Raccontatrekking 2015
6 dicembre 2015: I Giganti della Sila Greca di Lorenzo Cara e Carla Primavera
Castagni ed aceri con un’età che supera i sette secoli, ospiti d’eccezione la Sezione del CAI di Castrovillari. Incontro presso la rotonda di Contrada Frasso con gli amici del CAI con il Presidente Carla Primavera in testa. Dopo i saluti, ci siamo avviati, con le proprie auto, in direzione della vecchia statale 106 che porta alla contrada Piragineti. Dal bivio sulla sinistra si imbocca la via che conduce verso il Santuario del Patirion. Superato il Santuario destinazione località Piana del Sorbo da dove inizia il percorso per i Giganti della Sila Greca. La Foresta rossanese fa parte della Sila Greca, toponimo derivante dai ripetuti influssi culturali ed etnici che la zona ebbe da parte dei popoli greci prima, balcanici ed orientali dopo. Lungo il percorso abbiamo potuto ammirare la natura incontaminata e suggestiva composta da splendidi esemplari di castagni giganti, aceri , pini larici, agrifogli e cerri ; con uno sguardo verso il mare Ionio e verso il massiccio del Pollino. Continuando nel percorso siamo giunti sul Valico del Cozzo del Pesco, meglio conosciuto come Cozzo delle Conserve poiché nell’antichità esistevano le neviere. Altezza della vetta circa 1100 m sul livello del mare. Il ritorno alle macchine è avvenuto nel bosco denominato Arcodero, ricco di piante ultra secolari e di una fitta macchia mediterranea . Terminata l’escursione di circa 4 ore, ci siamo diretti verso il Santuario della Madonna del Patirion, dove con gli amici del CAI , abbiamo prima degustato quanto di meglio la nostra tradizione culinaria con scambi di brindisi ed ottimi dolci natalizi, offertici dalla splendida e simpatica Carla. Abbiamo visitato il Santuario, purtroppo dall’esterno poiché chiuso, mi scuso io in qualità di Rossanese per la mancata possibilità di visitare questo monumento Bizantino. Considerazioni e riflessioni su una giornata speciale che ci ha fatto conoscere ed apprezzare persone come voi della sezione del Club Alpino di Castrovillari . A Voi dedico questa poesia scritta dall’amico Eugenio Nastasi in segno di ringraziamento di una giornata meravigliosa:
“Prendo la via della montagna”
Andiamo in alto, il cielo è una corazza
di nuvole perse. Non c’è che pareti di pini
addomesticati dall’uomo, sono tanti, quasi
attenti alle ginestre giallo-oro, al muschio
che fascia vecchie ferite.
I compagni cercano parole che portino
dritto al senso delle cose; l’altezza si misura
con le pietre asciutte, coi licheni dipinti
dalle bufere.
Laggiù il gregge dei tetti cova
un paniere gentile di comete; una volta il torrente
disperse gente e cortili. Ascolto il gran silenzio
sorvegliato dai pini, ognuno crede alla scintilla
che l’occhio accende e insieme si vola
per alture.
Lo scrimolo del monte beve il suo vino
migliore . L’amico guarda nel suo diario
di pagine strappate
dove cominciano le soste della vita,
dove l’immenso s’è portato via
le ragioni del cuore.
Per un po’ il sapore della resa ha messo
il sale sulle nostre ossa vive.
