Raccontatrekking 2012
25 novembre 2012: Acquabianca - Mano del Gigante - Porcara di Domenico Riga
“La spedizione dei ... 50”. Quest’anno ci siamo superati! Vabbè che ormai il nostro bel gemellaggio va avanti dal lontano 2004, passi anche che c’è chi ha coinvolto qualche amico, che il percorso era facile, gli organizzatori belli e simpatici, ma alla fine ci siamo ritrovati in 50! Quando si è così tanti anche il percorso più semplice può rivelarsi insidioso e i tempi dilatarsi a dismisura. Un ringraziamento particolare va così anche ai vari amici che ho “stressato” per aiutarmi a compattare il gruppo e controllare che tutti seguissero la fila stile “matrimonio”. Ma veniamo ai dettagli. La zona che visitiamo è compresa tra i Comuni di Marano Principato e Cerisano, una serie di stupende praterie di quota che ancora oggi ospitano coltivi e mandrie al pascolo, ma soprattutto, in chiave prettamente escursionistica, consente delle ampie visuali verso la costa tirrenica ed è caratterizzata dalla presenza di notevoli formazioni rocciose dalle più svariate forme e dimensioni. Proprio una di queste è addirittura riportata sulle carte con il nome di “Mano del Gigante” per via delle ampie scanalature che la caratterizzano e che, osservandola da lontano, la fanno apparire davvero come una grossa mano conficcata nel terreno. A me e ad un altro manipolo di pazzi questa zona è inoltre particolarmente cara poiché la visitiamo nei pomeriggi estivi di noia per delle sessioni di bouldering (o sassismo, pratica sportiva che consiste nell’arrampicare senza attrezzatura sulle rocce per pochi metri di altezza ponendo per protezione al suolo dei materassi, chiamati in gergo crashpad). Proprio in queste nostre sessioni abbiamo scoperto rocce che ci siamo divertiti a battezzare: lo Stretto, l’Orso Yoghi ed altri che non è il caso di ripetere, ma i cui nomi i partecipanti hanno pienamente compreso vedendo delle forme “inequivocabili”. Tra una cosa e l’altra ci incamminiamo verso le 10, il sole risplende nel cielo e allieta la giornata, nonostante il terreno sia un pò fangoso a causa delle copiose piogge dei giorni precedenti. Attraversiamo la Valle di Carlomagno tra greggi di pecore e mandrie di cavalli e bovini al pascolo, salutiamo i pastori, ci aspettiamo solo di vedere Heidi e Peter sbucare da un’altura (ormai vedo solo cartoni animati con i miei figli!). Iniziano le solite lamentele: “quando mangiamo?”, ma siccome prevedo una LUNGA pausa pranzo è necessario almeno superare la Mano del Gigante altrimenti completare il percorso prima del buio sarebbe problematico. Arrivati in zona, infatti, ci fermiamo ad osservare la grande rupe e dobbiamo superare uno stretto sentierino in discesa reso insidioso dal fango. Far passare 50 persone da lì non è proprio una passeggiata ma, con un pò di pazienza, ci riusciamo e può così cominciare la “festa”. Rapido elenco: cangàrìddi crùscki (come dice Carla), broccoli e sausizza, soppressata, formaggio, patate, olive, uova fritte al momento (grazie Ugo), e poi ancora vino, dolci e liquorini vari.Forse per questo sono accorsi in così tanti? Passa più di un’ora e, a malincuore, ripartiamo. Ho conservato per la fine il passaggio dalle rocce particolari di cui sopra, giusto per mantenere vivo l’interesse. Rimando alla visione delle foto il giudizio di chi legge.Siamo alle macchine all’imbrunire e per il resto è la solita vitaccia: birra e patatine al bar!
18 novembre 2012: Colle Impiso - Madonna di Pollino - Colle Impiso di Gerry Rubini
Mattinata di metà novembre. Piove, l’umidita ti penetra dentro le ossa, la scelta più comoda sarebbe quella di stare nel letto, sono le 7 e ancora ho sonno. Ad un tratto uno scatto mi fa alzare ed in 10 minuti sono pronto per affrontare l’escursione programmata. Nello zaino, le vivande, l’acqua, e tanto altro prendono ordinatamente il loro posto, nelle tasche laterali le leccornie da sgranocchiare lungo il percorso, quando il fiato spezza la voce e il cuore sale in gola per la fatica. L’equipaggiamento è quello adatto alla stagione, a questo autunno tanto agognato dopo una lunga e calda estate. Gli scarponi prendono la forma dei piedi e portiamo anche i guanti, non si sa mai cosa trovi sopra i mille metri. Arrivati al semicerchio, aspettiamo gli altri soci, ma arrivano solo Eugenio e Gaetano, e quindi dopo un giro di telefonate si parte per la meta, prima tappa svincolo autostradale di Campotenese per poi proseguire verso colle Impiso. Alle ore 8.40 siamo in 11 appassionati della montagna nello spiazzo di Colle Impiso, e non piove! Dopo le presentazioni e dopo aver effettuate tutte le manovre prima della partenza si parte. Un pensiero mi accompagna, ma quanto è unico questo parco, che lega due regioni e unisci culture e tradizioni diverse, tanto da poter diventare l’elemento trainante? Si apre davanti a noi il piano di Vacquarro, immenso e sconfinato verso le vette più alte di questo nostro parco. Risaliamo su un costone roccioso e ci immettiamo dentro la “Forra del Frido”, il rumore del fiume ci accompagna e i colori autunnali degli alberi ci immergono dentro un paesaggio fiabesco. La compagnia si ferma alla ricerca di rudiste, fossili calcarei, e la fortuna ce ne fa trovare uno di dimensioni notevoli su una pietra che divide il sentiero. Certo che questa natura è sempre una scoperta e nel silenzio del cammino ti poni tante domande sul passato e sulle ere che hanno preceduto la nostra. Arrivati sotto la cresta che ti nasconde la Madonna di Pollino, una breve sosta, uno sguardo attento ai segnali del sentiero tracciato dal CAI di Castrovillari, una discussione su essi, un complimento al Presidente e via sul costone, dentro un zig-zag che si inerpica tra alberi di alto e robusto fusto e dopo una sgroppata faticosa ma salutare usciamo sotto il santuario della Vergine del Pollino. La visita alla Madonna di Pollino è una tappa obbligata non solo per i tanti fedeli che nei mesi estivi invadono lo spiazzo antistante la chiesa, ma anche per chi come noi, amanti della natura, ci poniamo in senso di grazia verso il creato ed il Creatore. Tutti andiamo verso la statua della Madonna che “sorveglia” la valle ed ognuno si ritaglia il suo spazio per dire una preghiera. Tornando verso il sentiero osserviamo il bel rifugio, chiuso. Le idee ed i sogni non si incontrano con la realtà e quindi parlare dello sviluppo di questo Parco non è giornata e allora riprendiamo il nostro cammino. Si scende verso Piano Iannace. Il bosco è una tavolozza di colori, piove un po’, ma si va avanti. Passiamo su un ponte di legno da poco sistemato, e risaliamo verso il piano. È quasi ora di pranzare e quindi un po’ delle discussioni vertono sul pranzo, in attesa di vedere cosa esce dagli altri zaini, penso al mio pranzo da dividere con il mio compare, ma credo sia troppo e quindi lo metteremo in comunità. Arrivati al piano di Iannace ci fermiamo per pranzare, dagli zaini di ognuno esce il meglio della tradizione culinaria calabro-lucana. Frittate, insaccati, pane, formaggi, dolci, frutta, energizzanti naturali che ti aprano l’appetito e poi dell’ottimo vino per accompagnare il tutto. È bello mangiare tutti insieme, ci si conosce, si parla, si aprono e non si chiudono tanti discorsi, certi che nella prossima escursione si riprenderà il filo. È questo il bello di questa associazione, gente comune che si incontra si conosce e parla di tutto, scevra da interessi personali ma solo con l’amore incontaminato per la montagna. Si riparte, è faticoso ripartire dopo un pranzetto da far invidia al miglior agriturismo della zona, ma bisogna chiudere l’anello e quindi si punta verso Timpone Conocchiello. Ci inoltriamo in un bosco dove le foglie hanno creato un tappeto soffice e colorato, il Presidente armeggia con il GPS, intendo a tracciare i percorsi, utili a tutti coloro i quali ne vorranno usufruire. Stiamo per arrivare verso la cresta e di lì a poco scenderemo nuovamente verso il piano di Vacquarro. È davvero bello questo parco, anche il silenzio è surreale e ti riporta alla mente quante volte hai percorso i sentieri e quante emozioni nuove ogni volta… Cosi tra un silenzio, una chiacchiera, una battuta scendiamo verso il piano, proprio dal sentiero usato dai devoti di Sant’Antonio per scendere l’albero per la festa del 13 giugno di ogni anno a Rotonda. Siamo arrivati e cosi abbiamo chiuso l’anello di questa bellissima escursione, ma aumentato la voglia di natura dentro ognuno di noi. Grazie a voi tutti e arrivederci a presto.
4 novembre 2012: Timpone della Capanna di Roberto Motta
“Nelle nebbie che bagnano l'anima”. Era da molto che non uscivo con gli amici del CAI di Castrovillari, mi ha fatto bene ritrovare tante care persone amanti della stessa passione. La montagna vera, da vivere intensamente, sta spesso a due passi da casa… ci sono posti dietro l’angolo di casa intrisi di una magica atmosfera, posti capaci di riappacificarti con gli altri e con la vita, posti capaci di ridarti l’equilibrio perduto, di farti ritrovare le capacità in te stesso. Posti che raccontano di crepuscoli e di albe passate ad inseguirsi, giocare, ad amarsi. Proprio per questo sono posti che vanno percorsi come quando si balla una danza, senza fretta, facendo attenzione al ritmo dei propri passi. Quasi a volte “danzando” in punta di piedi per non disturbare il silenzio che ti avvolge e ti porta lontano. Ci sono luoghi dietro l’angolo di casa che sembrano fatti a posta per essere vissuti immersi tra gli aromi, i profumi e i colori autunnali quando la Grande Madre lentamente inizia ad assopirsi e prepararsi al lungo sonno invernale. L’autunno il tempo della vendemmia, della raccolta delle noci e delle nocciole, il tempo della raccolta del mais, ricordi vividi della campagna d’autunno, odori terraioli mi ricordano la raccolta dei melograni. E poi ancora l’odore della lavanda, delle caldarroste e della legna accesa, odori di nostalgia nelle trame delle foglie ingiallite intrise di color ruggine…la fanciullezza perduta! L’autunno in montagna arriva prima, è fatto di colori ambrati e silenzi, forse è quest’aria d’autunno che mette nostalgia, forse perché l’autunno allontana ciò che è stato. Sul Timpone della Capanna ci siamo ritrovati a camminare tra le nubi, intrisi dalle nebbie che bagnano l’anima, abbiamo respirato l’odore di foglie umide e corteccia bagnata, forse è proprio questo il modo per andare diritto alla sostanza delle cose senza mai risparmiarsi. Perché nei boschi e sulle montagne esiste la possibilità di conoscere ciò che sta nel profondo… Io in montagna più che la cima cerco la serenità, al rumore della civiltà cerco i suoni della natura, cerco il silenzio, sforzandomi di percorrere i miei itinerari in punta di piedi per non disturbare. In fondo le cose più semplici sono le più belle...
28 ottobre 2012: Trekking urbano nei centri albanofoni dello Jonio di Carmen Belmonte
Le condizioni meteo non promettevano nulla di buono, ma nonostante ciò un rigoglioso gruppo si è ritrovato a S. Cosmo Albanese per l’appuntamento ormai annuale del trekking urbano. La visita è iniziata al Santuario dei S.S. Cosma e Damiano, che garantisce una piena immersione nella mistica atmosfera orientale del rito bizantino, grazie anche alle suggestive decorazioni in mosaico ed affreschi delle navate. Da qui la passeggiata per il paese che si è articolata lungo il “Percorso Serembiano”, dedicato al poeta lirico romantico Giuseppe Serembe, nato a S. Cosmo Albanese nel 1844. Spinto dal suo spirito inquieto e ad un continuo vagabondaggio, rimase sempre legato al suo paese d’origine, dove lo richiamavano le memorie dell’infanzia e della giovinezza. Il percorso si snoda dal Santuario allo spiazzo detto “Sheshi” attraversando le due strade principali parallele e la zona vicina alla Chiesa parrocchiale. Nella Chiesa parrocchiale “S.S. Pietro e Paolo”, in stile barocco napoletano, con soffitto a cassettoni nella navata centrale, è stato ricollocato nel 2005 nella cantoria un artistico organo del ‘600. La visita prosegue con il Palazzo De Rada, sede della fondazione medesima, la cui biblioteca è costituita principalmente dal lascito di Girolamo De Rada junior e si conclude con l’esposizione delle 53 incisioni di Shpend Bengu, illustranti la vita del grande poeta Girolamo De Rada senior nella “Casa delle Culture”. Ci spostiamo, quindi a Vaccarizzo Albanese dove visitiamo il Palazzo Cumano, sede del Museo del Costume Arbereshe e di una mostra fotografica degli ori albanesi. Suggestive le Chiese di S. Maria di Costantinopoli, con affreschi e icone e la Chiesa della Madonna del Rosario, attigua e comunicante con la prima, oggi in disuso. L’intensa mattinata ha stimolato un po’ di fame nei partecipanti e quindi, prima di concludere il giro previsto, ci rifocilliamo presso la sala della “Casa del Pellegrino” a San Cosmo Albanese, con i prodotti tipici portati da ognuno. Dopo la pausa proseguiamo con le auto alla volta di San Demetrio Corone, dove visitiamo la Chiesa di S. Adriano, accompagnati e guidati da una pittoresca guida. La chiesa, risalente all’XI secolo, è a tre navate che riprendono le caratteristiche basilicali occidentali. Unico il pavimento policromo tra i cui pannelli sono inseriti riquadri a mosaico raffiguranti animali dal significato simbolico (un serpente avvolto tre volte su se stesso il cui corpo forma tre nodi, una pantera dal corpo a riquadri policromi, un serpente che disegna un otto con le sue spire, un serpente ed una pantera affrontati si contendono una preda irriconoscibile). La rituale foto di gruppo ed una sosta al bar del paese completano questa intensa giornata nelle comunità albanesi dello Jonio, con l’arrivederci al prossimo trekking urbano.
