superare oggi è lieve, tutta compresa nel tratto iniziale; senza accorgercene, distratti dal paesaggio circostante, che appariva sul sipario man mano si progrediva, guadagniamo Timpone Scifarelli (1700m). La quota raggiunta è un buon osservatorio sui monti dell’Orsomarso, la catena del Pollino, i monti della Luna che ruotano intorno a Masistro e la Serra di Novacco. Per affinare bene lo sguardo sul sottostante territorio occultato dalla lussureggiante foresta di altissimi faggi, perfetti, quasi clonati, raggiungiamo il Belvedere di Scifarelli tanto caro agli amici di Saracena che per questa montagna infondono passione e rispetto. Eh si, hanno avuto ragione perché dal troncone di roccia sporgente a forma di trono, la vista domina sul sottostante verdeggiante pianoro di Novacco, fino a Piano Minatore. Osservandola dall’alto, la grande foresta fa bella mostra di sé. Focalizzando alcuni esemplari, i faggi maestosi sembrano pavoneggiarsi con la loro chioma ai raggi del sole e del vento, trascinando, in una coinvolgente “ola”, tutti gli altri. La linea dell’orizzonte invece, tra una nube e l’altra, in rapido movimento, ci mostra la spalla del monte Pellegrino ancora innevata, il monte Palanuda ed il monte Caramolo. Lasciamo il trono del Belvedere da cui ci siamo affacciati, con curiosità appagata, per risalire, sempre nel fitto bosco, lungo una pista agevole che ci conduce all’altra meta dell’escursione: Cozzo del Caprio. La località è nota perché custodisce nel suo habitat “4 faggi” giganti e longevi risparmiati dall’ultimo disboscamento. Purtroppo per uno di essi il dio Zeus non ha avuto compassione e quindi con una saetta l’ha buttato giù disponendolo a modo di palcoscenico per la foto ricordo. Gli altri 3 esemplari rimasti in vita hanno davvero un portamento patriarcale. È quasi mezzogiorno, proseguiamo sempre in discesa sfruttando il credito di quota acquisito con la salita della mattinata. Nella mente di ognuno, però, si fa sempre più consistente l’idea di cercare un posticino tranquillo tra l’ombra ed il sole per la pausa pranzo; quand’ecco che, da lontano ci appare la terra promessa: Serra Parmiggiana, un nome, una garanzia, un invitante bel pianoro verdeggiante, pieno di sole, un tempo conteso tra il Comune di Saracena e il Demanio, limitato ma ormai a pieno titolo del Parco. Una pranzo distensivo -in tutti i sensi- sul prato, precede il rientro che percorriamo seguendo il sentiero che porta alla casetta rifugio Scifarelli, aperta tutto l’anno! Qui si chiude l’anello del sentiero, noi tutti invece inanelliamo un’altra giornata piacevole trascorsa in natura fra amici nei boschi di Novacco.

10 aprile 2011: L’anello del Caramolo di Mimmo Pace

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Chi è convinto di nutrire un grande amore per la Montagna ignora, forse, il sentimento e la passione, che legano profondamente gli amici Soci di Saracena alla loro montagna: il Caramolo. Un amore così esclusivo, da indurre in essi quasi uno spirito di “gelosa protezione”, che emerge puntualmente ogni qual volta si ha ventura di parlare di montagna con qualcuno di loro. E’ ormai chiaro e manifesto, che per essi i Monti del Caramolo rappresentano un “unicum” di valori naturalistici da divulgare, promuovere e nel contempo tutelare; sicché, concentrati e proiettati come sono nel raggiungimento di tali obiettivi, partecipano, ormai solo saltuariamente, al pur ricco e diversificato calendario di attività, annualmente promosso e organizzato dalla nostra Sezione CAI di Castrovillari. Per la verità, questi amici non hanno proprio tutti i torti, considerate le notevoli emergenze naturalistiche che la loro montagna, come in un prezioso scrigno, racchiude. Penso ai magnifici, luminosi pianori e alle erbose praterie d’alta quota, alle solenni sterminate foreste senza tempo, ai balconi panoramici offerti dalle vette, alla natura selvaggia e stregata del “Portone”, ai recessi romantici e misteriosi delle Fiumarelle di Rossale e di Tavolara, che corrono giù a creare l’Argentino, un mondo di acque ancora pure e cristalline; per non sottacere i monumenti di pietra foggiati nei millenni dalle forze della natura, quali la Pietra Campanara, l’Ascia dello Scardiello, i Gendarmi della Picarella. Sicuramente non sbagliano, se tengono a puntualizzare che la loro montagna si identifica in “Monti del Caramolo”, non accettando di avvertirla omologata nell’ormai arcinoto, onnicomprensivo appellativo “Monti d’Orsomarso”, coniato dal pure arcinoto naturalista Franco Tassi, nel corso di una delle sue prime avventure naturalistiche nella nostra Terra di Calabria. Tale toponimo, vuoi perché rievoca una