Raccontatrekking 2014
7 dicembre 2014: Santuario Madonna delle Armi - Monte Sellaro di Eugenio Iannelli
Per concludere un programma annuale dimostratosi particolarmente ricco e intenso si è scelto di raggiungere il Monte Sellaro. Scelta dettata dalla sua favorevole posizione geografica, dal suo clima mite, a ridosso della costa marina jonica, dall’interesse storico/architettonico rappresentato dal luogo di partenza ma soprattutto dal panorama che avremmo potuto ammirare dal suo culmine. La giornata era iniziata favorevolmente, giunti al Santuario un sole caldo riscaldava le nostre infreddolite membra in quanto provenienti da una gelida e nuvolosa mattinata castrovillarese. Nel preparare gli zaini e quant’altro avevamo il tempo di dare uno primo sguardo sulla costiera che si mostrava in tutta la sua bellezza da Capo Spartivento alla costa di Policoro. Iniziamo così l’escursione intraprendendo il sentiero sulla sinistra del piazzale che conduce al Santuario, procediamo tranquillamente sotto il sole fino alla sella che separa le due cime del Sellaro e ci troviamo su di balcone naturale che ci consente di ammirare tutto l’antico abitato di Cerchiara di Calabria stretto intorno ai suoi palazzi gentilizi, la Piana di Cerchiara e gli abitati di Villapiana e Trebisacce. Continuiamo circumnavigando il Sellaro alla sua base e qui il sole incomincia ad abbandonarci lasciando il posto ad una subdola nebbia che man mano aumenterà d’intensità. Non disperiamo, tenaci proseguiamo per completare l’ascesa e siamo premiati in quanto riusciamo comunque a goderci ugualmente il panorama poiché la nebbia ci avvolgerà completamente solo una volta giunti in vetta. Una bella foto di gruppo e si scende. Giunti al piazzale, dopo una visita al Santuario e alla Madonna delle Armi, inizia la parte più interessante della giornata, il meritato pranzo al sacco. Come sempre onore alla tavola con tante prelibatezze nostrane consumate con gusto e bagnate da un buon bicchiere di vino novello, non per niente l’indomani è “perciavutti”, prodotto da alcuni dei soci presenti. Per concludere, così come recita un verso, rivisitato ed adattato da una nostra fedelissima socia e che ci accompagna da qualche anno “puru st’annu amu chiusu u cuddurunu”. Arrivederci al prossimo.
23 novembre 2014: Fontana del Principe - Alberi Serpente di Eugenio Iannelli
Partenza di buon mattino per raggiungere Fontana del Principe e da lì avviarsi per una meta, gli Alberi Serpenti, che non includevamo da tempo nei nostri programmi escursionistici. Ciò forse dovuto anche al fatto che, dal lato Fagosa, la montagna si presenta con scarse possibilità di avvicinamento a quote alte se non utilizzando auto adatte per quei percorsi stradali particolarmente accidentati e sconnessi. Il gruppo è abbastanza numeroso e desideroso di raggiungere e ammirare questi famosi alberi, di conseguenza il passo è svelto e sicuro tanto che, attraversando linearmente lo splendido bosco, ci ritroviamo in un batter d’occhio alla Sorgente del Vascello. Breve pausa che permette ad Emanuele di raccontarci uno spaccato della storia di questo territorio, attraversato da grandi disboscamenti e tentativi di costruzione di villaggi vacanze e degli uomini che lo hanno vissuto intensamente. Riprendendo il cammino il sentiero si inerpica sino a sbucare nel favoloso Piano di Fossa, non prima di aver ascoltato, sempre da Emanuele, una esposizione di carattere geologico sul futuro della nostra catena montuosa e della Calabria intera. I camminatori affascinati ascoltano in religioso silenzio. Giunti sul Piano ecco che ci appare in tutta la sua maestosità il contrafforte Est della Serra delle Ciavole con i pini loricati. Le fotocamere impazziscono. Attraversato il piano in tutta la sua lunghezza riprendiamo il sentiero che conduce al Piano di Acquafredda. Proseguiamo lentamente cercando di assorbire le asperità del sentiero che si dimostra più duro del previsto. Nel frattempo la nostra presenza sul sentiero dissuade un fronda di motociclisti che con le loro assordanti moto avevano forse intenzione di valicare il passo per raggiungere i Piani di Pollino incuranti delle emergenze naturalistiche e ambientali di questi luoghi. Il problema grosso è che scorrazzando con le loro potenti moto su sentieri prettamente escursionistici oltre che a rappresentare un pericolo per gli appassionati della montagna alterano i percorsi stessi in modo irreparabile. Purtroppo questi riescono a girare in lungo e in largo nel parco in quanto non è stato approvato ancora un atto legislativo, da parte dell’Ente Parco, che regolamenti la pratica di questi sport motoristici evitando così che si addentrino in luoghi particolarmente delicati. Arriviamo così al Piano di Acquafredda, residenza degli Alberi Serpente che incantano ed ammaliano tutto il gruppo con le loro forme sinuose e spettacolari. Inutile sottolineare che centinaia sono le foto che desiderano immortalare queste meraviglie della natura e con non poca fatica ci si riesce a compattare per scattare la doverosa foto di gruppo. Dopo di che valutato che siamo largamente in anticipo sul tempo di marcia decidiamo di raggiungere il Varco del Pollino, altro punto panoramico per eccellenza. Qui, dopo aver attentamente osservato e goduto della bellezza del luogo dove a far da corollario ai grandi Piani di Pollino svettano le cime della Serra Dolcedorme, Serra del Prete, Serra delle Ciavole e il Monte Pollino, non trascurando in lontananza La Spina, l’Alpe, il Sirino e guardando ad Est le due Manfriane, Timpa di San Lorenzo, Porace, il Monte Sellaro e la costa Jonica consumiamo il pranzo al sacco all’ombra di mastodontici e vetusti pini loricati. Non poteva esserci luogo più paradisiaco. Nonostante la giornata sia particolarmente bella e calda e stimoli a rimanere lo scorrere veloce del tempo ci richiama alla cruda realtà ed è necessario riprendere il cammino prima che ci colga il buio. Ed infatti, dopo una digressione che ci porta a lambire il piccolo laghetto nel bosco ai piedi della Serra delle Ciavole, dimora di tritoni e tartarughe, giusto all’imbrunire raggiungiamo le auto.
16 novembre 2014: Rifugio Biagio Longo - La Salviosa - Castello Brancato di G. Orsi e F. Martino
Con la fine dell’anno solare, si va lentamente esaurendo il ciclo delle escursioni del 2014 che proseguirà, come da sedici anni a questa parte ininterrottamente, con l’evolversi del nuovo programma previsto per la stagione 2015. Andremo in montagna tutto l’anno, per condividere il respiro di madre natura. È sul tardo di questo indeciso autunno che oggi mi soffermo per descrivere la mia prima escursione da accompagnatore in un’area, quella dell’Orsomarso, prodiga di splendidi e selvaggi paesaggi. Hanno onorato l’invito in tredici, tra cui Maria e Patrizia attratti dall’idea di ritrovarsi su di un sentiero naturalistico di montagna per attivare le proprie capacità fisiche, in un ambiente asettico ed ossigenato. Dopo una brevissima visita al Rifugio Biagio Longo (1028m), del CAI Castrovillari, posto in località Campolongo di Mormanno, ci dirigiamo verso il sentiero che, con breve e lieve salita, conduce al cancello della forestale. Il superamento dello stesso, consente l’accesso all’area protetta del rifugio La Salviosa, sorto come laboratorio per la coltura della biodiversità locale. Il sentiero, ben manutenuto dagli operai dell’ex AFOR, in leggera discesa ci introduce in un ambiente favoloso, dove il muschio, verde lucente sulle rocce bianche e i licheni sul tronco degli alberi, denotano la qualità dell’aria pura. Distratti dai numerosi punti panoramici con l’orizzonte sull’alto mare Tirreno calabrese, ci inoltriamo nel bel mezzo del bosco multicolore, le cui foglie faticano a stare appese, prima di ingrossare il tappeto fogliare color ruggine sottostante. La valle dell’Argentino ci offre una visuale inusitata. Qui, come altrove, il bosco si esprime brontolando, perché non vorrebbe addormentarsi. Prima di aggiungere un altro anello alla sua vita ci regala versioni cromatiche che si alternano nell’insieme del paesaggio, in un intreccio casuale, estroso, graduale di giallo con il colore ruggine, realizzando un disegno piacevole allo sguardo. Un tappeto di foglie, ci introduce in un ambiente fantastico; reso spettacolare dal sole irrequieto che, durante la giornata, ha dovuto farsi largo tra nubi alte e folate di nebbia che, dalla marina sottostante, salendo, funge da sipario alla scena. Castello Brancato (720m) è un promontorio che si affaccia sulla valle dell’Argentino e si raggiunge attraverso un comodo sentiero. Una volta giunti sulla sua sommità lo sguardo spazia su uno splendido panorama naturalistico e sui paesi rivieraschi dell’alto Tirreno cosentino attorno a Scalea. L’entroterra, verso cui ci affacciamo, è un susseguirsi di vallate rigogliose degradanti verso il mare, su cui si delinea Castel di Raione, di recente meta di una nostra escursione, cosi come la visuale di Corno Mozzo, ci ricorda la sua salita in altra impresa. A coronamento di una bella giornata non poteva mancare la consueta foto ricordo con tutti gli entusiasti partecipanti.
9 novembre 2014: Trekking urbano nel materano di Giancarlo Falbo
Dopo una tipica giornata autunnale, la domenica si presenta con un cielo terso e sgombro da nubi. È questa la premessa indispensabile per la riuscita del tour! L’idea è di ripetere in un giorno, a ritroso, almeno in parte, il percorso reso famoso dal film di Rocco Papaleo “Basilicata coast to coast”. Nella quiete delle prime ore domenicali raggiungiamo Scansano Jonico; qui visitiamo la caratteristica piazzetta, sorta nel primo novecento, espressione architettonica della forte vocazione contadina della contrada. Lasciata la costa, il paesaggio cambia bruscamente con la comparsa dei “calanchi” caratteristiche rocce sedimentarie, fortemente erose dagli elementi, che ci accompagneranno per tutta la durata dell’escursione. In lontananza già si intravede Craco, paese fantasma, la cui distruzione, iniziata negli anni 60 per una frana, risolleva temi attualissimi nel nostro paese come l’incuria del territorio e l’ottusità e l’inefficienza delle istituzioni. Spettrale, nonostante la giornata luminosa, la visita dell’abitato: sotto il volteggiare e il gracchiare di una nutrita colonia di corvi siamo passati fra pareti pericolanti, case sventrate e palazzi depredati dell’antico splendore. Ma le ore di luce in autunno sono poche e presto riprendiamo il tour, arrancando con il voluminoso bus sugli stretti tornanti del percorso. La prossima tappa è Guardia Perticara, piccolo borgo di 600 anime, con una lunga storia iniziata nel decimo secolo e una morfologia urbana che ricorda un cammèo o una miniatura medioevale. Qui la lungimiranza degli abitanti dopo il terremoto del 1980 ha, a differenza di Craco, evitato l’abbandono, e permesso un oculato utilizzo delle risorse economiche ed un attento restauro conservativo. Ma più che la bellezza del luogo, ha colpito noi viandanti, la disponibilità e la gentilezza degli abitanti, che nella figura del Sindaco Angelo Mastronardi e della presidentessa della Pro Loco Maria Montani, ci ha permesso un’accurata e dettagliata visita del borgo. Le sue case fatte di pietra e decorate con mensole scolpite, mascheroni e portali, sono sistemate sul dorso di un colle che domina la valle del Sauro con due prominenze urbane: quella del castello, ormai inglobato nell’abitato, e quella della chiesa parrocchiale di San Nicolò; fra le tante cose viste, vero tesoro dell’arte sacra è la statua lignea del XIII secolo della Madonna del Sauro, custodita nell’omonimo santuario. Inutile dire che giunta l’ora del pranzo, ricoverati nel circolo ricreativo messo a disposizione dall’amministrazione, l’attenzione di tutti si è immediatamente spostata dal “cine-turismo culturale” alle tante pietanze esibite, frutto delle doti culinarie dei partecipanti. Impossibile elencarle tutte, ricordiamo solo l’epilogo nato dal connubio fra l’aromatico “moscato passito” di Saracena e le “dolci ciotaredde” castrovillaresi. Partiti con non poca nostalgia da Guardia, raggiungiamo all’imbrunire l’abitato di Aliano, reso famoso dal confino in epoca fascista del pittore Carlo Levi. L’opera letteraria “Cristo si è fermato ad Eboli” ha contribuito nel dopoguerra a far conoscere nel mondo la condizione del nostro meridione. La pinacoteca comunale, con i suoi dipinti, le edicole affisse nelle strade con brani del suo libro, l’abitazione sul bordo del precipizio continuano a rendere vivida la sua memoria. Lungo le vie cittadine i calanchi blandamente illuminati dalla luna assumono dimensioni spettacolari e inaspettate! Ma ormai è notte e dobbiamo riprendiamo la via del ritorno, forse un giorno concluderemo il percorso fino a Maratea.
