Raccontatrekking 2013
15 dicembre 2013: Pranzo sociale di Eugenio Iannelli
E anche quest’anno è andato, siamo a 15, prontissimi per il 16°. Domenica mattina, accompagnati dai nostri soci Vincenzo Maratea e Mario Sammarco, breve escursione per scoprire due borghi del Parco del Pollino, Policastrello e San Donato Ninea, rivelatisi ai nostri occhi nelle loro peculiarità storico/architettoniche. Il borgo, le Chiese, il Castello di Policastrello, ma tra le tante cose ammirate una menzione particolare alla Grotta di San Michele, da poco ufficialmente aperta al pubblico, che si è svelata come uno scrigno ricco di bellezze naturalistiche e sito archeo/religioso di notevole interesse. Una bella e folta compagnia che ha gustato un pranzo luculliano al Ristorante “da Gigino” alla Ficara (contrada di San Donato) con prelibati prodotti tipici e bei momenti di socializzazione. Momento ufficiale rappresentato, come di consueto, dalla presentazione del nuovo programma e del calendario delle attività per il 2014 che ha riscosso immediatamente grande successo. Apprezzatissime le escursioni fuori sede che ci vedranno impegnati da subito, 5 gennaio 2014, a visitare gli Scavi di Ercolano e le “Luci d’artista” a Salerno per poi continuare con Il “Sentiero del Tracciolino” sul Monte San’Elia a Palmi, L’isola di Procida, Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, Il Santuario di Polsi in Aspromonte, Basilicata coast to coast, i Monti Picentini, in estate le Dolomiti con il Monte Pelmo, le Tofane e il Nuvolau, e le uscite archeologiche nelle Ionio reggino. Naturalmente tante escursioni invernali con racchette da neve, sci escursionismo, ramponi e piccozza come Montea, i Monti della Luna, il Caramolo, il Dolcedorme. Quelle estive, diurne e notturne, come “La via dei Monaci Basiliani”, le Grotte dell’Orsomarso, Serra Crispo, la traversata da Colle dell’Impiso a Colle Marcione, Castello Brancato, Monte Cerviero, Monte Sellaro. Ad arricchire ulteriormente il programma alcune manifestazioni già consolidate come la VI edizione della Pollinociaspole, la settimana bianca a Selva di Cadore, la X edizione della salita alla Madonna del Riposo e il Canyoning che tanto successo ha riscosso nel 2013 e altre ancora. Un programma variegato che si avvale di importanti collaborazioni come le Sezioni CAI di Reggio Calabria, Linguaglossa e Bari, il Gruppo Archeologico del Pollino, il Gruppo Speleo del Polino, gli Amici della Montagna di Bisignano, il Geotrek di Castellana Grotte e che come sempre, cerca di soddisfare le esigenze di tutti i soci con l’intento di promuovere la conoscenza e la promozione della montagna ma contribuire anche alla sua crescita culturale e sociale.
Nelle more del pranzo, inoltre, alcuni momenti celebrativi: la premiazione del 1° Concorso Fotografico Sezionale che ha visto quali vincitori Domenico Mandarino nella sezione “Peculiarità Ambientali” e Vincenzo Maratea nella sezione “Paesaggio” e la consegna di un riconoscimento ufficiale ad Emanuele Pisarra quale primo socio Venticinquennale della Sezione di Castrovillari, un importante traguardo per entrambi. Per finire il socio Mimmo Pace, instancabile fucina di idee, ha donato alla Sezione due bellissimi cofanetti contenenti 30 DVD da lui elaborati e prodotti in formato multimediale. Una raccolta di momenti ed eventi importanti della Sezione di cui sono stati artefici principali i soci, accompagnati da altri suoi lavori su Castrovillari ed il Parco del Pollino. Un segno tangibile di parte dall’attività sviluppata in questi 15 anni dalla nostra Sezione che va ad ampliare la già ricchissima biblioteca sezionale e ne rende cosi possibile la fruizione al grande pubblico.
17 novembre 2013: “Sentieri Usurpati”. Mormanno - Monte Poio - Piano Campolongo di L. Perrone
Il titolo del percorso è da attribuire al mancato incarico per la realizzazione, da parte della nostra sezione, di questo sentiero insieme ad altri ricadenti nel Comune di Mormanno. Circa tre anni fa, su richiesta del Comune, redigemmo, a nostre spese, un apposito progetto per la pulitura, sistemazione e segnatura di alcuni sentieri, elementi essenziali per l’assegnazione di un finanziamento regionale. Dopo aver avuto il cospicuo finanziamento grazie al nostro lavoro, il comune, ha inteso dare corso al progetto, senza nemmeno consultarci, facendo realizzare i sentieri ad altri soggetti all’uopo costituiti. Questi, non avendo conoscenza e preparazione alcuna per la segnatura dei sentieri, si sono limitati ad apporre solo pali e cartelli di legno, che con il tempo (appena due anni) sono già caduti, stanno per cadere o sono malridotti tanto da non riuscire a leggere più le indicazioni, e senza segnaletica orizzontale, le famose bandierine bianche e rosse del CAI, che sono fondamentali per l’individuazione dei sentieri da parte degli escursionisti. Per non parlare poi della rilevazione o promozione cartografica e informatica dei sentieri in oggetto, assolutamente assente. Come dire li abbiamo fatti ma nessuno lo sa e li frequenta. Non riusciamo a spiegarci ancora il perché di questo comportamento, eppure la nostra sezione, negli anni, ha investito e investe ancora molto sul territorio di Mormanno contribuendo anche alla crescita economica. Ristrutturazione di un rifugio, che è meta di numerosi escursionisti che frequentano Mormanno, le sue montagne e le sue attività commerciali; tre sentieri segnati e pubblicizzati attraverso cartografie e supporti informatici, centinaia di escursionisti in giro sul territorio. Facendo io stesso parte dei proponenti del progetto, ed essendo cittadino del Comune in questione, la conclusione ci ha lasciati amareggiati ed è stata alquanto vergognosa, sottolineata all’epoca da un articolo di stampa del Presidente della Sezione. Di conseguenza quando, nel breafing, ho presentato l’escursione è venuto spontaneo attribuire al sentiero, che va da Mormanno a Campolongo, il nome di “Sentieri Usurpati”. Il percorso ricalca una antica via che i Mormannesi utilizzavano per recarsi sulle rive del fiume per lavare i panni (negli anni 50/60 non solo non c’era la lavatrice, ma in alcune case non vi era nemmeno l’acqua) e per raggiungere gli appezzamenti di terreno che possedevano e coltivavano sugli altipiani di Campolongo. Durante il percorso in effetti abbiamo trovato molte opere murarie e di sostegno al sentiero stesso, che era “l’autostrada” dell’epoca, mantenuto largo e pulito dal passaggio continuo di uomini e muli. Non avrei dato un soldo per la giornata di sole che ci è stata regalata, in una mattina di un novembre inoltrato, dopo le abbondanti piogge della settimana, e che ci ha permesso di goderci per intero la nostra escursione. Dalla piazza antistante la Cattedrale di Mormanno, ancora chiusa a causa del sisma di un anno fa, siamo scesi per il vallone S. Anna fino al Ponte dei Francesi, chiamato così, perché sembra che fosse stato costruito appunto da francesi nello stesso periodo in cui vi fu la famosa battaglia tra l’esercito napoleonico ed i borboni avvenuta a Campotenese nel 1876. Prima di accedere al Ponte, sulla destra, si trova un edicola dedicata alla Madonna del Latte, che con molta probabilità serviva per pregare e a rendere conforto a coloro che da li passavano. Nella stessa area, a pochi metri dal Ponte, si scorgono a malapena, coperti ormai dalla folta vegetazione, i resti di una antica centrale idroelettrica che forniva energia al paese, tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, ancor prima che l’energia elettrica arrivasse a Napoli. Il sentiero e il ponte, ahimè, non solo sono stati “usurpati” ma sono completamente abbandonati, tranne che per i lavori appena iniziati, per l’ammodernamento dell’autostrada, quella vera, e che speriamo non facciano ulteriori danni, cancellando dei luoghi che rappresentano la memoria storica e la nostra identità. Siamo arrivati sulla cima del monte Poio nell’ora centrale in cui un bellissimo sole ci baciava, riscaldandoci, e ci faceva godere ulteriormente la giornata, con una vista meravigliosa sul versante Nord del Parco, Monte Alpi, Zaccana, La Spina, Ciagola e ad Ovest la costa del Mar Tirreno. Il tutto si concludeva con le gambe sotto i tavoli nel Rifugio Biagio Longo dove, con grande sorpresa abbiamo trovato già pronta una invitante pasta e fagioli, preparata da un nostro carissimo socio e abbondanti “rape e patani”, preparate e portate per l’occasione nonché altre innumerevoli prelibatezze. Ci preme sottolineare, però, che mangiando i prodotti della nostra terra, Noi i chilometri li percorriamo a piedi, oggi solo 10, però mangiamo a Km zero.
20 ottobre 2013: Timpone Pallone (1541m) di Mimmo Filomia
Finalmente, per molti dei magnifici 40 partecipanti all’escursione di domenica con una gratificante quota rosa in netto rialzo, si è presentata l’occasione di visitare quei luoghi della montagna, che, esposti a mezzogiorno sovrastano, al mattino, i tetti luccicanti intersecati dai nastri argentati delle strade strutturate, allineate e confluenti di Castrovillari. La città del Pollino è posta al centro dell’urbanizzata vallata del fiume Coscile che, dalla sua foce, a ventaglio,si estende fino alla Piana di Sibari e mare Jonio. Sono luoghi cari alla nostra vista; ci hanno visto nascere ma in tanti per pigrizia, nonostante la curiosità e l’attrazione verso l’incognito della montagna, li abbiamo inconsciamente accettati passivamente come le quinte del palcoscenico del nostro ambiente quotidiano. Da Frascineto, una strada scalfita nella roccia la cui ferita è stata rimarginata dalla vegetazione laterale, ci ha da subito portati in quota, alle pendici della parete Sud di Timpa del Principe sotto la Cresta dell’Infinito. Una strada utile che favorisce l’avvicinamento ai sentieri di alta quota con frequentazione sostenibile, perché la presenza dell’uomo in montagna non fa altro che tutelarla e valorizzarla. Dopo il briefing, sospinti dall’entusiasmo, intraprendiamo di petto la montagna disegnando a nostro piacere la direzione del sentiero avendo a disposizione un’ampia prateria soleggiata. All’innesto del sentiero della transumanza, la deviazione a sinistra ci fa salire gradualmente nella boscaglia, verso i bastioni rocciosi sotto l’Afforcata del Monte Manfriana (1987m). Qui una breve pausa per riprendere fiato, socializzare, ma, soprattutto per spaziare come fa l’aquila, qui di casa, sulla vallata sottostante o sorprendere i pini Loricati abbarbicati sulle pareti rocciose. Le grotte, di questa misteriosa montagna che conserva sul groppone massi squadrati, probabili archi di templi votivi, sicuramente, ospitano tane di lupi a giudicare dalle loro orme lasciate sulla neve negli inverni scorsi. Il sentiero, sempre panoramico, si è presentato come un tappeto erboso che ci ha introdotto in ambienti confortevoli per un incontro ravvicinato con le massime espressioni montuose del Parco del Pollino. La colazione al sacco, come sempre chiude la prima fase dell’escursione; questa volta fra l’altro abbiamo condiviso un uovo al tegamino per tutti! Grazie! Per coloro i quali erano alla loro prima esperienza impegnativa e credono di avere fatto il passo più lungo della loro gamba, ma sono soddisfatti dentro, ed increduli per avere raggiunto una meta ambita con le proprie forze, ci sono buoni margini di ripetersi a quote più alte.
22 settembre 2013: L’anello di Cozzo Pellegrino di Mimmo Filomia
La giornata, a tratti, fresca e soleggiata, con tante nuvole alte a rincorrersi e movimentare l’orizzonte, ha favorito la salita sul Pellegrino, nel complesso dei monti dell’Orsomarso, al centro della scena di monti compresi tra due mari. All’appuntamento a Piano Lanzo (1351m), nel comune di S. Donato di Ninea, ci ritroviamo in 27 con un gradevole aumento della quota rosa. Il dislivello, di circa 600 m, ben distribuito ha reso gradevole la progressione consentendo di addentrarci nel bosco fino alle pendici della vetta attraverso le verdi erbose radure di Piano Puledro, dove sornione giumente intente al pascolo, ci regalano un loro naturale gesto materno verso i puledri. Il bosco salubre e lussureggiante ci costringe a camminare in trincee di arbusti, dove predominano le felci, rilasciando al nostro passaggio la loro componente odorosa del sottobosco. I punti panoramici ci regalano intere vallate vestite di chiome di faggi, faggi e poi ancora faggi, separate qua e là da famigliole di pini ed altre latifoglie. A mezza costa prima della vetta, abbiamo la consapevolezza, di avere sotto di noi un grande polmone verde che separa Jonio e Tirreno e che emana ossigeno, spazzando via tutte le impurità che noi produciamo. In vetta notiamo, con piacere, l’espressione di felicità di chi ha avuto fiducia nelle proprie forze e perciò merita un bel batto cinque. Sul punto più alto della lunga bastionata, dopo avere passato in rassegna a 360° le massime espressioni montuose della Montea, Mula, Dolcedorme, Sellaro e Alpe, condividiamo la pausa colazione, prima di affrontare il sentiero di rientro lungo gli strapiombi del vallone sottostante della montagna della Calvia. Il bosco sottostante, che sale dalla valle del costone, propaggine di Cozzo dell’Orso, è una meraviglia della natura che lo pettina uniformemente nella direzione del vento e del microclima lasciandolo sempre giovane arbustivo ed in perenne lotta di sopravvivenza. Intanto, alcuni passaggi mozzafiato fanno segnare il passo. Il sentiero si insinua nel bosco e diventa un gioco il rincorrere i segnali del CAI che ci fanno l’occhiolino per non confonderci contribuendo a creare quel pò di suspense che tanto giova alle capacità di orientamento dei singoli. Il comodo sentiero finale scioglie tutte le tensioni fisiche accumulate nel tratto ripido e ghiaioso ed alla fine, quando si chiude l’anello nei pressi della statua della Madonnina, la stanchezza è sopraffatta dal piacere di avere condotto a termine una bella escursione. Unica nota dolente della giornata la scoperta, a Piano di Lanzo, dell’ennesimo vile atto vandalico perpetrato a danno delle tabelle per indicare i sentieri sistemate dalla Sezione. Non è la prima volta che succede a Piano di Lanzo, questo ci fa pensare che evidentemente sono sempre le stesse persone che compiono questi atti non capendo di arrecare danno all’intera comunità e a se stessi impedendo così la fruizione dei sentieri da parte degli escursionisti che nel loro piccolo contribuiscono alla crescita sociale, culturale ma soprattutto economica del territorio e del paese.