21 Ottobre 2012: Coppola di Paola di Gaetano Cersosimo
Domenica 21, con la partecipazione di ventinove tra soci e non soci, abbiamo vissuto una meravigliosa escursione. Siamo partiti alle ore 7.30, l’obiettivo principale dell’escursione era Coppola di Paola (1919m) e Cozzo Ferriero (1805m). Raggiunto il punto di partenza dell’escursione, circa un chilometro dopo Piano di Pedarreto (1327m), ci incamminiamo lungo la strada sterrata che si inoltra nel bosco. Percorsa la strada forestale si arriva ad un pianoro da dove si continua sulla sinistra in leggera salita nella faggeta, affascinante ed eccezionale per i suoi colori autunnali. Dopo un breve tratto ripido tra grandi massi coperti di muschio e tracce evidenti del passaggio di bestiame si esce su una cresta scoperta di terreno sassoso, è il passo tra le due vette. Si prosegue per un pò in discesa con terreno cosparso di pietre e si risale nel fitto bosco senza percorso obbligato fino ad uscire nuovamente su un terreno scoperto, su un dolce e ampio crestone, Cozzo Ferriero. Il panorama è stupendo ed ampio, è uno dei punti panoramici più bello dell’intero massiccio, sull’allineamento si possono ammirare ad Ovest le cime dei monti Ciagola, La Destra, Coccovello, Bulgaria, più a Nord Sirino, Alpe, Serra e Cervati. Dopo questa pausa panoramica ed il rito della fotografia ricordo si ritorna indietro, scendendo sull’ampia spalla del cozzo, passando sul petroso pascolo e quindi si risale per un forte pendio per superare un dislivello di circa cento metri, un pò nel bosco e un pò zigzagando allo scoperto. L’ascesa si presenta faticosa per il numerosissimo gruppo ma si guadagna lo stesso la vetta di Coppola di Paola. Il panorama è eccezionale, tutti sono appagati dalla meravigliosa e indescrivibile visuale mozzafiato. Lo sguardo spazia su valli e faggete dai colori superbi e suggestivi di questo periodo autunnale, mentre le cime dominano le nostre maestose montagne. Al cospetto di tal paesaggio abbiamo consumato la nostra colazione a sacco. Ritorno lungo l’itinerario già percorso, naturalmente più veloce ma sempre ammirevole e dopo aver incontrato nel bosco un tartufaio, capiamo che oltre al fantastico ambiente che il bosco ci offre anche il terreno è ricco di prelibati tartufi.
14 ottobre 2012: Anello di Murgia Rossa di Mimmo Filomia
I colori dell’iride, di un immenso arcobaleno esploso sulla montagna della Calcinara di Morano e orientato proprio verso la Murgia Rossa, come la scia di una cometa ci lascia pensare, che il buon giorno si vede dal mattino, e cosi è stato. La pioggia prevista, è caduta in abbondanza fino alle prime luci dell’alba, costringendo parecchi a desistere, a malincuore, a partecipare alla sortita, preferendo, il caldo del cuscino allo zaino in spalla. È però vero che la fortuna aiuta gli audaci, anche se il maltempo ci ha inseguito per tutta la durata del percorso, ma noi, in dieci, siamo stati più lesti a non farci sorprendere, rincuorati dalla presenza del sole che si è sempre aperto un varco fra le nubi. Alla fine, però, una delicata pioggerellina ci ha raggiunto e l’abbiamo accolta a battesimo per complimentarci di avere compiuto una bella impresa in verticale ed avvolgente attorno alla Murgia Rossa. La ”Murgia i Gavutu Russu”, cosi additata in dialetto locale, è un bastione poliedrico roccioso. Al tramonto diventa una pigna dorata, che svetta dall’alto dei suoi modesti 1720 m sul sottostante cangiante bosco di pini, faggi, aceri, cerri, lecci, sorbi montani, che al momento della muta fogliare, si trasforma in una gioiosa macchia policroma. Rappresenta la propaggine rivolta a mezzogiorno, del massiccio del Pollino, che si incunea tra Pollinello (1820m) ad Est e Serra del Prete (2157m) ad Ovest, soggiogando il sottostante Vallone di Colloreto. La strada di avvicinamento all’inizio sentiero che avrebbe dovuto partire più sopra del sottopasso autostradale subisce una sostanziale variazione. L’area è posta in sicurezza ed interdetta, con rete e filo spinato, al transito di mezzi ed animali per via del cantiere in atto che cura i lavori di ammodernamento autostradale. Sarà una trappola per tutti, in caso di migrazioni di animali stanziali o incendio. Partiamo alle 8.30 da un punto non meglio specificato, a ridosso dell’autostrada e lo facciamo da quota 860 m in direzione sorgente Romània (1120m) che si raggiunge dopo circa un’ora. La tegola di terracotta è lì pronta ad accoglierci, dissetarci ed a fornirci il pieno delle borracce! Proseguiamo sul sovrastante costone di arenaria per 90 metri ancora, fino a giungere sul costone panoramico che fa da crocevia, col sentiero che sale dal costone sottostante per intersecarsi a quello testé percorso che prosegue per Gaudolino, e, quello che sulla destra s’inerpica nel bosco che per noi rappresenta la bretella di congiunzione. L’abbiamo affrontato, aprendoci un varco nella boscaglia, in un’ora e dieci minuti, superando 400 metri di quota per giungere nel pianoro erboso antistante l’invalicabile parete della Murgia Rossa. Sono circa le 11 quando con una meritata sosta ci rifocilliamo. Ne approfittiamo, più che altro, per portare a casa nella digitale la bellezza selvaggia del luogo che preserva: nelle nicchie della roccia, alcuni loricati bonsai, mentre non si può far a meno di restare meravigliati ed attratti, dalla plasticità di alcuni pini loricati pensili, abbarbicati sulla nuda roccia con gli aghi della loro chioma protesi al cielo in lotta di sopravvivenza. Altri, rinsecchiti, saranno lì da anni a decidersi di fare un tuffo giù. Un posto davvero incantevole, una tregua silenziosa e solitaria, un oasi guadagnata a fatica in un momento della tua vita, lontano dal mondo, che tuttavia, scorre giù e che puoi tornare a riprenderti quando vuoi. Annotiamo tutto, procediamo sulla destra, rasente le fondamenta della Murgia cercando la migliore traccia disponibile, sfruttando talvolta quella di volpi e cinghiali in transito da qui, diretti ai raduni nei boschi di Pollinello. Intanto, dopo un breve tratto pianeggiante, che percorriamo sotto la pancia della parete rocciosa, si ritorna a salire, ma alla nostra destra si apre il vuoto nella vallata, che disegna un anfiteatro, inedito, di pini loricati che degradano sui costoni di Pollinello! Ahinoi, per fortuna, ancora salvi dal nerofumo, che altrove mostra i segni. Continua la manovra avvolgente attorno l’enorme masso granitico, adesso resta da affrontare l’ultimo passaggio alpinistico non attrezzato: dislivello, 50+50 metri, è la razione di pillole data (ce ne scusiamo) per superare la quota indolore e gioire sulla balconata panoramica della Murgia Rossa, poco prima dell’una pomeridiana. Sono sempre quelle nubi basse e repentine con nembi e cumuli spettacolari a movimentare l’orizzonte e minacciarci a proseguire; cosi risaliamo con dolcezza verso Bosco Pollinello per poi unanimemente proseguire per una visita all’amico Patriarca (900 anni) e consumare, ospiti della sua ombra, la nostra colazione. Inutile dire, da qui non vorrei muovermi! Riprendiamo da ora, la via del ritorno che sarà un dolce declivio attraverso il sentiero della “Signorina” che conduce all’abbeveratoio di Gaudolino; luogo che immortaliamo con la foto di gruppo frapposta là, dove si attende un tabellone itinerante. Lasciamo Piano Gaudolino alle prese con i primi sintomi autunnali, già manca lo scampanellio dei ruminanti, scesi a valle. Pressati e preparati al maltempo che ci minaccia, scendiamo anche noi lungo la Scala di Morano fino alla sorgente Romània, per chiudere l’anello e poi proseguire più giù, per le macchine. La montagna appena circuita, coniuga bene il verbo salire! Il Parco del Pollino offre molteplici palestre che si prestano ad attività motorie che mettono a dura prova il fisico, rilasciando il tagliando per una perfetta e sana attività ed autostima del proprio fisico. Il percorso ad anello della Murgia, 13 km, proposto e guidato dal socio Salvatore Sisca e dallo scrivente Mimmo Filomia, prevede un’arteria breve inusitata che s’interseca con i sentieri d’altura, che dai margini del parco giunge diritto al cuore dello stesso. Ogni tanto riprendere l’attività dei nostri “Pionieri del Pollino” diviene un fatto economico, ecologico e valorizzante dei monti di fronte casa.
6 ottobre 2012: Eurobirdwatch di F. Sallorenzo
“Eurobirdhwatch 2012” è la manifestazione che viene organizzata in Europa da BirdLife International e, in Italia, dalla LIPU-BirdLife Italia e che vanta il patrocinio del ministero dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare e di Federparchi. Il CAI di Castrovillari vi partecipa per la prima volta grazie alla collaborazione con la LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli) di Rende . È un mite e tranquillo sabato pomeriggio, l’appuntamento con i soci della LIPU è presso l’uscita autostradale di Tarsia per poi dirigerci presso la Riserva Naturale del Lago di Tarsia , gestita dall’Associazione Amici della Terra. A guidarci sulla postazione fissa sulla riva del Lago sono Roberto Santopaolo , Antonio Mancuso e Giuseppe Intrieri, esperti birdwatcher , accompagnati da numerosi bambini. La maggior parte dei partecipanti è dotato dell’attrezzatura minima ovvero il binocolo e macchina fotografica e anche l’abbigliamento è rigorosamente color pastello per meglio mimetizzarci in natura e dare minor fastidio possibile alla fauna. Roberto Santopaolo, responsabile della Sezione LIPU di Rende (26 anni nella LIPU!) ci introduce l’attività di “Birdwatching”, ovvero “l’osservazione degli uccelli in natura” e sulle attività volontarie della loro sezione, che vanno dall’educazione ambientale con interventi nelle scuole, organizzazione di corsi, escursioni, mostre didattiche, alla realizzazione di progetti speciali quali “Cicogna Bianca” per favorirne il ritorno o il Progetto “ Rondini” per la tutela della Rondine e degli ambienti rurali. Prima dell’inizio dell’attività vera e propria il presidente della Sezione CAI di Castrovillari, Eugenio Iannelli, dopo i ringraziamenti per la collaborazione, fa dono alla sezione LIPU del “Gagliardetto” del CAI e di alcune pubblicazioni della nostra sezione e a nostra volta riceviamo volentieri il materiale divulgativo della LIPU. Il clima mite d’inizio autunno rende piacevole il pomeriggio e l’attività di osservazione dei vari uccelli migratori viene agevolata dalle potenti attrezzature ottiche fornite dalla sezione LIPU, il cui riconoscimento per ogni singola specie viene facilitato dai soci della LIPU, Antonio Mancuso e Giuseppe Intrieri, che oltre ad essere grandi appassionati sono bravissimi fotografi naturalistici (siti internet www.antoniomancuso.it e http://giuseppeintrieri.weebly.com/fotografia-naturalistica.html ). La manifestazione prevede anche il censimento delle specie migratorie: si contano un discreto numero di Airone Cenerino, Aironi Bianco maggiore, Cormorani , Folaghe , Falco di palude, Gabbiano Reale Gabbiano Comune ,Garzette , Germano Reale e tante altre specie di uccelli. Il pomeriggio nella Riserva naturale “vola” via velocemente, l’attività di birdwatching è riuscita nel suo intento ed è pregevolmente riassunta nelle parole della professoressa Minella Bloise “emozioni autentiche, nella semplicità che solo la Natura sa offrire”.
30 set 2012: Monte La Caccia di Eugenio Iannelli
Partiamo in tanti da Trìfari, frazione di Belvedere Marittimo, per affrontare quella che è la via normale al Monte La Caccia. Il sentiero ripido e difficoltoso ci mette a dura prova in quest’ultimo giorno di settembre che ci regala un clima più ferragostano che autunnale. Una via, in parte escursionistica, in parte alpinistica, che è necessario affrontare sempre con un adeguato allenamento, dovendo percorrere mille metri di dislivello senza alcuna variazione. Si inizia, protetti dall’ombra del bosco, sino ad una amena fonte di un abbeveratoio dove ci concediamo la prima pausa per immagazzinare liquidi preziosi. La parte successiva, completamente spoglia di folta vegetazione, è disseminata però di splendidi pini loricati dalle più svariate forme e grandezze che disegnano spettacolari paesaggi in armonia con il mare della sottostante costa tirrenica sia abbarbicati all’alta parete rocciosa. In questo santuario della natura la fatica viene mitigata dallo spettacolo che ci rapisce in tutta la sua beltà. Raggiungiamo il Rifugio Belvedere (1355m) dove ci concediamo un’altra salutare sosta prima di riprendere il cammino per affrontare la parte più difficile della salita. Il rifugio, piccolo e accogliente, è stato voluto dall’Associazione “Amici della Montagna” di Belvedere. Sempre aperto concede asilo e ristoro a tutti coloro che amano frequentare i luoghi meravigliosi di questa parte del Parco del Pollino. Unica nota stonata, per l’assenza di una penna o matita, non abbiamo potuto lasciare testimonianza del nostro passaggio sul libro degli ospiti, peccato. Ripartendo passiamo per la piccola chiesetta di Serra La Croce e iniziamo la dura e ripida ascesa. Il caldo fa sentire la fatica più del previsto, il gruppo si sgrana, ma con la scusa di immortalare con le fotocamere lo splendido paesaggio che ci circonda, una semper, ci compattiamo e riprendiamo fiato. Tra relitti di pini loricati e la sagoma imponente della Montea scaliamo la parete sino a giungere al valico da dove, finalmente e più agevolmente, raggiungiamo la cima. Dalla vetta, balcone panoramico su Belvedere e tutta la costa tirrenica, guardando verso Sud/Est, si apprezza lo splendore delle località che circondano il sentiero, alla cui bellezza contribuisce lo stupendo scenario di due monti imponenti del massiccio dei monti dell' Orsomarso: La Mula e La Montea. Al centro dei due colossi, ammantati di vegetazione, si distingue il fiume Esaro che scorre rilassato verso valle e il piccolo paese di Sant’Agata d’Esaro.