19 ottobre 2014: L’Accellica di Eugenio Iannelli
Erano anni che guardando le foto di Mimmo e di Francesco sul Monte Accellica, scattate in tutte le stagioni dell’anno e con tutte le condizioni climatiche possibili, era cresciuto in noi il desiderio di fare un'uscita su questa montagna che solleticava il nostro fine palato di escursionisti. Da quelle parti c’eravamo già stati più volte per visitare il Cervati, Il Panormo e ultimamente il Cocuzzo delle Puglie, bellissime montagne ma, senza nulla togliere, niente in confronto all’Accellica. La cosa si fece interessante ancor più quando in corso di preparazione del programma venimmo a sapere che c’era la possibilità di percorrere un tratto in ferrata. E così con grande entusiasmo, arrivato il momento, siamo partiti di buon mattino per raggiungere prima Battipaglia e poi la Caserma Forestale in territorio di Giffoni Valle Piana. Nella sua prima parte l’escursione si presenta agevole, su comodo sentiero, all’ombra di un bellissimo bosco, anche se la giornata calda e soleggiata ci fa subito sudare le proverbiali sette camicie. Infatti il dislivello che affrontiamo prima di raggiungere il crinale si fa sentire in tutta la sua asperità. Durante il tragitto prima digressione per affacciarci su di uno spuntone roccioso dove abbiamo il piacere di ammirare un bel panorama su uno spicchio di costa campana e sulle montagne che ne precedono la visuale. Continuando, dopo aver visitato e oltrepassato una grotta e un bivacco molto spartano raggiungiamo il crinale dove lo sguardo spazia a trecentosessanta gradi. Veramente eccezionale la vista. Tra le centinaia di cose, che a raffica, Mimmo ci indica e che in minima parte conosco abbiamo ammirato innanzitutto le cime Sud e Nord dell’Accellica, nostre mete del giorno, ma anche gli Alburni, il Panormo, il Laceno, le cime dei monti al di sotto dei quali si posiziona il Sentiero degli Dei (Agerola), con la costiera amalfitana, in lontananza il Vesuvio e addirittura il Monte Alpi del nostro Parco del Pollino, l’entroterra avellinese e tante altre cose ancora. Qui non poteva mancare la consueta foto di gruppo, dopo di che riprendiamo a camminare, percorrendo un aereo crinale che ci conduce sulla cresta Sud dell’Accellica dove effettuiamo una tappa obbligata non solo per continuare ad ammirare il panorama e riposarci ma anche per indossare l’attrezzatura necessaria per affrontare la ferrata. Sulla cima ci aspetta una lieta sorpresa, 3 amici campani, con due dei quali facemmo una escursione sul Pollino nel 2002, si uniscono a noi per raggiungere la cresta Nord. Sistemata e controllata l’attrezzatura raggiungiamo un punto panoramico da dove è possibile osservare tutto il percorso da fare, in primo piano lo spettacolare monolito di roccia del Ninno e il Varco del Paradiso, subito dopo iniziamo a scendere attraverso un percorso esposto e per niente facile che richiede molta attenzione e concentrazione. Tutto però fila liscio grazie anche ai preziosi suggerimenti che Mimmo, che l’ha fatta diverse volte, dispensa passo dopo passo. Superata questa difficile parte iniziale la tensione si allenta, il gruppo acquista fiducia e confidenza con l’attrezzatura e il percorso e tutto fila tranquillamente. Certo non è una facile passeggiata ma in circa un’ora e trenta, dopo aver superato altre difficoltà, siamo tutti sulla cima Nord. Grande appagamento da parte di tutti e meritato riposo. Ritorniamo sui nostri passi ma arrivati al Varco del Paradiso ci attende una sorpresa, Mimmo, per farci concludere magistralmente questa nostra esperienza, ci incoraggia a salire sul Ninno anche se richiede capacità e uno sforzo supplementare di non poco conto. Non ce lo facciamo ripetere due volte e siamo in cima al Ninno a firmare il quaderno di vetta. Aveva ragione Mimmo il posto è spettacolare e unico, ne valeva la pena, basti pensare che non riuscendo a stare tutti contemporaneamente sulla cima dobbiamo alternarci, in pochissimi metri, tra chi scende e chi sale. Rimarremmo per ore su questo gigante di roccia ma la strada per il ritorno è lunga e quindi ridiscendiamo velocemente non prima di esserci scambiati qualche scatto fotografico con un altro Mimmo, il veterano dei veterani, energico, dinamico, instancabile, avido di conoscenza e di saperi, sempre pronto a tuffarsi in nuove esperienze senza un attimo di esitazione e che fa della passione per la montagna una sua ragione di vita. Con calma e perizia, stanchi ma contenti ripercorriamo a ritroso la ferrata e ci ricongiungiamo agli amici che ci hanno aspettato pazientemente sulla cresta Sud. Una breve sosta e dopo aver salutato gli amici campani che scendono dall’altro versante, con il buio della notte ritorniamo alle auto.
28 settembre 2014: La "Via della Fede" di Carla Primavera
Abbiamo visitato molte volte il Parco Nazionale d’Aspromonte, abbiamo avuto la fortuna di godere e scoprire bellezze naturalistiche uniche come le Cascate Maesano, paesi abbandonati dall’uomo ma stracolmi di fascino e di storia come Roghudi Vecchio, luoghi pregni di cultura che conservano ancora intatte le antiche radici grecaniche come Gallicianò, ma non c’era stato mai il tempo di organizzare una escursione che ci permettesse di immergerci nel cuore pulsante e religioso per eccellenza dell’Aspromonte. E così anche questa volta i nostri “preziosi” amici del CAI Aspromonte ci hanno accompagnato verso una delle mete più belle e suggestive della Calabria: il Santuario della Madonna di Polsi. Arrivati a Gambarie, siamo stati accolti con una sostanziosa colazione che ci ha dato l’input per iniziare questa giornata al meglio e con la giusta energia! Da qui raggiunta la cima di Montalto (m1956), la più alta dell’Aspromonte, sulla cui sommità è posta la statua in bronzo del Cristo Redentore, voluta da Papa Leone XIII, si apre davanti a noi un meraviglioso panorama dove l’Etna, le Isole Eolie e le Serre catanzaresi la fanno da padrone. Ma la vista di scenari di incomparabile bellezza arriva al suo culmine nell’osservazione, a breve distanza tra loro, di entrambe le coste calabresi con un ampio panorama sullo Jonio e sul Tirreno. Unico davvero! Con l’ausilio di una rosa dei venti posta nelle adiacenze della statua individuiamo le cime più importanti del massiccio oltre a lontane città di altre latitudini. Alle spalle della statua i segnali portano ad un altro punto panoramico e al sentiero che scende rapidamente di quota e incrocia la strada asfaltata per Polsi. Infine, la lascia definitivamente entrando in una piccola radura tra i faggi. I tratti nel bosco si alternano a tratti aperti con tracce di terrazzamenti dove anticamente si coltivavano cereali e subito dopo si entra in una pista che sbocca in un ampio Piano detto dei Riggitani. Al faggio subentrano enormi esemplari di pino laricio. A sinistra abbiamo la frana di San Francesco e a destra il Vallone della Madonna. La vegetazione diviene più rada e costituita da esemplari isolati di quercia e per questo motivo il sentiero è in alcuni punti eroso, ma la meta è ormai vicina. Un tuffo tra le felci ed ecco davanti a noi una profonda valle al centro della quale è situato il Santuario, simbolo altissimo e richiamo di forte spiritualità, dove almeno una volta nella vita un calabrese sente il desiderio di recarsi. Giunti ad una recinzione, ci immettiamo nella via Crucis che agevolmente raggiunge Polsi nei pressi di un, ormai secco, castagno secolare e di una fontana monumentale. Saranno i monaci Basiliani a diffondere la devozione alla Croce e alla Madonna sotto il titolo di “Santa Maria di Polsi”, ora più comunemente denominata “La Madonna della Montagna”. La visita al Santuario, un lauto pasto, a base di carne di capra, specialità locale, e il posto davvero suggestivo, fanno da sfondo a questo straordinario scenario dove il tempo sembra essersi fermato.
21 settembre 2014: Stage di arrampicata di Carla Primavera
Per la prima volta a Castrovillari, presso le pareti di arrampicata sportiva di Colle Cornice in località Petrosa, si è svolto un incontro teorico e pratico di questa affascinante disciplina. Con L’ausilio indispensabile di alcuni tecnici volontari del Soccorso Alpino della Stazione Pollino, molti simpatizzanti e curiosi si sono avvicinati alle ruvide pareti rocciose alle falde della catena montuosa del Pollino. Il primo gruppo giunto all’appuntamento mattutino vicino il canile municipale, si è man mano rinfoltito per l’arrivo di altri partecipanti, i quali creando un colorato serpentone, lungo l’apposito sentiero, segnato egregiamente dal Cai Castrovillari, si è spostato, prima verso il basso costeggiando le Grotte di Santo Iorio e poi man mano è risalito, fino a portarsi a ridosso di Colle Cornice, teatro da quasi un anno, di arrampicatori esperti e alle prime esperienze come molti di noi. Queste 11 vie chiodate lo scorso settembre dal Cai Castrovillari, al momento rappresentano l’unica realtà del genere nel nostro comune. Grande la soddisfazione nel leggere negli occhi di questi ragazzi, uomini, donne e bambini, la felicità di chi ha ottenuto un grande risultato, quello di riuscire a creare un contatto tra sé e la nuda roccia; di chi, nonostante abbia ricevuto qualche graffio da essa, ne è uscito con la consapevolezza che quasi tutto è possibile in completa sicurezza, se ci si avvicina con umiltà e senso del rispetto verso la natura e i suoi, a volte rudi, elementi. Spesso mi chiedo attraverso quali percorsi mentali ci si avvicina alla montagna ed all’arrampicata, cosa ci induce a procedere non su un piano orizzontale ma su un piano verticale, dove di colpo cambia tutta la percezione dell’ambiente, del proprio corpo, della propria mente e delle proprie paure. Questo in sostanza è l'arrampicata, un mondo emotivo dove l'uomo si misura con la montagna attraverso gestualità e spiritualità, corpo e mente a stretto contatto con la roccia, limiti e possibilità che oscillano e la rendono una delle discipline sportive più complete. Un'attività sportiva complementare all’alpinismo e praticata a stretto contatto con l'ambiente ma l’obiettivo dell’alpinismo è il raggiungimento della vetta mentre per l’arrampicatore l’obiettivo è il superamento della difficoltà. Sottili differenze che generano diverse filosofie di ascesa. Ovviamente da non sottovalutare affatto, la magnifica giornata trascorsa con amici con cui si condivide passione, esperienza, abilità, fatica e tanta ilarità. UN SINCERO GRAZIE A TUTTI!