15 settembre 2013: Tavola dei Briganti e Petra Pertusata di Mimmo Filomia
Dopo la pausa estiva non si poteva fare altro che riprendere l’attività di andare per monti con una escursione defaticante e salubre, in vista delle prossime uscite più impegnative. All’appuntamento ci ritroviamo in 25 tutti pimpanti e con la solarità in viso che solo il mare regala. Il sentiero per giungere ai due monoliti: Petra Pertusata e Tavola dei Briganti è un segmento del Sentiero Italia che in questa zona assume la numerazione 601. Per giungervi siamo stati costretti, nell’ultimo tratto dell’avvicinamento, ad un Camel Trophy , fin nei pressi di Piano Campicello in località Fravitta di S. Sosti. Il pianoro (1070m) è una depressione protetta dalle quinte della Montea e del Montalto che consente la coltivazione di ortaggi e frumento ma, è anche un punto ravvicinato di osservazione della montagna più aspra del Parco del Pollino. Il bosco che ci accoglie è lussureggiante e conserva faggi secolari che si inchinano fino a toccare le proprie radici mostrando come una radiografia le proprie lunghe arterie ramificate, messe a nudo dall’erosione. L’intricato bosco di latifoglie in cui trovano spazio pini, nasconde strane rocce conformate. Qui, appunto, incontriamo dapprima Petra Pertusata che, da lontano, è additata come un merlo di castello che emerge dal bosco del fianco della montagna, ma, quando sei lì vicino e provi ad arrampicarti per andare incontro alla luce che proviene dall’alto, ti accorgi di osservare da un oblò, il panorama offerto dal Montalto e della sua valle, in cui scorre il fiume Rosa. Uno scherzo della natura formatasi durante i modellamenti della crosta terrestre, come pure la Tavola dei Briganti il cui sito lo troviamo non lontano immerso nel folto bosco. Il toponimo: Tavola dei Briganti, è indovinato e fa trasalire per la sua conformazione e dislocazione. Purtroppo, nonostante non avesse mai dato, nel corso dei millenni, nessun segno di cedimento, oggi essa è sorretta da inopportuni, vergognosi e ripugnanti tiranti in acciaio installati con apposito progetto dall’amministrazione comunale dell’epoca con beneplacito dell’allora Presidente dell’Ente Parco, M. Tripepi, a conferma che gli uomini non smettono mai di dimostrare sempre grande arroganza nel voler modificare l’ambiente ed il corso naturale della vita anche se ciò si scontra palesemente con la bellezza naturalistica e paesaggistica delle cose e dei luoghi. Nonostante tutto, a dispetto dei leggendari briganti che tenevano nascosto per sé il luogo, con la presenza assidua di noi escursionisti non facciamo altro che far emergere tutte le bellezze che il territorio custodisce. In tal senso il CAI di Castrovillari si è preposto di aggiungere un posto tavola ad un gruppo di amici che si dedicano alla conoscenza dell’ambiente per valorizzarlo e tutelarlo. Dopo la foto ricordo, riprendiamo il sentiero di ritorno con tanta voglia di colazione che consumiamo rilassati sul prato di Campicello inondato da un tiepido sole ristoratore. La successiva visita al Santuario della Madonna del Pettoruto, ad una settimana dai festeggiamenti e che ogni anno annovera circa centomila devoti pellegrini, ha impreziosito la giornata.
27/31 agosto 2013: Parco Nazionale del Circeo di Carla Primavera
Erano almeno due anni che si parlava del Parco Nazionale del Circeo come meta per le nostre escursioni montane e marine ed ora, finalmente, possiamo annoverarlo tra le nostre destinazioni più incantevoli. Ubicato lungo la costa tirrenica dei Lazio meridionale, circa 100 km a sud di Roma, nel tratto di litorale compreso tra Anzio e Terracina, il Parco Nazionale del Circeo si estende per circa 8.500 Ha interamente in provincia di Latina nell'ambito dei territori comunali di Latina, Sabaudia, San Felice Circeo e, per la parte insulare dell'Isola di Zannone, Ponza, Palmarola, Ventotene. Il nostro viaggio comincia con la visita alle dune litoranee tra Capo Portiere e Torre Paola. Nonostante la strada asfaltata che la percorre per tutti i suoi 28 km di lunghezza, è ancora uno dei più begli esempi di questo tipo di ambiente rimasto oggi in Italia. Alta fino a 27 metri, con la sua presenza ha determinato l'isolamento dei laghi costieri del Circeo dal mare. Le alte temperature, le lunghe siccità, il terreno poco fertile e i forti venti rendono difficile la sopravvivenza delle specie vegetali, che hanno dovuto sviluppare particolari adattamenti. Peccato che ci accoglie una pioggia torrenziale, ma che non ci impedisce, a tratti, di godere della spettacolare vista che ci offre questo luogo. La visita al Museo Naturalistico del Parco è d’obbligo, dove attraverso una serie di immagini e di reperti vengono illustrati i principali Parchi nazionali europei e le aree naturali protette d'Italia; calchi di reperti umani mostrano l'evoluzione della specie umana e pannelli esplicativi illustrano i diversi ambienti del Parco, quali il Monte Circeo, la duna litoranea, e le zone umide. Concludiamo la giornata in uno squisito albergo, scrigno esso stesso di biodiversità, dove una lauta cena ci fa rinfrancare della fatica del viaggio e una gradevole passeggiata ci fa scoprire il fascino del centro storico di San Felice Circeo. Il secondo giorno viene fuori lo “spirito” alpino del gruppo! È la volta del Promontorio del Circeo, un rilievo calcareo alto 541 m, icona stessa del parco, con un profilo che da sempre scatena la fantasia, facendone nel corso dei secoli, dimora di dei, maghe ed eroi. Secondo la tradizione, Ulisse sarebbe entrato con la sua nave nell’odierna Cala dei Pescatori sul lago di Paola, per poi rimanere vittima dell’ammaliante Maga Circe, il cui profilo sarebbe ancora oggi visibile nella sagoma della montagna. Il Promontorio è l'elemento paesaggistico più caratterizzante di tutta l’area pontina. Il suo versante interno, chiamato "quarto freddo", ospita una fitta foresta, mentre sul versante opposto, il "quarto caldo", esposto a Sud a ridosso del mare, le condizioni ambientali determinano una vegetazione a macchia mediterranea meno rigogliosa ed esigente, con specie resistenti a salsedine, siccità ed alte temperature. Finalmente le condizioni meteo non sembravano opporsi alla nostra scalata al Picco di Circe. Con la nostra guida, Giancarlo, ci inerpichiamo su questo sentiero immersi nel bosco: leccio, orniello, roverella, carpino nero, corbezzolo, erica arborea e altre piante tipiche della macchia mediterranea. Dopo alcuni tornanti si raggiunge il crinale, da dove si può godere di ampi panorami dell’entroterra, della duna, dei laghi costieri e del mare aperto. L’escursione è un pò faticosa, per l’asperità del sentiero e per alcuni tratti rocciosi poco agevoli, ma sappiamo che saremo ampiamente ricompensati. Dopo l’ultimo sforzo e la calura che comincia a stremarci, arriviamo in cima e lo spettacolo comincia: a Nord Lido di Latina e Golfo di Nettuno; a Sud Terracina e Sperlonga verso Gaeta; a Est Monti Ausoni e Monti Lepini; a Ovest isole pontine e… le nostre ombre! L’aria che si respira è ibrida: la leggerezza della montagna si mescola con la spumeggiante brezza del mare, il tutto condito dai profumi della fitta ed insolita vegetazione. Non pensiate che questo viaggio sia stato solo escursionistico/montano! D’altronde con le isole ponziane di fronte, era impossibile non visitarne almeno una. Ci imbarchiamo il terzo giorno per l’isola di Ponza, dove milioni di anni fa l’energia creatrice di un vulcano generò un arcipelago di isolette che rimasero quasi inviolate, fino a quando i romani vi si stabilirono a seguito della scoperta di queste a seguito della loro espansione nel tirreno centrale. Ci accoglie il delizioso porto di forma semicircolare costruito nel secolo XVIII, commissionato da Carlo III di Borbone, re di Napoli, con tipiche impostazioni romane. Da qui parte la nostra scoperta dell’isola con un itinerario in barca a dir poco indimenticabile. Il giro viene effettuato in senso orario, costeggiando tutto il periplo dell’isola, minuziosamente, sono previste soste per la visita alle grotte e il bagno e noi, ovviamente, ne abbiamo ampiamente approfittato. Lo stesso barcaiolo ci ha spiegato la morfologia e le denominazioni, raccontando la storia e le leggende delle cale e delle grotte. L’acqua di un blu quasi finto, ci ha invitato amabilmente ad immergerci, deliziandoci di quella frescura e trasparenza che ci ha fatto sognare. La spiaggia di Frontone, l’Arco Naturale, la spiaggia del Core, i Faraglioni di Lucia Rosa, Le Grotte di Pilato e tante altre incantevoli spelonche che ci hanno deliziato e fatto rabbrividire! Non ci aspettavamo davvero il delizioso piatto di pasta preparato a bordo, rassegnati a qualche cibo liofilizzato! All’arrivo abbiamo avuto tempo per acquistare qualche souvenir e scattare altre foto a questo località davvero adorabile. Ma quello che ci aspettava il giorno dopo non era certo da meno: l’isola di Palmarola. Situata circa 10 km ad Ovest di Ponza e, come le altre isole, di origine vulcanica. Storicamente in questo luogo si veniva per raccogliere l'ossidiana che serviva a costruire armi ed utensili. Poi veniva frequentata, soprattutto dai ponzesi, per coltivazione e pesca, per questo motivo avevano anche costruito delle grotte scavate nelle roccia. Oggi quelle grotte sono case per il ritiro estivo al fine di allontanarsi dal caos di Ponza. Oltre a queste, gli unici edifici presenti sull'isola, alcune abitazioni e qualche ristorante, si trovano intorno a Cala del Porto che è anche l'unico approdo dell'isola. La morfologia della costa è similare a quella di Ponza, con presenza di grotte, scogli e faraglioni. Abbiamo ammirato lo Scoglio di San Silverio, sulla cui sommità sorge una cappella dedicata a Papa Silverio, Santo Patrono di Ponza, che qui morì in esilio. Visitando l’isola dal mare abbiamo osservato nelle acque, colonne di lava multicolore formatasi in tempi remoti e fondali trasparenti e profondi, insomma bagni indimenticabili! Il nostro ultimo giorno di viaggio prevede una tappa a Gaeta e la Montagna Spaccata è sicuramente uno dei luoghi più suggestivi, frequentato ogni anno da turisti che vengono colti dalla magia delle tre fenditure del promontorio. È un luogo che racchiude in sé un vero e proprio itinerario. Il Santuario della SS. Trinità, costruito nell’XI secolo, è rinomato nella storia perché qui vi pregarono numerosi pontefici, tra cui Pio IX, sovrani, vescovi e santi, tra cui Bernardino da Siena, Ignazio di Loyola e San Filippo Neri. La leggenda vuole che San Filippo Neri avesse vissuto all'interno della Montagna Spaccata dove esiste un giaciglio in pietra nota ancora oggi come "Il letto di San Filippo Neri". Lungo le pareti della roccia è possibile ammirare i riquadri in maiolica delle postazioni della Via Crucis, in parte restaurate, risalenti al 1849 e attribuite a S. Bernardino da Siena, contenenti i versi del Metastasio. Ovviamente il percorso prevede anche la visita della suggestiva “Grotta del Turco”, collegata sia ad un’antica tradizione religiosa secondo cui venne alla luce al tempo della morte di Cristo, quando si squarciò il velo del tempio di Gerusalemme, sia a diverse credenze popolari. Fra queste, ci sarebbe l’impronta della mano di un marinaio turco su un roccia. Lungo la scalinata che porta nelle viscere della montagna e la stretta spaccatura di roccia, sulla destra, si può osservare un’iscrizione in latino e sopra di essa, un' inquietante impronta di una mano traslucida impressa nella roccia, che la leggenda vuole sia appartenuta ad un marinaio turco. Il miscredente era, da non cristiano, scettico sull'origine sacra delle spaccature della montagna, ma non appena appoggiò la mano sulla roccia, questa, secondo la tradizione, si liquefò all'istante come cera sotto le sue dita, lasciando così l'impronta nitida della mano e delle cinque dita che ancora adesso è possibile vedere. Visto il contesto naturale, non è da escludere che nella grotta, nei tempi del Medioevo, siano approdate navi di pirati saraceni che trovarono rifugio tra le fenditure di questo strategico promontorio, pronti ad attaccare di sorpresa le navi in transito, al fine di depredarle dei loro carichi. Non potevamo certo esimerci dall’assaggiare la famosa tiella gaetana, ovvero: due dischi di pasta lievitata farciti con pesce e verdure. Un cibo sano, gustoso e salutare che unisce in se tutte le componenti di un’alimentazione genuina, frutto di secoli di tradizione, insomma una squisitezza! La tappa pomeridiana è dedicata invece all’Abbazia di Monte Cassino, luogo di culto intriso di storia religiosa. Chi non conosce questo splendido Monastero? Quasi l'Araba Fenice delle Abbazie: risorta magnificamente, come il mitico uccello, dalle rovine di ben quattro distruzioni. Dal 529, quando San Benedetto vi pose le basi della sua "regola", il Monastero fu più volte distrutto: prima i Longobardi, poi i Saraceni, un terremoto e, infine, lo spaventoso bombardamento del 15 Febbraio 1944 quando, sotto le bombe degli alleati, fu ridotta ad un cumulo di macerie. Pur nelle avversità, lo spirito della regola benedettina "ora et labora" non ha mai abbandonato questo luogo che, nel corso dei secoli, ha prodotto opere preziosissime. Insomma abbiamo concluso il nostro viaggio in maniera solenne, affacciandoci ad un pezzo di storia, clericale e architettonica, davvero fuori dal comune. Come sempre, GRAZIE A TUTTI!
27/28 luglio 2013: La “2 giorni“ del Santa Croce di Franco Formoso
PREMESSA
Il tutto nasce da una richiesta di alcuni soci del CAI Castrovillari, che avendo visto le foto della bellissima discesa del Fiume Santacroce a Bocchigliero, entusiasti, avevano chiesto a me e Massimo di proporla nel programma di quest’anno.
PROLOGO
Allo svincolo dell’A3 SA/RC di Cosenza Sud, la temperatura ondeggia fra i 30 e i 35 gradi. Una leggera nebbiolina di calore, bagna di sudore e fa appiccicare gli indumenti alla pelle. Quest’afa tremenda gioca brutti scherzi. Mentre aspettiamo che all’appuntamento arrivino gli altri, guardando davanti a me verso i contrafforti della Sila, vedo cascatelle rinfrescanti di acqua limpida ed in ogni ansa, le “cantine” di Longobucco con gli osti che ci versano file e file di bicchieri di buon vino fresco.
Sabato ore 19,30. Arriviamo a Longobucco un pò in ritardo, ma tutti pronti a carichi e decisi a fare la nostra parte. Siamo in 14, oltre ai soci del CAI, abbiamo gli amici di Reggio C. , la mia ragazza di Brescia, due componenti della squadra forra del CNSAS CALABRIA “Stazione Pollino”, e “l’esperto” della zona: Domenico, del CAI di Cosenza. Il Dott. Torcasio, sempre del Soccorso Alpino, ci raggiungerà domani. Ci incontriamo con l’amico Mimmo che ci ha trovato le stanze per dormire. Ci sistemiamo negli alloggi e una bella doccia ristoratrice ci toglie un pò di stanchezza e di caldo. Longobucco è un paese caratteristico, accogliente e pieno di vita. La sua piazza ci vede tutti pronti agli appuntamenti della serata, carichi e smaniosi di iniziare il “giro delle sue cantine” e poi di gustare una splendida cena in un locale del posto. La compagnia è simpatica ed allegra e dopo le prime due cantine, il buon vino e le stuzzicanti degustazioni di prodotti tipici, migliorano notevolmente il nostro umore, siamo già belli e pronti per fare danni!! Infatti alla terza cantina, tra foto ricordo e ilarità generale, l’euforia è alle stelle cosi come alticcio inizia ad essere il tasso alcolico. Finalmente lasciamo Ciccio e la sua osteria e ci trasferiamo nel ristorantino. Gli effetti dell’alcool si iniziano a vedere, infatti dimentico il borsellino nella cantina, ma non ci sono problemi e dopo averlo recuperato, iniziamo a cenare. La cena è molto gustosa e tra un bicchiere e l’altro, un piatto di pasta e una fetta di carne, la serata scorre allegramente e in modo sereno, finché non vengono a chiamarci alcune persone del luogo, preoccupate perché hanno visto dei tipi arrampicarsi sui muri del ristorante, della chiesa e di altri palazzi. Usciamo e li tranquillizziamo, mentre una piccola folla di persone incredule, con gli occhi sbarrati, si chiedono cosa stanno facendo e se sono usciti di senno. Allora dopo aver spiegato che sono arrampicatori e che se vedono un muro non riescono a resistere, si calmano e forse ci prendono per matti anche perché nel frattempo se ne sono aggiunti altri, fra cui il sottoscritto. Ed è in questo frangente che conosciamo un personaggio straordinario: Il mitico “Compa Filippo di Longobucco”. Un tipo originale e pittoresco che si avvicina e ci chiede: “ma cosa state facendo?” “dove volete salire su quei muri?” Alla fine la serata prosegue con noi che arrampichiamo su ogni muro della piazza, “Compa Filippo” che oltre a far la corte alle dame del gruppo, si arrampica sulle grondaie e il giro delle cantine prosegue nei bar, dove i bicchieri di birra alla spina sostituiscono quelli del vino e fanno si che il rapporto con la gente del luogo, la quale ormai ha capito che siamo un pò giocherelloni , cioè “Ciuati”, si salda . E soprattutto si rafforza quello con “Compa Filippo”! Intanto è già quasi mezzanotte, qualcuno è andato a dormire, e noi altri, con l’uscita del fiume di domani già quasi compromessa, decidiamo di seguirli. Cosi dopo aver salutato gli altri avventori della piazza e “Compa Filippo” che ci promette di farsi vedere domani mattina, ci ritiriamo nei nostri alloggi.