(Carla Primavera) La Sila greca ci riserva sempre delle sorprese, specialmente quando si incontra un gruppo così gioviale e compatto come il Club Trekking Rossano. Al nostro primo incontro, già i nostri animi si sono fusi, ammirando maestosi alberi di castagno plurisecolari, tutti sapientemente censiti e ascoltando la sapiente descrizione dei luoghi del cordialissimo Presidente Lorenzo Cara. Contempliamo anche pini, aceri secolari, vetusti agrifogli, che appaiono improvvisamente davanti ai nostri occhi come la realtà di un sogno, quello del bosco perfetto, quale ce l’hanno descritto le fiabe di ogni tempo, uno spazio della mente dove abbiamo riposto le nostre visioni di bambini popolate di alberi, gnomi, folletti e animali. Siamo stati proiettati in una fiaba, dove purtroppo qualche cattivo c’era … scene di tagli di alberi di maestosa grandezza completamente rasi al suolo, che tristezza! Abbiamo luoghi di inestimabile bellezza che vengono sistematicamente deturpati e mai qualcuno che paghi per questo. La giornata prosegue con una pausa pranzo a dir poco pantagruelica, arricchita da leccornie salate e dolci sapientemente preparati dai commensali. La visita al Monastero di Santa Maria del Patire, purtroppo chiuso, conclude l’ avvincente giornata, densa di immagini uniche e completata da una compagnia, a dir poco, amabile. Il complesso abbaziale del Patirion è costituito dalla Chiesa e dal Monastero, ed è il risultato e l’emblema della fruttuosa fusione di tre civiltà, bizantina, araba e normanna. Ringraziamo calorosamente gli amici del Club Trekking Rossano per averci fatto conoscere questo angolo meraviglioso della nostra Calabria, primo incontro di una lunga serie. Grazie e alla prossima!
29 novembre 2015: Pietra dell’Angioletto - Cozzo Iazzati di Franco Formoso.
Alla fine ciò che regola la nostra vita e dirige le nostre azioni, è sempre il destino, o chi per lui. Questa uscita si doveva fare 2 settimane prima e il luogo doveva essere diverso ma una serie di impegni e la impossibilità di andare a vedere il posto previsto, hanno fatto si che la data e la scelta dell’itinerario fossero questi. La Pietra dell’Angioletto, un angolo fantastico e selvaggio cosi come selvaggia è la zona dell’Orsomarso, nel Parco del Pollino. Un luogo aspro, incontaminato, meta di pochi visitatori, ma forse è meglio cosi, forse va bene che alcuni luoghi rimangano puri e solenni, fuori dagli standard e dall’escursionismo di massa. Un luogo dove andare in punta di piedi quasi misticamente per poter osservare, bearsi ed entrare in simbiosi con una natura sublime ma allo stesso tempo austera e imponente. Io c’ero già stato due volte, di cui una in solitaria, e mi ero goduto in assoluta serenità e calma, questo pezzo di paradiso, uno scenario di rara bellezza e semplice maestosità. Mi ero sentito alienato dalla vita di tutti i giorni, dai luoghi, dai rumori e dagli uomini. Solo io e la montagna, ed era stato bellissimo! Ero ritornato a casa esausto, felice, soddisfatto e più ricco. Allora perché non dare la possibilità anche ad altri di provare le stesse emozioni, mi sono detto? Ed ho pensato a questa uscita. La mattina all’appuntamento siamo in 18, 8 da Reggio Calabria e dalla Sicilia, e gli altri da Castrovillari, Cosenza e provincia. Il meteo porta bel tempo con qualche residuo di pioggia nella mattinata, ma già appena uscito da casa, alcune gocce d’acqua mi preoccupano. In ogni caso arrivo al luogo dell’appuntamento e per fortuna non piove, anzi si sta schiarendo. Alzo lo sguardo verso le montagne, la nostra meta è nascosta dalle nuvole ma sono ottimista e confido nell’Angioletto. Partiamo alle 7,30 dai ruderi del Castello della Rocca ed attacchiamo il sentiero delle Due Dita che porta al Piano di Casiglia, chiamato cosi forse da questa conformazione rocciosa che