14 settembre 2014: Monte del Papa e Sirino di Carmen Belmonte
Appuntamento alle ore sette e trenta di una tipica domenica settembrina, soleggiata e con un lieve venticello. Ci ritroviamo in 19 tra veterani e nuovi soci, partendo alla volta del Massiccio del Sirino, estrema propaggine meridionale del Parco Nazionale dell'Appennino Lucano Val d'Agri Lagonegrese La passeggiata inizia nei pressi del Lago Laudemio o Remmo (1.525 m), dopo un breve breefing allietato da una gustosa crostata moranese. Il percorso fino al Monte Papa (2005 m), anche se con un dislivello di circa 500 metri, si presenta agevole e piacevole. La cima del monte Papa ci offre una splendida vista delle valli solcate dai fiumi Noce, Sinni ed Agri, le guglie irte e selvose dei monti La Spina e Zaccana, i ripidi contrafforti del monte Alpi, il Raparo e le ampie e verdeggianti valli di Diano e dell’Agri. Circondati da tranquille mucche dai grandi campanoni ci rifocilliamo e, dopo aver scattato la classica foto di gruppo, scendiamo alla volta del monte Sirino (1907 m). La risalita al monte Sirino si svolge lungo la strada percorsa dai fedeli alla volta della Chiesa di S. Maria ad Nives, qui troviamo la celebrazione domenicale in corso con tanto di breve processione dove i fedeli accompagnano la Madonna in chiesa con canti e suoni tipici. Il corteo si disperde poi per consumare il pranzo e anche noi apriamo i nostri zaini per una rilassante pausa a base di cipolline e uova, salami, formaggio e miele, vino, come da buona tradizione CAI. Riprendiamo così la strada del ritorno circondati dal bellissimo panorama che ci accompagna fino al lago Laudemio, il lago di origine glaciale più meridionale d’Italia. Esteso per poco più di due ettari ed immerso in una fitta ed alta faggeta, il bacino si è formato a seguito dello sbarramento costituito dalla morena frontale di un grande ghiacciaio, che nel Quaternario scendeva per circa quattro chilometri dal lato Nord del monte Papa, sino ad arrivare in località Petinachiana. Anche qui scattiamo una foto di gruppo e ci salutiamo non prima di esserci “asciugati i sudori” con un’ottima bottiglia di vino del grande Mimmo, dandoci appuntamento alla prossima escursione.
7 settembre 2014: Pollinello e Patriarca attraverso la Tagliata di Mimmo Filomia
Quante volte osservando le nostre montagne con curiosità subito repressa ci siamo proposti di visitarle? Forse tutti i giorni! Bene oggi era la volta buona affiancandosi al CAI di Castrovillari. Per alcuni dei partecipanti all’escursione sul Pollinello è stata una esperienza che ha coronato un lungo sogno coltivato per anni, ma, vuoi per pigrizia e soprattutto per non avere trovato compagni con cui condividerla ci sono state scuse e motivi per rinviarla. Le alte quinte montuose che sovrastano Castrovillari, che ha buoni motivi per chiamarsi la città del Pollino, sono la sede naturale per intraprendere ascese che portano direttamente nel cuore del Parco del Pollino. Eppure la gente del luogo è alle prese con un dilemma quando si tratta di scegliere la destinazione dei giorni di relax: mare o monti? Dimenticando di appartenere ad un ambiente a vocazione montano, orienta i suoi interessi totalmente verso la marina che non è il suo ambiente naturale, tralasciando località amene abbandonandole al degrado invece di ricavarne economia sostenibile. La politica dei luoghi, dovrebbe sostenere, invece, il dovere di avere ciascuno il proprio ambiente da difendere, promuovere e valorizzare, per ricavarne profitto dal turismo portatore di denaro fresco. Tutto il comprensorio attorno a Castrovillari deve orientare la tendenza al tempo libero sfruttando le peculiarità montane, boschive, gastronomiche, rendendole accessibili e raggiungibili a ritmi lenti. Almeno in questo, per iniziare, dovremmo essere predisposti con la sentieristica. Oggi, a distanza di cinque anni, abbiamo ripetuto l’escursione che il nostro sodalizio, in occasione del decennale di fondazione della sezione ha fatto per ricordare che su questo sentiero sono passati i nostri pionieri della montagna. I quali potevano vantarsi, con zaino in spalla, di lasciare l’uscio di casa di buon mattino, per intraprendere subito a piedi il sentiero che oggi ci ha visti protagonisti. Il sentiero dei “Castruviddari” è uno dei tanti che si inerpicano a partire dai piedi del gruppo montuoso del Pollino lato Sud nei pressi di Valle Piana a 980 metri. È una arteria che giunge diritta al cuore delle massime espressioni montuose di questa area protetta, spingendosi con continuità fino al Santuario delle Madonna di Pollino. Tutti, almeno una volta nella vita, hanno risposto al richiamo di percorrerlo. Si articola sul fianco della montagna per superare dolcemente il dislivello nel bosco che ospita alle quote basse, pini, carpini, frassini, cerri, faggi, biancospini, ginestre, rosa canina. Nei pressi della “Tagliata” il percorso finisce di essere ombrato per adattarsi ad una cengia scavata nella roccia, donde il nome della località, protetta a valle da muretti a secco. Una via primaria frequentata dalle genti dei centri urbani della valle del fiume Coscile che praticavano scambi di merci con i lucani e che erano soliti recarsi in pellegrinaggio al Santuario della Madonna del Pollino. Frequentare questa mulattiera, per noi è un momento d’evasione; non lo è stato per il boscaiolo che ogni mattina la percorreva stanco, attaccato alla coda del suo asino, per giungere a destinazione, selezionare e tagliare legna in modo sostenibile. Oggi la capillare viabilità, ha rotto l’isolamento fra i borghi rurali d’Italia, con il risultato che è rimasto abbandonato il vecchio camminamento sulle terre alte. Anche in questo regno, intorno ai 1700 metri, registriamo l’invadenza del faggio in cerca di spazio, a discapito del Pinus Leucodermis inattaccabile oltre questa quota, che spesso sorprendiamo persistere abbarbicato alle rocce. Finalmente la nuova segnaletica del parco ci fa l’occhiolino al Varco del Pollinello; il multicolore serpentone esce allo scoperto e si orienta sulla dorata distesa del falso piano inclinato che precede la cima (1820m) progredendo ai bordi del bosco omonimo. In cima abbiamo tutti guadagnato il rossore delle gote per la foto di gruppo che rappresenta sempre un momento di aggregazione e di condivisione. Sazi dei panorami conquistati, proseguiamo per far visita ad un amico che ci aspetta da 980 anni: il Patriarca! Un simbolo che ci deve far riflettere sulla conservazione e rispetto della natura, indipendentemente dalle controversie umane, che ci trasformano in ominidi ogni qualvolta si cerca di risolverle scagliandoci contro di essa. Il meritato riposo seduti su una pietra miliare ci fa sentire proprietari del mondo, ci è bastato un panino fra le mani, ma a saziarci sono stati gli orizzonti movimentati dalle nuvole sullo Jonio e sul golfo di Policastro… e perché no, le pesche sciroppate al vino rosso!
26/27 luglio 2014: Notturna con pernottamento in tenda di Eugenio Iannelli
Anche quest’anno il consueto raduno di soci appassionati del soggiornare in tenda e vivere in campeggio la consueta domenicale esperienza in montagna ha avuto un grande successo di partecipazione. Ben orchestrata, l’organizzazione, ha dato grandi risultati. La location, Piano Visitone, scelta per la facilità di allocazione delle tende, per la agevole raggiungibilità ma anche per la consolidata vocazione ad ospitare campeggiatori, ha rispettato le attese consentendoci di trascorrere due giorni in montagna all’insegna del bel tempo e della cordiale compagnia. Molti i soci che hanno colto l’occasione per partecipare con tutti i propri familiari ma tanti i soci ormai legati a questa esperienza annuale a cui non rinuncerebbero per nessun motivo al mondo. La cucina da campo, magistralmente diretta dai due cuochi, Ugo e Franco, ormai in simbiosi perfetta, ci ha viziato con un menù degno del migliore ristorante, tutto rigorosamente preparato al momento e arricchito da prelibatezze e prodotti tipici. Un evento importante ha ulteriormente arricchito la serata di sabato: i festeggiamenti per il compleanno del piccolo Giuseppe con tanto di taglio della torta e spumante. L’indomani escursione su Serra dell’Abete, una montagna a torto trascurata perché troppo vicina a mete più importanti, ma dotata di uno spettacolare panorama sulla più alte cime del parco, Pollino, Dolcedorme, Serra del Prete, Serra Crispo, Serra delle Ciavole, sul contrafforte roccioso che accoglie la Madonna di Pollino e su tutta la valle del Mercure. Dopo l’escursione meritato ristoro con un pranzo luculliano e nel primo pomeriggio grande sorpresa finale: le vecchiaredde di Carla. Mangiarle in montagna appena fatte non ha prezzo e non ha eguali. Il tempo di offrirle agli amici pugliesi passati nel frattempo a salutarci e il tardo pomeriggio incombe. Con grande malinconia togliamo le tende, riponiamo il tutto nelle auto ed è il momento dei saluti con la promessa di rinverdire anche per 2015 la bellissima esperienza.