Domenica ore 7. Ci ritroviamo tutti al bar per la colazione, un pò assonnati ma tutto sommato pronti. Dopo un bel caffè ci sentiamo meglio e ci prepariamo per andare via, direzione Bocchigliero, dove si trova la nostra meta: il Santacroce. Andiamo a prendere le auto ed ecco che sentendomi chiamare mi volto e vedo “Compa Filippo” con uno splendido Pincher che viene verso di noi. Saluti e carezze al cane e siamo pronti a partire. Sulla strada per Bocchigliero, ci aspetta il Dottor Torcasio e quindi ora la compagnia è completa: siamo in 16 visto che si è aggiunto anche l’amico Mimmo. A Bocchigliero, dopo 40 minuti di macchina, raggiungiamo il punto dove entreremo nel fiume, e qua, lasciata la maggior parte del gruppo, io e gli altri autisti andiamo a lasciare le auto a valle del fiume, cosi da trovarle quando usciremo dalla forra. Sistemate le auto, ritorniamo indietro e raggiungiamo gli altri che nel frattempo si sono preparati con mute, discensori e quant’altro serve. Cambiatici anche noi ci avviamo, anche perché son quasi le 11 e abbiamo 4 km di fiume da percorrere e 5 o 6 salti da fare. Il Santacroce è un bellissimo fiume che scorre a Bocchigliero e sfocia nel Mar Ionio, data la poca altitudine (600 m circa), l’acqua è abbastanza calda e data la stagione la portata è limitata. Il percorso integrale che faremo oggi prevede circa 5 salti tecnici di cui l’ultimo di 22 m da affrontare con attrezzature e tecniche da forra. Dopo un breve briefing, iniziamo a discendere il fiume e dopo un pò arriviamo al primo salto. I tecnici della squadra, subito preparano le calate e siamo pronti a scendere. Tutti imbragati e attrezzati, chi con discensori a otto e chi con “pirana”, iniziamo la calata. La maggior parte del gruppo, ha già avuto esperienze di questo genere, ma per altri è la prima volta e nei visi scorrono emozioni diverse: preoccupazione, paura, coraggio, determinazione, gioia e soddisfazione. Superato il primo salto si continua a scendere tra tuffi, toboga, pozze d’acqua in cui bagnarsi e divertirsi. Al secondo salto Fernanda, rompe il ghiaccio e fa la sua prima calata in modo autonomo. Se la cava benissimo, ormai è pronta per affrontare anche il resto, nonostante la normale “fifarella”. Tutto procede per il meglio, tutti hanno assaggiato la forra e preso confidenza coi discensori e con le calate e quindi si procede in modo veloce, anche perché essendo in 16 e avendo due corde, nel frattempo che il resto del gruppo finisce di calarsi, chi è già sceso va avanti ad attrezzare l’altro salto e inizia l’altra calata. D’estate è sempre magico discendere i fiumi, e questa esperienza di guidare una uscita ufficiale del CAI di Castrovillari (che tra l’altro è la prima in assoluto), in una forra tecnica, è straordinario. Cosi come sono straordinari tutti i partecipanti. Siamo bella gente che sa divertirsi ma sa anche come comportarsi quando si fanno le cose serie, dove la sicurezza e l’umiltà, vengono al primo posto. Si continua a scendere tra foto ricordo, pause per sgranocchiare qualcosa e giochi d’acqua, l’umore è sempre allegro anche se qualcuno non abituato a queste esperienze, inizia a sentire un po’ di stanchezza. Arriviamo all’ultimo salto, il più lungo, il più bello!! La cascata grande! Qua il fiume forma una pozza di acqua limpida e poi scorrendo in una strettoia, precipita a valle in uno spettacolare salto di 22 m. Mentre ci prepariamo, i bravi tecnici hanno già attrezzato e sono pronti a far calare. Questa è la seconda volta che faccio questo fiume e l’emozione è sempre grande, quando sei li sopra con l’acqua che scende in mezzo alle tue gambe e tu che danzi sulla roccia bagnata, il tempo si confonde con lo spazio e non esiste nient’altro, vai quasi in trance e ti svegli solo dopo che ti sei tuffato nella pozza alla fine della cascata e, con l’acqua che scorre sopra la tua testa, metti a fuoco le cose , le persone, i rumori e ritorni nella realtà con la gioia nel cuore e la soddisfazione nel viso. Uno alla volta ci caliamo, da giù arrivano le grida di incoraggiamento e gli schiamazzi di chi è già sceso e con la concentrazione al massimo, passo dopo passo arriviamo giù, dove gli abbracci, le pacche sulle spalle e i complimenti specie alle nostre quote rosa (Karlaaaa, Fernanda, Mariella, Concetta e Giovanna) e a chi ha fatto per la prima volta questa esperienza, non si contano. Scesi tutti possiamo abbandonarci a un bel bagno dove le urla liberatorie la fanno da padrone. Abbiamo superato alla grande il tratto tecnico e difficoltoso e anche se alla fine del percorso manca ancora tanto, il morale è alle stelle e la felicità è tanta. Dopo l’immancabile foto di gruppo, ci avviamo verso la fine di questa bella avventura. Per arrivare alle macchine, abbiamo ancora un’ora e mezzo di fiume, e anche se non ci sono salti, bisogna proseguire con prudenza e doppia concentrazione perché gli incidenti accadono proprio quando si è stanchi o quando si crede che i pericoli siano finiti. Per fortuna tutto procede per il meglio e chi prima e chi dopo, arriviamo al punto dove sono state lasciate le auto. Dopo esserci cambiati e rifocillati, facciamo un breve briefing finale in cui ognuno esprime le proprie considerazione , e felicitandoci un pò tutti per la buona riuscita dell’escursione, ci avviamo verso Bocchigliero dove ci aspetta una bella birra alla spina, ghiacciata, naturalmente “media”! È arrivato il momento dei saluti,ognuno deve rientrare alla propria casa, la strada è bella lunga e per alcuni anche molto. È sempre un piacere rivedere tanti amici , sparsi dappertutto, è bello fare cose insieme, fraternizzare, condividere esperienze di questo genere. Io poi sono particolarmente contento per Fernanda. Le ferie sono state organizzate anche in virtù di questa uscita, e il fatto che lei abbia preso confidenza con le tecniche e il discensore, alla seconda esperienza di questo genere, si è gestita autonomamente nelle calate , anche nell’ultima, la più alta, superando la prova in modo positivo come una “buona aspirante forrista”, mi riempie di gioia e di soddisfazione. D’altronde per stare con me ormai da tutto questo tempo, deve essere un pò pazzerella anche lei. Arrivati al punto dove avevamo lasciato le macchine “superflue”, i saluti , i baci e gli abbracci si susseguono e poi ognuno, con la promessa di rivederci presto, prende la via di casa.
EPILOGO
Cosenza questa sera è abbastanza fresca e ventilata. Alla pizzeria “Walter”, i tavolini fuori son quasi tutti pieni ma qualcuno è ancora libero. Siamo in cinque, abbiamo sete, abbiamo fame! Siamo quelli che restano, quelli che ancora hanno un briciolo di energia. La ragazza ci porta la brutta notizia che la birra alla spina è finita, è una vera sfiga! Ma possiamo sempre rimediare con quella in bottiglia. Arriva la pizza, arriva la birra e arriva il resoconto della giornata, i fatti salienti, cosa è andato , cosa non è andato. Ma soprattutto arriva la consapevolezza che ormai viviamo di queste cose, e mentre andiamo via e ci salutiamo, le nostre parole sono: “Allora …? a che ora ci troviamo per l’altro fiume”?
14 luglio 2013: CAIBIKE di Carla Primavera
Una allegra compagnia di soci CAI parte alla volta di Piano Novacco per congiungersi ad un altro gruppo dello Sci Club Saracena, già giunti sul posto e pronti a masticare questa fantastica avventura. Ben 17 partecipanti in tutto più un simpatico cagnolino (Chicco) di proprietà di una coppia di ragazzi che, instancabile, ha percorso l’intero itinerario. Dopo il consueto saluto cominciamo il nostro percorso che si snoda su questo largo e comodo sentiero, carrabile, attraversando il Piano di Vincenzo, fino ad un cancello della forestale, che troviamo aperto e “sorvegliato” da alcuni scout che aspettano l’arrivo delle proprie famiglie al loro campo situato a Mare Piccolo. Da questo punto comincia la lieve e sinuosa discesa, con accanto la suggestiva fiumarella di Rossale, immersi in un verde, dato dalle giornate piovose e umide dei giorni scorsi, davvero da sembrare … dipinto! Ma ecco un imprevisto: un ciclista subisce un guasto al sellino della bici, quindi parte la “macchina” organizzativa per la riparazione. Chi aveva il bullone, chi le chiavi giuste, chi le … mani abili! Dopo circa 20 minuti il colorato serpentone riprende la “corsa” fino alla località Tavolara, dove è presente un rifugio della forestale ormai abbandonato. Qui, dopo aver percorso gli 8 Km circa previsti, facciamo una breve sosta per immagazzinare un pò di zuccheri e molti liquidi. Ora non resta che tornare e si decide di dividere il gruppo: il primo ritorna per la stessa strada, poco più lunga ma più agevole, il secondo si spinge su un percorso ad anello più aspro e fangoso. Appena ricomposti i due gruppi si fa ritorno verso Piano Novacco per consumare il meritato spuntino … non proprio … diciamo pranzo! Il rifugio ci offre la possibilità di un ottimo caffè e stavolta anche l’incontro con un simpatico quanto eccentrico signore: il Conte di Montecristo! O almeno così si è presentato, con un gentile sorriso offrendoci a tutti il caffè! Un bizzarro e delizioso incontro, che solo alcuni luoghi possono donare, luoghi dove la spontaneità della gente è resa più schietta dalla purezza dell’ambiente che ci circonda. Salutandoci con la promessa di un prossimo incontro su due ruote, ci congediamo dalla compagnia che alla spicciolata, chi in macchina, chi direttamente in bici, fa ritorno soddisfatto alle proprie abitazioni . Un GRAZIE sincero a tutti.
30 giugno 2013: Tra le bocche eruttive dell'Etna di Mimmo Filomia
A decidere lo svolgersi di questa escursione, che ci ha visti protagonisti da montanari ad improvvisati marinai, interviene Efesto, (Vulcano) Dio del fuoco degli inferi ed Eolo, Dio dei venti, che in questa area del mediterraneo dominano le forze della natura a loro piacere per incutere paura e tremore ad uomini e cose. Sono stati loro ad ordire contro di noi, a fin di bene, perché ci fosse precluso l’attracco all’isola di Stromboli. Ciò, affinché non potessimo esaudire la curiosità di osservare la sciara di notte e gli anelli di fumo di giorno. Il Dio del fuoco, continuando a forgiare metalli ed a gestire lingue di magma incandescente dal suo rifugio al centro dell’Etna, ha preso a cuore la nostra vicenda ed ha interferito con Eolo istigandolo dalla sua dimora di Lipari, a liberare il suo vento peggiore (N/O) per agitare le acque attorno alle isole Eolie, al punto da fare desistere i timorosi e consci armatori, a calare in mare quei fuscelli carichi di visitatori, onde evitare loro, di essere facile preda del forte maestrale. A noi, non c’è dispiaciuto più di tanto l’evolversi di questo sopruso; nato dal connubio di Vulcano che costringe Eolo, al rinforzo del maestrale, il quale, suo malgrado, fra sé, avrà detto: si, tanto questi un giorno li avrò, presso lo Stromboli, decisi e curiosi come sono e, per loro, ci saranno solo sospiri di Zefiro. Intanto, ignari di quanto si stava tramando, abbiamo fatto di tutto senza riuscire a salpare, restando increduli sul molo di Milazzo. Gli antichi navigatori, in questi frangenti, avrebbero affidato al vento le decisioni per intercedere presso gli dei e, dal vento, interpretarne le risposte per salpare nella direzione giusta e sicura. Noi, nell’era moderna, ci siamo affidati al dio telefonino, che, sempre attraverso l’etere, ci ha fornito le informazioni utili per il cambio destinazione che, non poteva che essere verso il padre dei vulcani: l’Etna. Condividiamo, meglio una giornata movimentata su terraferma che in mare agitato; questo vale per il trasferimento dal molo di Milazzo a Zafferana Etnea che, ci ha ospitato in un magnifico albergo panoramico. Il mattino seguente ci avviciniamo, attraverso una strada panoramica e contorta, al rifugio Sapienza del CAI posto a quota 1910 m in prossimità dei crateri Silvestri, (nome dello studioso, eruzione 1892); ora quiescenti, ma un tempo distruttivi. Dai bordi della strada si nota dapprima un territorio coltivato, poi il bosco in cui predomina il castagno nella macchia mediterranea e la scia lacerante della lava che ha travolto tutto ciò che ha incontrato nella discesa verso l’abitato di Zafferana. Salendo di quota, anche qui, si nota che l’estate costringe ogni infiorescenza a dare il meglio di sé favorendo sulle dune di lava variopinti cuscinetti floreali di saponaria, le cui radici erano usate per il bucato. Un breve salto di funivia ci porta a quota 2500 m da dov’è ben visibile tutta la Piana di Catania lambita dal mare; alle nostre spalle Jiddu, (Etna) fa finta di non vederci nascondendosi dietro le nubi. Al terminal della funivia è associato un punto ristoro e di shopping, lasciando il quale, ci si avvia su una spessa coltre soffice di lava nera in direzione dei crateri sommitali del Mongibello. Già dai primi passi sul suolo piroclastico del complesso dell’edificio vulcanico Etna, viene da esclamare: qui qualcosa bolle in pentola! In alcuni punti uno spaccato della crosta terrestre lascia intravedere uno spesso strato di ghiaccio protetto da un manto di lava che ha la funzione di preservarlo dalla fusione. Il sentiero per lunghi tratti mostra la stessa conformazione lavico/ghiaiosa di colore scuro che sotto gli scarponi diventa sdrucciolevole e polverosa. Il sentiero, interseca una strada battuta da potenti fuoristrada che fanno navetta dal terminal funivia fino all’ultimo punto con accesso libero, oltre il quale, è d’obbligo la guida vulcanologica per giungere alla bocche attive di S/E. La zona è disseminata di crateri quiescenti e di rocce piroclastiche che infondono calore. In alcuni punti del bordo del cratere Torre del Filosofo dal suo centro risale fumo, segno che, sotto, il magma si agita e nessuno può prevedere il punto debole, di tutta l’area, da dove erutterà. Questo risalire di magma dalle viscere della terra, dura da circa 500mila anni perché l’Etna si trova sullo scivolamento coatto della faglia euro-africana. Questo periodo è l’età dell’attuale complesso montuoso dell’Etna, nato nei pressi di una primordiale insenatura marina formata da crateri emergenti eruttivi e fumanti, che si sono succeduti in sommatoria, fino ai nostri giorni. Eruzione dopo eruzione il più grande attivo vulcano europeo raggiunse la massima quota di 4000 m prima di adagiarsi sulla quota attuale. Sulla cima del cratere del Filosofo si ha la sensazione reale di camminare su materiale lavico appena estruso dal centro della terra nelle ultime eruzioni 2002/2003. Qui il poeta filosofo di Agrigento Empedocle, affascinato dai luoghi, vi si rifugiò nel 462 a.c. Il rifugio Torre del Filosofo (2920m) si trova alla base S/E dei coni attivi posti a 3330 m. Ora è sommerso da 7 metri di lava per una recente eruzione; si chiama cosi perché la tradizione vuole che Empedocle si gettò nel cratere ardente, convinto di ascendere fra gli dei, per conoscere il segreto delle origini del vulcano. Fu però buggerato da un suo sandalo di bronzo rigettato dal cratere, insieme a materiale piroclastico. La nostra salita termina presso la baita delle guide posta a 2900 m un punto aperto a 360 gradi ma, ogni volta che si sale quassù, bisogna entrare nella grazia del vulcano, accerchiato com’è sempre da nubi, per ammirare il panorama sui due mari e sulla Calabria. Però, ci ha lasciato rientrare, senza brontolare e sbruffare, discendendo divertiti dai fianchi di montagnole e crateri. Alcuni di noi hanno preferito scendere dal margine della Valle del Bove, altri, sfruttando il sottotratto di funivia, ne hanno seguito lo sviluppo scendendo a valle ai margini di vivaci cespugli floreali, sempre con il pensiero e lo sguardo compiaciuto e ammirevole rivolto verso la bocca fumante che emana, sensibilmente, messaggi di vitalità e potenza provenienti dal centro della Terra, ricacciando nella mitologia e nei periodi oscuri della civiltà, la figura del demonio associata al fuoco dei vulcani. Le genti, che vivono ai margini di questi periodici fenomeni terrestri straordinari (maree, soffioni boraciferi, piene alluvionali, vulcani attivi), sono additati come incoscienti che sottovalutano i pericoli derivanti dalle loro manifestazioni, a persone e cose. In realtà, queste popolazioni abbastanza numerose, si ritengono favoriti del privilegio di stare in contatto con una divinità misteriosa che li tiene soggiogati nonostante i suoi effetti a volte disastrosi, accettandoli con paziente sofferenza, stupore e timore riverenziale per avere in cambio i frutti di una terra fertile.