remota, quanto improbabile presenza faunistica del passato, vuoi perché, forse, in qualche modo lega l’indiscusso fascino dei luoghi al nome fantasioso del paesello di Orsomarso, si è ormai propagandata e diffusa capillarmente tra i tanti fruitori e conoscitori, molti però solo sulla carta, di questo complesso e intatto sistema montuoso, considerato ancor’oggi un “santuario della wilderness meridionale”. Ne è scaturito che la dizione “Monti d’Orsomarso” ha finito col rappresentare, fagocitandone la toponomastica, importanti gruppi montuosi quali appunto il Caramolo, la Dorsale del Pellegrino ed anche i Massicci di Mula e Montea, aventi “ab immemore” una loro ben precisa identità. Considerando quindi che il toponimo “Monti d’Orsomarso” potrebbe realisticamente, tutt’al più, rappresentare i rilievi montuosi che fanno corona al paesino di Orsomarso e tra i quali si articola il bacino fluviale dell’Argentino, ritengo opportuno, con una direttrice Nord-Est-Sud, elencarli qui di seguito: Timpone Grugoleio - Timpone Corriolo - M. Palanuda - Corno Mozzo - Timpone i Fornelli - Timpone Camagna - Timpone Garrola - Schiena di Novacco - Schiena Lombardo - Serra del Lepre - Serra Costantino - Castel di Raione. Così, un po’ per stimolare questi amici Soci a frequentare le nostre sortite, un po’ per assecondarli e coadiuvarli nell’intento di pubblicizzare e promuovere il loro territorio, abbiamo programmato, organizzato e vissuto questo ricco e interessante, quanto poco noto, percorso ad anello. Dai castagni di S. Marco, appena sbocciati alla nuova primavera, un sentiero percorre un tratto di boscaglia bassa e si dirige, in salita sempre più accentuata, verso il “Portone”, un vallone singolare che, intagliando profondamente i fianchi della montagna, disegna una “V” perfetta. Si procede ora lungo un sentiero scavato nella pietra, che corre sul fondo del vallone, d’inverno sepolto da metri di neve durissima, esito di continue slavine che si originano sui ripidissimi opposti bastioni, e si insinua in un angusto passaggio tra due poderose, strapiombanti pareti di viva roccia. L’ambiente è misterioso e solenne, ma l’allegro vociare del nutritissimo gruppo deprime l’austerità del recesso; si prosegue lungo il vallone, fra giganteschi esemplari di faggio, per poi piegare a manca e risalire, in durissima erta, al Colle del Lupo, un aereo balcone panoramico. Ancora su traccia, destreggiandosi tra rigogliose macchie di pini e di faggi, si risale fin sulla monca cima gemella del Caramolo, per poi discendere sul dolce pianoro. A manca, la misteriosa Serra Cuparelli; di fronte, le selvagge Serra della Lupara e Timpone della Magara, fiancheggiate dalla lussureggiante Valle Palermo. Attraversato il minuscolo pianoro, si affrontano i duecento metri di dislivello finale, attraverso l’impervia cresta Sud e si tocca la vetta, un’autentica balconata sullo Jonio e sulla bastionata del Pollino. Per il ritorno, si intraprende il sentiero 631 segnato dal CAI, fino al Piano di Caramolo, per poi piegare a dritta e raggiungere la spalla della Picarella. Qui, una sorpresa: dalla boscaglia, d’improvviso, emergono colossali monumenti di pietra dalle forme bizzarre e inquietanti. Fanno parte del gruppo due meravigliosi bimbi di otto anni appena: Giuseppe e Daniele, affascinati da queste stravaganti e imponenti sculture della natura. Scatto loro una foto ricordo ai piedi di un maestoso obelisco, lo stesso di circa 30 anni fa, appena felicemente ritrovato, sotto la cui mole fotografavo il mio figlioletto Francesco, della stessa loro età, che errava in questi luoghi col suo papà, impegnato a conoscere e fissare in immagini bellezze ed emergenze del futuro Parco Nazionale del Pollino. Il monumento di pietra è rimasto tal quale, ma il paesaggio è mutato vistosamente: segno dell’inarrestabile scorrere del tempo … Una struggente nostalgia di quei momenti felici e ormai così lontani mi assale e mi vince fino alla commozione; è d’uopo, però, un ritorno alla realtà, considerando che, in fondo, la cosa davvero importante è l’aver avuto ventura di viverli … e lo faccio subito, scalando uno di quei gendarmi! A questo punto, per chiudere il fantastico anello, non resta che discendere la facile scarpata, che ci riporta alla base del vallone e in breve ci ritroviamo di nuovo al cospetto del misterioso “Portone” del Caramolo. Unica nota stonata, tra tante armonie della natura, l’invasivo obbrobrioso ripetitore che troneggia, eterno, intangibile, proprio sulla vetta, a ricordarci che siamo immersi fino al collo nella ineffabile “civiltà dei consumi” e come se non bastasse, ancora i rottami arrugginiti del suo predecessore!