23 settembre 2012: Libro di vetta su Monte Caramolo di Mimmo Filomia
Il CAI di Castrovillari, ha aderito incondizionatamente all’iniziativa promossa dallo Sci Club di Saracena intesa a installare sulla cima di Monte Caramolo (1827 m), del gruppo montuoso dell’Orsomarso, il libro di vetta. Avviene, per l’entusiasmo e l’attaccamento ai propri luoghi dimostrato dai promotori della manifestazione. Dopo il consenso di visitatori provenienti dal resto d’Europa ed oltre oceano, registrato dal libro di vetta posto sul Dolcedorme dal Club Alpino Italiano di Castrovillari, ci si augura, che quest’altra iniziativa possa raggiungere quel grado di selettività di pensieri e suggerimenti, intesi a migliorare la frequentazione e l’attaccamento alla montagna. Alla cerimonia hanno assistito oltre ai soci dello Sci Club “Leone Viola” di Saracena, gli Amici della Montagna di Bisignano, il Gruppo Speleo del Pollino e il CAI di Castrovillari, in rappresentanza di una cinquantina di soci e simpatizzanti ansiosi di sottoscrivere il loro primo pensiero. Una ventata di gioventù, nello spirito e nel fisico a mezzogiorno si è ritrovata domenica sospesa sulla cima disegnando sullo sfondo azzurro del cielo, un grappolo multicolore di persone entusiaste dell’iniziativa. Il presidente Fabio Alfano, dopo l’ancoraggio dello scrigno alla grigia roccia, ha ringraziato tutti, vicini e lontano, per la calorosa ascensione a supporto della manifestazione. La prima pagina è tutta dedicata ad una poesia del compianto Ing. Leone Viola regalata al sodalizio a lui intitolato che, a sua volta, la immortala sul punto più alto, tanto caro al professore. Fra le notizie utili, il libro contiene i recapiti telefonici per chiamate di pronto intervento per la difesa dell’ambiente e soccorso alle persone. Il libro di vetta, racchiuso in uno scrigno, non invasivo, si ricrea un cantuccio ideale, ospitale, sulla cima del monte che si offre all’escursionista, dopo avere profuso lo sforzo fisico per raggiungerla. Fra gli uomini comuni non eccezionalmente atletici, anche la cima del monte Caramolo, può rappresentare un ottomila dell’Himalaia, purché si abbia il desiderio di raggiungerla a tutti i costi e con sacrifici. Il libro è posto, proprio sul punto più alto, perchè la cima è il punto in cui convergono i sentieri terreni e dipartono quelli celesti. La cima di un monte, per alcuni, meglio si presta ad un punto stabile d’osservazione sui territori sottostante; se per altri serve ad avvicinarsi a Dio, ben salgano, oppure, fa nascere in loro, sensazioni, sentimenti, denunce, proposte migliorative per l’ambiente, creando statistica, usando buon senso e civiltà, perché non registrarle, a caldo, su un libro consultabile ed aperto a tutti? Nell’era della trasmissione del pensiero, attraverso un semplice clic, seduto alla consolle, s’invia un messaggio via web, ora per seguire i ritmi lenti della montagna, si può anche lasciare un messaggio, un pensiero, in modo tradizionale, in un libro di vetta! Non è la seconda soluzione forse quella che crea movimento fra i giovani sempre più sedentari? Dalla notte dei tempi l’uomo è stato sempre latore di messaggi; per testimoniare la sua presenza in natura, ha iniziato con l’arte stilizzata dei graffiti. D’ora in poi, scendere dal Monte Caramolo, si è sicuri di non avere lasciato al vento le impressioni, scaturite dal panorama che abbraccia i due mari al cospetto della catena del Pollino e dei monti dell’Orsomarso, ma di avere iniziato un’antologia di pensieri caratterialmente schietti. Il Caramolo si raggiunge attraverso il sentiero 631, lungo 7,7 Km, che inizia da Piano Novacco (1315m). Si prosegue su sterrato passando da Colle Scifarello, Piani di Scifarello, fino a raggiungere un rifugio incompiuto, presso la conca del Caramolo. Da qui, costeggiando sulla sinistra la depressione s’imbocca il sentiero che conduce in vetta attraversando un boschetto di giovani pini loricati.
9 settembre 2012: Monte Ciàgola di Mimmo Filomia
Il monte Ciàgola (1462m) appartiene al sistema montuoso dell’Orsomarso. È una montagna che pur decentrata nell’area del Parco del Pollino si erge al centro, tra la vasta depressione della valle del Mercure ed i contrafforti dell’alta costa tirrenica calabrese. È un punto panoramico d’eccezione dal quale si possono osservare circa quaranta paesi spaziando in un batter d’occhio nell’entroterra e sul litorale. La sua cima, pur se posta a quota modest,a è relativamente difficoltosa a raggiungere, perchè il suo sentiero canonico, (n. 654) è un lungo salire sin dall’inizio (208m) dalla cittadina di Papasidero. Esso però rappresenta un punto d’accesso facilitato per gli escursionisti provenienti anche dal litorale tirrenico. Oggi invece, per variare la salita e per la curiosità di trovare sempre nuove vie ascensionali, ci siamo avvicinati all’inizio del sentiero partendo da Laino Borgo per poi raggiungere la località Pedali di Campicello (un villaggio di poche case a quota 750 m). Un motivo in più, per la scelta di questo itinerario, è quello di rendere l’approccio con la montagna più dolce e favorire l’autostima motoria per chi è alla sua prima esperienza. Ma ahinoi, da qui il lungo saliscendi ha tenuto sì, allegra la brigata, ma le due EE di difficoltà previste ce li siamo ritrovate sulla cresta di sommità. Questo versante, propone il sentiero con massi, slavati qua e là ed in cima spaccati dai fulmini prima e, dall’azione del ghiaccio, poi. L’altimetria di questo sentiero alternativo si sviluppa con un dislivello di 700 metri all’andata e 200 al ritorno, contro i 1250 metri del sentiero ufficiale. Oggi, purtroppo, il panorama, che tanto avremmo voluto osservare standocene seduti sui caldi massi della vetta a mangiare la colazione, è stato offuscato da corpi nuvolosi che ci hanno inseguito lungo l’itinerario. Tra una schiarita e l’altra, osserviamo il paese di Aieta, nota per i suoi portali e portici sontuosi e il maestoso palazzo rinascimentale, nonché tracce del sentiero verso il suo monte Curatolo. Verso l’entroterra osserviamo: M. Gada, M. La Destra, M. Sirio; alle spalle di Mormanno il M. Cerviero ed ancora dietro, il complesso montuoso del Pollino. Giù, appena sotto di noi, segni di campi desueti tolti alla pastorizia, grazie ad artefatti recinti in pietra. Più lontano s’intravede la contestata centrale elettrica del Mercure, il cui comignolo per anni ha fatto tenere il naso in su agli abitanti della zona di Castelluccio, prima di smettere di fumare definitivamente. Nell’ampia valle del Mercure è visibile il solco inciso dal fiume Lao, noto anche per la disponibilità delle sue acque alla pratica del rafting, che si perde nella confluenza delle due sponde nei pressi della riserva orientata di Papasidero, prima di sfociare sul mar Tirreno. In cima a questo monte e puntando il dito per focalizzare un luogo, realizzi il sogno del giorno prima, allorquando ansioso e curioso, fai scorrere il dito sulla mappa, alla ricerca dei siti da visitare, con aria da esploratore … già, infatti, tutti passando da queste parti, si sentono esploratori perché la zona, abitata nel paleolitico, si presta molto all’attività di ricerca: vedi rinvenimento dell’Elephans Antiquus (Valle del Mercure) e Bos Primigenius (Grotta del Romito, Papasidero). Al rientro, la sorgente “Acqua dell’Arena”, con funzione d’abbeveratoio, misera ma vitale, nonostante la stagione secca, ci ha rinfrescato tutti prima della discesa finale verso il villaggio.
5 agosto 2012: Acquatrek sul fiume Battendiero di Mimmo Filomia
Il Club Alpino Italiano è un’associazione che si prende cura dell’ambiente montano. Lo fa attraverso la sua frequentazione che abbina alla partecipazione personale sportiva quella di controllo e verifica che l’ambiente, rispetti i requisiti naturali per i quali è valsa la pena chiederne la tutela, leggi istituzione del Parco del Pollino, entro il cui vasto perimetro, non solo i monti vanno tutelati ma anche alcuni tratti di fiumi che scorrono nelle pieghe del territorio ed ai nostri occhi appaiono, si fa per dire, degradati, per non scoraggiare la massa di persone che preme e va alla ricerca di spazi acquatici naturali, selvaggi, sicuri e divertenti, in cui muoversi. Questo mio ultimo pensiero richiama e spiega perchè, altrove, sorgono acquapark artificiali dove sono creati percorsi, ambienti, infrastrutture e tutte quelle difficoltà piacevoli, divertenti, che i nostri fiumi, invece, offrono al naturale. Ci sono fiumi pregiati che andrebbero meglio tutelati e fiumi invece che andrebbero bonificati; questa, è la voce di chi frequenta il territorio e delle associazioni qualificate che insistono sul territorio. Sono tante; vanno ascoltate perchè il loro giudizio è supportato dal riscontro e contatto con altre realtà corrette, più lontane e più avanti di noi, nella gestione del territorio. Questa riflessione scaturisce durante l’acquatrek sul fiume Battendiero nei pressi di Mormanno, proposta dal nostro sodalizio. Il fiume, è sempre una risorsa economica per il territorio sul quale scorre, prima di contribuire ad ingrossare le acque del fiume Lao nella valle del Mercure. Fino ad alcuni decenni fa, le sue acque, captate e forzate, hanno alimentato una centralina idroelettrica fornendo energia elettrica all’abitato di Mormanno ed all’ex pastificio D’Alessandro. Lo dimostrano i resti di una turbina che accoppiata al suo alternatore, invano produrrà più l’energia pulita di cui, oggi, abbiamo bisogno. La visita alla centrale è stata un momento di riflessione storica riguardante la trasformazione nazionale economica da agricola ad industriale. Allora, la sua dismissione, è considerata un piccolo dettaglio di costi e ricavi; invece, era un segnale premonitore che si è ingigantito ai nostri giorni. Dopo avere lasciato le auto nei pressi del verde attrezzato della Madonna della Catena di Mormanno, scendiamo nel fiume, in località la Salviera. Lungo la strada, messo in sicurezza e poco visibile, c’è un vecchio ponte, manufatto francese, che al contrario andrebbe valorizzato e reso più visibile, per la sua architettura interessante. Stessa sorte per i ruderi della centrale: un interessante caseggiato posto sul fiume preda dei rovi, con annessa fontanella, barbecue, legnaia, porcile, tutti elementi che fanno pensare al presidio del sito, che a pieno titolo potrebbe entrare in un progetto naturalistico. Intanto, il fruscio dell’acqua ci chiama alla realtà; entriamo tutti con i piedi nell’acqua fresca che giunge dalla nostra sinistra. Diamo cosi il via al nostro cammino nell’acqua, trovando sollievo dalla calura estiva, al fresco della boscaglia marginale. Il fiume ha una portata discreta e quasi costante nell’anno perché tracima dallo sbarramento del lago Pantano. Un invaso artificiale, che, una lodevole iniziativa, lo rende versatile per gli appassionati di canoa. Le sue acque, canalizzate, per una sorte di destino andranno ad azionare altre turbine! Il fiume scorre sotto i piloni dell’A3 Sa-RC ed in alcuni tratti, sotto il ponte (costruzione 1930) del tracciato dell’ex ferrovia calabro – lucana, della linea Castrovillari-Lagonegro e, il ponte della statale 19. La vegetazione ai bordi è rigogliosa, una giungla, con tanto di liane a cui aggrapparsi nei passaggi difficoltosi, rendendo il percorso movimentato e divertente. In alcuni punti il fiume è imbrigliato ed è costretto a restituire le acque a cascata; con la roncola ci apriamo un varco nella vegetazione, ma, più avanti, il fiume c’invita, quasi costringendoci, a scendere assieme, lungo il suo corso spumeggiante, su una sorprendente gradinata, proprio come fanno gli artisti impegnati ad una loro prima esibizione, per giungere, sulla scena, pardon, sul suo letto naturale. Ora, le acque chete c’inoltrano tra rigogliosi farfaracci e piante acquatiche; enormi alberi caduti di traverso, per una frana d’arenaria e tufo, sono ottime passerelle per vincere dislivelli e rendere più avvincente la progressione. Per provare l’emozione di chi affronta il suo primo corto trekking fluviale, il fiume è in condizioni di offrire tutto e di più. Purtroppo, quello in più, è presente con una somma d’oggetti estranei all’ambiente che andrebbero rimossi, assieme ad un non meglio identificato cattivo odore. Questo, è un servizio reso alla collettività ed a chi si pregia di vivere e gestire il parco più grande d’Italia. Il letto di questo fiume merita essere bonificato e consegnato, nella misura eco sostenibile, a quanti praticano questo sport acquatico ed alle future generazioni che già bussano alle porte, alla ricerca di quel valore aggiunto che tutti reclamano dall’area protetta del Parco. Tutti noi, vogliamo partecipare alla mensa di questo bene immateriale che ci appartiene, con idee, consigli, decisioni, progetti, per continuare a sentirsi innamorati delle proprie contrade e, cospargere nell’aria, quel senso di buon umore che fa crescere tutti. Noi, intanto, la tovaglia l’abbiamo stesa imbandita, sui tavoli del verde attrezzato nei pressi della chiesa della Madonna della Catena; anche qui ci sarebbe da eccepire qualcosa! Pazienza, vuol dire che lo dico all’amico vicino… in attesa che il prossimo a sbattere la testa sotto la tettoia dei tavoli sia quello giusto.