30 giugno 2013: Tra le bocche eruttive dell'Etna di Mimmo Pace
Tra le bocche eruttive dell'Etna di Mimmo Pace Ho preferito, stavolta, porgere qualche spunto riflessivo, solo attraverso la “guida didascalica”. Saranno le immagini ad esprimersi con il loro linguaggio universale ed ineguagliabile e a guidare il fruitore, attraverso questo iter, tanto favoloso e interessante, quanto fugace, sul Mongibello. Esso ci ha ripagato ampiamente, dopo la cocente delusione di non esser potuti ascendere sullo Stromboli, dove noi del CAI di Castrovillari eravamo diretti, a causa di una inattesa, quanto discutibile sospensione del servizio di traghettamento per le Isole Eolie. Non resta ora, che … “raccogliere i cocci” … tentando di recuperare le risorse finanziarie invano impiegate e … sognando di ripetere, prima o poi, la mancata sortita.Dall’alba al tramonto, per le 5 vette oltre i 2000, del Massiccio del Pollino di Gerardo Dipinto
In 12 volenterosi provenienti dalla Puglia Calabria e Basilicata ci siamo ritrovati domenica 23 giugno puntuali alle ore 6,30 a Colle Impiso, per intraprendere l’escursione programmata sulle “5 Sorelle dei 2000 del Pollino”. Eravamo legati l’uno all’altro dallo stesso filo conduttore che ci ha spinto a camminare per un’intera giornata: ” la passione per la montagna e l’interrogativo di come avrebbe risposto il nostro fisico per il raggiungimento dell’obiettivo”. Speravamo in un tempo clemente che ci riparasse dal caldo e dal sole, in quanto la gran parte dei sentieri ne erano esposti fuori dal bosco, ed infatti già dal primo mattino fortunatamente qualche nuvola ha coperrto le vette con qualche goccia di acqua. Ma nessuno mai avrebbe previsto di trovarci quasi in vetta a Serra Dolcedorme, in una tormenta di acqua con un vento gelido ed una temperatura quasi invernale. Qualcuno di noi per giunta aveva messo i pantaloncini corti nella previsione del forte caldo. Ma determinati nell’obiettivo da raggiungere , dopo aver trovato ognuno di noi la sua tana tra le rocce, e attesa la quiete dopo la tempesta, imperterriti ci siamo messi nuovamente in cammino per raggiungere la vetta del Dolcedorme e annotare sul libro di vetta un pensiero del gruppo. E così la terza vetta era stata raggiunta. Un po’ più rinfrancati dal miglioramento del tempo abbiamo iniziato la discesa che porta al Passo delle Ciavole diventata abbastanza scivolosa a causa della pioggia caduta, e da qualche residuo di neve ancora ghiacciata, per poi affrontare la irta salita che ci potava su Serra Ciavole. Di qui, dopo averci rifocillati con qualche panino, abbiamo percorso completamente, come da programma, il roccioso Crestone delle Ciavole dove prima di scendere alla Grande Porta abbiamo visto e toccato un singolare e spettacolare pino loricato con 5 grossi fusti che si ergevano sani e robusti ma con un’unica base radicata; gli abbiamo dato un appellativo : “le cinque dita protese… “. L’ultima vetta “Serra di Crispo, l’abbiamo raggiunta circa alle ore 18 dove fatta la consueta foto di gruppo, abbiamo intrapreso il ritorno per i Piani per chiudere l’escursione a Colle Impiso alle ore 21 circa. ”Il perseverare nell’obiettivo è stato per tutti un impegno, ed il risultato è frutto sempre dell’impegno che ognuno di noi ci mette per il raggiungimento dello stesso”.
Le “CINQUE SORELLE dei 2000” di Mimmo Pace
NO, non è assolutamente una sfida lanciata alla montagna, la nostra … l’abbiamo scritto sul libro di vetta della nostra Sezione CAI, sul Tetto del Parco … semmai, rappresenta una sfida ingaggiata con noi stessi … ma non solo … forse soprattutto ricerca di sempre nuove esperienze, alla scoperta dei mille volti di una montagna … forse soprattutto speranza di vivere nuove emozioni e nuove sensazioni di libertà. Non ha alcunché di leggendario o sovrumano, né ha costituito un’impresa, l’esperienza da noi conclusa; sono personalmente convinto che sia alla portata di tutti, giovani e … si fa per dire … meno giovani come me! Occorre solo allenamento, graduale esperienza delle difficoltà, contezza delle proprie risorse, rispetto per la montagna … e tanta passione per la natura e per l’avventura … il resto viene da sé … provare per credere … basta iscriversi al CAI, quello di Castrovillari, naturalmente! Ecco, in breve, il nostro iter: non è stata una corsa contro il tempo, ma una vera passeggiata … una cavalcata, o meglio … un saliscendi, un periplo lungo 5 vette, tutte al di sopra dei 2000, che sovrastano le splendide praterie d’alta quota del Pollino … il “cuore” stesso del Parco. Voglio augurarmi che queste splendide immagini, che ho avuto cura di raccogliere lungo il nostro peregrinare, suscitino nel fruitore qualche impressione e qualche emozione … assieme alla voglia di scoprire e vivere quei luoghi incantati … quei superbi orizzonti … quelle sublimi tavolozze!
16 giugno 2013: “Sicuri sul sentiero” di Laura Belmonte
La Stazione Alpina Pollino del C.N.S.A.S., in collaborazione con il CAI Castrovillari e con la partecipazione degli Amici della Montagna di Bisignano e lo S. C. Saracena, ha organizzato “Sicuri sul sentiero 2013” evento di carattere nazionale per puntare l’attenzione sulla consapevolezza e la frequentazione della montagna in assoluta sicurezza. Il sole era caldo già nelle prime ore del mattino, il cielo azzurro, all’orizzonte neanche una nuvola; viottoli e sentieri come in un bellissimo quadro dominavano il territorio. Aria pulita, pini, faggi, fiori e animali, la montagna parlava a noi in tutto il suo splendore. Il luogo, Novacco, racchiudeva, non solo la quiete e la maestosità della natura, che già da sole bastavano a mozzare il fiato, ma in esso si ergevano varie peculiarità culturali/storico/archeologiche, come cave di calce, carbonaie, tracciati ferroviari collegati fra loro. Stare in quel posto è qualcosa di magico, pensavo quando percorrevamo in auto la strada a tornanti che conduceva al suo interno. Arrivati sul posto, attorno a noi uno strano senso di pienezza, il silenzio e il cinguettio degli uccelli. La valle si estende per centinaia di ettari, e là dietro, oltre le colline, abbraccia il grande bosco che forma un paesaggio da cartolina. Anche l’altitudine contribuisce a differenziare in modo notevole la vegetazione e le caratteristiche della vallata. Qualcuno arriva di prima mattina per allestire un punto informazioni con gazebo e materiale cartaceo, riguardante la prevenzione degli incidenti in montagna, poi man mano ci si compatta per il briefing. Purtroppo il tutto inizia con un imprevisto, in tema però con l’evento della giornata: il soccorso di un escursionista disperso non molto lontano da noi (nella zona della Montea a Sant’Agata d’Esaro) ritrovato poi felicemente dagli stessi ragazzi del Soccorso Alpino che avrebbero dovuto partecipare. Nonostante il caldo ci avviamo lungo il sentiero attraverso un percorso tranquillo inframezzato da stazioni di sosta dove gli accompagnatori, ognuno nel proprio settore hanno delucidato sulle varie regole da osservare: come ci si prepara prima di partecipare ad un’escursione (è necessario valutare obbiettivamente le proprie condizioni fisiche, le capacità tecniche); come accertarsi dell’ idoneità dell’attrezzatura e dell’abbigliamento, come raffrontarle alle caratteristiche del percorso e alle condizioni climatiche; rudimenti di primo soccorso. A mezzodì, con il ritorno dei ragazzi impegnati nelle ricerche, pranzo a sacco. Dopo la pausa, la “classe” è molto interessata alla spiegazione sull’uso del GPS e sull’orientamento sia di giorno che di notte, sole, luna, stelle, ecc. Subito dopo simulazione di recupero barella portantina con spiegazione delle manovre effettuate e finta infortunata, la sottoscritta. Conclusione con i dovuti e raccomandatissimi consigli su cosa fare se ci si dovesse perdere in montagna, nonché qualche racconto realmente accaduto quando il Soccorso Alpino cerca e trova un disperso. Nessun terrorismo naturalmente ma semplicemente promuovere, aumentare e diffondere la consapevolezza che andare in montagna richiede un minimo INDISPENSABILE di responsabilità, senso civico verso se stessi, gli altri e verso l’ambiente ma soprattutto: testa! Per finire simpatica gara di orientamento nel bosco divisi in gruppi e armati di bussola e cartina per il percorso. Con allegria e ironia un modo per mettersi in gioco, misurandosi con le tecniche e le regole dell’orienteering. Una piacevole giornata all’insegna di una passione per coloro che praticano questo meraviglioso mondo, un mondo al naturale, così come la natura è storia e magia. Una passione per essere tale deve durare per sempre! Che ognuno possa esser come una goccia d’acqua pulita, nella quale possa riflettersi la semplicità di noi stessi come la semplicità di questa vallata, nella quale la mia mente torna assaporandone con delizia tutta la sua bellezza.
2 giugno 2013: Con CamminaCAI 150° su di una “VIA” della DEVOZIONE e della TRANSUMANZA di Mimmo Pace
Cosa testimonia un sentiero, se non la creatività dell’Uomo, posto a stretto contatto con la natura … se non una modalità “soft” di penetrare e conoscere il microcosmo di una montagna … se non una possibilità di riscoprire e rivivere ogni contenuto storico/sociale, che ha rappresentato, durante un trascorso più o meno remoto, costumi di vita e civiltà delle Genti di quel luogo? Appare chiaro, allora, come la rivitalizzazione di un territorio montano non possa che realizzarsi attraverso l’amore e la passione per l’escursionismo, teso alla riscoperta di tracce e alla visitazione di luoghi, i quali, altrimenti, senza produrre frutto alcuno, subirebbero la dura legge dell’oblio. In tale ottica, appunto, si inquadra la scelta della Commissione Escursionismo della Sezione CAI di Castrovillari, volta ad esprimere partecipazione attiva all’importante evento del 150° anniversario della fondazione del Sodalizio e celebrarlo, rivisitando uno dei lembi più interessanti e suggestivi della nostra montagna, appunto, tra la Serra del Prete e il Monte Pollino. La più nota delle “vie” che valicano l’imponente bastionata del Pollino, parte proprio dai ruderi pregni di storia di un fiorente monastero agostiniano, il Monastero del Colloreto. Nei secoli passati, essa ha costituito la più frequentata delle ”vie della transumanza” verso le praterie d’alta quota del Pollino e, nel contempo, è stata e ancor’oggi è la strada dei devoti pellegrini moranesi e castrovillaresi, verso un Santuario Mariano venerato con fervore da tutte le Genti del Pollino. L’ambiente in cui quest’arteria d’altri tempi si snoda, è dei più suggestivi e fascinosi: selve senza tempo, recessi fiabeschi, chiassose sorgenti, scenari spettacolari, quali la incalzante, aerea sequenza della cresta Ovest del Pollino, popolata da schiere di solenni monumenti arborei, che il luminoso cielo di Calabria avvolge in un tripudio di colori … o l’incombente ciclopico bastione di Murgia Rossa, che ad ogni tramonto si accende di fuoco, con i suoi strapiombi adorni di contorti loricati … Si, sono proprio gli ormai celeberrimi “Loricati del Pollino” ad averci ispirato un “Tema” a noi tanto caro e che desideriamo legare intimamente alla celebrazione di un così importante e storico evento in seno al nostro Sodalizio, appunto attraverso il CamminaCAI 150° : “La Salvaguardia dei Patriarchi arborei del POLLINO Calabrese”. Ciò premesso, ci sembra quanto mai opportuno e doveroso fare “un po’ di storia”. Tra le tante oasi protette che costellano il territorio italiano, il Parco del Pollino è il solo ad avere per simbolo un albero: il maestoso, secolare e contorto Pino Loricato; un’essenza forestale portentosa, giunta durante l’ultima glaciazione nel nostro Mezzogiorno dai Balcani, dove è ancor’oggi diffusa, dalla Dalmazia all’Olimpo Tessalico e sulle montagne della Bosnia e della Grecia. L’interesse botanico di questa conifera sfuggì completamente ai diversi scienziati, botanici ed esploratori che visitarono nei secoli il Pollino. Fu il botanico francese F. Antoine, nel 1864, ad attribuire il nome di “Pinus Leucodermis” alla pianta, mentre il termine “Pino Loricato” fu coniato nel 1905 dal calabrese di Laino, Prof. Biagio Longo, assimilando le robuste placche del suo tronco alla “lorica”, la corazza a scaglie dei legionari romani. Tradizionalmente risparmiato dagli antichi boscaioli, nei primi decenni del ‘900, nel corso delle deforestazioni subite dal Pollino, l’albero che da lì a qualche decennio sarebbe stato adottato a simbolo dai primi coraggiosi ambientalisti, che invocavano il Parco quale alternativa ai diboscamenti ed agli skilift, rischiò la scomparsa. Nell’autunno del 1993, una mano barbara e vile, nell’intento di colpire l’emblema del novello Parco, dava alle fiamme “Zì Peppe”, il maestoso millenario patriarca della Grande Porta del Pollino. Un atto vandalico gravissimo, rimasto per fortuna isolato … pur sempre, però, un mito oltraggiato e infranto, un simbolo umiliato, un prodigio della natura violentato, distrutto dalla barbarie, dalla viltà e dalla stupidità umana. Oggi il testimone è passato al “Patriarca del Pollinello”, un gigante anch’esso millenario, le cui verdissime braccia fronzute si protendono maestose per un decametro e oltre! Purtroppo, il Pollino continua a configurarsi, negli anni, come una “montagna violentata” … e non solo da incendi distruttivi innescati da gente cinica e vile, per i più svariati interessi e appetiti, oltre che per deprecabili ed insensate rivalse! Immancabilmente e reiteratamente, d’estate, qualche Canadair sperduto tra dense cortine di fumo, tenta invano di spengere gli inarrestabili fronti incendiari, che divorano inesorabilmente la nostra montagna e il cui rombo rinnovella l’angoscia, che affligge animo e cuore di ogni amante della natura. Ai tempi della mia fanciullezza, invece, le coturnici si levavano a frotte da faggi e lecci; l’aquila si librava alta nel nostro cielo; il lupo, nei rigidi inverni, si spingeva fino agli ovili; le lepri guizzavano via dai loro nascondigli; ricche mandrie e armenti transumavano verso gli alti pascoli del Pollino; boscaioli e carbonai, con opera assidua e tenace, proprio attraverso i sentieri, ripulivano e preservavano il bosco. Oggi, nulla di tutto questo più esiste! Sopravvive solo qualche recesso, pur sempre fascinoso e stregato, ma … muto ormai e senza vita, se non quella vegetale, insidiata da roghi sempre più frequenti e distruttivi. Tutto ciò, in conclusione, può servire a farci comprendere, come un sentiero non rappresenta solo e tanto un “iter” alla scoperta dell’incognito e magari del sublime o al ritrovamento di tracce di civiltà indigena ed antiche costumanze di vita, ma soprattutto lo strumento, la chiave per favorire ed attuare la più efficace tutela del paesaggio montano e quindi della biodiversità in ogni sua sfaccettatura, in esso racchiusa e custodita come in un prezioso scrigno, da trasferire, nella sua integrità, alle generazioni che verranno. Con tale consapevolezza e convinzione, una folta carovana formata non solo dalle anime del CAI di Castrovillari, ma anche da tanta gente sensibile a tali tematiche, che ha voluto condividere e celebrare assieme a noi la storica ricorrenza del nostro Sodalizio, ha percorso in religioso “raccoglimento“ quei luoghi incantati … Un mondo degno di essere scoperto, conosciuto, vissuto, valorizzato, tutelato, difeso.