13 luglio 2014: L’eco del “Daimoku” ai piedi del “Patriarca” di Stefania Travagli
Per noi praticanti il Buddismo di Nichiren Daishonin, ogni dove è l’ideale per recitare quel mandala che viene identificato come “Daimoku”, ma l’esperienza vissuta il 13 Luglio u.s. ha lasciato in ognuno di noi, un ricordo che per certo, ci porteremo anche nelle future esistenze. Nam Myoho Renge Kyo! Per circa dieci minuti, seduti sulle gigantesche radici del Patriarca, con lo sguardo rivolto ad Est, ognuno con il proprio Juzu tra le mani, le vibrazioni emesse dalle nostre voci si sono plasmate con il ritmo dell’universo! Grazie agli organizzatori della Sezione CAI di Castrovillari, questo nostro desiderio, da tempo voluto, ha potuto prendere realmente forma. L’organizzazione, gestita magistralmente dalla mia amica di sempre Carla, di concerto con il Presidente, ha fatto sì che ognuno di noi, dal più fisicamente allenato a quello meno forgiato, abbia potuto respirare e vivere fino in cima la risalita verso il Patriarca! Un meraviglioso Luigi ha collaborato come accompagnatore prendendosi cura di ogni partecipante, attento ad elargire consigli e buoni suggerimenti. Che dire degli “ever green” i due Mimmi, colonne portanti del CAI che con la loro presenza storica garantiscono sempre una insostituibile sicurezza. Splendida e graditissima presenza di Emanuele, che con il suo infinito sapere, ha trasformato quella che doveva essere una semplice escursione dilettantistica, in una escursione didattica. Grazie, Grazie, Grazie davvero a voi tutti per averci permesso di realizzare questo progetto! Sono certa che le vibrazioni del nostro “Daimoku” siano arrivate non solo ai vostri cuori ma abbiano lambito tutto ciò che in quel contesto avesse forma e, considerato che tutto cambia e si trasforma, chissà che quel maestoso ed imponente Pino Loricato che ci ha accolti, non sia stato un praticante in un’altra vita! Grazie!
29 giugno 2014: CAIBIKE di Carla Primavera
Quest’anno abbiamo accolto l’invito del nostro socio Franco Formoso per adottare, come location ideale, Mongrassano e il suo hinterland per l’edizione 2014 della CAIBIKE. In realtà, rispetto ad altre precedenti edizioni, questa era, per lunghezza di percorso e dislivello effettuato, un pò più difficile da sviluppare, ma come è nel nostro stile, ci abbiamo provato! La partenza quasi alle 10 dalla piazza del paese, ci ha regalato sguardi cortesi e increduli della simpatica gente del posto, ovviamente tutti amici di Franco, che ci hanno scattato la prima foto di gruppo davanti ad una piccola “opera” d’arte: una bici gigante elaborata e costruita da Francesco, detto Picchetto, con materiali di fortuna e colori sgargianti, quale migliore sfondo per noi! Il percorso è ad anello, con un dislivello totale di circa 500m e una lunghezza di 28 km. I comuni interessati, sono Cerzeto, Fagnano, San Marco Argentano e naturalmente Mongrassano. La partenza e la prima parte del percorso risultano faticosi, in quanto si articolano totalmente in salita per i prima 4 km circa, sviluppando un dislivello di circa 200m, quasi sempre al sole, fino alla prima sosta in zona Aia del Vento. Successivamente, invece, ci inoltriamo nel bosco di ontani, castagni, faggi, pini e abeti del comune di Cerzeto e proseguendo sulla strada, si incontra una sorgente di acqua freschissima, nota per la sua leggerezza, a quota 950m. In località Serra dei Muli (950m), dove la vegetazione diventa rigogliosa e si procede in ombrose gallerie formate dai rami degli alberi che fiancheggiano la carreggiata. Qui c’è un’area picnic con tavoli e panche in legno, fontana e griglie per la cottura dei cibi. Ci rifocilliamo e salutiamo per strada qualche viandante che saluta la nostra guida molto affettuosamente. Da questo punto il percorso si presenta sinuoso, alti e bassi percorribili fino ad arrivare, dopo una discesa abbastanza lunga e ripida, al fiume Fullone. La località è Mandria delle Vacche, nel comune di San Marco Argentano, dove facciamo una ulteriore sosta per rinfrescarci e prepararci alla VERA salita! Da qui infatti, cominciamo l’ascensione su strada sterrata e semi ombreggiata, fino a congiungerci col punto di partenza, la piazza di Mongrassano. Che giro ragazzi! Ovviamente l’ospitalità della nostra guida, Franco, ha dato il meglio di sé: rigatoni con porcini e salsiccia, pecorino, salumi vari e ovviamente dell’ottimo vino. Al prossimo anno e grazie a tutti.
22 giugno 2014: Colle dell’Impiso - Serra Dolcedorme di Alberto Noioso
Non c’è niente da fare: il Dolcedorme è sempre il Dolcedorme. Come lo nomini ti luccicano gli occhi e ti si drizzano le orecchie. Il suo fascino è inequivocabile, il suo richiamo è irresistibile, anche per coloro che l’hanno salito più e più volte. Resta pur sempre la vetta più alta del mezzogiorno d’Italia! Questa volta però c’è un motivo in più: accompagnare in cima e trascorrere una bella giornata con i nostri amici del CAI Aspromonte. Noi, nel contempo, approfitteremo della salita per lasciare, nella cassetta posta sulla cima, il 4° libro di vetta, che andrà a sostituire l’ultimo lasciatovi nel 2010. Tredici anni di firme, di date, di gruppi, di solitarie salite, ma soprattutto di particolareggiate testimonianze lasciate dalle migliaia di appassionati che hanno raggiunto la cima della nostra Montagna e che rappresentano uno strumento essenziale per la definizione della storia del nostro territorio. I numerosi dati raccolti in questi anni sono stati catalogati e registrati per essere studiati e per fornire, speriamo a breve, uno strumento che li possa rendere pubblici. Ma torniamo all’escursione. Per goderci a pieno l’itinerario decidiamo di fare il classico tragitto: Colle Impiso - Rummo - Piani - Canale del Malvento - Serra Dolcedorme. L’escursione si evolve tranquillamente tant’è che impieghiamo, soste comprese, circa 4 ore e mezza per arrivare in cima. Durante il tragitto notiamo un grande fermento in giro e di ciò ci rallegriamo, molti escursionisti ma anche bikers e più alpinisti in cerca di nuove vie ci incrociano lungo il percorso. E come non mai la cima in questa domenica è presa d’assalto. Dopo una meritata sosta pranzo e le foto di rito incomincia la discesa che decidiamo, viste le buone condizioni fisiche di tutti e la bella giornata, debba avvenire traversando la base del Pollino, la cresta Sud/Est per chiudere un bellissimo anello attraverso Colle Gaudolino. Come al solito camminiamo e gli occhi si inebriano di paesaggi mozzafiato, di loricati maestosi, di faggete immense che sortiscono un effetto ancor più dirompente su chi ne può godere per la prima volta. Inutile soffermarsi sulle centinaia di foto scattate dai partecipanti. Dopo una lunga e rigenerante sosta a “spezzavummula” concludiamo la nostra giornata a Colle Impiso consumando un cesto di fantastiche ciliegie pugliesi che l’amico Gerardo, a inizio mattinata, aveva avuto il pensiero di portare per augurarci una ottima escursione.
14/15 giugno 2014: “Le cinque sorelle dei 2000 in una notte” di Gerardo Dipinto
Una e-mail da Vitaliano il 9 giugno: “Ciao, sono interessato per l’escursione “le sorelle dei 2000”, siamo in quattro (1 CAI dell’Etna - 2 del CAI Reggio C. - 1 CAI Castrovillari). Rispondo alla mail chiedendo se fossero interessati comunque, nonostante ci fosse alle ore 24 la partita del mondiale Italia/Inghilterra. Come per loro anche per me l’emozione dell’escursione ha prevalso sulla passione calcistica. Al gruppetto iniziale si aggiunge Vincenzo (CAI Castrovillari) che viene da Lecce e infine, a dir poco, graditissima partecipazione del veterano Mimmo da Castrovillari. Mi sono sentito rinfrancato della sua presenza in quanto con lui eravamo in due a conoscere il percorso completo. Gerardo, Mimmo, Vitaliano, Michele. Vincenzo, Mauro, Mariella. In sette alle 19,30 precise ci siamo avventurati in una notte minacciosa di nuvole da Colle Impiso per la prima vetta, Serra del Prete, per poi discendere al Colle Gaudolino, dove abbiamo effettuato la prima pausa per un frugale panino. Il cielo iniziava ad aprirsi per concederci un pò di luce lunare. Uno dei partecipanti, forse preso dal panico della notte o dall’impegno fisico che richiedeva l’escursione mi ha avvertito che probabilmente non ce l’avrebbe fatta a proseguire per tutto il tragitto. Questo mi ha messo in allarme per la buona riuscita dell’evento, in quanto lui non poteva affatto rientrare a Colle Impiso se non con me o con Mimmo. Incamminatoci per al vetta del Pollino, pensando a come risolvere l’imprevisto, mi è balenata l’idea della “Baita” di Gaudolino. Allora gli chiedo se preferiva rimanere nella Baita per la notte per poi riprenderlo l’indomani mattina a fine escursione. Lui ha accettato senza esitare io e Vincenzo, siamo ritornati al Colle per lasciarlo dormire nella Baita. Alle ore 24 circa, riformato il gruppetto, quasi in vetta al Pollino notavamo che il Dolcedorme era coperto integralmente da un nuvolone. Ma imperterriti ci siamo avviati e orientati nella fitta nebbia per raggiungere la vetta della Serra calabrese dove siamo giunti alle ore 2 circa per firmare il libro di vetta. È strano ricevere una telefonata alle 2 di notte in vetta al Dolcedorme, chi sarà ? Pronto, sono Gaetano, l’Italia ha vinto, e voi dove siete? Scendiamo diretti al Passo delle Ciavole e percorriamo la impervia traccia innevata che la Natura quasi si è ripresa per la fitta vegetazione. Ci apprestiamo ad effettuare la quarta ascesa per Serra delle Ciavole su pendio abbastanza ripido e impegnativo. Alle 4,30 siamo in vetta sul crestone per aspettare il sorgere del sole, ma la fitta nuvolosità non ci dona questo spettacolo meraviglioso. Ed ecco la valida collaborazione di Mimmo Mandarino, che si propone di ritornare al Colle Gaudolino passando per Piano Toscano, per poter riprendere e accompagnare l’amico rimasto a Gaudolino, mentre in cinque abbiamo raggiunto l’ultima vetta, Serra di Crispo, ed alle ore 8,30 circa del mattino ci siamo ritrovati tutti a Colle Impiso. Un ultimo saluto con qualche ciliegia per poter riprendere ognuno il ritorno alla propria dimora. Vorrei con la presente ringraziare tutti per la partecipazione ed in particolare Mimmo per la importante collaborazione prestata.