27 marzo 2011: Oltre Madonna di Lassù, doppia cima sulla Manfriana

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Libero! Sentirsi libero nel camminare su una prateria, al di sopra della confusione che regna sotto i nostri sguardi, in un giorno di una nuova primavera, nella quale i profumi di montagna, invadono il mio spirito. Spensierato! Nel percorrere correndo una “cresta infinita”, toccando la roccia, tra nuvole dalle forme bizzarre che si muovono sopra di noi, nascondendoci alla luce di un sole splendente. Amico! Condividere la fatica, il cibo, le passioni e le impressioni su una banale e solita (per molti) salita in montagna. Emozionato! Nel salutare dall’alto di un monte, gli amici che si trovano sull’opposta cima. Disperso! Felicemente sperduto in un eremo di montagna dove le mura hanno il carattere di visi antichi, che finiscono là dove inizia la pura roccia, che mi trasmettono tranquillità e danno rifugio alla mia anima. Sorpreso! Nello scorgere nei visi dei miei compagni d’avventura, una meraviglia nell’ammirare paesaggi a loro sconosciuti, nel cercare le pietre dalle forme più strane e fantasticare sulla loro storia. Ho imparato che la montagna si presenta sempre in modo vario ed inaspettato, ad ogni salita, ad ogni semplice camminata, ad ogni nuova stagione che semplicemente percorre il suo corso. L’amore immenso per questo mondo và al di là di ogni immaginazione e porta con sé, nient’altro che il puro sentimento di vivere intensamente ogni attimo di vita. Questo ho vissuto domenica, assieme agli amici del CAI di Castrovillari. Un’uscita decisamente dal sapore primaverile che ci ha regalato scorci di un inverno malinconico, appena passato. Un’uscita che ha visto la partecipazione di un gruppetto nutrito di amatori della montagna, che ha creato nuove sinergie tra i saggi - veterani del gruppo e le nuove leve. Un’uscita non difficilissima dal punto di vista tecnico dove “scherzando-scherzando” si è riusciti a solcare le due cime della Manfriana, nonché la visita all’eremo della Madonna di Lassù, luogo ricco di misticismo e antiche tradizioni. Aggiungendo così, un ultimo tassello a questa perfetta giornata, Alla prossima! Grazie all’amico Falcotrek per il suggerimento del titolo.

13 febbraio 2011: Pollinociaspole di Mimmo Filomia

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Piano Ruggio, è stato preso d’assalto da una ventata d’allegra e spensierata comitiva d’escursionisti, che hanno animato l’ambiente caduto in forte depressione strutturale. Con le ali ai pedi (racchette da neve) sulla bianca coltre del sentiero n° 900 che dal Piano Ruggio (1535m) conduce al Belvedere di Malvento (1600m), sulla distanza di 4 km A/R si è svolta la terza edizione di Pollinociaspole. La manifestazione, non competitiva, riproposta come ogni anno dal Club Alpino Italiano di Castrovillari, ha visto la partecipazione divertita di una cinquantina di appassionati e curiosi dell’attrezzo. In tenuta multicolore, hanno dato sfogo alla voglia di movimento sulla neve alta senza sprofondare, inoltrandosi nel bosco, sulle alture ed i pianori ai piedi di Serra del Prete e Timpone Capanna. La zona di Piano Ruggio è frequentatissima d’estate per la frescura che scaturisce dalle faggete che la cingono a radura. Lo è altrettanto d’inverno, considerata un ritrovo per fondisti e ciaspolatori. È anche considerata la vetrina del Parco per i visitatori pigri, perché racchiude nel suo habitat molte delle peculiarità che lo contraddistinguono. L’ambiente è invitante per comode passeggiate penetrative alla scoperta di maestosi faggi dall’apparato radicale affiorante ed a piovra. È un punto di partenza per sentieri d’altura con viste panoramiche su insediamenti e vallate degradanti verso l’entroterra e la marina. Non mancano luoghi appartati dove rifugiarsi nel dialogo interiore protetto dalla neve e isolato dal mondo sottostante, che può attendere; dove il vocio di allegre comitive lontane