25/26 maggio 2013: Dal tramonto all'alba di Mimmo Pace
Con CAI e FEDERPARCHI … “in CAMMINO nei PARCHI” … Sul POLLINO … dal tramonto all’alba.
Poter testimoniare, attraverso la nostra partecipazione attiva all’importante evento del 150° anniversario del nostro Sodalizio, in cui così brillantemente ed efficacemente si inserisce la meritoria iniziativa “In Cammino nei Parchi” promossa da CAI e FEDERPARCHI nell’ambito della 13^ Giornata Nazionale dei Sentieri, ci appaga interiormente, rendendoci sempre più consapevoli e convinti sostenitori della necessità e del dovere di concorrere, attraverso la promozione e la pratica dell’Escursionismo, alla tutela dell’ambiente ed alla sua rivitalizzazione. Una ghiotta occasione, questa, per prediligere temi così stimolanti e romantici, quali un tramonto e un’ aurora, con le sensazioni e le emozioni che suscitano, da legare ad un evento così rappresentativo! E’ fuor di dubbio che la rivitalizzazione di un territorio montano passi attraverso l’incoraggiamento e la diffusione della pratica escursionistica. La rete dei sentieri, pertanto, rappresenta il più valido strumento, non solo per andare alla scoperta dei mille volti di una montagna e di tracce di antiche Civiltà e costumi di vita ed anche del sublime, ma soprattutto per realizzare una efficace tutela del paesaggio montano e quindi della biodiversità, in ogni sua sfaccettatura. Con tale consapevolezza e convinzione, un manipolo di motivate anime del CAI di Castrovillari è risalito lungo la cresta Nord della Serra del Prete, per vivere dalla sua vetta, a 2186 metri di quota, uno spettacolare tramonto. Il vento gelido di un fine maggio inusuale sferzava i loro volti, mentre il sole tra foschie grigio azzurre si dileguava nel Tirreno, inducendo sensazioni emotive velate di malinconia per un altro giorno che muore. Una discesa veloce al minuscolo riparo di Colle Gaudolino, unico presidio nell’intero Parco Nazionale del Pollino su cui un appassionato amante della montagna può contare, per crogiolarsi alla fiamma dello scoppiettante camino e per rifocillarsi … un bivacco non proprio breve, trascorso tra scambio di intingoli, chiacchiere e riflessioni, con alcune considerazioni sulla passione e sulle motivazioni, che ci inducono a prediligere simili avventurose sortite. Facendo capolino tra le nuvole, la luna si staglia ora nitida nel cielo color cobalto e tinge d’argento le vette e le selve ... ma tale quadro idilliaco avrà breve durata! Una fitta nebbia, sospinta da impetuose folate di vento, presto avvolge tutto. Non demordiamo; all’ora prefissa si riprende il cammino. Arrancando nel nebbione, si affronta l’aerea sequenza della cresta Ovest del Pollino, popolata da schiere di solenni monumenti arborei … gli ormai celebri “Loricati del Pollino”. Tra una schiarita e l’altra, si procede lungo l’erta, fino a risalire, attraverso la profonda e sempre innevata dolina, sulla vetta del Pollino, a 2248 metri, in attesa dell’alba, per emozionarsi ancora! Come in un miraggio, sognavamo di scorgere lontane lame di luce profilarsi dallo Ionio, in un mutevole incalzare di tonalità, foriere di un’aurora radiosa che, in breve, avrebbe tinto di porpora e acceso di luce l’ambiente per un nuovo giorno appena nato … ma la nebbia, inesorabile, ci ha precluso la percezione di quegli stimoli visivi, che, inebriando i nostri sensi, ci avrebbero arricchito interiormente … un vero peccato! Sulla via del ritorno, scorgendolo da un ormai luminoso pianoro, il Pollino si stagliava, di nuovo nitido e maestoso, nell’azzurra serenità del cielo! Nonostante non ci abbia arriso il completo successo della sortita, riteniamo di aver celebrato ed onorato ugualmente la storica ricorrenza del nostro Sodalizio, percorrendo in religioso “raccoglimento“ quei luoghi incantati e, in armonia col tema dell’evento, curando di ravvivare i colori sbiaditi dal tempo di qualche segnavia rosso/bianco/rosso.
11/12 maggio 2013: Parco regionale del Matese di C. Primavera e C. Belmonte
Il viaggio comincia sabato mattina, una allegra e compatta compagnia (*) ha deciso di allietarsi il week end alla scoperta di luoghi nuovi e suggestivi, il Parco Regionale del Matese. Certamente i nostri amici del CAI Benevento hanno fatto la parte del leone in questa avventura, senza di loro sarebbe stato davvero complicato! Al nostro incontro con saluti e presentazioni finalmente incontriamo Piero ed Enzo, i nostri accompagnatori nel suggestivo borgo di Cerreto Sannita, luogo denso di storia e di cultura, ricostruita interamente dopo il disastroso terremoto del 1688 caratterizzata dall'originale impianto urbanistico ed è nota per la sua tradizionale produzione di ceramica artistica. L’incontro tra scuole diverse produsse anche la splendida “CERAMICA CERRETESE” che riproponeva modelli e tipologie partenopee, ma con un nuovo ed esuberante cromatismo, dal gusto naturalistico, che fanno ricordare il rapporto uomo-animale delle antiche civiltà venatorie. Cerreto, affacciata come da un alto balcone sulla verdissima valle del Titerno, offre piazze e viali lungo i quali si incontrano severe facciate tardo-barocche di rara finezza, con alcune emergenze monumentali di singolare pregio, gioielli di un settecento napoletano che ancora inseguiva un ideale equilibrio fra ornamento e funzione, di vera e nobilissima modernità. Ma passiamo alla nostra prima meta: le Forre di Lavello, site al confine tra Cerreto Sannita e Cusano Mutri. Le abbiamo raggiunte tramite un apposito sentiero che comprende altri importanti siti di interesse naturalistico, come la grotta dei Briganti, la grotta delle Fate, la grotta delle Streghe e il Ponte del Mulino. Il fiume che scorre in questa forra è il Titerno, con suggestivi salti dalle bianche rocce calcaree e piccoli vortici. Iniziamo dalla località Pesco Appeso, sul sentiero che si snoda all’interno di un incantevole boschetto di querce, roverelle, cerro, leccio e castagno. Dopo un breve cammino si apre una bella veduta sul Ponte del Mulino, caratteristico ponticello costituito da massi calcarei disposti ad arco, servito fino agli anni ’50 per attraversare il Titerno in modo da recarsi al mulino situato sul versante opposto. Più giù si percorrono quasi parallelamente le forre e una passerella in legno permette nuovamente l’attraversamento per raggiungere la strada principale. Davvero uno spettacolo! Ritornati a Cerreto, la visita al Museo della Ceramica era d’obbligo! Il Museo, istituito nel 1991, è ubicato negli ambienti del “cantinone” del chiostro del monumentale Palazzo S. Antonio, ex convento dei Padri Conventuali e attuale sede comunale. Le collezioni documentano la lunga tradizione dell’arte della ceramica a Cerreto Sannita. Il percorso espositivo si articola in due sezioni: la sezione di arte ceramica antica, che comprende oggetti risalenti all’epoca romana e una raccolta di lavorazioni locali d’età barocca sino al XIX secolo; la sezione di arte ceramica contemporanea, che raccoglie le opere degli artisti intervenuti nelle diverse biennali di ceramica che si svolgono a Cerreto Sannita. Il Museo ha inoltre in dotazione ceramiche antiche provenienti da collezioni private quali la prestigiosa collezione Mazzacane, una raccolta di oltre 400 pezzi risalenti al secolo XVIII, periodo d’oro dell’arte ceramica cerretese, donata al comune dagli eredi dello storico Vincenzo Mazzacane. Sfiniti ma soddisfatti ci spostiamo a Rocca della Selva dove, in un ameno ma accogliente rifugio, ci siamo fatti coccolare dalla gentilissima signora Carmela con ricche prelibatezze e squisite specialità. La giornata di domenica inizia un pò uggiosa, una greve foschia ci fa presagire il peggio ma dopo il ritrovo e il briefing con gli amici di Benevento, ecco il sole fare capolino! Partiamo alla volta del Monte Mutria, che con i suoi 1823 metri è la terza vetta del Massiccio del Matese. La passeggiata prosegue tranquilla secondo gli orari prestabiliti, anche se posticipiamo la pausa pranzo, prevista sulla cima, per le condizioni del tempo che si fanno sempre più minacciose. Quindi dopo la consueta foto di gruppo vicino ad un altarino in onore di San Antonio e dopo aver ammirato ancora qualche accumulo di neve restia ad andarsene, iniziamo la nostra discesa, ammirando, sul sentiero di cresta, il delicato lago del Matese all’orizzonte, e invece vicinissime a noi, bellissime orchidee, nontiscordardime e margherite dai colori dell’arcobaleno! Noi del CAI Castrovillari siamo “famosi” per le nostre prelibate “pause pranzo” e certamente non potevamo smentirci, ancor meno, fuori regione! Arrivati alle macchine, una provvidenziale tettoia ci ha protetto dagli scrosci della pioggia durante la lunga pausa pranzo, che tempismo ragazzi! E da qui, come ha scritto il nostro amico ed accompagnatore Enzo: qualche prelibatezza sannita e tante calabre!
(*) La compagnia doveva completarsi, a Benevento, con l’aggregarsi di un’altra socia che, purtroppo, per motivi di trasporto non ha potuto partecipare all’escursione di sabato. Ciò, però, non le ha impedito di approfittare dell’occasione per fare una visita storico/culturale nella città di Benevento di cui ci racconta. “Nel pomeriggio dell’11 Maggio, mentre il gruppo CAI effettuava l’escursione alle Forre del Titerno e la Visita al Museo della Ceramica di Cerreto Sannita, mi concedevo una visita nella vicina Benevento, una città che può definirsi “museo a cielo aperto”. Conosciuta come la città delle “Streghe” anche grazie al famoso liquore, la storia della magica città si sintetizza in tre periodi principali: Romano, Longobardo, Pontificio. L’Arco Traiano, che si erge al centro della città, fu costruito tra il 114 e 117d.c. in onore dell’Imperatore Traiano, posto all’inizio della Via Traiana che abbreviava il percorso da Benevento a Brindisi. Nel periodo Longobardo, a seguito della caduta del Regno di Pavia fu elevata a Principato da Arechi II che, amante delle arti e della cultura, realizzò numerose opere architettoniche, quali la chiesa di S. Sofia con il suo bellissimo chiostro. La fine della dominazione Longobarda segna il passaggio di Benevento al dominio Pontificio: testimonianze architettoniche di tale periodo sono la maestosa Rocca dei Rettori, il Duomo, Palazzo Paolo V, Basilica di S. Bartolomeo, la Basilica della Madonna delle Grazie. Dopo questa interessante passeggiata, raggiungevo Cerreto dove mi univo al resto del gruppo.