24 giugno 2012: Argentino … ultima wilderness meridionale di Mimmo Pace
Qui, sulle sponde ombrose dell’Argentino, nei pressi dell’accogliente Rifugio Montano di Oscarino Del Core, una nutrita ciurma chiassosa è intenta ad allestire il campo che la ospiterà. E’ un frenetico attivarsi, un vicendevole consultarsi ed adoprarsi, un assiduo organizzarsi, soprattutto in vista del lauto menu serale, a base di arrosti e intingoli vari, che richiederà il grande impegno e la completa dedizione di alcuni volenterosi e collaudati “chef sezionali”. C’è anche chi, per assaporare sensazioni nuove, a notte fonda, sospeso su di un’amaca abilmente allestita tra due maestosi ontani, proprio in riva al fiume, ascolta, a occhi chiusi e completamente assorto, il gorgogliante fragore delle acque, lasciandosi accarezzare dal fresco alito che la corrente emana. Nulla gli organizzatori hanno trascurato, pur di non deludere le aspettative delle diversificate “anime” di cui la nostra Sezione CAI si compone ed anche per attrarre nuove e giovani leve, coinvolgendole nella stessa loro passione per la natura e l’avventura. Nell’ambito della medesima spedizione dedicata all’alto corso dell’Argentino, due gli iter proposti, entrambi felicemente vissuti: il primo, una divertente e distensiva passeggiata lungo le rive lussureggianti del fiume, visitando pittoresche sorgenti, angoli di natura solenne e incontaminata e fruendo di scorci impareggiabili sulla immensa distesa di intenso verde cangiante, che riveste l’intero bacino fluviale. Un anello interminabile e faticoso, il secondo, ma di estrema valenza naturalistica, che consente di esplorare e penetrare un microcosmo ambientale stupefacente. Nell’intrico di una vegetazione che rievoca a tratti la selva primigenia, l’iter di andata si dipana a mezzacosta, percorrendo i ripidissimi costoni che serrano la valle: un saliscendi tra recessi fiabeschi, monumenti arborei, pittoresche sorgenti e chiassosi ruscelli precipiti. Quello di ritorno rappresenta un’esaltante avventura in torrentismo e si snoda tra salti e macigni, cascate, bui antri fluviali, profonde pozze multicolori, gallerie arboree sul fiume e rocce pensili, vestite di muschi e capelvenere, stillanti acque purissime: un lembo di natura intatta e fiabesca, l’Argentino, che non ode il frastuono della Civiltà, che si agita in nome del progresso … un mondo di acque cristalline, rilucenti tra il verde intenso di selve senza tempo! Dal romantico ruscello dei Milari, lasciandosi alle spalle vestigia di antichi coltivi e avamposti di una Civiltà contadina ormai del tutto scomparsa, il bel sentiero s’inerpica sino al varco del Castello di S. Noceto, per discendere poi fin sulla conca Pantagnoli, costellata di fresche sorgenti e risalire verso il Golfo della Serra. L’esile traccia zigzaga ora, in viva costa e nella vegetazione più folta e promiscua, impreziosita da connubi forestali d’eccezione, sugli scoscesi fianchi del Corno Mozzo, un picco solitario adorno di loricati, che domina l’intera valle fluviale. Al culmine dell’ascesa, un groviglio di funi d’acciaio e i resti di una teleferica utilizzata, durante i massicci diboscamenti tra gli anni ’20 e gli anni ’40, per il trasporto del legname a valle. La natura sembra aver ben assorbito il duro colpo inferto: la selva si è rigenerata rigogliosa, fagocitando quasi quei relitti arrugginiti. Siamo in cammino da oltre tre ore e ne occorrerà ancora una, per impegnare il vallone Fornelli e toccare finalmente l’alveo del fiume. Vorremmo poter trasferire al lettore, con soluzione di continuità, l’intero avventuroso iter lungo il fiume, ma ci limiteremo a descrivere solo qualche momento più esaltante, che resterà per sempre impresso nella nostra mente: il bagno di Francesco, Eugenio e Gaetano nella profonda pozza di acque gelide, al cospetto della grande cascata, le loro urla liberatorie e la nostra attonita ammirazione a quello scenario imponente; il transito nell’angusta strettoia, dove le verdissime pareti strapiombanti del Corno Mozzo e del dirimpettaio Timpone Garrola sembrano lambirsi altissime nel cielo, mentre tu, in fondo alla gola, ti senti così piccolo, limitato, impotente! Dall’orlo di una ciclopica campana pensile, verde di muschi, stillano rivoli scintillanti di acque purissime; all’interno del maestoso e tetro antro originato dalla stessa campana, il fenomeno è ancor più suggestivo e spettacolare, mentre nel budello terminale che dovremo attraversare, aggrappati ad una fune ancorata alla roccia, s’ode il fiume mugghiare ed esprimersi in sinistri e cupi brontolii; la “suspense”di passaggi pericolosi, come quello lungo una poderosa roccia lubrica, protesa su di una profonda pozza, sostenuti da una provvidenziale fune di teleferica. La tirannia del tempo ci ha però stavolta precluso di raggiungere il recesso più affascinante della valle: il “Varco della Gatta” o “Imbuto di Marepiccolo”, così appellato a Orsomarso, il pittoresco paesello all’ingresso della valle, che ha dato nome alla intera verde chiostra montuosa circostante; qui, in una visione fiabesca, le Fiumarelle del Rossale e di Tavolara si uniscono in mille rivoli e cascatelle, a creare l’Argentino. Non è per nulla azzardato definire questo fiume, ultimo santuario della “wilderness meridionale”. E’ proprio in luoghi come questo, che l’uomo riesce a vivere lo stato di “wilderness”, cioè un rapporto intenso e profondo con la natura più selvaggia e incontaminata, in grado di suscitare interiormente, un superbo, indescrivibile gioco di sensazioni e di emozioni. Sulla via del ritorno, c’è venuto spontaneo e doveroso congratularci con i giovanissimi, speriamo futuri Soci CAI, Pittari, Campana, De Gan, Lo Gatto e Rummolo. Il loro primo impatto con un ambiente tanto fascinoso, quanto ostile, ci aveva messo in apprensione, ma i ragazzi si sono magnificamente “sciolti”, mostrando una capacità di adattamento e una tenacia fuori dal comune. Bravi, sinceramente! Un vivo plauso anche a Joy, il favoloso, fido cane da pastore di Oscarino, che ci ha seguito … anzi preceduto lungo l’intero iter, per terra e per acqua, mostrando spiccata intelligenza, fiuto sopraffino e coraggio! Dopo tante visioni mozzafiato, dopo tante emozioni vissute, percorrere quella stradaccia di fondovalle, franata in più punti, ingombra di alberi divelti, per nulla gestita e custodita e non si sa per qual fine realizzata … ma, soprattutto, quelle precarie passerelle, appena collaudate e già chiuse al transito, perché poggianti su piloni incautamente eretti, proprio nei punti di maggior pressione della corrente e resi malfermi o addirittura inclinati e rimossi dalla prima piena del fiume, costituiscono uno spettacolo avvilente e deprimente, una consolidata espressione di superficialità e incompetenza in seno agli organi deputati a realizzare tali opere. E non importa la spesa per ripristinarli … il tutto, naturalmente, attingendo a pubbliche risorse! Avanzo seri dubbi sulla professionalità del progettista e vado, nel contempo, considerando: << Ma che razza di investimento è mai questo? Un investimento a perdere … un investimento che non produrrà alcun frutto. Semmai, l’ennesima caduta d’immagine del nostro Comprensorio >> e in conclusione: << Valeva davvero la pena impiegare tante preziose risorse, con la vana speranza di richiamare qualche sperduto turista? >> Chi ama ed è in grado di risalire l’Argentino per visitare le sue incantate bellezze, lo fa per sentieri e se ne infischia delle passerelle … proprio come abbiamo fatto oggi noi del CAI di Castrovillari. Sarebbe stato forse più saggio proteggere questo magico ambiente fluviale, senza sconvolgere e devastare l’ambiente con stradacce e inutili manufatti, che sempre di più vanno minacciando l’ultimo santuario naturale della nostra terra. Senza neppure avvedercene, siamo giunti proprio di fronte al Rifugio Montano di Oscarino; non ci resta che attraversare per l’ultima volta il fiume e trovare il gruppo dei sedentari buongustai, ancora intenti a smangiucchiare le residue ghiottonerie. Dopo qualche giorno appena, dalla conclusione di questa avventura, la morte ghermiva immaturamente un nostro carissimo e indimenticabile Socio, l’Avv. Ciro Mortati, uno degli intrepidi partecipanti a questa favolosa sortita. Noi, suoi compagni d’avventura, siamo ancora increduli, sbigottiti, addolorati. Tutto il CAI di Castrovillari è in lutto grave per una siffatta perdita, che, peraltro, rappresenta la prima nell’ambito della nostra giovane Sezione. Addio Ciro, o meglio … arrivederci! Accompagnaci dall’alto lungo il nostro assiduo peregrinare sui monti! Ti saremo sempre grati per ciò che ci hai regalato e che hai saputo esprimere, attraverso la tua singolare e irripetibile personalità: saggezza, modestia, lealtà, tolleranza, discrezione e … tanta amicizia.
17 giugno 2012: Escursione dei Piani e delle sorgenti di Pollino di Mimmo Filomia
L’escursione è stata un rimedio per vincere l’afa opprimente che si è abbattuta su tutta l’Italia; infatti, buona parte del sentiero è stato percorso nella frescura del bosco e, quando agli alberi sono subentrati i prati erbosi dei Piani di Pollino, l’altitudine ha reso confortevole anche la presenza del sole. Il sentiero ad anello proposto è un viaggio rappresentativo, illustrativo, nel cuore del Parco del Pollino per focalizzare quelle massime espressioni montuose che lo identificano nelle vicinanze e, quelle lontane, che ne demarcano i confini all’orizzonte. L’itinerario ad anello si è sviluppato su un percorso snello, sfruttando con riallacci alcuni tratturi d’altura inusitati che i pastori conoscono bene per accudire con solerzia le mandrie al pascolo. Siamo un bel numero, più di trenta e muoviamo dal punto nodale di Colle Impiso (1573m), da dove dipartono alcuni sentieri di altura. La prima tappa sarà Vacquarro Alto (1572m) che segna il loop del percorso previsto dagli accompagnatori M. & P. Filomia. Le sorgenti d’altura che nascono in questa zona sono poche e famose, noi le abbiamo trovate sicure e fresche ad aspettarci sul sentiero per rifocillarci. La prima di queste è la sorgente Rummo, sorniona, sottomessa ed in disparte; per chi va e viene da e oltre i Piani è indispensabile. Noi, di buonora, le passiamo accanto tranne qualcuno curioso, che vuol vederne lo stato di conservazione. Più avanti della sorgente Rummo, sulla sinistra, ci inoltriamo su un confortevole sentiero movimentato che attraversa le acque di tre ruscelli che scorrono in un bosco di faggi. Le loro acque sono alimentate dai laghetti sovrastanti, che, a loro volta, ricevono quelle provenienti dallo scioglimento delle nevi che, da Serra Crispo e Serra delle Ciavole, filtrano dai Piani. Un ciclo vitale che somiglia molto a quello che avviene sulle Alpi in vasta scala, mentre nel nostro ecosistema la quota riduce la durata dell’effetto. Il sentiero, alberato e fresco che abbiamo imboccato, è anche frequentato dai pellegrini affezionati dei luoghi che preferiscono questa via per recarsi, passando dal Piano di Iannace, al Santuario della Madonna del Pollino. Appena giunti a Timpone Conocchielle (1880m) una decisa svolta a destra, con il Pollino alle spalle che fa capolino tra gli alberi, ci ha consentito, inoltrandoci, sempre nel bosco fra bei esemplari di faggi, di riallacciarci proprio nei pressi della sorgente di Pitt’accurc, (1900m) sul sentiero per la Piana di Pollino. Visto che oggi, è la sagra delle sorgenti e dei piani, trovo doveroso rilevare che la fonte di Pitt’Accurc (sono in corso indagini per associare altri termini a dormire- accorciare) è la più elevata dell’intero Parco e disseta le popolazioni con la sua adduzione lungo il percorso fino a S. Severino Lucano. Nei pressi della sorgente, che d’inverno la neve iberna, coprendola tutta, facciamo una breve pausa ed una frugale colazione con l’acqua della sorgente a fare da companatico; talmente buona e gelida che non riusciamo a tenerla nel palmo delle nostre mani se non per qualche attimo. Ci concediamo da questo bene prezioso per vie opposte; infatti, c’immettiamo sul sentiero che leggermente sale alla Piana di Pollino (1947m), lambendo il costone Sud di Serra Crispo e del giardino degli Dei. Un nome magico, quest’ultimo, che richiama alla mente la storia delle sirene di Ulisse e che qui non si può fare altro che accettare l’invito, perché il richiamo e giustificato da un connubio confortevole di soggetti naturali predisposti in chiave di lettura del passato, presente e futuro di un ecosistema che è li dall’ultima glaciazione. Per oggi, basterebbe aver visto solo questo! Ma il sentiero, proposto ad hoc per questa lunga giornata di giugno, ci riserva altre sorprese, ad incominciare dalla vegetazione bassa e strisciante che sollecitata dal caldo e umidità del terreno è spronata a dare il meglio di sé con mille infiorescenze. Il sentiero naturale arricchito di pietre laterali ed omini, intrapreso all’altezza del nuovo punto trigonometrico posto sulla Piana di Pollino, ci ha condotto alle falde di Serra Crispo e Selletta della Porticella per un incontro ravvicinato con i Pini Loricati maestosi e monumentali inseriti in un contesto campale geografico, tridimensionale, racchiuso dal golfo di Policastro ed il golfo di Sibari. Il Giardino degli Dei, esercita un flusso magico nei confronti del visitatore che resta sorpreso di avere a disposizione, un ambiente selvaggio e al tempo stesso confortevole ed in sintonia con la necessità di un restart interpersonale con il quotidiano. Siamo tutti d’accordo che la visita estiva di tutto l’itinerario è la più emozionante. Ad inizio estate, la natura già si è fatta il look con i colori della sua tavolozza, spalmandoli con mille sfumature per stupirci; finché, dipende da noi, lasciamoglielo fare per sempre. Intanto, i sintomi della fame, spezzano la magia che ormai si è trasformata in ricordo, anche perché, ogni qualvolta siamo da queste parti, corre l’obbligo di fare visita a “Zi Peppe” il Pino Loricato emblematico a cui noi tutti vogliamo bene ma, nel modo sbagliato, perché invasivo, lesivo e ravvicinato. La colazione al sacco nei pressi dell’albero argentato e la foto di gruppo sancisce la prima parte del tour, che prosegue scendendo verso la verde conca della prateria dei Piani di Toscano, tappezzate da mandrie di cavalli al pascolo, mentre gli spalti: Serra delle Ciavole, Dolcedorme, Pollino e Serra del Prete sono visibili in tutto il loro splendore vegetativo. Un'altra pausa ed il lungo serpentone colorato, si attorciglia su se stesso, per rifocillarsi, prima di rimettersi in marcia. Un omino grande e grosso ci indica il sentiero che si insinua a Nord-Ovest di Pollino per giungere comodamente ed al fresco a Colle Gaudolino (1684m). Questa località è nota perché crocevia di sentieri d’altura con segnaletica CAI verticale ed orizzontale nonché sede di bivacco e di un ottima vista sul sovrastante Monte Pollino. Poco più giù, ci attende la sorgente di Spezzavummula, (l’otre non regge il freddo della sua acqua) e, già al pensiero, c’è stato uno spontaneo rompete le righe, per raggiungerla e rinfrescarsi. Da qui, per chiudere l’anello, ci riallacciamo al tratto del Sentiero Italia 901 che giunge a Vacquarro Alto e prosegue il suo itinerario italiano passando per il Santuario della Madonna di Pollino. Per noi, a Vacquarro si chiude l’anello ed inizia la strada del rientro a Colle Impiso. A giudicare la luce che traspare dai volti dei partecipanti, passati in rassegna, seduti sul muretto di Colle Impiso, spero, sia quella di gioia scaturita da una bell’impresa fisica personale e non solo quella riflessa dai raggi solari, sotto un cielo terso ed azzurro! L’unica nota negativa della giornata per noi escursionisti è stata rappresentata, nei sentieri attraversati, dalla segnaletica realizzata dall’Ente Parco che alla fine di giugno, dopo 3 anni dal suo inizio, nella segnaletica verticale (pali e tabelle) risulta incompleta per il 97 %, essendosi fermata a 500 metri da Spezzavummula, mentre la segnaletica orizzontale (bandierine sul terreno che confermano il sentiero) è completamente inesistente. Tutto ciò a discapito dell’escursionista che inizia il suo percorso con i segnali e alla fine si ritrova completamente spaesato e senza indicazione alcuna.