giunge ovattato, riportandoti felicemente in essere. Molto ricercato qui è l’angolo nella vetrina che espone l’oggetto del desiderio, che è, e non può che rimanere “cosa nostra” esclusiva del Parco: il Pino Loricato, sopravvissuto all’ultima glaciazione. Lo ammiriamo appoggiati alla palizzata del belvedere, mentre lui compiaciuto di tanta attenzione si mostra in tutte le forme plastiche su pendii e abbarbicato alle rocce, ma sempre con la chioma spavalda a vincere le forze avverse della natura e quella di gravità. Il Belvedere di Malvento ci ha accolto nella sua corte ospitale e inondata di sole esposta com’è a Sud. Ne è seguita una breve sosta aggregante, con picchi d’euforia e soddisfazione all’arrivo dei ciaspolatori sulla balconata panoramica. L’ora di pranzo ci fa intraprendere con maggiore entusiasmo la via del ritorno, verso il caldo dell’ Hotel Miramonti. L’uso di questo prezioso attrezzo, da qualche anno in voga su tutte le piste innevate, rivisitato nella forma e nei materiali, consente performance inusitate, favorisce la progressione in ambienti innevati e consente di sorprendere la bellezza della natura nella veste rigorosa invernale pura e incontaminata, mai osservata. Oggi grazie alle “racchette da neve” sempre più gente si avvicina alla montagna con passeggiate soft per una attività motoria festosa sulla neve, che giova allo spirito e tempra la padronanza della propria forza fisica. La presenza della gente in montagna, contribuisce a tutelare l’ambiente, segnalando eventuali disfunzioni come quella riscontrata oggi riguardante la difficoltà di transito nei pressi di Colle Dell’Impiso ( piccolo tratto ghiacciato risolvibile con pochi kg di sale) e la chiusura prolungata del rifugio De Gasperi. Vi ricordiamo: è il turismo che fa il luogo! Il turismo è mobile; dimentica presto il luogo inospitale… poi ci vorrà tempo per recuperare l’immagine perduta.

6 febbraio 2011: Su per la Nord del Monte Alpe di Mimmo Pace

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Avremmo voluto osare … avremmo voluto violare la solenne, vertiginosa parete W del Pizzo Falcone - 1900 m - la più alta e ardita delle tre vette del complesso dell’Alpe, costellata di splendide macchie di loricati, (questa, in Italia, la stazione più settentrionale del “Pinus Leucodermis”) che si affacciano su lisce, strapiombanti placche, ciclopici diedri e canalini precipiti, intervallati da innumerevoli, esili cenge. Abbiamo, per il momento, dovuto rinunciare; siamo consapevoli di non essere ancora pienamente maturi per tal genere di imprese, peculiari di alpinisti di maggior caratura ed esperienza. La nostra è una Sezione giovane: annovera appena undici anni di vita e se andiamo considerando l’insieme delle nostre abituali, solitamente avvincenti attività, dei nostri continui progressi, delle importanti realizzazioni conseguite, dei notevoli traguardi raggiunti in così pochi anni e … soprattutto della tenace volontà mai sopita di migliorarci, di distinguerci nell’importante sodalizio del CAI, cui siamo fieri di appartenere … beh! … possiamo già ritenerci pienamente appagati. Non va, peraltro, sottaciuto che nel nostro ambito sezionale si sono formati ed affermati giovani di spicco, che incarnano figure professionali di primo piano nell’organizzazione regionale del CNSAS, il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico, ora assurto al rango di Sezione Nazionale del Club Alpino Italiano. Ciò in particolar modo, costituisce motivo di grande orgoglio per la nostra Sezione di Castrovillari. Ci siamo, perciò, dovuti accontentare - si fa per dire - di tentare la “diretta invernale” per la scoscesa, ripidissima Nord della Punta del Corvo, - 1880 m - la terza cuspide sommitale di questo colossale, solitario “dente calcareo” dell’estremo lembo settentrionale del Parco Nazionale del Pollino: il Monte Alpe. Continuerò sempre ad appellarlo così, a dispetto della distorsione toponomastica “Alpi”, figurante