5 maggio 2013: Madonna della Neve > Monte Frattina di Mimmo Pace
La magnifica ascensione sul Monte La Caccia, vissuta qualche giorno prima, con gli amici del CAI di Castrovillari, se per un verso mi aveva pienamente appagato per la maestosità e la spettacolarità degli scenari, per l’altro mi aveva precluso, a causa della particolare conformazione della vetta, ogni possibilità di osservazione della superba fiancata Nord di quella montagna. Cosa si celava al di là della possente verdissima cortina del Petricelle? Di sicuro, nuovi orizzonti, nuove ignote bellezze, nuovi spettacoli della natura. Vinto dalla passione per l’avventura, dal desiderio e dalla speranza di scoprire e vivere qualche residua traccia di “sublime”, forse ancora custodita dalle nostre montagne, nonostante le mille violenze inferte dall’uomo e animato anche dalla tenace volontà di svelare e proporre all’indolenza pressoché generale, con lo scritto e per immagini, luoghi arcani e pregni di fascino, ho pianificato una sortita esplorativa in quei luoghi, assieme ad un altro arzillo e instancabile Mimmo, da qualche giorno collaudato settantenne, per aver modo poi di proporla tra le attività ufficiali della Sezione.. La nostra avventura ha avuto inizio a Buonvicino, un pittoresco paesello-presepe dell’alto Tirreno cosentino, le cui radici affondano nella civiltà magno greca. Salvato e Tripidone, i primi villaggi abitati da tribù d’origine greca, da cui poi nel XIII secolo ebbe origine Buonvicino, sorgevano, in luogo inaccessibile, a cavallo dell’orrida gola scavata dal Corvino, lungo l’importante via istmica, che, attraverso il Varco del Palombaro, collegava l’alto Tirreno con la Calabria Citeriore (la nota via del sale). Nel fondo della profondissima valle, proprio lungo quest’arteria d’altri tempi, le sparute casette di Serapodolo, un villaggio di pastori e carbonai, abbandonato negli anni ’50. Sul minuscolo paesino, veglia un colossale busto in bronzo del suo Patrono, l’abate S. Ciriaco, ancorato su di un aereo sperone roccioso, che incombe maestoso sul centro storico cittadino. Lungo un’irta stradina, in poco più di 3 km, si giunge al Santuario Madonna della Neve del XVIII secolo, posto a 720 m di quota: proprio da qui parte la nostra “missione” esplorativa. Già a inizio percorso siamo tenuti a destreggiarci nell’aggirare sulla DX l’impenetrabile lecceto, che riveste l’asperità a ridosso del Santuario; solo quando la fitta boscaglia inizia a diradarsi, possiamo impegnare la dura erta che ci condurrà sullo spoglio crinale, su cui rinveniamo un’esile traccia, che risale sempre più ripidamente lungo la linea di cresta, tra la vegetazione ora fitta ora rada. D’un tratto la traccia si biforca e il nostro sesto senso ci fa optare di intraprendere a SX, lungo il crinale che diviene sempre più aspro e boscoso, fin quando, da un’esile squarcio nella cortina di intenso verde, appare una spoglia vetta pietrosa: è la Pietra del Cisso, a 1345 m di quota, che regala sconfinati, sublimi orizzonti. Da qui, l’occhio scorre dall’immensa glauca distesa del Tirreno e dai suoi bianchi arenili, d’estate invasi da un turismo tanto caotico, quanto colpevolmente ignaro o scioccamente indolente verso tanta bellezza, all’elegante, dentellata, alpestre sagoma di Montea, che si erge possente dalle profondità della valle. Proseguiamo nell’esplorazione incedendo lungo l’interminabile linea di cresta, fin quando, risalito l’ennesimo groppone, la boscaglia, inaspettatamente, cede il passo a luminose praterie … una sublime tavolozza di colori sgargianti, che contrasta col verde intenso delle selve, che a perdita d’occhio rivestono i fianchi settentrionali del Petricelle e del La Caccia … ecco finalmente svelato il microcosmo tanto atteso! Ancora più in quota, le tre aeree cuspidi del Frattina - 1535 m - offrono visioni fiabesche e orizzonti smisurati ... groppe e quinte montuose che si inseguono all’infinito … valloni e forre profonde e inviolabili. Pur se in buona sostanza solo qualche chilometro in linea d’aria ci separa dalla Civiltà, che tumultua in nome del progresso, l’assoluto silenzio che ci circonda e l’assenza di segni della presenza umana, ce la fanno avvertire così tanto lontana. La giornata è pur sempre radiosa, ma brandelli nebbiosi si rincorrono e si accavallano veloci lungo la costa e sembra vogliano aggredire la montagna dalle sue falde. Sappiamo che la nebbia è l’assoluta padrona di questi luoghi, ma non demordiamo e, perdendo un centinaio di metri di quota, ci addentriamo nel bosco. Presto entriamo nel regno dell’incognito; il luogo è solenne; l’incedere diviene pura esplorazione, che esige intuito, istinto ed esperienza nell’orientarsi; ti senti piccolo e timoroso ad un tempo e se ti vince la voglia di percorrere quel lembo di foresta, che sa di primigenio, potrai scoprirne il “genius loci”, che in quei luoghi arcani si manifesta in tutto il suo fascino. Il nostro obiettivo è risalire sulla verde vetta del Petricelle, costeggiando, ai limiti del bosco, il filo degli imponenti strapiombi della parete Est, per ammirarne la natura selvaggia, fatta di splendide architetture di roccia, contorti pini loricati abbarbicati a instabili pietraie e profondi inghiottitoi. Il tempo di affacciarci a un fantastico belvedere proteso su paurosi dirupi e ci ritroviamo nella nebbia più fitta! Inattese folate di vento suscitano brusìi di foglie e strani cigolii, quasi lamenti, di rami contorti, mentre la nebbia, turbolenta, si sfilaccia, rotea, indugia, si dissipa rapida o si riappropria totalmente dell’ambiente a suo piacimento e, in un gioco malizioso e imprevedibile, giganteschi scheletri arborei consunti dal tempo e dagli elementi, torreggianti campanili e pinnacoli di nuda pietra grigiastra, sagome irreali di maestosi loricati, mutano forma, appaiono e scompaiono come fantasmi. Non si vede a un palmo dal naso e, sprovvisti come siamo di GPS, bussola e altri mezzi d’orientamento, non potremmo minimamente azzardare un tentativo di rientro; occorre solo mantenersi calmi e sperare almeno in una leggera schiarita. La fortuna ci assiste: dopo una buona mezz’ora trascorsa in fiduciosa attesa, repentine lame di luce, squarciando pur se fugacemente il cupo grigiore, illuminano il bosco e come per incanto il nebbione si dirada un poco, quanto basta per consentirci di intraprendere e percorrere, anche se con grande cautela, la via del ritorno. Alcuni mesi dopo, come da programma, ci siamo ritornati con gli amici del CAI. Una luce nuova inondava quei luoghi fascinosi e stregati, generando nuovi impatti cromatici, nuovi scenari e quindi nuove sensazioni ed emozioni, da associare alle antiche e riporre negli archivi della memoria e del computer, per aver modo di riaprirli allorquando, appesi gli scarponi al chiodo, vivremo solo di ricordi!
28 aprile 2013: Ferrata del Caldanello “Ramo Imperiale” di Carla Primavera
Anche nel nostro territorio, finalmente possiamo annoverare una ferrata "esposta", ossia con un "parte" a strapiombo nel vuoto. Un gruppo di giovani volontari appartenenti al Soccorso Alpino, mossi dall'amore per il territorio in cui vivono e con l'intento di far conoscere e allo stesso tempo salvaguardare l'ambiente che li circonda, ha ideato e realizzato questa magnifica ferrata "esposta", sulle gole del Caldanello, presso Cerchiara di Calabria che va ad aggiungersi al tratto di ferrata esistente. Proprio per questo quella di domenica, sul Ramo Imperiale della Ferrata del Caldanello, è stata un’esperienza “speciale”, ancor di più perché affrontata e vissuta in assoluta sicurezza. Infatti grazie alla collaborazione dei ragazzi del Soccorso Alpino e Speleologico della Stazione Pollino l’evento ha assunto di per sé un significato unico: il CAI e il CNSAS sempre e comunque uniti per un unico progetto, la SICUREZZA in montagna. Questo concetto è stato debitamente affrontato, sviscerato e acquisito da tutti, grazie alle egregia presentazione e dimostrazione delle tecniche di progressione che devono adottarsi in ambienti pericolosi, come appunto le ferrate. E chi poteva essere più adatto se non il Presidente Regionale del CNSAS Luca Franzese? Infatti i nostri accompagnatori, Luca e Paolo Franzese, coordinando tutti noi operatori del Soccorso, hanno fatto in modo che ognuno prendesse da questa esperienza il meglio in assoluta sicurezza. La partecipazione è stata notevole, in tutto 30 persone, amici e soci di Brescia, Castrovillari, Cosenza, Matera, Morano, Rossano, Mongrassano, Mormanno, Rende, Soverato e Saracena (i ragazzi dello Sci Club “L. Viola”), tra cui due quote rosa. Davvero una bella ed eterogenea compagnia! Il primo tratto di percorso prevede una calata verticale con corda, per avvicinarsi all’inizio del Ramo Imperiale, costruito appunto recentemente da alcuni operatori del CNSAS di Cerchiara, e successivamente una seconda calata fino al punto “vero” di partenza. Già per alcuni l’adrenalina è subito affiorata; guardarsi intorno e vedere queste pareti verticali di magnifica roccia e giù, in fondo, intravedere le acque del Caldanello, che spettacolo! La progressione su questa cengia è davvero fantastica, l’attenzione nell’uso delle longe di sicurezza sul cavo d’acciaio, gestire gli spazi tra chi ti precede e chi ti segue, responsabilizza ogni partecipante momento per momento, ed è il gestire la propria e l’altrui sicurezza, che rappresenta, a mio modesto parere, una forte crescita. Arrivati al tratto esposto, manca appunto “la terra sotto i piedi” e questa sensazione fa tendere al massimo i muscoli per tentare di vincere la forza di gravità! Ma ecco che nei punti più difficili c’è sempre uno di noi a fare assistenza tecnica e, perche no, morale! Qualche chiacchiera, qualche risata per sdrammatizzare il nostro essere “piccoli” dinanzi a tanta immensa “altezza” della natura. Ed è questo che ci spinge in questa magnifica avventura che è l’andare in montagna, la consapevolezza che, senza metterci in pericolo, riusciamo con le nostre forze e con l’aiuto dell’attrezzatura, a “vincere” paure ancestrali e terrori sopiti nel nostro inconscio. Facciamo i conti con gli altri, con noi stessi e non sempre tornano! Grazie a tutti davvero, a chi c’era e a chi avrebbe voluto esserci.
7 aprile 2013: Madonna del Riposo di Monte Sant’angelo di Mimmo Filomia
Nel dare il benvenuto, ai circa cento escursionisti presenti il Club Alpino Italiano di Castrovillari, organizzatore della riuscita e affermata manifestazione giunta alla nona edizione, ha inteso rivolgersi ai partecipanti con una frase efficace e convincente: oggi, cari amici riprendiamo da dove hanno lasciato i nostri nonni, cioè dalle sane abitudini che li vedevano salire, in tanti, dopo Pasqua su questo poggio. L’intenzione, come quella di allora, è stata quella di accompagnarsi con canti balli ed organetti fino alla cappella; qui contemplare, riposare e condividere in abbondanza i cibi pasquali conservati per l’occasione. Così è stato a giudicare dal multicolore serpentone che, partito dal centro, sul sentiero n° 920 di 4 km, ha vivacizzato la solitaria altura di Monte Sant’Angelo, salutata da alcune evoluzioni di un aereo leggero in ricognizione. Allora, la chiesetta, in forma ottagonale, era aperta al culto religioso; oggi, purtroppo, versa in gravi condizioni fisiche e spirituali. Aperta ai quattro venti è sconsacrata; sorretta solo dalla fede incrollabile, dei suoi figli che, la raggiungono a piedi, festosi, perché legati alla memoria del luogo salubre e contemplativo. Fu edificata più tardi, sulle ceneri di un romitorio, nel 1836 per opera del benefattore Andrea Bellusci. La Madonna del Riposo, prende il nome dal portamento del suo Bambino che lei regge con la mano destra sul cuscino a riposare. Ogni anno, sempre meno gente viene a compiere il rituale gesto di accendere le lampade votive, in questo monumentale bianco obelisco che, di notte, diventa il faro di Castrovillari, la cui fioca luce è visibile dalle strade della città; di giorno è un riferimento istintivo ed un mea culpa per quanti la lasciano cadere a pezzi. Tutto ciò non è nostalgia del passato, ma, diritto di partecipazione dei cittadini, ad accedere e decidere sui beni immateriali. Con questa escursione culturale religiosa, il CAI di Castrovillari si qualifica ulteriormente nel ruolo di promotore di sentieri tematici di montagna. Favorisce la valorizzazione e la frequentazione della stessa, consente, la ripresa di antichi riti ad essa connessi ed a tutti di appropriarsi o riappropriarsi del proprio territorio, tutte le volte che lo vorranno. A divulgare in tempo reale l’evento ha contribuito l’amico Antonio Pandolfi in diretta da Media Telecom Kontatto Production.
24 marzo 2013: Valle dell’Abatemarco - Monte La Calvia di Franco Formoso
Escursione ad anello: valle dell’Abatemarco (450m) – Canalone della Calvia – Monte La Calvia (1910m) – Cozzo del Pellegrino (1987m) – Canalone del Pellegrino – Valle dell’Abatemarco.