2/3 giugno 2012: Capri, il sentiero dei Fortini di Mimmo Filomia
L’isola di Capri, è risaputo da tutti, ha un suo fascino particolare che non teme confronti. Coinvolge ogni visitatore ad esprimersi nei suoi confronti con entusiasmo già prima di attraccare al suo porto. E’ una perla della natura, poggiata lì, nel meraviglioso golfo di Napoli per la gioia di tutti, per goderla, ammirarla, fino al punto di portarla con se nei ricordi più belli della vita. Capri, soggiogata e derubata nelle varie epoche, dei suoi reperti archeologici dai suoi colonizzatori è uscita dal letargo nel primo ottocento, aprendosi finalmente al mondo esterno. L’isola, è sicuramente anche la dimora dove alberga l’ispirazione assoluta di chi cerca, nelle belle arti, la ragione della sua vita. La musa si mostra in ogni angolo della sua natura, con colori, sapori, panorami incantati incorniciati da cascate di fiori sulle terrazze a picco sull’azzurro del mare; poi grotte, cale, salsedine, faraglioni, profumi, moda, yacht. Tutto ciò si perpetra con albe e tramonti favolosi, richiamando ininterrottamente schiere multi etniche di pellegrini del piacere, che per un giorno, a giudicare dal sorriso, si credono i proprietari ideali dell’isola. Qui, la natura, è stata benigna assai con la conformazione delle sue coste; mentre gli isolani sono stati abili a manipolare le imperfezioni, addomesticandole a suo piacere, laddove necessario nei confronti del suo unico nemico ed allo stesso tempo, amico: il mare. Il sentiero dei Fortini è la riprova; ci mostra i resti delle costruzioni di torri di guardia, fari e fortificazioni militari lungo la costa a picco sul mare destinati a proteggere con il fuoco incrociato dei suoi cannoni, l’isola ed il golfo, tra inglesi e francesi, fino all’arrivo dei Borboni 1815. Si dice nel linguaggio isolano: a Capri lo struscio ed Anacapri la bellezza naturale dell’isola che fu di Tiberio. Il CAI di Castrovillari, pur non rimanendo insensibile al richiamo del frivolo e del mare si è fatto promotore di una bell’escursione appunto sul sentiero di 5 km dei Fortini, situati sulla costa occidentale di Anacapri. La strada d’avvicinamento al sentiero è iniziata da Sorrento. Dopo la prima colazione di buon mattino ci siamo ritrovati sul battello in direzione della soleggiata Capri, mentre alle nostre spalle lasciamo Napoli all’ombra del Vesuvio. Dal porticciolo, dopo un salto di funicolare ed un percorso panoramico in autobus, giungiamo ad Anacapri, seconda città dell’isola, dove ha inizio il percorso cittadino del sentiero dei Fortini. Prima dell’avvio per le stradine, fra caseggiati colorati e addobbati d’infiorescenze, un bel gelato, specialità del posto, ci ha procurato un’ulteriore dose di buon umore. Un cippo ai margini della strada, ed il segnavia locale, illustrato su una tavoletta di ceramica ci indirizza verso il primo fortino di Orrico a picco sul mare. Gradevole e romantico è il modo con cui questo sentiero è proposto al visitatore; infatti, nei punti cardini del percorso un consueto libro di ceramica aperto a metà incastonato sulla roccia, illustra al lettore la toponomastica, la flora appariscente e la storia del sito. Il camminamento lungo l’altra faccia della costa, per raggiungere le ricostruzioni in pietra dei tre fortini ed il faro di punta Carena, ci ha fatto vivere più intensamente la presenza sull’isola, riscoprendola nella versione più naturale con le sue insenature invitanti, i gradini scavati nella roccia fino ad essere lambiti dal mare azzurro, solcato ininterrottamente da un andirivieni di natanti, in giro turistico, da e per la Grotta Azzurra. Capri, è sinonimo di movimento sia sulla terra ferma che lungo il suo periplo via mare che per tutto il percorso dell’escursione, abbiamo tenuto sotto visione storica, proprio come le sentinelle ai tempi tuonanti dei cannoni dei fortini di Orrico, Mesola di Campetiello e Punta del Pino. Al pomeriggio, la visita al giardino di Augusto con il panorama dei Faraglioni alle spalle, ci ha permesso di immortalare la giornata con la foto, certezza universale, della visita a Capri!
29 aprile 2012: Tra i Monti d’Orsomarso sul Corno Mozzo di Mimmo Pace
Avevamo pensato di delegare a un cronista creativo, attento e zelante, come l’amico Mimmo Filomia, la narrazione di questa indimenticabile, avventurosa sortita sui Monti d’Orsomarso, ma la straordinaria quanto insperata partecipazione, una carovana di ben 44 anime escursionistiche, impone il più doveroso e caldo ringraziamento ufficiale da parte degli organizzatori, gratificati e inorgogliti dalle variegate presenze. Mi riferisco agli intrepidi ragazzi dello Sci Club “Leone Viola” di Saracena, a diversi Soci della Sezione CAI di Cosenza e ad alcuni appassionati amici. Quel che gratifica e ripaga maggiormente noi organizzatori di tal genere di escursioni in seno al CAI di Castrovillari, infatti, non è solo e tanto la felice conclusione delle stesse, ma ancor più la partecipazione che si è riusciti a stimolare, non fosse altro che per aver potuto indurre interesse e amore per la montagna, specialmente la nostra, coinvolgendo tanti giovani e non più giovani nella nostra intramontabile passione, un apostolato, una missione, quasi, protesi alla conoscenza, alla salvaguardia, alla fruizione e quindi alla promozione dell’intero Comprensorio del Pollino. Se, in conclusione, il successo si misura in partecipazione, beh, allora c’è di che sentirsi lieti e soddisfatti in seno alla nostra giovane Sezione CAI, la quale, grazie all’impegno tenace di un grappolo di affiatati Soci, Presidente in testa, miete, di anno in anno, risultati ed obiettivi sempre più importanti e lusinghieri. Ciò premesso, veniamo al succo della sortita. Dal luminoso Piano di Novacco, sul tracciato di un’antica ferrovia “decauville”, seguendo il sentiero 653, segnato qualche anno addietro dal CAI di Castrovillari, siamo risaliti, in viva erta, tra la Costa d’Acine e la Serra di Novacco. Da qui, il bel sentiero scende, tra faggi centenari che, altissimi, si lambiscono nel cielo, mentre la carovana incede nella foresta, provando a vivere le sue arcane atmosfere e alla scoperta di aspetti naturalistici sorprendenti. Sta per addentrarsi nel cuore dei Monti d’Orsomarso, il lembo di natura più intatto di tutto il Meridione d’Italia. Un ecosistema a sé, l’Orsomarso, protetto dalla stessa sua natura selvaggia, nonostante i pesanti diboscamenti subiti dalla fine dell’ ottocento a metà dello scorso secolo. Qui, tra il Palanuda, l’alto corso del Fiume Argentino e le prime propaggini della Dorsale del Pellegrino, silenzi e foreste senza fine! Qui, puoi avvertire solo il sussurro delle fiumarelle, il colpo d’ala del falco pellegrino, il toc-toc del picchio. Questo è il regno del capriolo autoctono, del tasso, del lepre, del cinghiale, dello scoiattolo, del corvo imperiale e delle martore. Qui, esiste un vero paradiso botanico: dal pino loricato, all’abete bianco, al faggio, all’acero, al leccio, al carpino, all’ontano, a maestosi agrifogli e preziosi tassi in connubi d’eccezione, e liane di vitalba e piante acquatiche e felci e fragole, lamponi e cento erbe medicamentose. D’un tratto, appare un ciclopico torrione di roccia foggiato dal tempo, sormontato da macchie e lecci, nel cui intrico trovano rifugio i rapaci: è la Pietra Campanara, sentinella dell’Argentino, che giganteggia nella valle. Si prosegue lungo la lussureggiante valle Deo Gratias, all’ombra di patriarchi arborei senza tempo, in un autentico Santuario naturale. Per un attimo temo che il passaggio della vistosa “colonna umana” violenti quell’ambiente intatto e solenne, ma subito mi ricredo, in ogni caso, è solo una testimonianza d’amore! Risalendo l’ondulata cresta che conduce al Corno Mozzo, attraverso squarci dell’intricato verde che la riveste, già si pregusta lo scenario che di li a poco apparirà, integro, alla nostra vista. La prima delle due vette gemelle appare al gruppo in tutta la sua imponenza e occorrerà affrontare un’infida scarpata, risalendone poi le irte pareti. Da lassù, lo spettacolo è magnifico, anzi, gli spettacoli sono due: il primo, del tutto insolito, è quel formicolio di gente che, a guisa del Monte delle Beatitudini, riveste l’intera porzione cacuminale del Corno e che, stupita, quasi incredula, ammira, gesticola, parlotta, muta posizione, desiderosa di gustarsi ogni sfaccettatura di quella superba visione; il secondo, è lo scenario grandioso, immutabile, che quel luogo offre ad ogni intrepido e fortunato visitatore. Scrutando attentamente l’instabile natura rocciosa dell’altra cima gemella, Massimo esclama: “E’ pericoloso salire lassù, meglio rinunciare”. La delusione è cocente, ma qualcuno non si rassegna; discende la pericolosa scarpata e intraprende l’arrampicata. Si destreggia tra lastroni di roccia instabile, si aggrappa a cespugli, si sostiene come può a precari appigli, è animato da un sogno: risalire quel cono di roccia proteso sull’abisso e una volta in vetta, sulle ali della fantasia, assumere le sembianze di un rapace e librarsi in volo, ad ali spiegate, sulla immensa distesa di verde cangiante, che tappezza l’intero bacino fluviale dell’Argentino, il “cuore verde” del Parco Nazionale del Pollino. All’improvviso, il sogno svanisce, il sognatore prende coscienza del reale pericolo in cui versa e rinuncia. Un sogno infranto? NO … è stato fantastico averlo potuto vivere e bello aver potuto far felice ritorno tra le fila del gruppo. L’importante è averci provato!! Sulla via del ritorno, riflettendo un pò sull’inatteso quanto gradito successo della sortita, emerge chiaro che, ad indurlo, ha contribuito più che altro la proposizione di luoghi fascinosi sconosciuti ai più, di spettacoli naturali inediti e mai fruiti. Ciò, perché un vero appassionato non smette mai di andare alla scoperta dei mille volti di una montagna; essa regala sempre esperienze nuove, insegnamenti nuovi, emozioni nuove, basta solo aver voglia di coglierli. Per fortuna, con un tantino di buona volontà e passione, per noi del CAI sarà sempre piuttosto semplice attuare ciò, soprattutto perché il nostro Pollino esprime un ambiente estremamente variegato e così ricco di contrasti e di meraviglie della natura.