sulla cartografia ufficiale IGM, che ha ormai preso piede tra saggisti, pubblicisti e fruitori, e in ossequio dell’antico toponimo “Alpe”, o più propriamente Montagna dell’Alpe, (alpeggio, esteso pascolo di montagna, un tempo frequentato da mandrie e greggi) che ho avuto modo di rispolverare, consultando due antichi testi custoditi nella biblioteca latronichese: “I Bagni di Latronico”di Michele Lacava e “Monografia di Latronico”, del Sac. Prof. Egidio Raffaele D’Angelo. Ciò chiarito, veniamo al succo della sortita. Un vero appassionato non smette mai di andare alla scoperta dei mille volti di una montagna; essa regala sempre esperienze nuove, insegnamenti nuovi, emozioni nuove e rivela anche e pone sul tappeto diverse problematiche di non facile soluzione, sia in termini di tutela, che di fruibilità dell’ambiente. Quel che gratifica e ripaga maggiormente l’organizzatore di una escursione, non è solo la felice conclusione della stessa, ma forse ancor di più la partecipazione che si è riusciti a stimolare, non fosse altro che per aver potuto indurre interesse e amore per la montagna; se, quindi, il successo si misura in partecipazione, allora c’è di che sentirsi lieti e soddisfatti in seno al CAI di Castrovillari. Mi sopravviene, così, spontanea una riflessione: “perbàcco, quanta gente nuova, tra giovani e non più giovani, attratti forse dall’eco di sortite sempre più affascinanti, programmate, organizzate e felicemente concluse”. Quando mai tanta gente, tra nevi e ghiacci, su per questa fascinosa, solitaria Montagna dell’Alpe! … 40 partecipanti, due gruppi: uno di patiti d’alpinismo, l’altro di ciaspole, si sono dati appuntamento in vetta per esultare insieme e per raccontarsi le sensazioni e le emozioni vissute, profondamente diverse se vogliamo, ma ugualmente appaganti. Ciaspole colorate scalpitano e crepitano nel diafano biancore di un ambiente ovattato: lasciano il Rifugio Favino per intraprendere l’iter lungo il sentiero 970, segnato dal CAI di Castrovillari, che le guiderà attraverso il pittoresco Bosco Favino, su per la cresta della Punta S. Croce, fin sulla sommità del Pizzo Falcone, la vera vetta dell’Alpe. Alcune immagini di questo blog illustrano i luoghi incantati da essi scoperti e suggellano le loro emozioni. Noialtri, invece, con la segreta speranza di poterli raggiungere in vetta, ma per tutt’altra via, scrutiamo attenti, circospetti e un po’ sbigottiti, la nostra “palestra d’azione”, la Nord della Punta del Corvo: un’aerea, candida cortina inclinata a 70°, fatta di ciclopici torrioni opalescenti, orlata dalla veste ramata e screziata di bianco della faggeta, solcata da vertiginosi canalini stracolmi di neve, da risalire per toccarne la vetta. E’ deciso, si va! Ci addentriamo nel Bosco della Lupara, lungo uno dei magnifici e interessanti percorsi guidati realizzati dalla Comunità Montana Lagonegrese, fino a raggiungere il punto di attacco in fondo al nevaio “la Nevera”, proprio accanto a un gigantesco lastrone obliquo di roccia ricoperto di ghiacci. Nove, le cordate, condotte dal “gotha” del CNSAS Pollino Calabria e noi al seguito, per addestrarci, migliorarci nella pratica alpinistica, ma soprattutto protesi nell’ansiosa ricerca di emozioni forti e irripetibili. Non il solo CNSAS era presente; questa ascensione di notevole livello alpinistico, tra le più avventurose e impegnative finora proposte e concluse sulla nostra montagna, ha calamitato significative e importanti presenze delle altre 3 sezioni calabresi del CAI, oltre che di appassionati di Bari e Matera: un gruppo nutrito e composito, dunque, che suffraga il forte richiamo della sortita ed anche tanta voglia di misurarsi con se stessi, prima che con la montagna. L’avventura è iniziata e bastano i primi passi a farci comprendere che l’inedita via che stiamo intraprendendo è ardita e insidiosa; l’erta è durissima e se per un verso il friabile manto nevoso offre una certa stabilità, per l’altro