8 giugno 2014: Cocuzzo delle Puglie di Carla Primavera
Quando ne parlammo, con Mimmo Ippolito, di questa escursione, davvero non immaginavamo tanta partecipazione … 38 presenze. tra cui due soci pugliesi! L’itinerario, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, era stato programmato per essere percorso in senso contrario rispetto a quello effettuato, che però ha semplificato e agevolato la progressione tenedo conto del gruppo numeroso arricchito dalla “simbiosi” con gli amici del Gruppo Speleo di Morano Calabro. Lasciate due auto 3 km prima del punto individuato per il raggruppamento ci portiamo alla Sella del Corticato (m1026), lungo la rotabile che collega Teggiano a Sacco. Da qui, dopo un breve briefing seguiamo la sterrata, denominata via Istmica, che dopo circa mezz’ora di ascesa raggiunge il Piano della Montagnola (m1191). La Via Istmica è stato, in epoca preistorica, il primo percorso tracciato del Sud e attraversava il Cilento antico per collegare le coste tirreniche a quelle joniche. Considerata la via delle merci, delle legioni e dei ponti romani, degli eserciti medievali, dei borghi arroccati sui poggi è stata, ed é ancora oggi, la via della transumanza. Giunti nei pressi del valico della Montagnola lasciamo la via Istmica (che prosegue verso il Passo della Sentinella) e ci dirigiamo, con comodo sentiero, verso la prima cima della nostra galoppata, zigzagando come un colorato serpentone, quella di Cocuzzo delle Puglie. Raggiunta la cresta lasciamo il sentiero principale e iniziamo a percorrere la cresta delle "balze" picchi rocciosi che ci costringono a qualche passaggio un pò esposto e scavalcando tutte le piccole cime giungiamo all''ultima, quella del Monte Puglia (m1466). Si decide la sosta e ovviamente si scatena la convivialità tipica della nostra gente, bocconi gustosi di tante prelibatezze! Si continua lungo la cresta in direzione sempre Sud/Est sino al valico dei Vauzi (m1250), nostra “via” di ritorno, canale che corre giù con ripido sentiero reso non poco complicato dalla fitta vegetazione che ormai ha invaso le basse quote, fioriture di ginestre a iosa e felci giganti ci fanno compagnia. La discesa continua in direzione Sud/Ovest, dove raggiungiamo in breve le più comode radure del Corticato, e qui non ci resta che recuperare le auto e raggiungere la vicino fontana d'Inverno per rinfrescarci dopo la calda giornata primaverile. Per dissetarci, ci aspetta una fresca birra nella bella piazza di Teggiano, affascinante roccaforte medievale, situata in posizione dominante che conferisce al luogo un aspetto ancor più suggestivo, quasi da faro rispetto allo spazio che lo circonda. In conclusione: una giornata splendida in luogo panoramico per eccellenza, un gruppo abbastanza coeso, variegato e divertente; il tutto coronato da una ottima intesa con Mimmo come organizzatore che ha decretato una esperienza collaborativa da ripetere in futuro nonostante la sua indole solitaria! Come sempre, GRAZIE A TUTTI.
1/2 giugno 2014: Isola di Procida di C. Belmonte - U. Spinicci
Anche la visita all’Isola di Procida, una delle Isole Flegree, ha riscosso un grande successo di partecipazione. In 49, infatti, tra soci e simpatizzanti, ci siamo ritrovati la mattina del 1° giugno all’Autostazione di Castrovillari alla volta di questa piccola perla del Golfo di Napoli. Arrivati a Pozzuoli, dopo un rilassante viaggio in autobus, ravvivato dalla degustazione dei bocconotti di Mormanno gentilmente preparatici dalla nostra Marianna, arriviamo a Pozzuoli, dove c’è ad attenderci il traghetto per la traversata. Ma prima, breve pausa pranzo, deliziata da gustosissime ciliegie di produzione calabrese ed imbarco. Durante la traversata ci accompagna un bellissimo stuolo di gabbiani e, man mano che ci avviciniamo al porto di Marina Grande, l’Isola prende forma con la sua varietà di colori. Ad attenderci taxi variopinti con taxisti altrettanto variopinti e loquaci nel dialetto locale. Dopo una breve sistemata in albergo, situato nei pressi di Marina di Chiaiolella, ci incamminiamo per la visita guidata dal Prof. Antonio Lubrano (non il personaggio televisivo da tutti conosciuti, ma un esperto del posto) del ponte di Vivara. Il ponte, lungo 362 metri, fu costruito nel 1957 dall’acquedotto campano per portare l’acqua dalla terraferma ad Ischia. All’interno del ponte, infatti, passano le tubazioni che continuano poi sotto la scala che porta a Vivara e proseguono verso Ischia per vie sottomarine. L’isolotto di Vivara, attualmente non visitabile, una volta unito a Procida, oggi è riserva naturale. Il prof Lubrano, infatti, ci spiega l’origine vulcanica di queste isole, le diverse mutazioni geologiche che hanno portato alla divisione dell’isolotto da Procida e successivamente ci da nozioni molto interessanti sulla flora e la fauna presenti nell’isolotto. Soddisfatti delle informazioni ricevute e dopo aver scattato la classica foto di gruppo con la cornice del bel panorama di Procida alle nostre spalle, guadagniamo la via del ritorno. Ad attenderci una buona cena a base di pesce, accompagnata da uno spettacolare tramonto sul mare. Il rumore del mare, un cielo terso e soleggiato, i suoni, gli odori e una buona colazione ci accolgono il mattino successivo. Ci aspetta una lunga camminata (circa 6 Km) lungo la strada panoramica che attraversa tutta l’isola e che ci porterà a visitare la parte più alta della stessa, Terra Murata, sovrastata da un borgo fortificato di origine medievale. Qui visitiamo l’Abbazia di S. Michele Arcangelo, fondata dai benedettini intorno al 1026, con una stratificazione architettonica caratterizzata da un portale del ‘500, tre cappelle di fine ‘800 e un soffitto a cassettoni del ‘600 in legno e oro zecchino. Al centro del soffitto una tela di Luigi Garzi, “San Michele Arcangelo scaccia Lucifero”. Nell’Abside una tela raffigurante San Michele che protegge l’isola dai Saraceni. Interessanti le segrete dove ha sede il complesso museale e la biblioteca, le aree di sepoltura e il luogo di riunione delle confraternite dell’isola. Il venerdì santo l’Abbazia è protagonista di un appuntamento carico di emozione: la processione dei Misteri di Procida. Carri con sculture in carta pesta raffiguranti scene dell’antico testamento o del Vangelo, insieme alle statue del Cristo e dell’Addolorata, vengono trasportati a spalla dagli isolani vestiti di bianco e turchese. Le marce funebri e il corteo degli angioletti di 2 anni vestiti di nero e dorato si concludono con la famosa funzione dell’”Agonia” nell’Abbazia di San Michele. Una mostra fotografica e alcuni di questi carri li abbiamo potuti osservare nel Museo dei Misteri, sito nelle vicinanze dell’Abbazia. Lungo la strada del ritorno facciamo una sosta al belvedere che ci offre una vista mozzafiato della Marina di Corricella con il borgo dei Pescatori composto da case tinteggiate da tanti e diversi colori per far sì che i pescatori rientrando nel porto riconoscessero già da lontano la propria abitazione. Questo borgo è anche stato il set del film “Il postino” del grande Massimo Troisi. Soddisfatti di aver conosciuto e visitato questa splendida isola, consapevoli che ciò che ci distingue è la voglia di conoscenza della natura sia essa montana ma non solo, rientriamo alla nostra quotidianità con questo splendido bagaglio di conoscenza, consapevoli che ripeteremo l’esperienza.
18 maggio 2014: Esplorando le grotte dell’Orsomarso di Mimmo Pace
Nell’accezione comune, specialmente per chi li conosce superficialmente o addirittura solo sulla carta, attraverso le descrizioni appassionate di saggisti e pubblicisti, i “Monti d’Orsomarso” rappresentano un lembo di natura intatto e solenne della nostra Terra di Calabria, fatto di selve lussureggianti, microcosmi ambientali stupefacenti, recessi fiabeschi, acque cristalline. L’Orsomarso non rappresenta, però, solo ciò! Agli occhi di un osservatore più attento e profondo, questa Terra si svela custode di importanti vestigia storico/culturali, degne di essere riscoperte, come anche di interessanti aspetti del mondo ipogeo, assolutamente da fruire. L’obiettivo che il CAI di Castrovillari s’è prefisso è, appunto, una preventiva ricerca di tali tracce ed aspetti, per poi proporli in fruizione a Soci e simpatizzanti, includendo nel Calendario delle Attività questa singolare quanto variegata escursione nel cuore dell’Orsomarso. La prima e più rappresentativa tappa di questo iter è la Grotta di San Nilo o Grotta dell’Angelo, nascosta tra le impressionanti verticali pieghe rocciose della parete Est del Timpone Simara, che incombono maestose sul paesello di Orsomarso, offrendo una vista mozzafiato. Siamo nella culla del “Mercurion”, un’Eparchia monastica compresa tra il bacino della Valle del Mercure e la media e bassa Valle del Lao, nella quale fiorì, dal VI al XII secolo, il monachesimo greco-orientale. Divenuto uno dei maggiori Centri del misticismo meridionale, il Mercurion, nei secoli X e XI, fu frequentato da diverse Personalità venerate dalla Chiesa come Santi, quali San Fantino, San Zaccaria, San Macario abate, San Saba e San Nilo da Rossano, il quale, alla continua ricerca della perfezione dello spirito, si ritirò per alcuni anni in questo recondito eremo-caverna, dove esisteva un altare consacrato a S. Michele Arcangelo; donde … Grotta dell’Angelo. Rimane oggi un pericolante muro a secco, squarciato in più punti, che delimitava nella grotta lo spazio della cella/romitorio, nonché alcune tracce di affreschi. Siamo poi scesi nel fondo della verdissima valle percorsa dal Fiume Argentino … la “Green Valley”, come la chiamano ad Orsomarso, l’attiguo pittoresco paesello, cha ha dato nome alla intera verde chiostra montuosa circostante, che la tirannia del tempo, purtroppo, ci preclude di visitare. Ci sovrastano Anzo Nicola e Gaccale, due poderosi bastioni rivestiti di intenso verde cangiante, in groppa ai quali si risale attraverso 5 km di suggestiva stradina, immersa nella quiete e nel verde, per ritrovarsi sotto la mole di Castel di Raione, proprio nei pressi della Grotta del Frassaneto, cui si perviene in una buona mezzora, attraverso dolci pascoli, intricate macchie ed un folto bosco di lecci. Eccoci di fronte ai due ingressi della spelonca: essa presenta un dislivello di 80 m ed uno sviluppo di 250 m. E’ costituita da calcari grigio-scuri del Mesozoico e fu scoperta ed esplorata nel 1931. Fu sicuramente abitata nell’antichità, poiché dagli scopritori furono rinvenute una lancia di bronzo e una manopola di rame, nonchè covo di briganti. La luce penetra l’interno per alcune decine di metri … poi solo buio pesto, perché presto s’inabissa attraverso una ripida scarpata che discende nei penetrali dell’antro. Attraverso un passaggio sulla destra, tra ciclopici macigni distaccatisi dalla volta, è possibile penetrare nell’ambiente più vasto della cavità ed apprezzare una vistosa colata calcitica, alcune appariscenti stalagmiti e interessanti concrezioni. Il gruppetto di ardimentosi non è munito di sofisticati mezzi di illuminazione, ma è sospinto da una gran voglia di scoprire quel fantastico lembo di mondo sotterraneo, creato dalle forze della natura. Così, in un paio d’ore, alla luce delle frontali, nonostante la scivolosa e insidiosa scarpata da percorrere, la maestosa cavità è interamente esplorata, fruita e fissata in immagini. Dopo uno sfizioso spuntino, consumato sotto i rami fronzuti di una quercia annosa, ci attende l’ultima asperità del percorso: Castel di Raione, una importante postazione strategica nel passato, che dominava dai lidi del Tirreno, fin sull’alto corso del fiume Argentino ed insieme, un belvedere a 360°, proteso sull’intera chiostra dei Monti d’Orsomarso. Ancora storia, quindi, mista a spettacoli naturali! Breve tragitto in auto e poi l’ultima rampa per Castel di Raione; lungo il percorso, antichi coltivi e casalini abbandonati, avamposti di una civiltà contadina ormai quasi totalmente scomparsa. Dico quasi, poiché in questa solitaria ed inospitale plaga, isolata dalla collettività, resiste tenace una coppia di giovani massari, con relativa figliolanza: “eroismo agreste”, mi permetto di definirlo, il quale, lungi dall’essere incoraggiato e incentivato, viene invece vessato con tasse e balzelli. Siamo ormai nei pressi della spoglia e rocciosa vetta, su cui spiccano vistosi ruderi di un’antica fortificazione militare, sicuramente attiva in epoca medievale (X – XI sec.), a protezione dell’importante postazione. Da quassù possiamo goderci uno spettacolo naturale grandioso e solenne: i raggi ormai obliqui del sole, che promette di regalare un sublime tramonto, proiettano, sui verdissimi costoni fluviali, l’ombra scura di Castel di Raione, mentre il brusìo sommesso delle acque dell’Argentino risale dalle profondità della valle; testimone l’azzurrina corona dei Monti d’Orsomarso, ultimo Santuario della “wilderness” meridionale.