In programma era fissata per il 27 gennaio, ma poi le cattive condizioni sia del tempo, che del canale, ci avevano costretto a rinunciare e ad optare per un’uscita diversa. Ma il richiamo di questo splendido e selvaggio itinerario, non si era mai spento e considerato che in questo periodo di solito questi canali vanno in condizione, l’abbiamo riproposta per l’uscita odierna, sperando di trovare una bella giornata. L’appuntamento è a Verbicaro per le ore 7, ma siamo un pò in ritardo per le tante frane che, a causa delle notevoli piogge, tormentano questa nostra terra. All’appuntamento ci ritroviamo in 11, tra cui due belle donzelle che rappresentano le uniche quote rosa; coraggiose, e decise ad affrontare questa difficile scalata, trasmettono agli altri componenti del gruppo, solarità ed entusiasmo. Arrivati al punto di partenza con una mezzoretta di ritardo sulla tabella di marcia, ci prepariamo e siamo pronti a partire. Il tempo è stato clemente, infatti ci offre una bella e calda giornata di sole. Di fronte a noi uno spettacolo mozzafiato ci accoglie già ai primi sguardi: dall’alto, l’austero e superbo Canalone del Pellegrino ci osserva con distaccata superiorità; più a sinistra Cozzo dell’Orso e gli orridi dirupi di Boccademone incombono sulla stretta valle dove il fiume Abatemarco , scendendo dai declivi della Carpinosa, serpeggia verso la costa. Girando ancora lo sguardo, il Monte Trincello domina l’altro versante con le sue irte e ripide pareti, e troneggia su antichi resti di casolari in pietra, testimonianze di un antico abitato. Dopo un breve briefing ci avviamo e già prima del bosco dobbiamo alleggerirci perché il caldo ci fa sudare e abbiamo bisogno di integrare i liquidi. Nel bosco seguiamo le tracce ed i segni lasciati due giorni fa da una mia esplorazione di cui sento ancora stanchezza e dolori. Proseguiamo per un’ora tra rovi e vegetazione , nel bosco fa ancora più caldo, ma pian piano gli alberi iniziano a diradarsi e il rumore della cascata che scende dalla Carpinosa, ci fa capire che stiamo arrivando all’imbocco del canale. Infatti dopo un po’ arriviamo alla biforcazione. Diritto sopra di noi, inizia il canale della Calvia (la nostra meta di oggi), più a sinistra, a 50 m di distanza circa, quello del Pellegrino. Arrivati finalmente nella neve, constatiamo che è bella dura ed allora via, subito i ramponi ai piedi e iniziamo a risalire il canalone. Essendo più esposto di quello del Pellegrino e meno incassato, notiamo subito che ha risentito del caldo di questi giorni, infatti in alcuni punti dove si allarga, la neve si è sciolta. Inizio a provare un pizzico di delusione, perché 2 giorni prima l’altro era pieno di neve. Intanto si alza un vento caldo e molto sostenuto che soffia da Ovest, brutta cosa, infatti da li a poco iniziano a cadere pietre che fiondano, a causa della forte pendenza, a valle rendendo un pò pericolosa la salita. Ma grazie agli avvertimenti di chi è avanti ed all’attenzione di tutto il gruppo, non abbiamo problemi e si continua a salire in tutta tranquillità. Arrivati a metà canale la situazione migliora, il canale è tutto pieno e le sponde offrono splendide visioni di pini loricati e bizzarre conformazioni rocciose. Il sole che picchia dall’alto crea sinuose ombre negli anfratti, e tutto intorno sfavillanti giochi di luci rendono il panorama sublime, mentre il vento, impazzito, cambia spesso direzione. Dopo una breve sosta prendiamo le piccozze e ci prepariamo ad affrontare l’ultima parte del canale. In questo punto si divide, noi prendiamo il ramo di destra dove l’anno scorso ho risalito un canalino d’uscita molto bello, stretto e con una pendenza di circa 60°. Arrivati alla base del canalino, constatiamo che rispetto all’anno prima c’è meno neve ma si presenta più tecnico e con un piccolo saltino al centro. L’adrenalina inizia a salire! Dopo aver appurato che a parte qualcuno sprovvisto di una seconda piccozza, tutti son pronti e decisi a risalirlo, partiamo e con grande soddisfazione e una sana dose d’orgoglio, uno alla volta arriviamo alla cresta con l’adrenalina che gira a mille e la tensione alle stelle. Essendo salito per primo, mi godo la salita dei miei compagni. Da organizzatore assieme a Massimo dell’ escursione, sarà difficile per me dimenticare questi momenti: la soddisfazione e la gioia di chi per la prima volta ha fatto un’esperienza del genere. Come non commuoversi davanti al viso raggiante di Mariella, agli occhi estasiati di Carla, al grido di Pasquale e ancora al volto radioso di Vincenzo, alla soddisfazione di Domenico, alla fierezza di Luigi e alla felicità di tutti gli altri? Vorrei abbracciarli tutti quanti, questi momenti sono intensi e profondi e rimarranno indelebili nel tempo. Sono le 13,30, dopo essermi congratulato con tutti, visto che abbiamo il tempo, chiedo se gli altri son d’accordo a salire sul Cozzo del Pellegrino e ridiscendere per l’altro canalone, cosi da realizzare un anello e vedere tutti e due i canali. Tutti d’accordo. Usciamo sulla cresta che porta alla Calvia, dove un forte vento ci assale e la neve morbida dell’altro versante, ci fa sprofondare fino al ginocchio. Allo stesso tempo però, la sublime visione del panorama che si offre ai nostri occhi, vale da sola tutte le fatiche che stiamo facendo. L’enorme cavità del canale della Calvia, sotto di noi, sembra inghiottirci con i suoi dirupi e le sue guglie acuminate, mentre di fronte i roccaforti del Pellegrino, dominano dall’alto l’altra enorme ferita che scende paurosamente per mille metri verso valle, con pendenze vertiginose. La grande quantità di neve caduta quest’inverno, riempie la piatta cima della Calvia e modella con stupefacenti cornici la cresta che porta verso la vetta del Pellegrino. La visione è meravigliosa e gli otturatori delle fotocamere sono impazziti. A passo lento, in fila indiana, ognuno concentrato nei suoi pensieri e con lo sguardo incollato a tanta magnificenza, superiamo il breve dislivello che manca e con grossa soddisfazione e sospiri di sollievo, arriviamo sulla vetta del Pellegrino. È un susseguirsi di pacche sulle spalle e abbracci e rallegramenti. Cosa c’è di più romantico del bacio liberatorio di Carla e Luigi mentre mano nella mano avanzano verso la vetta? Negli occhi di tutti leggo soddisfazione, orgoglio e gioia! E lo stesso traspare anche negli occhi miei e di Massimo. Sono le 15, abbiamo appena il tempo di mangiare qualcosa mettendoci sottovento e di fare la consueta foto di gruppo, che dobbiamo avviarci perché il ritorno e lungo e abbiamo il Canalone del Pellegrino da discendere. Solo che è difficile lasciare questo posto, da quassù vedi tutto. È una delle poche vette da dove puoi vedere i due mari. Mi concedo 5 minuti di isolamento per gustarmi fino in fondo l’affascinante spettacolo che si offre alla mia vista: a Nord tutto il massiccio del Pollino con le imbiancate vette del Caramolo, Serra del Prete, Pollino, Dolcedorme, Manfriana; più a Est spiccano il Monte Sparviere e il Sellaro che declinano dolcemente verso il Mar Ionio; più avanti l’altipiano della Sila e le valli dell’Esaro e del Crati; poi in Lontananza Monte Cocuzzo e tutta la Catena Paolana, il Mar tirreno e tutto il versante dell’Orsomarso con le ammantate cime del Petricelle, Monte La Caccia, Montea, Mula. Per finire tutto l’Alto Tirreno con le sue lunghe coste e i lontani rilievi dei Monti che si perdono a vista d’occhio. È ora di scendere. Ci portiamo all’imbocco del canale, è molto ripido e un fa po’ paura. Dopo qualche suggerimento su come affrontare la discesa, iniziamo a muoverci . La prima parte del canale, causa la forte pendenza, sicuramente non è facile e qualcuno ha qualche problema dovuto sia al timore sia al fatto che è la prima volta che scende una pendenza cosi forte. Poi dopo un centinaio di metri, la neve un po’ più morbida e la pendenza più attenuata permette a tutti di superare le paure iniziali e si procede più velocemente. Il Canalone del Pellegrino! Per apprezzarlo e goderlo fino in fondo, bisogna risalirlo e vivere la magia dei suoi tesori nascosti, rispetto a quello della Calvia è più lungo di cento metri, più incassato e quindi meno esposto ed è per questo che è pieno di neve fino a tarda primavera. Ma l’ora tarda e la stanchezza, fanno si che si pensi solo a scendere e ad arrivare a valle prima che faccia buio. Va beh, chissà che in futuro non si possa fare l’anello al contrario. Arriviamo al bosco alle 17,30, siamo stanchi ma ormai è fatta. Togliamo i ramponi, depositiamo le piccozze e dopo esserci rifocillati, affrontiamo l’ultima tappa fino alle auto. L’aria è molto calda e nel frattempo le prime ombre della notte affievoliscono i rilievi dei monti fino a farli diventare linee che contrastano con il blu scuro del cielo. Il Pellegrino ci guarda dall’alto. Una lunga ferita bianca che squarcia il buio della montagna. Infine per colorare il tutto, una splendida luna velata sorge sul Pellegrino e guida i nostri ultimi passi verso le auto. La lunga giornata è finita, stanchezza , dolori ma anche soddisfazione e appagamento. Un abbraccio e un arrivederci a presto e ognuno si avvia verso la propria casa, provato ma sicuramente più ricco di una bella esperienza e di una grande avventura in cui ci si è misurati con se stessi, con le proprie forze e i propri limiti. Alla fine rimaniamo in pochi e come accade quasi sempre dopo le escursioni, ci ritroviamo seduti davanti ad un tavolo di ristorante, ma questa è un’altra storia.
10 marzo 2013: Il Dolcedorme per “Scilla e Cariddi” di Massimo Gallo
“Scilla e Cariddi”… così vengono chiamati questi due singolari torrioni di roccia, che, protesi verso il cielo, sembra che cerchino lo slancio per arrivare finalmente a toccarsi. Siamo nel dirupato e affascinante versante Sud della Serra Dolcedorme, nel Parco del Pollino, la zona che questa estate è stata gravemente ferita dal fuoco che in pochi attimi ha saputo distruggere ciò che la natura aveva creato in centinaia di anni. Molti degli stupendi esemplari di pino loricato giacciono inermi al suolo, anneriti da quell’inferno di fuoco di cui sono stati vittime inconsapevoli. I danni dell’incendio oggi si notano poco dal basso, tutto è coperto dalla neve, l’inverno ha nascosto ma non rimarginato le ferite. Era questa un’uscita programmata per il 17 febbraio, ma le condizioni della neve ci avevano fatto desistere, c’era tanta neve fresca ed elevato rischio valanghe. L’obiettivo è appunto il canalone di “Scilla e Cariddi”, che io preferisco comunque indicare come “Canalone dei Gendarmi di Pietra” come li definisce Francesco Bevilacqua. Ma torniamo a questo gruppo di appassionati soci del CAI di Castrovillari, che accomunati e spinti dall’amore per le montagne del Pollino, tentano ancora una volta l’ascesa al tetto della Calabria per il suo lato più impervio ma nello stesso tempo più bello. L’appuntamento è fissato alle 6, vista la temperatura alta e il forte dislivello da coprire, e così tutti puntuali ci ritroviamo pieni d’entusiasmo. L’uscita è in collaborazione con l’associazione “Amici della Montagna” di Bisignano (di cui anch’io sono socio) con i quali la nostra sezione organizza e condivide tante belle uscite da ormai molti anni, che oggi è presente con 4 componenti, oltre a me naturalmente, che sono qui come socio di entrambi i sodalizi, a guidare l’escursione. Alla partenza ci demoralizza un pò il fatto di vedere la “nostra” montagna indossare un cappuccio di nuvole, infatti al momento di incamminarci siamo consapevoli che da qui a poco ci ritroveremo in una coltre bianca, ma così non è, infatti, come per miracolo o come per ricompensa alla nostra sete di “bellezza” la nebbia si alza insieme a noi, più saliamo e più lei sale davanti a noi. Ammiriamo i due torrioni in tutta la loro selvaggia bellezza, mentre i pini loricati pensili che popolano le loro pareti continuano la loro lotta per la sopravvivenza in un ambiente così ostile, e, nemmeno il tempo di contemplare codesta opera d’arte della natura, che ci ritroviamo dinanzi al primo salto della via, che comunque superiamo agevolmente, visto che è stato ben riempito dalle scariche di neve che puntualmente qui vengono giù. Una stretta lingua di neve compatta ci porta infine sulla sua sommità, e da qui, dritti verso il secondo gradino della via, anche questo pieno, che si lascia addomesticare facilmente. Bene, anche essendo attrezzati con corde, moschettoni ed imbraghi, non si è presentata la necessità di usarli, e poi, c’è da dire che il gruppo è ben preparato e non ha problemi a superare queste piccole difficoltà che l’ascesa ci impone, intanto guardo Mimmo mentre con il suo fare da eterno ragazzino supera agilmente le asperità del percorso. Non finirà mai di stupirmi per la sua vitalità e per la sua modestia. Siamo ormai nel canalone della direttissima, superiamo il “Cippo Grandinetti” con il sole che ci accarezza, la nebbia ci ha lasciati e possiamo ammirare la grandiosità del luogo in cui ci troviamo. Purtroppo vediamo anche molti pini loricati distrutti dal fuoco, e la cosa ci intristisce non poco. Scegliamo di non seguire uno dei canaloni principali, ma di impegnare una variante che ci porterà con pendenze leggermente superiori, a sbucare sopra la strettoia della cosiddetta “Gola del Turbine”, subito dopo il punto in cui fino a qualche anno fa giaceva un tronco di pino loricato incastrato che creando un saltino che quando in inverno si trovava ghiacciato era divertente da superare. Purtroppo, viste le alte temperature, le condizioni della neve non sono delle migliori, e la progressione risulta faticosa, e ci alterniamo al comando, ed è qui che Francesco mostra le sue doti atletiche battendo per un bel tratto la pista! Come uscita ci riserviamo una crestina libera da neve, giusto per non farci mancare nulla, un tratto con facili passaggi su roccia che ci regala le ultime emozioni della scalata prima della cima, che raggiungiamo accompagnati in cresta da un vento fortissimo che soffia da Ovest. Dopo i complimenti di rito, e naturalmente dopo aver messo qualcosa sotto i denti, ci avviamo in discesa verso il passo di Valle Piana da dove poi impegneremo il largo canalone di discesa che ci porterà di nuovo nei pressi dei due torrioni di roccia di Scilla e Cariddi, non prima però di averci fatto ammirare delle splendide visuali dei canali superiori della Serra Dolcedorme, di tutto il suo versante meridionale e di tutta la bastionata delle Murge di Celsa Bianca. Luigi fa la discesa con gli sci, mentre io e Domenico fantastichiamo su possibili nuove salite che ci mostra la “nostra” montagna, mai paghi di quello già fatto e sempre alla ricerca di nuove emozioni, come lo sono d’altronde tutti i nostri amici del CAI, ed è proprio questo che ci tiene vivi, la consapevolezza che ogni volta sarà una nuova avventura!
3 marzo 2013: Anello di Celsa Bianca di Mimmo Filomia
Preferire il tepore domestico o accontentarsi della solita passeggiata cittadina al piacere di andare sulla neve che imbianca i tuoi monti significa non sentire il richiamo della montagna, di vivere una giornata all’aperto, di perdere l’attimo fuggente che si rivela ai tuoi occhi nella sua metamorfosi di rara bellezza, creato da fenomeni atmosferici concomitanti. Qui, gnomi e folletti nel paese degli elfi della luce, esistono davvero, creati dall’evolversi di fenomeni naturali che si generano interagendo con le forme emergenti sul territorio, stuzzicando la fantasia degli uomini che vanno alla ricerca di luoghi affascinanti, incontaminati, inesplorati, proprio come all’indomani dell’ennesima nevicata. Gli escursionisti sanno bene che esistono luoghi magici che la montagna custodisce gelosamente, essa però li rende più accessibili, meno proibitivi e insormontabili grazie alla forza di volontà ed unione del gruppo che riesce a far superare agli uomini ansie e paure nell’affrontare la progressione in montagna. L’affiatamento fra camminatori in montagna è vitale; non è una pratica che si acquisisce dall’oggi al domani, la sua predisposizione, è un volano d’energia che fa vincere la fatica del gruppo e, in ogni modo, alcune volte, l’escursione che non si porta a compimento è la migliore riuscita; ci sprona a mettere più entusiasmo e concentrazione nella successiva. In fondo la montagna è lì che aspetta la nostra presenza! Certamente, cosi come non tutte le ciambelle escono con il buco, anche alcune escursioni come quella odierna, seppur programmata nei minimi particolari, ha dovuto subire degli aggiustamenti e dei cambiamenti in corso d’opera a causa dell’eccessivo innevamento, delle condizioni meteo e del particolare itinerario. La partenza ci ha visti da subito entusiasti e impazienti di iniziare la progressione da Valle Piana (900m) di Castrovillari. Finalmente, una bella giornata! Ci siamo detti tutti; ma, di lì a poco, dapprima folate di nebbia poi sempre più insistenti corpi nuvolosi ci hanno accompagnato nella progressione sul sentiero stravolto da frane, con alberi piegati come fuscelli sommersi dalla neve (un tempo era a cura dei boscaioli recuperare la legna e pulire cosi il sentiero). Le condizioni della neve, nella quale affondano scarponi e ghette ci rendono difficoltosa la ricerca del sentiero, la cui traccia, caduta in prescrizione per colpa di chi avrebbe dovuto segnarla, rimane sempre indelebile nella memoria dei primi della fila consentendo loro, con buon orientamento, di guadagnare nuovamente il sentiero d’altura: la Tagliata, nei pressi della croce lasciata dall’umana pietà, ad imperituro ricordo degli avieri precipitati. In queste condizioni si avverte una naturale e giustificata sofferenza del gruppo che addirittura appesantisce lo zaino di grande impazienza. Il gruppo si sgrana affonda nella neve seguendo il filo d’Arianna costituito dalle orme di chi avanti precede a fatica. Ad ogni buon fine si deve fare tesoro d’ogni piccolo inconveniente ed accettarlo come sfida al terreno ostile e considerarlo come una piccola lezione d’orientamento che fa bene all’autostima. Ad un terzo del percorso, nei pressi del varco di Pollinello (1700m) decidiamo di proseguire avendo cura di superare un passaggio insidioso reso tale dalla neve instabile sulla roccia. Per fortuna salendo di quota sul groppone di Celsa Bianca le condizioni meteo migliorano, anche la neve, più solida, ci permette una progressione più spedita. Saliamo come tante formiche colorate dal costone Ovest di Celsa Bianca; l’immensa coltre bianca ha appiattito ogni asperità. Ad ogni passo si aprono dinnanzi a noi prospettive inedite dei monti che riconosciamo nel loro abito invernale. Sulla nostra sinistra troneggia la sagoma del Pollino gonfia di neve che, attraverso la sua grande frana, cola come panna sui piani, su cui si stagliano la Serra delle Ciavole e, più lontano, la Serra di Crispo. Lungo il cammino ci vengono incontro bizzarre figure modellate dalla furia degli elementi che costringono rocce, arbusti ed alberi a cambiare identità. Il sentiero ci conduce in un immenso bianco salotto, dalla volta azzurra, dentro il quale trovano spazio, agli angoli, alberi argentati stilizzati, qua e là, sofà di roccia molleggiati di soffice neve. Alberi spezzati e carcasse di tronchi, sono le porte e gli archi panoramici degni di accogliere, provenienti dalla fantasia umana, gnomi e folletti nelle serate danzanti sotto le stelle. Alla nostra destra, lungo la sua cresta, c’è l’anfiteatro di Celsa Bianca. Oggi è un immenso calderone fumante che genera vapore, trascinato sorprendentemente da un vento sferzante, che crea in continuazione, all’orizzonte, stupendi e multiformi cirri e cumuli. Due figure speculari di pini Loricati, uno lussureggiante, l’altro rinsecchito da una saetta; svettano come periscopio, nella nebbia nel tentativo centenario, di portare la chioma colma di cristalli di ghiaccio ad osservare oltre la rupe. Di fronte, di bianco vestita, ci appare la vetta Ovest del Dolcedorme: è lontana e sembra esortarci a compiere un altro sforzo per raggiungerla, ma oggi, invece, sarà un altro gruppo d’amici della montagna a raggiungerlo che scorgiamo, come virgole articolate, mentre la scalano per la Direttissima. Proseguiamo sul punto più alto della Celsa Bianca puntando diritti verso la Timpa di Vallepiana (2167m); lo facciamo lungo il dorso della rupe sperando di affacciarci nella sua depressione per osservare, quello che poche volte la nebbia concede: la colonia di Loricati abbarbicati alla roccia, i più temerari a dare spettacolo di sé. Il gruppo si ricombatta cento metri più giù della quota di cima Dolcedorme, in un angolo soleggiato all’inizio della lingua del canale di Timpa di Vallepiana. Dopo la breve pausa colazione, ci lanciamo letteralmente nella cascata di neve che ci accompagna soffice e fonda fino alla "Nivera*" per poi riprendere il sentiero dell’andata che, percorrendolo a ritroso, ci consente ritornare alle auto, affaticati ed entusiasti per avere incoronato, questa volta, in senso orario, la Celsa Bianca.