acuisce il senso di fatica; risalirla con le gambe è cosa ben diversa dall’averla percorsa in avanscoperta col binocolo! Giù, nelle retrovie, c’è Emanuele, munito oltre che di piccozza, del suo inseparabile GPS con cui registrerà il percorso. Abbiamo superato la boscaglia e affrontiamo ora un ripidissimo pendìo di neve ghiaccia. Tonino, l’impavido conduttore della prima cordata, si da un gran da fare nel gradinare la dura erta … gli scarponi di chi segue trovano comodi e sicuri alloggi e vanno su con relativa facilità, ma pur sempre con tanta prudenza … sembra proprio di risalire una candida scalinata che porta su, verso il cielo! Ha qui inizio la parte più tecnica e spettacolare dell’ascensione: risalito un canalino a mo’ di imbuto, con pendenza a 60°, ci ritroviamo al cospetto di una scarpata a 70°, il passaggio chiave, un vero muro di neve e roccia (misto, in gergo alpinistico) per superare il quale, ciascuno di noi ha dovuto dar fondo a ogni risorsa fisica e mentale. Superarlo significava, per un verso, sentirsi al sicuro, ma per l’altro, trepidare e restare col fiato sospeso, in attesa che l’intera teoria di compagni, che risalivano lungo l’imbuto, riuscisse a superare un ostacolo così problematico, così rischioso. Massimo, da vero temerario, non ancor pago dell’adrenalinico frangente appena vissuto, dirige la nostra cordata proprio laddove l’orlo della cresta, ormai a portata di mano, è sormontata da una vistosa cornice quasi verticale: la classica ciliegina sulla torta, per intenderci! Non riesco a descrivere quel che è accaduto in un trascorso di una decina di minuti: posso solo confessare che ha impresso in me una traccia indelebile. E’ fatta! Ben presto siamo tutti in vetta, a congratularci a vicenda, abbracciarci e ammirare i grandiosi scenari che questa montagna offre, resi ancor più luminosi e nitidi da una radiosa, indimenticabile giornata. Solo, non è avvenuto in vetta il tanto atteso “rendez-vous” coi ciaspolatori. Considerate le proibitive condizioni che la nostra ascesa presentava, giunti sulla Punta S. Croce, hanno optato di ridiscendere subito a valle, convinti di ritrovarci al Rifugio, avendo noi dovuto rinunciare all’impresa … ma l’impresa è stata compiuta e ne siamo davvero orgogliosi. Abbiamo saputo che qualcuno ha dato un nome insolito, un po’ troppo osè, comunque decisamente espressivo a quest’ardita via: “coitus interruptus”; forse perché tentando di risalirla, ha dovuto, a un certo punto, rinunciare a viverne fin in fondo le emozioni che induce e scatena. Ragion per cui, visto il nostro successo, avremmo, almeno, potuto appellarla con un toponimo più rispondente, più consono al volto di una montagna! Non vogliamo farlo … noi del CAI non prediligiamo esibizionismi e autocelebrazioni … o ancor peggio … smanie di procacciarsi a ogni costo il ricordo imperituro, affidando a un toponimo, magari onomastico, il presuntivo compito-funzione di eternarsi! Affrontiamo tutt’insieme il ritorno, seguendo le tracce dei ciaspolatori e in due ore siamo già nell’accogliente Rifugio Favino, a crogiolarci all’ardente camino e a gustare qualche locale leccornia, innaffiata da due rossi, così generosi, da cancellare ogni travaglio vissuto: quello robusto del solito Mimmo e l’altro dolcissimo della tenace Camilla. GLI ALPINISTI : Saverio Aiello, Rossella Alois, Tonino Bonanata, Imma Camodeca, Luca D’Alba, Enzo Di Leo, Gerardo Dipinto, Carmelo Femia, Franco Formoso, Salvatore Franco, Massimo Gallo, Francesco Giancotti, Teresa Lalia, Mimmo Mandarino, Salvatore Mustari, Mariella Nunnari, Franco Oliva, Mimmo Pace, Vincenzo Pagnotta, Gabriele Percoco, Pino Perrone, Alfonso Picone Chiodo, Emanuele Pisarra, Domenico Riga, Beppe Romeo, Alex Veneziano. I CIASPOLATORI : Giuseppe Alessandria, Carmen Belmonte, Camilla Colucci, Mauro Cordasco, Pasquale Epifani, Falbo Claudio, Falbo Giancarlo, Mimmo Filomia, Mirko Macella, Salvatore Manca, Ciro Mortati, Mimmo Paduano, Salvatore Sisca.