22 aprile 2012: Passeggiata alla Madonna del Riposo di Mimmo Filomia
Si è svolta l’ottava edizione della passeggiata alla chiesetta della Madonna del Riposo (675m) e Monte Sant’Angelo (790m). Una delle simpatiche iniziative d’altri tempi che il Club Alpino Italiano di Castrovillari propone come attività motorie escursionistiche, oggi tanto frequentate quanto sport salutare, utile al sociale, per l’affezione ai luoghi di appartenenza. La manifestazione, che ha registrato un gran numero di rinunce a malincuore, ha avuto un seguito di circa venti fedeli escursionisti, che hanno approfittato di un intermezzo di sole, benevolmente concesso, dal mini ciclone Lucy che ha imperversato, su tutta la zona, prima e dopo la progressione panoramica sulla città. L’evento, seguito da Radio Nord Castrovillari, ripropone ai castrovillaresi e a chi interessa la sorte di questo sito, l’urgenza di trovare le misure idonee per bonificare le condizioni pietose in cui versa la struttura. Intanto, qui, con l’aiuto delle parti in causa, accanto ad una piccola struttura di prima accoglienza per viandanti, potrebbe essere installata una webcam meteo su tutto il comprensorio. L’ascesa al monte Sant’Angelo è stata la meta preferita per gli scolari di un paio di generazioni fa; da allora tutti si sono ripromessi di rifarla da grandi. Oggi, è snobbata, ma al tempo, ha avuto la sua funzione didattica sul campo, con la percezione dei confini dell’orizzonte, la distanza fra paesi limitrofi, la distinzione dei monti, il mare Ionio, le case della tua città raggruppate e squadrate appena sotto i tuoi occhi! Una sensazione nuova piacevole durante la salita c’è offerta dalla vista del costruendo campanile della cattedrale di Castrovillari. Con il conforto della compagnia ed a ritmi lenti, si può sconfiggere la pigrizia e la paura di affrontare la montagna, che da lontano sembra ostile, in realtà, per chi è alla sua prima esperienza, questo sentiero introduce dolcemente in un ambiente sicuro, naturale, arrecando beneficio e fiducia nelle proprie forze fisiche e volontà a perseguire, poi, le vie delle vette! L’interno desolante di questa cappella rupestre, le pareti addobbate da angeli cattivi che hanno accesso dal cielo e la terra, sono sconfitti sull’altare, da un semplice paramento candido e da un’effige protetta dal cellofan, venerata costantemente durante tutto l’anno da fedeli che non si arrendono, a salire fin quassù. Le tradizioni popolari, sono da riprendere, esaltare e renderli fruibili, come si fa in ogni area geografica, che ormai rientra nei confini europei, rimarcando usi, costumi, religiosità, folclore gastronomia. Sono il biglietto da visita per il turista che è sempre alla ricerca di contrade italiane leggendarie, che si distinguono per queste peculiarità ambientali festose. Ricordiamo, che è il turista ad esaltare il territorio, ma, tutto dipende da cosa di originale sappiamo offrirgli. La centralità della cima di questo monte, assicura un panorama a 360 gradi da cui si possono focalizzare le piazze dei paesi circostanti che, a loro volta, l’additano come riferimento esistenziale. Scendendo da questo colle che, i nostri nonni hanno reso festoso a pasquetta ed anche per accogliere l’inizio della primavera, un certo turbamento ci assale osservando il santuario della Madonna del Castello, ferito, con serie conseguenze alle sue fondamenta, da una frana, figlia, di una politica generale di abbandono senza appello, del territorio.
18 marzo 2012: Piana di San Francesco (1437m) - Serra di Crispo (2053m) di Gaetano Cersosimo
Eccomi al mio primo racconto da socio CAI. Solito appuntamento alle sei e trenta al semicerchio, tredici presenti, una del gentil sesso, Mariella da Cosenza, due giovani quindicenni Marco e Cristian, due sciatori escursionisti Eugenio e Giancarlo, l’amico Luigi, non potevano mancare i tre veterani Mimmi e i rimanenti quattro: Gaetano, Alberto, Francesco, Vincenzo. Dopo esserci organizzati con le auto siamo partiti con entusiasmo per l’ennesima meta, le condizioni meteo erano eccellenti, giornata calda e soleggiata già dalle prime ore del mattino. Giunti sul luogo di partenza, Timpone del Capriolo (circa 1200m), finalmente ci incamminiamo con le ciaspole. Decidiamo di effettuare una variazione all’inizio del percorso per risparmiare qualche chilometro. Questa si rivela tra le più interessanti poiché attraversa il suggestivo Bosco di Jannace, un misto di abete e faggi . Il connubio faggio/abete è una caratteristica di questi luoghi e l’abete bianco ne rappresenta un unicum insieme ai pochi esemplari presenti sul Monte Sparviere. Il percorso è tutto in salita, interamente coperto di bianco; superato il bosco si imbocca il sentiero tortuoso per circa due chilometri che porta a Piano di Jannace (1646 m), nel pianoro non si può che ammirare un candido manto di neve e alzando gli occhi le nostre fantastiche vette. Dal Piano, privo di alberi e dominato dal bianco, parte la sterrata, coperta di neve, che compiendo una ampia curva a sinistra, rientra nel bosco ed inerpicandosi senza percorso obbligato, arriva alla sorgente Pitt’Accurc’. Qui ci attende una sorpresa, la fontana non si trova poiché è sommersa dalla neve. Da qui inizia l’ascesa alla Serra di Crispo. La natura ci offre un grande spettacolo: il manto nevoso che copre le macchie di ginepro, spettacolari pini loricati, innumerevoli cime del Massiccio del Pollino fino alla sua estremità. Immagini di una bellezza unica, lo sguardo inquadra le vette del monte Spina, monte Sirino, monte Alpe e monte Raparo. Sulla vetta il panorama mozzafiato viene apprezzato da tutti durante la pausa pranzo così come il pecorino nostrano dal sapore forte e intenso. Dopo la foto di gruppo si riprende la via di ritorno, ma senza variante, passando per la Piana di San Francesco una volta chiamata “Largo di San Francesco”. L’emozione non è da meno di quella provata in cima, uno scenario diverso ma sempre suggestivo determinato dai fusti giganti di faggi e abeti bianchi alcuni rovesciati sulla neve perché abbattuti dal peso dell’abbondante coltre nevosa e del forte vento. Affaticati dopo tanti chilometri siamo giunti alle auto dove ci aspettava la buonissima crostata della signora Rosa, dopo averla consumata avidamente ci salutiamo per far rientro a casa. Che emozione!
11 marzo 2012: Alla Timpa di Valle Piana per tornare a vivere di Domenico Riga
La cosa bella della montagna è che puoi andarci migliaia di volte, ma non ti stanca mai. Puoi salire su una cima e ogni volta ti appare diversa, vedere il panorama, ma notarne le sfumature e i particolari solo dopo un po’, vivere una giornata memorabile e pensare che come quella non ce ne saranno più….. Tante sono le cose che si potrebbero dire ma, onestamente, per me la giornata di ieri è stata davvero “speciale”. Avevo bisogno di tornare a sentirmi “vivo” dopo l’incidente di quest’estate, di sentire il rumore del ghiaccio sotto i ramponi, il fiato del vento che ti sbatte la neve sulla faccia, di toccare la roccia fredda, abbracciare i miei “loricati”, ansimare di fatica e piacere….. Sabato pomeriggio, vedendo il tempo, ero deluso e avevo ormai deciso di rimanere a casa, ma la provvidenziale telefonata di Mimmo Pace che mi dice “noi andiamo” cambia improvvisamente tutto. Comincia a salire l’adrenalina e mettere la sveglia per la mattina è una fatica: vorrei già essere a Valle Piana!! La Domenica in perfetto orario ci riuniamo e scopro che sarà l’ascensione dei quattro “mimmi”, anche questo un evento. Purtroppo tornare a Valle Piana è sempre una conferma del disinteresse istituzionale nei confronti dei fruitori del Parco: non bisogna asfaltare tutte le strade, ma neanche farle diventare piste da motocross!!! In ogni caso siamo in 6 e nonostante il forte vento e la scarsa visibilità partiamo speranzosi in un miglioramento. Per me è già un successo essere qui, figuriamoci poi se dovessimo riuscire a salire… Dalle foto e dalla presentazione mi aspetto un’ascensione affascinante in un ambiente selvaggio e grandioso, l’unica incognita è la consistenza del manto nevoso, che potrebbe rendere molto difficoltosa la progressione. Tutta la prima parte del percorso trascorre congetturando su questo e sul meteo, ma abbiamo la spirito giusto, “se va va altrimenti torniamo indietro” perché una conquista non deve essere un’ossessione, ma solo un momento di confronto con sé stessi e con i propri limiti. Imbocchiamo il canale e iniziano la sorprese: neve compatta e si procede che è una bellezza. Arriva il momento di calzare i ramponi, cosa che faccio rapidamente (non potevo essermelo dimenticato), ma appena parto mi accorgo che qualcosa è cambiato, c’è qualcun altro insieme a me, qualcuno che non mi abbandona mai nei momenti importanti: sono mia moglie, i miei figli e tutti gli amici che mi sono stati vicini in questi mesi. Li saluterò solo la sera quando il sonno avrà il sopravvento. Riuscire a realizzare una ascensione partendo da luoghi remoti e selvaggi ha sempre un fascino particolare perché si entra totalmente in simbiosi con la natura e si ha la sensazione di non intaccarne l’essenza, gustandone appieno lo splendore e la forza creativa o distruttiva. E qui c’è tutto questo. Siamo circondati da una moltitudine di alberi sradicati da una immane forza che li ha fatti precipitare a valle e tutta la via di salita è nel primo tratto caratterizzata dal superamento di autentici blocchi di ghiaccio grandi come palle di cannone, testimonianza di recenti ed enormi slavine. Pochi sanno che questi fenomeni sono presenti anche sulle nostre montagne e che la conoscenza delle tecniche escursionistiche e di risalita in ambiente innevato sono fondamentali per divertirsi in sicurezza. Oggi, ad esempio, siamo consci del fatto che le basse temperature e il vento di tramontana hanno compattato tutto e il manto di neve si è consolidato, riducendo sensibilmente i rischi dell’ascensione. La nebbia è a tratti molto fitta per cui cerchiamo di mantenere sempre il contatto visivo l’uno con l’altro. In queste condizioni si sale tutti insieme, ma in fondo ognuno è sempre da solo con sé stesso, con le proprie paure, alla ricerca dell’avventura e della conquista, in un continuo confronto con la montagna. A metà del canale devio leggermente a destra per andarmi a nascondere sotto un enorme pino loricato da cui ho una splendida vista su un bastione roccioso e, contemporaneamente, sui miei compagni che arrancano in salita. C’è vento forte, sento il fruscio dei rami e il battito del legno che si piega, respiro, chiudo gli occhi e, per un attimo, i pensieri mi riportano a tutto il tempo in cui ho sognato di poter rivivere questi momenti. Starei qui per ore, ma non posso. Più ci avviciniamo alla cresta, più il vento rinforza. Facciamo un piccolo bivacco dietro un grosso masso. Anche l’alimentazione in questi casi è fondamentale, non bisogna appesantirsi con grandi quantità e preferire cibi energetici. I fichi di Mimmo P. sono perfetti, insieme ad un thè caldo, cioccolata e biscotti. Nei pochi minuti di distrazione si compie il miracolo: esce il sole e tutto diventa stupendo!! È la seconda sorpresa della giornata. Non riesco più a trattenermi, parto sparato come morso da una tarantola e salgo sulla cima della Timpa di Valle Piana da un canalino laterale meritandomi i giusti rimbrotti di Mimmo P. Mi perdonerà, ma non ce la facevo più, avevo bisogno di tutto questo e di sentirmi “a casa”. Da sopra è indescrivibile la visione dei Piani, il bianco ovattato ed infinito, Serra delle Ciavole, il Pollino, il Dolcedorme e miei compagni di avventura che sembrano astronauti sul suolo lunare. Lo devo ammettere, mi sono commosso, è stato come rinascere. Nonostante sia un assiduo frequentatore della montagna e del Pollino da diversi anni e in tutte le stagioni, in vita mia non ho mai visto niente del genere!! Alberi ammantati di galaverna, cuspidi rocciose ghiacciate, un mare bianco senza fine, vortici di neve sollevati dal vento e …… il silenzio, il silenzio della montagna. È difficile raccontare le emozioni di questi momenti, soprattutto per chi non è abituato a farlo, posso solo dire che, come scriveva il grande Karl Unterchirker, “la montagna chiama” ed evidentemente stavolta ha chiamato me, ha voluto farsi vedere nella sua bellezza selvaggia per farmi capire che ogni piccola grande conquista è possibile con impegno, dedizione e tanta passione. Quella di oggi è una grande lezione, mai abbattersi, lasciarsi andare, lottare, lottare sempre per realizzare i propri sogni e, anche se non ci si riesce, almeno non avere rimpianti…. Durante la discesa affrontiamo la “Tagliata” al Varco del Pollinello, antico spettacolare passaggio ricavato con maestria dai pastori di un tempo che lo utilizzavano per portare le greggi al pascolo o per gli spostamenti commerciali. Queste cose dovrebbero insegnare a noi giovani da dove veniamo e, in questi tempi cosiddetti di “crisi”, a riscoprire le cose che sono veramente importanti nella vita. Sono affascinato quando, poco prima di tornare alle macchine, i due “mimmi” mi mostrano l’imbocco della via cosiddetta “Scilla e Cariddi” o “Gendarmi di pietra”e, nel rammaricarsi di essere così avanti negli anni, mi dicono “voi giovani dovreste scoprirli tutti questi posti, qui c’è la vera essenza del Pollino”. Potete scommetterci, farò tesoro del vostro consiglio. Simone Moro una volta ha scritto “l'alpinismo è fondamentalmente un puro atto di egoismo. Però è anche un atto che ti rende felice e ispira i sogni altrui, in un'epoca in cui non ci è più permesso sognare”. Oggi ho sognato ad occhi aperti…. Un grazie particolare agli organizzatori, al CAI di Castrovillari, ai partecipanti e agli assenti, che però sono saliti ugualmente con me. Ah, quasi dimenticavo, ultima sorpresa della giornata: ho lasciato i bastoncini a Valle Piana.