11 maggio 2014: Lungro “la via dei Monaci Basiliani” di Mimmo Filomia
Pierre Francois Frega, la nostra guida, ci ha riservato un sentiero da percorrere immersi nella natura verdeggiante, sulle orme e nella storia dei Monaci Basiliani che in questa zona hanno lasciato tracce della loro presenza. Un connubio tra storia, cultura, archeologia, preservato dalla natura incontaminata e florida che ha preso il sopravvento perché non più addomesticata dalla mano dell’uomo. Pertanto, il nostro sentiero sembra uscito dal cilindro di un mago. C’è voluto una saggia interposizione tra segmenti di due sentieri storici per crearne uno, l’attuale, ad anello, che attraverso dei sali e scendi, ci facesse esplorare una vasta area sulle sponde omonime dei fiumi Carraci, Delle Grotte e Fondaco, tributari del più noto fiume Tiro. I due sentieri, di cui uno di certezza basiliano, parte, da Lungro Piazza Casini, prosegue verso la Chiesa S. Elia (XVII sec.) e poi sale sulla sponda destra, località fiume Tiro e Carraci, fino al rudere di S. Maria Callistata per poi proseguire per Orsomarso. L’altro, che usiamo per la fase di rientro, da Cozzo Pepe (1200m), giungendo da Garga, sulla via istmica più commerciale, prosegue per Piano Campolongo e Campotenese, per unirsi ad altre vie per lo sbocco sul Tirreno. E così oggi quello che per noi sono ruderi, ovvero pietra su pietra diroccati e costruiti a debita distanza lungo il sentiero, al tempo racchiudevano un ricovero, le cosiddette “Laure”, le case dei monaci bizantini in preghiera. Anche qui, la conferma che ogni Asceterio aveva un’area adibita a corte, coltivata per il proprio sostentamento. Più in alto a tutto, su Cozzo Pepe, domina il rudere della chiesa di S. Maria Callistata, sinonimo di “più bella di tutte”, verso cui i monaci si dirigevano in raccolta e venerazione. Da qui, inizia il sentiero di ritorno per passare sull’altra sponda dell’ampia valle del Fiume Tiro. Scendiamo alle sorgenti del Fiume delle Grotte la cui acqua sgorga appunto da grotte, per risalire su un pianoro panoramico con vista paesaggistica sul mare Jonio. All’epoca nella zona, come ovunque, i monaci conducevano una esistenza in simbiosi con gli abitanti del luogo. Qui lo dimostrano i tanti terrazzamenti in località Difesa, un Castrum adibito a coltivazione del grano e frutteti che, pur se inselvatichiti, con la loro fioritura ci hanno dato saggio di odore e di vita frugale di un tempo. Nella zona a monte di Lungro, ricca di acqua per le molteplici sorgenti, rimane qua e là solo qualche nostalgico agricoltore a giudicare dai pochi fazzoletti di terra lavorati ad orti. Mentre si cammina nella frescura del bosco, tra una divagazione e l’altra, ci saluta un salto di scoiattolo e più avanti un incontro ravvicinato con un anfibio al sole, l’Ululone dal ventre giallo. Uno scambio di informazioni sulle molteplici infiorescenze officinali incontrate quali benefiche o dannose all’organismo, ci introduce alla scoperta di un territorio appena scalfito dalla mano dell’uomo, quanto basta per ricavarne benessere. Ci pervade un senso confortevole del luogo ascetico, per la vita semplice e sostenibile ivi trascorsa ed una riflessione per tanto consumismo e dissesto idrogeologico in atto, per abbandono e incuria verso il territorio. Subito dopo una frugale pranzo, consumato nei pressi dell’acquedotto, località sorgente Vena Boldone, scendiamo sul fiume Fondaco visitando in sequenza alcuni ruderi, costituiti da vani a basse mura spesse in pietra a secco, si presuppone trattasi di Laure, la cui presenza attende una giusta collocazione nella storia. Il sito è stato interessato ultimamente dal taglio di castagni sofferenti ultra centenari. Più avanti la fresca acqua della sorgente Fondaco, ci rifocilla tutti. Un nuovo salto divertente sul fiume e siamo davvero sulla strada del ritorno nei pressi della contrada Piantata che offre un bel colpo d’occhio nella vallata sottostante dove ora scorre il fiume Tiro ingrossato dai suoi affluenti; mentre in lontananza svettano il campanile di Altomonte, Firmo, Lungro e addirittura Cosenza, alle spalle l’azzurro del mare Jonio. Il tempo giusto per raccogliere dai margini del sentiero un omaggio floreale da parte di Hanna, una sensibile tedesca che vuole risalire a piedi tutta l’Italia fino ad Amburgo, da offrire al simpatico Pierre e siamo davvero al muretto, per la foto di gruppo, a coronamento di una bella giornata. Oggi è stato un tuffo nel VIII sec. d.C., nel verde deserto di Calabria quando l’ascetismo bizantino peregrino si affermava tra questi dirupi scoscesi e grovigli arborei alla ricerca di luoghi solitari e lontani dalla persecuzione iconoclasta e tentazioni umane.
27 aprile 2014: La 10^ edizione della pasquetta dei Castrovillaresi di Mimmo Filomia
Quest’anno, come di consueto, nella domenica ottava di Pasqua, si è svolta l’escursione della pasquetta alla Madonna del Riposo. Proveniente dalla buona tradizione castrovillarese, l’evento, ripreso dal Club Alpino Italiano di Castrovillari dal dimenticatoio in cui era sopito, è giunto, rivalutato, alla sua decima edizione. La manifestazione, integrata nel contesto attuale, ormai, è un avvenimento atteso e riuscito. Abbiamo registrato, in questi anni, un crescendo di partecipazione, con gente alla prima esperienza naturalistica, variegata nella cultura ed età, entusiasta di scoprire di appartenere a luoghi favolosi e tradizioni vissute. Ogni anno -dal 1836, anno di costruzione della cappella ad opera del benefattore Andrea Bellusci- tante persone, a primavera inoltrata, salgono a far visita alla bianca cappellina rupestre. Una gita fuori porta per coinvolgere tutti ad aprirsi alla vocazione interiore nascosta verso la pratica salutare della frequentazione della montagna. Quale motivazione e ambiente ideale se non questo per trascorrere in allegria una giornata all’aria aperta e riscoprire ed affezionarsi a questi luoghi tanto frequentati dai nostri avi. Lo ricordano soprattutto le nostre nonne, vestite dal “Regime”, da ”Piccole italiane” in camicia bianca e gonna nera, alla loro prima gita scolastica, accompagnate dal maestro per una lezione di geografia estemporanea. Buona parte dei castrovillaresi, ha fatto coincidere questa tradizione, con la pasquetta, accompagnandosi con canti e balli tra ginestre ed orchidee. Al convivio, poi, l’immancabile scambio e comunione di leccornie tipiche generose pasquali. Questa usanza è durata sino al 1960 quando, con il diminuire delle presenze, è determinato l’abbandono della contrada. La collina, alta 764m, è un contrafforte roccioso, carsico, calcareo a forma tronco conica verdeggiante. Dà bella mostra di sé per avere incastonata a mezza costa una invitante bianca chiesetta, meta oggi di nuovi curiosi ed escursionisti pellegrini devoti. La bianca icona a cupola ottagonale, sofferente nella struttura, è un punto di riferimento per il viandante nella Calabria Citra; domina sulle cittadine di Castrovillari, Morano, Frascineto, San Basile, Saracena, Spezzano Albanese, fino al mare Jonio. È un luogo panoramico, facile da raggiungere, situato al centro dell’emiciclo formato dai monti del Parco del Pollino su cui svetta il Dolcedorme, ancora innevato. Prima di noi, è salito qui sopra, in viaggio per la Francia, San Francesco da Paola per salutare e benedire la Calabria. Ormai la cappella altro non è che un simbolo religioso svuotato letteralmente di significato, per l’incuria e vandalismo di alcuni, ma, riempita di affetto e di fedeli che come noi continuano a rimanere legati alle tradizioni, ritrovandosi ogni anno sul sentiero turistico/culturale 920 che da Piazza Giovanni XXIII di Castrovillari - Monte Sant’Angelo in appena 2 Km. Durante il cammino Kontatto Radio Cuore (FM 97.700) è stata costantemente in collegamento. Dallo studio Antonio Pandolfi, in diretta, ha curato il resoconto della giornata facendo conoscere ai radioascoltatori le impressioni a caldo dei protagonisti inviandoli anche in streaming su Castrovillari.TV. Rassicurante si è dimostrata, lungo l’intero percorso, la presenza dei volontari della Protezione Civile “Pegaso“.