23 gennaio 2011: Taranto di Mimmo Filomia

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Una bella giornata di sole, con l’atmosfera agitata da un levantino fresco e iodato ci ha permesso di visitare la città antica di Taranto. La città, colonia di Sparta, è sede di testimonianze d’insediamenti umani sovrapposti in epoche ad iniziare VIII sec a.c. Lo attesta, il ritrovamento di vecchie mura greche e bizantine, sopra le quali sorge ora il borgo vecchio con le case abbandonate, impreziosite da portali ed icone delle ultime famiglie gentilizie. Il CAI di Castrovillari ed il Gruppo archeologico del Pollino, in sinergia da sempre, promuovono scambi culturali attraverso le loro attività. Oggi, infatti, il nostro sodalizio è sulla traccia di ben altri sentieri, quelli che non portano in alto la montagna, ma che scendono ad immergersi nella lunga storia di Taranto un tempo capitale della Magna Grecia. A condurci per i sentieri della storia, è la nostra preziosa guida che subito ci illustra tra stucchi, arcate maestose in legno intarsiato ed altari marmorei, lastricati di pregevole mosaico, il vissuto del duomo di San Cataldo, Patrono della città. Una lunga passeggiata per la vecchia arteria sulla quale si affacciano i palazzi dei patrizi, ci mostra come gli stessi sono separati da viuzze strette ed a spina, fin nei pressi di Piazza Castello, dove le due colonne Doriche, resti di uno dei tre templi più antichi al mondo, fanno bella mostra di sé. Da qui, proseguiamo saltando allegoricamente il fosso che un tempo divideva i due Borghi. Dal 1887 sul Mare Piccolo si passa attraverso il ponte girevole; dedicato nel 1958 dopo ristrutturazione, a San Francesco di Paola. Per un tuffo nel passato dell’antica Taras, entrata nella storia Greca Romana, visitiamo il Museo Nazionale; le cui teche colme di reperti danno la sensazione della continuità scenica della vita trascorsa. Naturalmente le forme, i materiali, i colori, gli ori, la difficoltà a produrli singolarmente e la loro inventiva fanno rimpiangere l’epoca spartana. Le Colonne Doriche accanto al Castello Aragonese sono la testimonianza di una Polis opulenta, mentre nell’entroterra la vita era organizzata in tribù. All’epoca, ricchezza era sinonimo di potenza e dominio dei luoghi. Segue una visita al Mare Piccolo alla cui fonda si vedono attraccate alcune navi militari. Il posto è ideale per la pausa colazione e la foto di gruppo. Più tardi, compiaciuti della gentile accoglienza, offerta della Marina Militare di stanza a Taranto, abbiamo visitato la fortezza sorta sulle fondamenta greche messe a vista da recenti scavi in profondità. Il Castello, di matrice bizantina (916), ha dovuto adattarsi nei secoli, oltre alle varie tipologie d’incursioni anche a quella dell’invenzione della polvere da sparo. Nel 1492 mentre Cristofaro Colombo parte per le Americhe la fortezza viene ultimata dagli Aragonesi. Nel chiuso delle torri alla vista di feritoie, camminamenti, torrette d’avvistamento, è stato facile immaginare gli attimi concitati dei castellani nel respingere gli attacchi. A Taranto la storia di costruire il nuovo sul vecchio continua; prova ne è la costruzione del ponte girevole, mosso dapprima da sistema idraulico, ora da motori elettrici. Bastano 20 minuti per aprire le braccia ed accogliere le navi in rada. Per la sua costruzione si è dovuto sacrificare un’ala del castello, a favore dell’ingegno, dell’orgoglio e della funzionalità. La sera ci ha sorpreso senza accorgerci! Tanta è stata l’attenzione ed il piacere nell’apprendimento.

9 gennaio 2011: “Io speriamo che me la cavo”. Valle Piana - Serra Dolcedorme di Pino Perrone

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Per chi va in montagna, la lettura della scheda descrittiva del percorso fa parte di quella preparazione che aiuta a conoscere meglio il luogo dove si va; ma alla fine di ogni scheda ci si imbatte nel rituale scritto: “percorso per escursionisti/alpinisti esperti e ben allenati”. E allora ci si chiede quanta preparazione e tecnica occorrano e se sono sufficienti le proprie capacità. È nata con tale approccio questa escursione “alpinistica invernale” proposta dal CAI di Castrovillari e curata da Massimo e Franco nei minimi dettagli: un pò di apprensione sull’adeguata preparazione è stata polverizzata dalle loro parole di incoraggiamento e sprone a vivere questa nuova via di emozioni, la cosiddetta “Via Luzzo”, per salire sul tetto del mezzogiorno anche d’inverno. Per la verità oggi l’inverno, così come da qualche giorno, era andato in vacanza e la temperatura alta ha pulito la montagna sul versante Sud, dove la neve è una pappetta tipica primaverile. Ma la gioia dei partecipanti e la voglia di vivere questa ascensione è tanta, così ci si mette in movimento in piena allegria ed entusiasmo. L’avvicinamento al canalino innevato è lungo; partiamo da quota 900 ( Valle Piana), per arrivare ad imboccare la via presso il canale dove troviamo la prima neve solo a 1600 m. Poco più in alto, formiamo le cordate. Una serie di accorgimenti e di preziosi consigli sono impartiti da Franco, Massimo, Domenico