4 marzo 2012: Sul Tetto del Parco, per la Pietra Colonna di Mimmo Pace
All’ingresso della Vallepiana, una vasta erta, verde di pini, di lecci e aulente di ginestre, lavanda ed erbe officinali, la quale si chiude ad imbuto proprio nel cuore della Serra Dolcedorme, un drappello di intrepidi, avventurosi soci del CAI di Castrovillari scruta con attenzione ed apprensione la montagna dei loro sogni, scintillante ancora di nevi e di ghiacci, nonostante la stagione invernale sia già un ricordo e da giorni un soffio tiepido di primavera accarezzi il suo volto candido, favorendo un precoce e inatteso disgelo. Un momento critico e delicato questo per chi, come loro, ardisce ascenderne gli scoscesi fianchi, alla ricerca di sempre nuove emozioni, di esperienze e insegnamenti nuovi, di intense sensazioni di libertà e con la gran voglia di instaurare, nel clima dell’azione, una sfida con se stessi, alla ricerca di quell’equilibrio interiore, che costituisce uno dei cardini esistenziali ed anche per la gioia di poter condividere le emozioni vissute, con gente accomunata dalla stessa passione per la montagna e per l’avventura. Per chi d’inverno la osserva col binocolo da Castrovillari, la Pietra Colonna, un poderoso e spettacolare obelisco di roccia sospeso sul dirupo a 2050 metri di quota, appare come una minuscola scheggia grigiastra, incastonata tra ciclopiche bastionate opalescenti e candide, aeree cortine. Essa sembra quasi posta a guardia di un vertiginoso canalino incrostato di ghiacci e sempre stracolmo di neve, che, dall’anticima del Tetto del Parco, precipita giù per un migliaio di metri di altezza, attraversando longitudinalmente il cuore del colosso di pietra, che esprime il vero volto alpestre del Pollino. Questa, la palestra d’azione, questa la meta, con finale ascesa da brivido sulla cresta di vetta! Tra alcuni autentici atleti come Massimo, Franco, Luigi e diverse giovani promesse, a proporre e condurre la sortita sono proprio due nonnetti arzilli, i due soliti inossidabili Mimmi, animati dalla segreta speranza di farcela anche stavolta, ma soprattutto di indurre tra i più giovani la loro stessa passione. Accantonata ogni titubanza, l’avventura ha inizio. Giunta in meno di un’ora al Passo di Vallecupa (1320m) la comitiva intraprende l’ascesa al Campo Base, un minuscolo terrazzo a 1800 m di quota, sospeso tra rocce e loricati secolari, su per l’aereo Crestone dei Loricati, un’autentica cavalcata tra macigni protesi su paurosi dirupi, scivolose scarpate, inaccessibili torrioni, attraverso scenari da sogno e orizzonti smisurati. Quassù, una brutta conferma: è bastata qualche giornata di caldo anomalo, perché lo spesso manto nevoso divenisse estremamente friabile e quindi pressoché impercorribile. Si sprofonda fin quasi alle anche, ma il desiderio di avventura è grande e tanta la voglia di giungere alla meta … il gruppo non demorde, né si scompone: con grande spirito di cooperazione, avanza lentamente, tenacemente nella neve alta, per oltre due ore, lungo una interminabile ascesa trasversale; la traccia del suo passaggio è in tutto simile ad una vistosa e tortuosa trincea, quasi una ferita profonda inferta nel compatto, candido manto nevoso. Ci siamo, ci siamo, si vede la Pietra Colonna! urla a perdifiato Massimo, dall’orlo di una crestina, a cavallo dell’ennesimo valloncello! In meno che non si dica, il gruppo si compatta e si arma di ramponi e piccozza per l’impegnativa e aerea scalata finale, portata a termine senza formazione di cordate. Poco sotto la Pietra Colonna, notiamo tracce fresche di gente intrepida, che ha provato a vivere la medesima nostra avventurosa sortita; ce ne rallegriamo e chiunque essi siano, li invitiamo caldamente a condividere con noi del CAI la loro passione per la nostra montagna ed anche le loro emozioni. La neve del canalino è discretamente salda, ma il pendio è talmente irto da far venire i brividi, l’adrenalina corre, ma la mente non vacilla e soprattutto la voglia di proseguire nell’avventura. Ora l’obelisco di pietra ci sovrasta con la sua mole possente; col mutare della prospettiva, muta d’aspetto: adesso ci appare come una poderosa colonna che si erge nel cielo di cobalto. Il tempo per una foto ricordo e il serpentone appena ricomposto schiva abilmente una pietra, che impazzita saetta giù lungo il canalino. Optiamo così di intraprendere un angusto e ancor più ripido canalicolo laterale, risalito con coraggio e destrezza, nonostante i primi sintomi di stanchezza. Dal terrazzo sgombro di neve appena raggiunto, la meta sembra ormai vicina, ma occorre affrontare la ripidissima ascesa lungo la cresta sommitale. Massimo gradina con saggezza e maestria e il serpente umano sale, sale su di una bianca scalinata, che sembra portare fino in cielo! Sulla vetta appena toccata, l’urlo liberatorio di Pinoper, poi, i complimenti reciproci, corroborati da forti e calorosi abbracci. Discendiamo velocemente per la cresta Est, lungo l’ampio canalone del Faggio Grosso; molti preferiscono venir giù velocemente facendo slittino, ma il diporto sarà molto fugace, occorreranno ancora tre ore di travaglio, affondando nella neve alta, prima di chiudere l’anello sul Passo di Vallecupa e ritornare a valle. Un importante “saggio” di alpinismo invernale sul Pollino, a cura del CAI di Castrovillari, si è felicemente concluso: diverse le anime, diverse le motivazioni, tutte però all’unisono con le finalità che il CAI persegue. In conclusione, ritengo doveroso evidenziare qui i protagonisti dell’avventurosa scalata sulle nevi del Tetto del Parco Nazionale del Pollino: un’ascensione di tutto rispetto, che ha comportato il superamento di un dislivello di circa 1400 metri di quota, non c’è che dire! Solo un paio, le quote rosa: le sorprendenti Mariella Pace e Carla Primavera. Più numerose le presenze maschili: Giuseppe Alessandria, Gaetano Cersosimo, Francesco Crescente, Franco Formoso, Massimo Gallo, Mimmo Mandarino, Mimmo Pace, Luigi Vincitore, nonché gli amici Vincenzo Dileo, Francesco Oliva, Pino Perrone e Stephan Summerer di Matera.
26 febbraio 2012: L’anello di Rossale di Mimmo Filomia
È proprio vero, gli escursionisti lo sanno, con le racchette da neve è come andare su un soffice tappeto, la neve livella ogni asperità. L’ausilio di questi attrezzi ha cambiato il modo di divertirsi che scaturisce dalle passeggiate invernali in ambiente innevato. L’utilizzo di questo antichissimo attrezzo, riveduto e corretto consente di destreggiarsi con facilità, senza l’assillo dell’equilibrio e della velocità, vedi sci, su qualsiasi tipologia di percorso, pendii, boschi, pianure ed ha fatto incrementare presenze insperate di giovani ed adulti. Oggi è facile incontrare sempre più comitive spensierate d’escursionisti, a testimonianza che la montagna è un bene fruibile tutto l’anno. Succede cosi, di scorgere da lontano, nel bel mezzo di una distesa coltre di neve, dapprima come virgole animate, l’avvicinarsi di sagome multicolori di appassionati. Dai loro sguardi sereni, traspare la gioia di trascorrere una giornata rilassante immersi nel tepore del riverbero del sole che trasale dallo scintillante manto nevoso. Durante la giornata, alcuni, si renderanno conto di avere superato ansie e paure scaturite da una concezione errata di questo mondo ovattato e fiabesco, per troppo tempo lasciato abbandonato a se stesso o raggiunto e fruito da pochi audaci. La giornata si è movimentata particolarmente per la presenza degli amici dello Sci Club Saracena e quelli che frequentano il corso di sci da fondo organizzato dal CAI di Castrovillari. Racchette e sci dunque hanno vivacizzato la partenza dal rifugio Novacco (1311m). Alla comitiva, di circa quaranta unità, si sono aggiunte le mascotte: due cani dal fiuto sopraffino che ormai ci seguono nelle nostre uscite, fino a destinazione! Noi ne prendiamo atto con buon presentimento, staremo a vedere questa volta cosa uscirà fuori! Seguiteci e lo scopriremo assieme! Le condizioni della neve, alta circa un metro e in fase di disgelo, sono risultate ideali per l’uso delle racchette da neve. Il fondo è perfetto anche per gli sciatori, permettendo loro di sfrecciare divertiti sulle doline a destra e manca, incrociando le traiettorie sulla neve incontaminata. Il multicolore serpentone si è articolato lungo un segmento del Sentiero Italia (n. 601) che nelle quattro stagioni alterna oasi di frescura, policromia boschiva e silenzi invernali rotti qua e là dallo schianto di rami che non reggono il peso della neve. I più attenti, riescono a leggere sulla neve tracce di animali che si rincorrono senza raggiungersi, altre volte si intuisce che l’incontro per uno dei due è stato fatale. La sosta a Piano di Vincenzo ha consentito di compattare il gruppo dei ciaspolatori mentre i fondisti hanno dato prova di evoluzioni in discesa prima di dileguarsi verso il cancello di Rossale, punto in cui inizia il percorso ad anello. La fiumarella del Rossale è stata per noi come il Rubicone per i romani. Una volta attraversata è stato necessario salire sulla schiena del Rossale, aggirarlo, superarlo per poi trovarsi al rimaneggiato rifugio di Tavolara. Intanto, i fondisti del CAI, dai quali ci eravamo separati al cancello dopo la foto di gruppo, ci raggiungono per il rendez vous sulla corte del rifugio, e le mascotte? Tranquilli, anche per loro il dado è tratto, non avevamo dubbi. Le due bestiole che a tempo perso sono guardiani di gregge, per arrotondare la giornata si offrono, grazie al fiuto e l’istinto, di seguirci come amici di merenda. Li troviamo accucciati e scodinzolanti mentre ricevono il giusto compenso nella pausa. Anche oggi, zaini stracolmi di cibi gustosi, ora banditi nelle diete moderne la cui preparazione affonda le radici in un passato che ha selezionato prodotti semplici che, sapientemente elaborati, servivano a nutrire ed energizzare il contadino che si recava a piedi nei campi. La festa, dunque, è avvenuta presso la corte del rifugio di Tavolara stracolma di neve ma anche di tanta gente che promuove la sportività a servizio della socialità. Il rientro è avvenuto risalendo la pittoresca Fiumarella di Rossale, il cui letto ha attorcigliato lungo le sue sponde il manto nevoso per far disegnare giochi fiabeschi alle sue acque limpide. Nelle gambe ci resterà una performance salutare di appena circa 15 kilometri!
12 febbraio 2012: Pollinociaspole in notturna di Eugenio Iannelli
Grande successo per la quarta edizione della Pollinociaspole, ben 33 i partecipanti che, calzate le racchette da neve, dalla località Cielafforcato di Campotenese si sono portati dapprima a Piano Masistro e passando per Piano dell’Erba sono giunti a Piano Novacco, percorrendo un dislivello di 300 metri circa, alle ore 21.30 in sole 2 ore. Al mattino le previsioni non si presentavano incoraggianti ma, come al solito, la tenacia e l’esperienza organizzativa degli uomini del CAI Castrovillari ha avuto ragione sullo scetticismo provocato dalle condizioni meteorologiche che purtroppo sempre più frequentemente condizionano le nostre quotidiane abitudini. Giunta in quel di Campotenese e parcheggiate adeguatamente le auto la variopinta carovana si avvia lungo il comodo sentiero illuminato solo dalle lampade frontali degli escursionisti. La suggestiva fila indiana di escursionisti con la frontale accesa cammina sotto un cielo completamente sgombro di nuvole che consente di ammirare, per l’intero percorso, un cielo tappezzato di stelle che sembrano brillare ancor più grazie al buio che le avvolge, interrotto solo dai flash delle fotocamere intente ad immortalare l’allegra comitiva e l’ambiente circostante. Un viaggio in una magica e silenziosa atmosfera spezzata solo dall’ovattato rumore delle racchette adagiate su quasi un metro di neve fresca e sotto alberi ricolmi di neve. Tra i partecipanti molti neofiti delle escursioni con le racchette da neve, attrezzo di un lontanissimo passato, riscoperto negli ultimi anni anche nel nostro territorio montano grazie al costante e proficuo impegno della Sezione cittadina fin dai primi anni di attività. Un aumento di numero di appassionati costante nel tempo, dovuto senz’altro alla risonanza mediatica, ma soprattutto alla facilità d’uso dell’attrezzo che non richiede tempi lunghi di apprendimento e consente la partecipazione a debuttanti ed esperti con un alto margine di sicurezza su terreni più o meno accidentati e con condizioni di neve differenti. Senza trascurare l’ulteriore e determinante contributo, cosa impensabile sino a qualche anno fa, offerto dall’esistenza e fruibilità sul territorio e, specificatamente in quello montano di Saracena, di strutture di accoglienza adatte ad ospitare adeguatamente gli appassionati di montagna. Infatti, giunto a Novacco, il gruppo è stato accolto splendidamente dai simpatici gestori del Rifugio “Il Ritrovo del Monarca”, qui consumava una adeguata ed ottima cena prima di riprendere il cammino a ritroso per raggiungere le auto. Al momento dei saluti entusiasti i commenti da parte di tutti e un arrivederci alla prossima esperienza.