30 marzo 2014: Il sentiero del “Tracciolino” di Carla Primavera
Rimarrà impressa nella nostra memoria per sempre. Non solo per le meraviglie che abbiamo ammirato, ma soprattutto per la fantastica accoglienza che abbiamo ricevuto dagli amici del CAI Aspromonte di Reggio Calabria. Al nostro arrivo presso il Monte Sant’Elia, ultima parte montuosa della catena Appenninica dell’Aspromonte, immerso tra enormi distese di rigogliosa vegetazione, costituita prevalentemente da pini marittimi e castagni a circa 500 m. s.l.m., ci aspettavano i nostri amici per iniziare da qui il nostro percorso. La storia di questo singolare monte è strettamente collegata alla storia di Sant’Elia da Enna, dal quale ha preso il nome. La leggenda narra che il Santo fu avvicinato da un uomo nero con sulle spalle un sacco pieno di monete. Questo gli propose di dividere il bottino, ma Elia capendo che si trattava del diavolo, iniziò a lanciare le monete verso il mare. Queste, rotolando, si trasformarono in pietre nere e il diavolo contrariato spiccò il volo da un sasso denominato Pietra del Diavolo, dove sono ancora visibili le orme degli zoccoli e della coda. Nel luogo di impatto con l’acqua si alzò un cono di fumo nero, dalla cui sommità uscirono lingue di fuoco, lo Stromboli! Dai suoi tre terrazzamenti, si può godere di uno dei panorami più belli al mondo, la Costa Viola, lo Stretto di Messina, i due vulcani, Stromboli ed Etna e le Isole Eolie. Si tratta di un sito travolgente per il turista a caccia di fotografie e per il naturalista che voglia studiare flora, fauna e particolarità geologiche assolutamente incontaminate e rarissime, le spiagge bianche, il mare di un limpido e azzurro, il contorno delle scogliere che rendono il fiato sospeso, tutto questo incastonato come una pietra preziosa, offre spettacolo. Iniziamo il percorso, in 75 circa, in discesa provvisto quasi per intero da un corrimano in legno, dalla cima dal belvedere, dove sono collocate tre croci bianche, a ricordo del Monte Calvario dove Gesù fu crocifisso, formando un serpentone multicolore che ogni tanto si ferma per chiacchiere, foto e ammirazione del paesaggio! Il sentiero del Tracciolino si snoda lungo il fianco Nord/Est del monte Sant’Elia e arriverebbe sino a Bagnara Calabra, se non fosse che è interrotto da una frana e forse anche dall’incuria degli uomini. Lungo i ripidi versanti venivano coltivate, attraverso terrazzamenti, uve pregiate di gaglioppo, malvasia e zibibbo e un tempo i vigneti venivano raggiunti dai contadini attraverso dei sentieri o addirittura con delle barche che costituivano anche il mezzo di trasporto dell’uva durante la vendemmia. Tutto è storia in questo luogo, gli uomini che hanno percorso per secoli questi sentieri e solcato con le barche questo mare, tutto ci parla delle vite che hanno oltrepassato quei posti, con grandi difficoltà e grande determinazione. La nostra gradevole passeggiata si conclude in una fresca area picnic, dove l’ospitalità dei nostri amici reggini raggiunge l’apice culinario più desiderabile: frittate, pizze rustiche, timballi e infinite varietà di dolci prelibatezze concludono la prima parte della giornata, già, perché ci hanno riservato un’altra sorpresa! La proposta è di recarci alla Caletta di Rovaglioso. Imbocchiamo una stradina e arriviamo in uno spiazzo con ulivi enormi e ad accoglierci alcune realizzazioni frutto di reimpiego e riciclo di materiali poveri, uno spettacolo di creatività frutto di fine ingegno e di grandissimo senso ambientale. Tavolini e panchine realizzate con parti di pedane riciclate e raccoglitori di cavi elettrici, cestini inventati e realizzati recuperando damigiane di vino rivestite finemente con canne e decorate con conchiglie, un angolo ben armonizzato dove collocare i rifiuti tassativamente differenziati, perfino piccole piantine grasse ad abbellire i posti a sedere. La spiaggia è uno dei luoghi più incantevoli della splendida Costa Viola, delimitata da scogliere e anfratti che il tempo ha modellato in modo singolare. Si apre al termine di un costone che precipita sul mare, coperto di zagare e piante di fichi d’india in un paesaggio mozzafiato. Vi si accede per un sentiero, recentemente ripristinato e che attraversa gli uliveti secolari e i vitigni posti più a monte, che inizia con una scalinata che porta a mare, sono 119 i gradini scesi e poi anche risaliti interrotti da alcune decine di metri di selciato. Qualche panchina è stata opportunamente posizionata lungo il percorso per un attimo di riposo soprattutto durante la risalita. Un percorso magistralmente ricostruito in condizioni di difficoltà estrema. Il mare in questo tratto presenta mille sfumature e la cala è così quieta che ancora oggi trovano temporaneo riparo le imbarcazioni sorprese in mare dal forte vento di scirocco. Tra gli scogli si cela una vasca d’acqua dolce e il fondale è molto apprezzato dai sub per la ricchezza e varietà delle specie. Un altro angolo di paradiso, da gustare, osservare e proteggere con amore infinito. Non c’è alcun bisogno di percorrere centinaia o migliaia di chilometri per vedere posti incantevoli, li abbiamo in casa, basta solo conoscerli e farli conoscere, e questo è un modo per farlo.
23 marzo 2014: Ciaspolata sui Piani di Pollino di Mimmo Filomia
Dalle Alpi alle falde dell’Etna, passando per tutta la dorsale appenninica, le ciaspole marcano sempre più le loro tracce, intrecciandole fra quelle lasciate dagli sci da fondo che, nel corso degli anni, stanno avendo un momento di inflazione. Sarà perché le racchette da neve permettono quelle deviazioni negli ambienti innevati, alberati e scoscesi, che agli sci non è consentito, aprendo visuali inusitate di panorami favolosi, esclusivi, che saziano l’avidità di conoscere come muta l’ambiente con la neve, che tutto fa sottacere e piegare gli alberi al suo volere, quasi ad inchinarsi. Persino il vocio, indistinto e allegro, sospinto dal vento ci giunge ovattato e confortevole nella consapevolezza di appropriarci dell’ambiente e del suo silenzio. Il Parco del Pollino, si inserisce favorevolmente in questo scenario di attività sportive invernali no profit, per i suoi vasti spazi variegati che si propongono da quota 1500m in su fino a quota 2267m che è quella del Dolcedorme che è sta toccata, muniti di sci, con gli amici dello Sci Club Saracena. Un pò meno impegnativa ma, altrettanto divertente e formativa, per la padronanza della calzata dell’attrezzo, è stata l’escursione condotta ai Piani di Pollino (1800m) e diretta a far visita al “Zì Peppe” pino loricato emblema del Parco. La chioma argentata del supino Loricato, spuntava a quota periscopio in un mare di neve. Da questo punto di osservazione si defilano nitide tutte le massime cime innevate, fornendo uno spettacolo da cui non vorresti staccarti mai. Una sferzata di vento gelido sui piani di Pollino è un ottimo metodo per svegliare gli anticorpi del raffreddore ma, sempre meglio non approfittarne, perciò giriamo la nostra traccia bianca verso il ritorno memorizzando la bellezza del luogo immortalandolo con la foto ricordo. Più giù al riparo di due secolari pini ci aspetta una breve pausa ristoro; dopo, ammoniti dal vento insistente, in punta di ciaspole scendiamo verso il Piano Toscano con lo sguardo rivolto per un incontro ravvicinato sul Dolcedorme e grande frana del Pollino, prima di immetterci sul sentiero per Colle Impiso. Ovviamente con tanta neve, non poteva mancare il sorbetto di Elvira.
9 marzo 2014: “Un’escursione particolare” di Giancarlo Falbo
Particolare l’escursione sciistica vissuta il 9 marzo nel territorio di Saracena. Non per il tempo atmosferico pure inclemente, non per le condizioni della neve comunque accettabili, non per la durata anche se lunga (8 ore), ma per il numero dei iscritti. Per la prima volta tutta l’organizzazione è servita per accompagnare un solo eroico partecipante lungo il lunghissimo ed accidentato anello sci/escursionistico, che si snoda attorno alla più alta montagna del comprensorio: il monte Caramolo. Ciò, però, conferma, inequivocabilmente, la bontà e il merito delle capacità organizzative dei soci del CAI Castrovillari che nel mantenere fede alla programmazione effettuata trovano la loro essenza nel rispetto degli obiettivi statutari. Senza dimenticare che un gruppo di ciaspolatori ha comunque partecipato alla escursione odierna con un altro itinerario. Purtroppo, con il passare del tempo, mentre al nord la pratica dello sci fuori pista si è andata sempre più consolidando, da noi dopo un picco negli anni ottanta è iniziato un lento ed inesorabile declino che ormai vede pochi appassionati sulle cime! Sicuramente la necessità di un training prolungato e di una tecnica sciistica adeguata, hanno fatto pendere l’ago della bilancia verso le racchette da neve, anche se una discesa fra gli alberi, in neve fresca è un’esperienza che i “ciaspolatori non potranno mai vivere. Partiti in perfetto orario raggiungiamo in tre il deserto piano di Novacco dove un forte vento di Grecale sferza la poca neve caduta in questo sciroccoso inverno. Inizia il percorso che in progressiva ascesa ci porta al valico del Piano di Scifariello che attraversiamo in tutta la sua lunghezza fino a penetrare nel bosco. Gli squarci di sereno si alternano alle improvvise nevicate, al vento fastidioso e al cielo plumbeo nella tipica pazzia atmosferica di Marzo. Attraversato il Piano di Caramolo, inizia il circuito con la discesa nelle mitiche ed aspre Zancarde dove bisogna sciare con estrema prudenza per evitare guai. Nella successiva ripidissima salita qualche problema di fiato e di gambe per il prode partecipante risolto però con la grinta di chi non si arrende facilmente. Giunti a “Facciazzo” il percorso diventa tecnicamente più facile e, senza problemi, chiudiamo l’anello attraversando il Fosso della Neve e parte di Valle Palermo. Nonostante la stanchezza riprendiamo la via del ritorno con l’usuale sosta al rifugio di Scifariello, dove Alfonso svuota “la Norcineria” che custodisce nello zaino! Fichi secchi imbottiti con le noci e Moscato di Saracena concludono il “frugale?” pasto!