(*) "A Nivera" nell’idioma locale, rappresenta una pratica rudimentale dello stoccaggio naturale della neve. In passato, fino al 1945 circa, quando non c’era l’industria del freddo, è stata una risorsa locale per la refrigerazione nei mesi estivi. Negli anfratti, buche, strettoie fra rocce, la neve era pressata e coperta con arbusti e paglia per la conservazione e, l’uso poi d’estate. Il trasporto avveniva di notte, per sfruttare le ore più fresche, a dorso di muli fino in paese. Il ghiaccio tagliato in loco, serviva a refrigerare per accostamento, cibi e bevande ed è stato un esempio di sostentamento per famiglie. Giusto per restare in Calabria, per la sua conformazione montuosa tutti i comuni, per spirito d’appartenenza ai luoghi, hanno il loro sentiero storico culturale in cui s’identificano. Soltanto Castrovillari, al centro del grande emiciclo su cui si ergono maestosi i monti più rilevanti del Parco del Pollino, si vede privato di questa prerogativa, perché altri si sono arrogati il diritto di metterlo in evidenza ed in rete, con segnali univoci e rimodellarlo in sicurezza, senza riuscirci, sto parlando dell’antico sentiero dei castrovillaresi: La Tagliata.
24 febbraio 2013: Pollinociaspole di Mimmo Filomia
L’attesa escursione notturna sulla neve, con le racchette da neve ai piedi, organizzata dal CAI Castrovillari, si è svolta, nonostante le previsioni meteo sfavorevoli. La manifestazione, ha avuto, da subito, un euforico avvio sulla pista di sci da fondo nei pressi del rifugio Fasanelli (1327m) a Piano Pedarreto. L’allegra e variopinta brigata dei 33 ciaspolatori alle 17 si è incamminata in direzione del Montagna di Grasta (1465m), ottimo punto panoramico sui centri urbani della sottostante valle del fiume Lao. Queste performance, oggi, sono rese possibili grazie all’ausilio di attrezzature e indumenti protettivi d’avanguardia. La facile progressione di complessivi 5 km, è stata favorita dal soffice e spesso innevamento. Un viaggio all’incontro del buio, nel bosco, tra due ali di faggi stilizzati, per provare la sensazione di stare in contatto della montagna, per superare le paure e le ansie di un ambiente ritenuto, a torto, ostile ed abitato da gnomi malefici, qui, spinti a rifugiarsi assieme a branchi di lupi ringhiosi con le bocche fameliche spalancate. Nulla di tutto questo, anzi, il buio ci ha avvolto in un’atmosfera ovattata sopraffatta dal bagliore sempre vivo della neve riflesso e, da quello animato, delle lampade frontali che come nodi luminosi, hanno tenuto legata la colonna in marcia. Sul candore fatato del piano degli Elfi, completamente avvolti nella nebbia, ci siamo riuniti in religioso silenzio, per ascoltare un’altro silenzio, quello magico della montagna; la cui risorsa gestita nella maniera sostenibile, rappresenta un Bene Rifugio per tutti, che, tonifica spirito e corpo, lontano dal caos vorticoso. Nel buio della notte si avverte il bisogno di magia, per essere migliore e, per superarsi nel vedere oltre a quello che non si riesce a vedere. Sulla via del ritorno, il vento, amico degli audaci ha scompigliato le nuvole basse e minacciose di neve e, cosi, anche la luna ci ha raggiunto, dall’alto del cielo, impegnata fino allora a rischiarare altre contrade. Con essa, si sono fatte vive le costellazioni in tutto il loro splendore e, noi, con il naso all’insù abbiamo fatto un viaggio a ritroso al tempo in cui i segni zodiacali guidavano gli uomini durante gli spostamenti, proprio come gli attuali nostri navigatori satellitari. Ancora una volta il CAI si è proposto alle donne ed ai giovani, affinché imparassero a rispettare, amare e frequentare la montagna anche per l’esercizio sportivo a ritmi lenti che, da un verso fa crescere l’autostima di sé, dall’altro contribuisce a rivalutare con la presenza, tutte le peculiarità delle nostre terre alte.
27 Gennaio 2013: Montea “Via del Monolite”: Le Alpi al sud! con il Geotrek di Domenico Riga
Non posso che iniziare il racconto dell’escursione con la sua chiosa finale: EMOZIONANTE!!! Avevo già avuto quest’inverno la fortuna di salire su Montea ai primi di Dicembre in una giornata di cielo sereno e neve dura e quando Massimo mi ha comunicato che la prevista ascesa su La Calvia sarebbe stata sostituita dalla “Via del Monolite” d’istinto ho risposto: no, non mi và, ci siamo stati l’altra volta. Poi piano piano ho riflettuto meglio. Mica la montagna è sempre uguale! In inverno poi! In più ci saranno tanti amici vecchi e nuovi. Ok, andata, ci vado! Salto però la serata danzante e i bicchieri di buon vino che hanno allietato il sabato a Sant’Agata di Esaro assieme agli amici del Geotrek e arrivo direttamente all’appuntamento la Domenica. Sono tutti un po’ euforici e mezzi addormentati. Prendiamo la sterrata per la fontana di Cornia. Ognuno riesce ad arrivare fin dove gli consente la propria auto e così, pian piano e alla spicciolata, arriviamo allo spiazzo di partenza. È proprio vero che la montagna unisce! Siamo in 40, provenienti da Puglia, Basilicata e Calabria. Ci sono soci CAI di Castrovillari, Cosenza e Catanzaro, l’Associazione Geotrek di Castellana Grotte, esponenti dell’Associazione Falco Naumanni di Matera, altri amici di Reggio Calabria, insomma, in poche occasioni noi meridionali riusciamo ad essere così uniti e spinti da un fine comune e il ritrovarsi tutti qui oggi è davvero EMOZIONANTE. Sono contento di aver cambiato idea. Ci incamminiamo lungo il sentiero che costeggia il versante Ovest della montagna e che, se percorso integralmente, giunge al Passo de La Melara e al bel rifugio alpino di Serra La Croce. Mi metto in coda per chiudere il gruppo e poter così dare una mano a chi eventualmente ne avesse bisogno. In effetti rimango attardato con un gruppetto di persone, ma tra una chiacchierata e l’altra, arriviamo senza eccessivi patemi al monolite e, da qui, sulla cresta. Nel preciso istante in cui sbuco su di essa mi appare davanti uno degli spettacoli più incredibili che abbia mai visto! Una moltitudine di puntini variopinti si muove seguendo gli andamenti sinuosi dei picchi innevati e sbuca ripetutamente da dietro i rami di pini loricati centenari stracarichi di galaverna. EMOZIONANTE. Forse è la prima volta che così tante persone si ritrovano qui in inverno, ma non è questo l’importante. L’importante è essere uniti idealmente gli uni agli altri e aiutarsi reciprocamente durante l’ascesa, nei punti (e ce ne sono diversi) nei quali è necessario sangue freddo. Per me, al di là degli scenari fiabeschi, è questo il ricordo più bello della giornata. Ceduto il compito di ultimo del gruppo ad altri risalgo la fila fino al punto trigonometrico dove qualcuno si è fermato, ma i più volenterosi sono già partiti per la cima. Il primo valloncello sotto il punto trigonometrico è il passaggio chiave. In altri periodi si può fare un piccolo traverso e riprendere la cresta una decina di metri più avanti, ma con le condizioni di oggi, per di più con neve farinosa, dobbiamo risalire leggermente e disarrampicare sul filo di cresta. EMOZIONANTE. Adesso siamo tutti vicini, ci sproniamo e ci aiutiamo e alla fine riprendiamo di nuovo la marcia verso la cima. A questo punto raggiungo Massimo, che ha battuto traccia dall’inizio (GRANDE!!) e provo a dargli il cambio, ma che fatica!! In ogni caso manca poco, solo un ultimo sforzo, ma a questo punto niente può più fermarci, tale e tanta è la determinazione e la motivazione di quelli che sono arrivati fino a qui. Uno alla volta e lentamente raggiungiamo la vetta, la vera cima di Montea a 1825 metri di quota. EMOZIONANTE. Per un “nordico” che leggesse sarebbe facile dire, ma come 1825 metri di quota? E che montagna è?? La mia risposta non potrebbe che essere: “prova ad andarci con queste condizioni e vedrai”. Alla fine arriviamo sulla cima in 18. Abbracci e complimenti e, come mi è già capitato altre volte su questa montagna, il viso di chi è qui per la prima volta che, senza dire niente, dice tutto. Momenti indelebili nella memoria ed esperienze che auguro a tutti almeno una volta nella vita. La discesa si svolge senza fatica lungo il solco tracciato all’andata, solo nei punti più esposti è necessario dare una mano ai meno esperti, ma sempre entusiasti, partecipanti. Purtroppo, una volta entrati nel bosco per tornare dalla “via normale” incontriamo notevoli cumuli di neve fresca e sprofondiamo fino oltre le ginocchia, cosa che rallenta molto la marcia e ci costringe a tenere alta l’attenzione, per evitare infortuni proprio alla fine. Ci siamo molto sparpagliati e, arrivati alle prime macchine, dopo un pò apprendiamo che Massimo è parecchio indietro perché qualcuno ha difficoltà e sta scendendo lentamente. Riusciamo a metterci in contatto e ci dice di essere all’ingresso del sentiero nel bosco, ne avrà per almeno un’altra ora. Pian piano c’è chi inizia a scendere, mentre altri accendono un fuoco al capanno per riscaldarsi nell’attesa. Alla fine tutto si conclude per il meglio e col buio ci ritroviamo in piazza a Sant’Agata, per bere qualcosa di caldo e salutare calorosamente quanti si sono sobbarcati diverse ore di macchina per trascorrere una giornata in montagna e vivere un’esperienza indimenticabile. Spero sinceramente di avere in futuro l’opportunità di vivere altre esperienze così forti di condivisione e amicizia. EMOZIONANTE! Un’ultima considerazione: qualcuno ha addotto la sua scarsa performance al nettare degli Dei ingurgitato la sera prima. Non sarebbe meglio chiamare le cose con il loro nome? Alla prossima…
20 gennnaio 2013: Piano Novacco - Monte Palanuda di Giancarlo Falbo
Lo Scirocco è stato il protagonista indiscusso dell’escursione sul Monte Palanuda . Questo vento caldo, umido, ma costante e non rafficato, ciclicamente si presenta sul meridione ed influenza spiccatamente il nostro clima. Puntuale l’arrivo a Novacco: però la giornata non lascia presagire niente di buono: neve marcia, pioviggine, nuvolosità estesa con fitte nebbie verso la zona dove ci dobbiamo dirigere. Nonostante ciò, un serpentone di trenta, fra sciatori e ciaspolatori, si snoda verso ovest sotto una tenue e fastidiosa pioggia, attraversando il piano completamente innevato. Dopo la prima ora di marcia però le cose cambiano e le nubi iniziano a diradarsi, anche se il cielo conserva i colori spenti del clima ostrale. Il vento ancora non si sente ma, dopo le due ripide salite, all’arrivo sul percorso di cresta diventa forte, ma non fastidioso perché surrealmente caldo in uno scenario tipicamente nordico. Ci accompagnerà nel resto dell’itinerario, spirando molto forte sulla cima, ma consentendoci una visione panoramica a 360 gradi fino al golfo di Policastro ed a capo Palinuro. Sulla via del ritorno: breve sosta rifocillante ricca di “vapori alcolici”, ed evoluzioni, anche a volo d’angelo…. degli sciatori su una neve non molto facile…. Il protagonista della giornata è ancora lì, al nostro rientro nel piano di Novacco, ed anche se ridotto d’intensità, ci fa un ultimo regalo permettendo di provare qualche divertente bordo di snow-kite! Giornata nel complesso piacevole ed appagante! Un ringraziamento per la sua realizzazione agli amici dello sci club “Leone Viola” ed al socio Mimmo Mandarino, solerte controllore del gruppo di coda.
13 gennaio 2013: Piano Ruggio - Belvedere del Malvento di Carla Primavera
Amici, è davvero difficile organizzare un’escursione, per le condizioni meteo variabilissime, per l’alto numero dei partecipanti e per quella sorta di “macchina organizzativa” che a volte stenta a partire. La prima escursione del 2013 era abbastanza attesa, dopo una pausa di fine anno di circa un mese avevamo davvero desiderio di andare! Nonostante le innumerevoli telefonate intercorse tra gli organizzatori, per decidere itinerario e percorso in base al grado di difficoltà promesso, doveva essere una EAI, e con l’ausilio di altri amici che nelle giornate precedenti ci hanno tenuto costantemente informati sulla variabilità meteo, ebbene, all’ultimo momento abbiamo dovuto cambiare ulteriormente itinerario! Nulla di grave in realtà, semplicemente si è messa a dura prova la duttilità del “Socio CAI”. I nostri numerosi amici, addirittura 30, sono arrivati puntuali all’appuntamento, compresi dei nuovi soci di Cerzeto e dei “vecchi” amici del CAI Cosenza. Arrivati abbastanza agevolmente a Piano Ruggio, ci ha accolto una piacevole nevicata, e proprio quest’ultima ci ha fatto desistere dall’intraprendere la strada per Colle Impiso e da lì per Piano di Gaudolino, meta inizialmente pensata. Quindi ci siamo diretti verso il Belvedere del Malvento, posto sempre affascinante per la magnifica vista che concede, sia per il crestone di loricati sulla sinistra, sia per tutta la vallata panoramica frontale. Al ritorno, imboccando il sentiero che porta sul Monte Grattaculo, siamo saliti un pò in quota, ammirando dall’alto il fantastico Piano Ruggio e la favolosa Serra del Prete. Davvero una bella passeggiata, adatta sia a chi viene regolarmente a “ciaspolare”, sia a chi si avvicinava per la prima volta a questa pratica. Doveroso aggiungere il favoloso pranzo al sacco, consumato con la gioia di chi ha dedicato qualche ora al proprio benessere, solo per essersi riempito gli occhi di tanta bellezza. Abbiamo aperto “ù cudduruno” del 2013, ora tocca lavorarlo, modellarlo e … richiuderlo a fine anno! Abbiamo bisogno delle vostre mani amici, buon 2013!