5 febbraio 2012: Con le racchette da neve sui piani di Scifarelli e Caramolo di Mimmo Filomia
L’escursione ha sancito e rafforzato un’intesa che da qualche anno ha trovato la sua ragione d’essere nell’unità di intenti di due associazioni, Sci Club “L. Viola” di Saracena e CAI Castrovillari, che tanto si adoperano per la conoscenza, la promozione e la frequentazione delle nostre montagne. Con grande gioia dei partecipanti essa si è sviluppata su due itinerari: quello fisico, un saliscendi progressivo sul manto nevoso adatto anche allo sci da fondo, e quello gastronomico che si è profilato a sorpresa una volta raggiunta la meta. Nulla lasciava presagire che dallo zaino degli amici di Saracena, colmo di varie leccornie, potesse affiorare il ricordo di vecchie ricette e sapori, ora chiamati prodotti tipici locali, che credevamo perduti per il palato di noi adulti e, magari insignificanti, per le papille gustative dei giovani, abituate a cibi che parlano solo con etichette rievocative. Un grazie va alle due guide autoctone del sodalizio, Alfonso e Giancarlo, per la condivisione degli itinerari che si sono svolti in un clima cordiale e affettuoso, come sempre, che ha aiutato a superare il freddo dell’ambiente circostante invitante e fantastico. In alcuni punti del percorso, abbiamo registrato temperature moderatamente basse (circa -2°C) con cielo coperto, mentre il sole, a mezzodì, ci ha regalato una timida apparizione rincuorandoci sulle traiettorie in discesa nella vasta conca sottostante il rifugio incompiuto di Piano Caramolo (1574m). Lungo il sentiero abbiamo sviluppato, more solito, riflessioni e osservazioni, circa la fattibilità di valorizzare questi luoghi a gran vocazione sciistica, per attrezzarli di quel minimo indispensabile per una utilizzazione turistico/sportiva sostenibile. La montagna è un bene naturale che bisogna tutelare e valorizzare per salvaguardare le aree su cui gravita. Tutto vero! Ma se nella gestione del territorio ci soffermiamo solo a questa massima, vuol dire che abbiamo una visuale ristretta del dominio delle terre alte, le quali per non essere abbandonate dall’uomo devono recargli dei benefici sostenibili che non siano la solita pastorizia, l’ennesima staccionata, tabernacoli, punti informativi, rimboschimenti e manifestazioni una tantum. Intanto, grazie all’uso delle racchette da neve e degli sci, abbiamo guadagnato quota e spazi innevati immacolati. La pista naturale (6 km circa coperta in 3 ore di sola andata) dal Piano di Novacco (1315m), fino alla vasta conca di Caramolo, dopo avere valicato sul Piani di Scifarelli con deviazione panoramica, ci ha consentito di effettuare una performance sportiva molto salutare e divertente. Il ritorno è avvenuto riprendendo il sentiero CAI n. 631 che da Novacco conduce a cima Caramolo (1827m). Il folto plotone degli sciatori, mai domo, alla selletta di Scifarelli, (1596m) sulla strada del rientro, ci ha salutato dileguandosi nella nebbia e dando fondo alle ultime energie ha brillantemente completato l’anello inizialmente previsto raggiungendo Piano Minatore e da lì rientrare a Novacco. Grazie a tutti.
22 gennaio 2012: Piano Pedarreto - Montagna di Grasta di Gerry Rubini
L’appuntamento come di consueto è al “semicerchio” di Castrovillari con destinazione “Piano di Pedarreto” comune di Rotonda. La presenza di soci è alta, 27 persone, donne e uomini, che formano questo allegro, colorato, vivace e dinamico gruppo di amanti e appassionati della montagna. Il tragitto da fare con le autovetture ci offre un paesaggio segnato dalle differenze atmosferiche. Lasciamo a Castrovillari un sole confortevole e mentre saliamo di altitudine cambia repentinamente il meteo, quasi come se volesse nevicare. Arrivati al Piano di Pedarreto, il freddo è pungente. Ognuno si attrezza per affrontare l’escursione, ciaspole, ghette, sci da fondo, pelli di foca, caschetti, guanti e quanto di più offre il mercato dell’escursionismo, viene messo in bella mostra. Pronti tutti, si parte. Il pianoro che si apre davanti a noi è ghiacciato, ma la neve è poca rispetto al periodo. Ma ciò non scoraggia nessuno, e ognuno prosegue per l’itinerario stabilito. Si sentono i click delle macchine fotografiche, pronte ad immortalare momenti di questa giornata. Si ascoltano le battute diverse e divertenti degli amici, che passato il primo impatto con il freddo, scongelano anche il proprio imbarazzo e scaldano l’aria con imitazioni, barzellette e altre fatti simpatici. Ma in tempo di crisi generale, ci accorgiamo ben presto che ciò che viene chiamata neve, quella che dovrebbe rivestire il bosco di una coltre bianca e soffice, è ben poca e a tratti gelata. Allora iniziano le prime manovre e scelte personali, qualcuno si toglie le ciaspole, altri stentano a compiere questa scelta. Chi indossa gli sci ha molta difficoltà nell’attraversata di lunghi tratti di sentiero senza neve, quindi anche loro affondano gli scarponi in quel che resta della neve. Ma per il sole la crisi non esiste. In un attimo salta fuori dalle poche nuvole rimaste e scalda improvvisamente e confortevolmente questo gruppo che con passo sostenuto vuole arrivare in vetta al Monte Grasta. La carovana umana si avvicina sempre di più alla vetta, occupata in larga parte da un ripetitore, e girato l’ultimo picco, tale ripetitore sovrasta le nostre teste. Arrivati in vetta, sotto il rigido ordine del Presidente Iannelli, il gruppo si mette in posa per la foto. La vista viene riempita da questo stupendo panorama a 360° che si offre davanti a noi. Spazi interminabili, paesi arroccati ai piedi delle montagne, nuvole che giocano sulle vette circostanti, rumori in lontananza. È vero, l’orizzonte visto da quassù ha un'altra dimensione, ed ognuno, me compreso, dedica questa cartolina naturale a chi ha nel cuore. Sciolte le righe, i più desiderosi di leccornie aprono gli zaini e offrono a tutti, come aperitivo, un assaggio del pranzo a sacco, che da lì a breve si sarebbe consumato. È sempre moto bello pranzare tutti insieme. In modo immaginario si forma una tavolata che occupa la parte sud del monte Grasta, e ognuno fa a gara per far assaggiare a tutti la propria specialità. In tempo di crisi, certamente, le specialità fatte in casa ritrovano il sapore di un tempo, e se posso esprimere un giudizio molto soggettivo, i “fichi imbottiti” dell’amico Mimmo Mandarino hanno un gusto delizioso. Dopo aver dato fondo alle riserve di cibo, ci incamminiamo per la strada del ritorno. Un sole caldo ci tiene compagnia e i riflessi ed i bagliori della neve di tanto in tanto accecano la nostra vista. A gruppi arriviamo al punto di partenza, quel bel rifugio di Pedarreto, che offre ospitalità ai turisti di questo Parco, che potrebbe e dovrebbe funzionare tanto di più. Ma questa è una altra storia. I 27 si salutano e si danno appuntamento alla prossima escursione di questa associazione che non conosce crisi organizzativa, di idee e di novità.
15 gennaio 2012: Alpinistica su Serra delle Ciavole di Indio
Grazie alla circostanza di una mail arrivata pur non essendo iscritto al CAI, ho chiesto agli organizzatori, Massimo e Franco, di poter partecipare. Arrivo molto presto, lascio la macchina nei pressi di Visitone e salgo a piedi fino a Colle Impiso. I calabresi sono in ritardo, perché, causa innevamento, invece di venire da Ruggio arriveranno da Rotonda. Il clima è davvero rigido. Sale una macchina e riconosco Pino, "amico virtuale" del blog Falcotrek. Anche lui e i suoi amici sono qui per l'escursione che avrà come obiettivo la risalita di un canalino sul ripido versante Sud-Ovest di Serra delle Ciavole: via aperta proprio da Massimo e Franco. Col tempo comincia ad arrivare gente, compreso Mimmo, che ho già conosciuto e il Presidente del CAI Castrovillari. Dopo mezz'ora di preparativi si parte, in fila indiana. Siamo in tanti (forse troppi!) divisi in un gruppo alpinistico e in uno escursionistico, in tutto una trentina di persone. Fredda giornata oggi, anzi, freddissima, ma soleggiata. I Piani di Pollino si mostrano in tutto il loro splendore invernale. Una distesa immensa di neve e ghiaccio. Cercando inquadrature mi isolo un pò dal gruppo. Di fronte a tali scenari è spontaneo per me appartarmi e riflettere. Per me è una specie di confessionale la montagna: mentre cammino mi vengono in mente cose sbagliate che ho fatto o pensato. Forse ognuno di noi ha un lato oscuro dentro se stesso, e questa luce paradisiaca è come se illuminasse anche il cuore. Arrivati alla base del canalone si deve dividere il gruppo alpinistico in cordate. Come spiegano Franco e Massimo l'ideale sarebbe formare cordate da due persone, ma non abbiamo abbastanza corde e perciò le cordate debbono essere composte da quattro persone. L'esperienza della cordata è nuova per me. Mi aggrego alla prima, guidata da Massimo che farà anche da guida. Iniziamo a salire superando il boschetto di faggio e sbuchiamo tra i pini loricati. Scopro inediti scorci di Serra delle Ciavole e la sensazione è davvero di appagamento. Le vie più impegnative dei versanti di queste montagne consentono di entrare in sintonia con gli ambienti più selvaggi del Pollino. È la dimostrazione che sul Pollino si può fare un alpinismo "contemplativo", che dà la possibilità di ammirare scenari non compromessi da opere impattanti come strade, vie ferrate, funivie, rifugi; un tipo di alpinismo relativamente facile, anche se forse abbastanza impegnativo per quelli che in gergo alpinistico vengono detti "avvicinamenti" (avvicinamenti che, almeno per il Pollino, valgono essi stessi l'escursione). Una pratica sportiva concepita solo come "strumento" per vivere in maniera naturale la bellezza della montagna. Penso poi che la montagna non si valuti in cifre, altitudini o in livelli di difficoltà, perché altrimenti dovremmo, in base a questi parametri, attribuire scarso valore alpinistico ad un massiccio come quello del Pollino. È a mio avviso il "valore wilderness", invece, la grande risorsa dell' escursionismo e dell'alpinismo del Pollino. Ne consegue che, solo se riusciremo a conservare gli ambienti naturali del Parco potremo fare un tipo di alpinismo ed escursionismo non artificiosi e capaci di dare all'uomo il senso dell'avventura e del contatto con la natura selvaggia, fuori da eccessivi tecnicismi, comodità e preoccupazioni per la performances, svilenti spesso, il senso stesso dell'alpinismo "tradizionale". Ritroviamo i nostri limiti, come dice Messner, solo se conserviamo la naturalità della montagna, per garantire all'uomo quegli stati d'animo che sono costitutivi dello stesso concetto di wilderness. Gli scenari di questa via sono stupendi e sarebbe bello stare qui a godermeli e a fare più foto, ma siamo già in ritardo con la tabella di marcia e non posso fermarmi troppo a fotografare, perché la cordata giustamente "preme" dietro di me. Il canale si fa sempre più ripido e in alcuni tratti bisogna procedere coi ramponi a spina di pesce o alla "francese"; ma nella maggior parte dei casi la neve non è ghiacciata e si riesce facilmente ad ottenere dei gradini procedendo con le punte degli scarponi. Al di là della tecnica migliore, dal canto mio trovo istintivo procedere con il bacino all'indietro, un pò accovacciato, scalciando con le punte per creare i gradini. Massimo passa accanto ad un esemplare di loricato, si assicura con cordino e moschettone e poi si sposta sulla destra. Tocca a me, una volta arrivato, rimuovere moschettone e cordino. La via è quasi finita e adesso bisogna procedere "dritto per dritto" verso le rocce che ci sovrastano. Arrivati ad una sommità la mia cordata si scioglie mentre le altre lentamente giungono a destinazione. Il cielo sta annuvolando e il freddo gelido si fa sentire, ho dimenticato anche la mia giacca a vento e perciò devo stare in movimento, anche perché i pile che ho addosso sono bagnati dal sudore. Arriviamo sull'anticima di Serra delle Ciavole con i caratteristici pini secchi "gemelli". Mimmo ricorda che stavano nella copertina di un suo libro sul Pollino. Ci fermiamo dieci minuti per mangiare qualcosa. Siamo tutti infreddoliti. Ho lasciato una mano senza guanto per poter scattare le foto e anche l'altra è gelida. Ci avviamo verso la cima per una foto di gruppo ma io devo fermarmi perché le mani hanno perso quasi del tutto la sensibilità. Non resta che metterle sotto le ascelle per riscaldarle. Abbiamo misurato la temperatura sulla cima: 9 gradi sotto lo zero. Dopo la foto ci avviamo subito sulla via del ritorno, è davvero tardi e dovremo fare il percorso per Colle Impiso con le lampade frontali. Ai Piani di Pollino comincia stranamente a nevicare, mentre ad Ovest, sulle montagne dell'orizzonte al tramonto, domina un cielo sereno striato di nuvole rossastre.