23 febbraio 2014: Montea Canale Nord - Ovest di Franco Formoso
E venne il giorno della Montea. È inutile, sia a livello personale che come CAI Castrovillari, ci sono delle montagne che ogni anno è d’obbligo salire! Sia in invernale che in estiva. Una di queste è il Dolcedorme, l’altra è la “Regina”, “The Queen”, la più selvaggia, la più bella: La Montea. Dopo la bellissima uscita del gennaio 2013, in cui trovammo una giornata da favola con scenari stupendi, un amico del CAI di Bari (Mino) mi telefona e mi chiede se si poteva organizzare una intersezionale col CAI di Bari, e se possibile andare anche quest’anno sulla Montea. Per me va bene, è sempre un piacere salire su quelle aspre vette. E cosi facciamo. Successivamente si aggiungono altri gruppi e anche quest’anno si prevede una bella carovana. L’idea iniziale era di fare un anello salendo per la Serra del Finocchio e poi una volta in vetta, tornare per la via classica, facendo un percorso molto panoramico e spettacolare. Poi con il freddo e l’ambiente innevato, si sperava anche in una escursione tecnica e divertente. Purtroppo il “non inverno” di questo anno ci ha obbligati a cambiare i programmi. Qualche giorno prima, constatando che il versante Sud era senza neve a causa delle scarse nevicate e delle temperature elevate (quasi estive), parlandone con Massimo, l’altro organizzatore, per non cambiare montagna si decide di fare il canale NO sperando di trovarlo nelle giuste condizioni. Ci troviamo a Buonvicino. CAI Castrovillari, CAI di Bari, CAI di Verbicaro, CAI di Reggio Calabria, Geotrek di Castellana Grotte, Soccorso Speleo Calabrese nonché amici di Grottaglie e di altre svariate parti della Calabria e di altre regioni. Che dire, una bella combriccola. Dulcis in fundo, il CNSAS Calabria - Stazione Pollino, ha organizzato per lo stesso giorno un’esercitazione di elisoccorso e quindi sono presenti le squadre “Tirreno” e “Montea”. Siamo in 32. Dopo aver attraversato il fiume, ci avviamo verso i ruderi dell’antico abitato di Serrapodolo e seguiamo il greto asciutto del torrente. Imboccato il vallone sotto Serra Commaroso, dopo un pò incontriamo il canale. La giornata è caldissima e serena, si suda e nella pietraia del canale le difficoltà non sono poche. L’anno scorso quando con alcuni amici l’abbiamo risalito, abbiamo trovato la neve molto tempo prima. Dopo i primi 500 m finalmente incontriamo la neve. Una lingua sottile, all’inizio molto esile ma bella dura e compatta. Promette bene. In questo punto noi del Soccorso ci fermiamo. Infatti è il punto scelto dove verrà a prelevarci l’elicottero per portarci in vetta. Gli altri, indossati i ramponi, iniziano a salire. L’appuntamento è sopra, in vetta. Considerato che io e Massimo ci imbarcheremo per primi, ci accordiamo con gli altri per incrociarli prima della vetta per fare l’ultimo tratto assieme. Arrivato l’elicottero, inizia l’esercitazione. Purtroppo a quest’ora sulla vetta c’è nebbia e quindi causa la scarsa visibilità, siamo costretti a sbarcare più sotto. È bellissimo ammirare la Montea dall’alto, vedere i suoi versanti, i canali, i dirupi, i saliscendi. Sono esperienze che difficilmente si possono dimenticare. Sbarcati, in breve, raggiungiamo il canale dove avevamo intenzione di far salire il gruppo. Montata una corda sugli ultimi 5 metri scoperti, ci caliamo e discendiamo il canale per andare ad incrociare gli altri. Purtroppo, essendo arrivati prima di noi, li manchiamo per poco. Sono saliti da un’altra parte. Peccato, il canale era proprio bello da salire. Allora risaliamo e dopo poco ci ritroviamo tutti in vetta. 30 persone sulla vetta della Montea per il Canale NO. Un nutrito gruppo di persone provenienti da varie regioni ma animate dallo stesso spirito e dalle stesse passioni. È il grande amore per la montagna quello che spinge tanti individui ad alzarsi di notte, percorrere tanti chilometri e scalare una montagna per poi rifare lo stesso percorso per tornare a casa. Sono da ammirare per la loro passione, la loro forza e la loro determinazione. Sono esempi di vita di cui tutti dovrebbero far tesoro. Sulla vetta di questa magica montagna, le visioni sono mozzafiato. Una linea spartiacque divide la cresta. A Nord il bianco della neve, a Sud lo scuro della roccia. Siamo quassù, le fotocamere producono click a iosa, pacche sulle spalle e abbracci per chi mette piede qua sopra per la prima volta ma anche per chi oramai ha perso il conto di quante volte c’è stato. E poi l’offrirsi a vicenda ciò che ognuno ha portato, lo scambiarsi impressioni e pareri, il vivere insieme tante emozioni unite al piacere di incontrare amici e compagni d’avventura, conoscere gente nuova e il rinsaldarsi di antiche amicizie è qualcosa di stupendo, di magico. Cosi come è magico vedere negli occhi delle persone la gioia, la soddisfazione che prendono il posto della fatica e dello sforzo. Tutto questo non ha prezzo, mi emoziona, e sapere che ho contribuito a far si che questo si verificasse, mi riempie d’orgoglio e di soddisfazione. Mi viene in mente il motto del CAI per i festeggiamenti dei 150 anni: “La montagna che unisce” a cui vorrei aggiungere: che aiuta, che forma, che tempra, che rende felice, che fa sognare. Arriva l’ora di scendere, è tardi e sappiamo già che ci prenderà il buio, ma è normale, cerchiamo di imboccare il sentiero alla fine del canalone prima che scenda l’oscurità. Una parte scende dalla via normale (chi è sprovvisto di imbrago e doppia piccozza), gli altri scendono dal canalino che avevamo in mente per l’ultima parte della salita. Anche questa risulterà un’altra bella esperienza per chi non l’aveva mai fatta. La calata in corda, la pendenza e la neve dura producono adrenalina e quel pizzico di brivido che rendono affascinante ed incancellabile questa avventura. Il tutto in piena sicurezza sotto l’occhio attento e vigile del Soccorso Alpino e degli organizzatori. Tutta gente competente e professionale. Tutto procede serenamente e la discesa si svolge nel migliore dei modi. Arrivati alla fine del canale, togliamo i ramponi e ci avviamo sul sentiero. Il buio ci avvolge dopo poco tempo. Alla luce delle frontali percorriamo l’ultimo tratto, la stanchezza si fa sentire ma è normale, l’uscita di oggi non era semplice. Sono le 19,30 quando l’ultimo gruppo raggiunge le auto. Anche quella di oggi è stata, consentitemelo, un’impresa straordinaria. È la prima volta che 30 persone risalgono il Canale NO della Montea. Pensare che fino a tempo fa, questa era solo una cosa per pochi temerari, e il solo pensare a tante persone in una volta sola, era quantomeno folle. La montagna è anche questo. Pian piano ci stiamo avvicinando a ciò che in altri posti è la normalità. Questa è la strada da seguire! Un’altra grande soddisfazione e motivo di orgoglio è il fatto che negli ultimi anni, grazie ad un gruppo di alpinisti e amanti della montagna (fra cui mi inserisco anch’io) spinti dallo spirito d’avventura e di esplorazione ma anche forti di esperienze e competenze, si stanno scoprendo tanti luoghi e aprendo tante vie alpinistiche nel nostro meraviglioso Parco del Pollino. Canali, pareti che prima erano proibitivi e sconosciuti, man mano vengono risaliti e rivelati al popolo della montagna. È l’ora di salutarci. Baci, abbracci, promesse di rivederci presto. Ognuno prende la via del ritorno. Sono sicuro che la giornata di oggi rimarrà indelebile nella mente di ognuno. Si ritornerà a casa magari stanchi ma più ricchi e con la sensazione di aver vissuto qualcosa di importante e di straordinario. A tutto questo abbiamo contribuito in minima parte noi uomini, ma il merito maggiore va a lei: “The Queen”, La Montea.
16 febbraio 2014: Sesta edizione della Pollinociaspole di Mimmo Filomia
Domenica scorsa abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione che la transitabilità della strada intercomunicante e di avvicinamento ai sentieri di montagna che dallo svincolo A3 di Campotenese introduce nel cuore del Parco del Pollino è di vitale importanza per il turismo; tanto che la sua apertura, alle diverse centinaia di visitatori tra ciaspolatori e sciatori, raggianti in viso, ha fatto gridare al miracolo! Infatti, in molti, per un giorno, abbiamo rivissuto i tempi migliori di Ruggio; l’augurio è che a partire dall’apertura del più volte ristrutturato Rifugio De Gasperi la località possa risalire la china. E pensare che solo una settimana fa avevamo fatto notare come questo ambiente, fiore all’occhiello del Parco, fosse caduto in letargo, sommerso da un metro di coltre bianca ma, non usufruibile, a causa della strada non spalata. Un episodio transitorio, volontario? Sicuramente i responsabili di turno hanno dimostrato poca sensibilità verso coloro che vogliono fare sport invernali, nel proprio ambiente in un momento in cui NEVE CERCASI! C’è voluta la “Pollinociaspole” del Club Alpino di Castrovillari ed una gara di sci da fondo, organizzata magistralmente dello Sci Club Rotonda, per scuotere lo spalaneve a liberare la strada verso Colle Impiso e per rendere fruibile il pianoro di Ruggio. La calda e soleggiata mattinata ha catapultato attorno al rifugio “De Gasperi” numerose comitive che hanno praticato le loro discipline, colorando gioiosamente la neve, scaricando su di essa la loro vitalità, scivolando sugli slittini, con evoluzioni repentine sugli sci, oppure, a ritmi lenti sulle racchette da neve, per inoltrarsi in ambienti favolosi altrimenti non raggiungibili. Questa è la vocazione di Ruggio e di altri posti, le presenze ci sono e non bisogna farle attendere ulteriormente. Bisogna aprirsi all’ospitalità, che passa innanzitutto attraverso una strada di avvicinamento all’ambiente di cui ci si culla di essere fieri di appartenere, ma che non si fa proprio niente per renderlo fruibile. Un grande merito, va riconosciuto alle associazioni locali che si prendono cura degli ambienti montani. Escursioni con le racchette da neve come questa odierna, organizzata dal CAI oltre a mettere le ali ai piedi ad un serpentone sinuoso, variopinto di circa 50 persone, su queste montagne, appaga la curiosità nella progressione in luoghi meravigliosi inusitati; nel contempo genera affezione, viene mantenuta viva la presenza umana contribuendo alla conoscenza, promozione, tutela e valorizzazione delle nostre terre alte, anche d’inverno. Per quel che riguarda prettamente il CAI Castrovillari c’è da essere orgogliosi per il gran numero di partecipanti che questa manifestazione riesce a coinvolgere ogni anno, grandi e piccini (Rebecca C., la più piccola, 8 anni), donne e uomini. Una attività sportiva in ambiente naturale iniziata dalla nostra associazione circa 15 anni fa e che pian piano è riuscita a coinvolgere centinaia e centinaia di appassionati della neve o semplici turisti che si avvicinano e calpestano i luoghi del nostro meraviglioso Parco.
12 gennaio 2014: Piani di Pollino con il CAI Aspromonte di Carla Primavera
Finalmente ce l’abbiamo fatta! Da tempo aspettavamo l’incontro con i nostri amici del CAI di Reggio Calabria, che, per motivi vari, non per ultimo le condizioni meteo avverse, è stato rimandato per almeno 3 mesi. L’idea era di fare una passeggiata nel cuore del Parco del Pollino, dove la maggioranza dei nostri amici non aveva mai messo scarpone! Dopo il pernottamento nel nostro accogliente rifugio di Contrada Campolongo nella Piana di Campotenese, ci ritroviamo alle sette per l’avvicinamento a Colle dell’Impiso dove ha inizio la nostra escursione. La prima uscita stagionale ha solleticato il palato di molti facendoci raggiungere le venti persone, numero perfetto! La neve di qualche giorno prima, ormai indurita e ghiacciata in molti punti, ci ha costretti ad una progressione lenta e accorta, molti erano i punti scivolosi e lo scenario man mano cominciava a mutare. La prima sosta al piano di Vacquarro ci ha suggerito le prime foto del nostro fantastico massiccio, il Pollino lato Ovest. Il gruppo procede spedito con qualche sosta ristoratrice, ma le condizioni meteo stavolta le abbiamo azzeccate in pieno e anche se la partenza era stata un pò “nebbiosa”, man mano il cielo andava schiarendosi. Finalmente facciamo capolino ai Piani di Pollino innevati, e qui si decide di proseguire fino ai grandi pini loricati “gemelli”, dove alcuni di noi decidono di sostare, mentre il resto del gruppo conclude la salita verso l’emblema del Parco, il grande “Zi Peppe”! Grande allegria e magia in quel posto ricco di fascino, dove secoli e secoli di vento, neve, sole e pioggia, hanno creato un luogo che sembra uscito da una di fiaba e che ospita il maestoso millenario patriarca della Grande Porta del Pollino a memoria di un atto vandalico gravissimo, rimasto per fortuna isolato, un mito oltraggiato e infranto, un simbolo umiliato, un prodigio della natura violentato, distrutto dalla barbarie, dalla viltà e dalla stupidità umana. Ai nostri amici, e anche a noi che lo conosciamo tanto bene, quel posto, riserva comunque grandi emozioni. Un palcoscenico naturale dove poter ammirare il grande anfiteatro delle principali cime del Parco al di sopra dei duemila metri: Serra del Prete, Pollino, Dolcedorme, Serra delle Ciavole e Serra di Crispo, nonché l’incontro ravvicinato con grandi, bellissimi e vegeti pini loricati. Ritornati alle auto, una mia piccola sorpresa culinaria per gli ospiti conclude la bellissima giornata, nel mentre qualcuno già prometteva un repentino ritorno! Un grazie particolare a Peppe Marino che ha curato l’organizzazione da Reggio e a tutti i partecipanti per il garbo e la simpatia.