e gli altri uomini e donne del CNSAS Pollino, che oggi sono qui come volontari, a dare un pò di sicurezza alle vie di montagna. L’aria è tersa e lo spettacolo che ci viene offerto è magnifico; qualche piccola difficoltà trovata in un “collo di bottiglia” formato da roccette e passaggi di II - III grado, che sono resi insidiosi dalla mancanza di neve, un misto molto divertente dove i ramponi “mordono” la roccia, ma da affrontare con molta attenzione, ci fanno perdere un bel pò di tempo e di pazienza. Questo passaggio obbligato e delicato, mi fa pensare a quel che significano tutti gli imbuti in montagna e solo oggi riesco a capire meglio tante descrizioni e resoconti di escursioni dove si parla dei problemi di affollamento sulle vie di montagna, himalaiane e non. Assieme a palle di neve gelata, il canale scarica pietre; non tante per fortuna, ma che creano apprensione nelle cordate: capisco quanto fondamentale sia in questi casi disporre di attrezzature di sicurezza e mi riferisco al casco, nonché disporsi in maniera intelligente lungo il percorso, così come Massimo suggerisce ai capicordata. Finalmente si sale nella neve che prende consistenza dopo quota 1800, sicché si va per gradini di neve, appoggiandosi alla piccozza, che tiene bene. A metà via, che ha ora una pendenza di oltre 45°, Mimmo, compagno di cordata e sapiente conoscitore della montagna, tira fuori dallo zaino una delizia che ricarica animo e corpo: fichi secchi immersi in miele e chissà quale altra sostanza deliziosa. Siamo ora in una gola stretta, impressionante anche se poco innevata e finalmente mi ritrovo tra quelle magnifiche cornici che ho ammirato nelle foto di altri appassionati della montagna: oggi sono proprio io ad attraversare queste “V” fatte di neve e rocce, di pini loricati aggrappati alla parete, che ti guardano e ti accolgono. Oggi la montagna ci tratta con benevolenza e siamo in tanti: qualche folata di vento freddo in prossimità della cresta, verso i 2000 m, me lo ricorda, lasciando brividi sul mio corpo caldo. La fatica c’è, qualcuno l’avverte di più, altri meno, quando ci sleghiamo sulla cresta: ben oltre mille metri sono stati risaliti dei 1367 del dislivello totale. Molti sono fermi per un meritato spuntino: quasi non mi rendo conto di essere ad un passo dal traguardo che più volte ho desiderato, leggendo le imprese di altri appassionati, risaliti sulla Serra Dolcedorme innevata. Noto Massimo fermarsi e scrutare ansioso il canale, in fondo al quale molte cordate arrancano. Con un’occhiata mi fa cenno di salire in vetta, dicendomi che poi mi raggiungerà; anche se la vetta non è visibile, saranno sufficienti una ventina di minuti per raggiungerla. Queste parole mi ridanno entusiasmo e insieme a Stephen e Rocco ci rimettiamo in marcia: ora, ognuno fa la propria via; le cordate sciolte disegnano una teoria di persone; ognuna immersa nei propri pensieri, nella propria gioia, fatica e soddisfazione, compie gli ultimi decisi e consapevoli passi verso la meta. Ho il cuore pieno di felicità e queste sensazioni credo di potermele portare dietro per tutta la vita, mentre la vetta regala lo spettacolo più bello: i volti di vetta, i volti di chi è sereno, gioioso e soddisfatto, di chi non vede l’ora di rifocillarsi in uno scambio di prelibatezze messe in serbo per le occasioni più importanti; tra queste, un panettone al cioccolato, che nello zaino di Carla ha percorso per due volte in solo nove giorni, la tratta Castrovillari - Serra Dolcedorme. Ritengo sia doveroso assaggiarne un pezzo e lo condivido con Enzo appena giunto e radioso per l’impresa compiuta. Lo spettacolo naturale è superbo e c’è chi non si stanca di fotografare a 360°. È un po’ tardi quando Franco e Massimo, finalmente rilassati, giungono in vetta, felici di aver potuto condurre sul tetto del parco tante persone. La montagna inizia ora a vestirsi del rosso del tramonto e ci regala un sole più timido, che lascia passare qualche raggio da dietro un opaco fascio di cirri, tingendo di rosso le cime più alte dell’Orsomarso ed anche noi tutti che ci accingiamo a discendere lungo il canalone del Faggio Grosso, una discesa che impegna non poco le articolazioni ormai stanche. È buio ormai e una fila di lucine si snoda nel bosco, alla spicciolata, verso le auto: questo è il momento di raccontarsi un pò di esperienze di montagna. È fatta: sento di ringraziare tutti dal profondo del cuore per questa avventura meravigliosa: Massimo e Franco che mi hanno dato fiducia, il CAI di Castrovillari, nelle persone di Eugenio e Mimmo, che ci hanno accolti calorosamente, dandoci il benvenuto nel gruppo ed in qualità di nuovi e bene accetti Soci della Sezione CAI di Castrovillari; Domenico e tutti i volontari del CNSAS Pollino, che hanno reso più sicura questa ascensione, gli Amici della Montagna di Bisignano, che hanno colorato di simpatia l’intera giornata, e per finire, gli amici di sempre che hanno condiviso con me questa “giornata”, iniziata di notte e chiusa pure di notte! Sottolineava Karl Unterkircher: “Chi non vive la montagna non lo capirà mai. La montagna chiama”.