ricorda appunto due dita. Posta là forse come ammonimento per chi passa da questi luoghi. Già dopo i primi metri il panorama diventa sublime con veduta sul Corso del Fiume Rosa e della sua valle e sul Santuario della Madonna del Pettoruto. Il gruppo è omogeneo e compatto e si procede speditamente cosi da arrivare a Casiglia in tempi brevi. Qua siamo oltre i 1000 metri ed abbiamo già superato un bel dislivello. Il sole spunta dalle nubi ma il nostro obiettivo rimane ancora sepolto nella nebbia e ciò mi preoccupa un pò perché, quello di oggi, è un itinerario che si deve fare con il bel tempo. Ma non dispero, son convinto che più avanti si aprirà. Ed infatti quando arriviamo sulla cresta, fuori dal bosco, il vento inizia a spazzare le nuvole e i luoghi iniziano ad emergere in tutta la loro bellezza ed imponenza. Spunta Serra Scodellaro, la Montea, La Muletta, la Pietra di Mastu Cacatu, la Pietra dell’Angioletto, Cozzo Iazzati. Dopo qualche foto riprendiamo a salire la cresta fino al traverso ed in poco tempo arriviamo alla prima tappa: La Pietra Di Mastu Cacatu. Lo scenario qua è stupendo, lo sguardo si bea di visioni mozzafiato e la mente si nutre di magnificenza. Nel frattempo il vento ha spazzato via le ultime nuvole e ora il sole splende su questo luogo straordinario sotto un cielo di un azzurro profondo. L’Angioletto ha ascoltato la mia preghiera. Agli altri non l’avevo detto, ma se il tempo non fosse migliorato, avremmo dovuto rinunciare al resto dell’itinerario. Dopo una visita sulla Pietra di Mastu Cacatu, da dove si gode di una fantastica veduta, riprendiamo il cammino e ci inerpichiamo faticosamente su per la cresta e poi per il bosco fino all’imbocco della Cengia che taglia nella parte superiore, La Pietra dell’Angioletto, aggirando poi la parete fino all’imbocco della lunga cresta di Cozzo Iazzati. La Cengia è bella ma anche pericolosa a causa dell’erba bagnata e delle foglie scivolose, in alcuni tratti si restringe, ma con i dovuti accorgimenti si può percorrere tranquillamente. Naturalmente non è consigliata a chi soffre di vertigini dato che , anche se non particolarmente esposta per tutta la durata, ciò che c’è sotto, incute sicuramente timore e un po’ di paura. Prima di affrontarla ci riuniamo per le ultime raccomandazioni e consigli e poi si parte, uno alla volta. Non nascondo che anche avendola già percorsa, mi fa uno strano effetto e quando l’ultimo componente del gruppo arriva alla fine , tiro finalmente un sospiro di sollievo. E poi si apre un mondo! Questo è uno dei posti a mio parere più belli dell’intero Parco. Un Balcone sui dirupi , sul “Rosa” che scorre laggiù in fondo , sul versante Nord della Montea. E quasi alla fine una formazione di roccia calcarea a lastre che sembrano essere state messe li apposta per fungere da pulpito a tanta grandiosità. Naturalmente le fotocamere sfornano click a non finire, ma a malincuore dobbiamo andare anche perché il buio scende presto e il cammino è ancora lungo. Spero di essere almeno all’imbocco del sentiero al Campo di Annibale prima che faccia buio, poi possiamo anche prendercela con calma. Dopo un’ultimo sguardo a questa meraviglia, riprendiamo il cammino e iniziamo a risalire la cresta di Cozzo Iazzati. All’inizio è bella ripida e prevede anche semplici passaggi di arrampicata, poi costeggia per un tratto, dall’alto, tutta la Parete dell’Angioletto e quindi bisogna fare ancora tanta attenzione e non distrarsi. Per fortuna va tutto bene e usciti dalla parte, diciamo pericolosa, su un bel pianoro ci fermiamo e finalmente mangiamo qualcosa. Ormai siamo ai 1550 m di altezza e 100 m circa distano dalla vetta del Cozzo, quindi possiamo rifocillarci e goderci anche gli ultimi raggi del sole che presto verranno inghiottiti dalla scura e imponente forma di “The Queen” Montea. Sui 1600 incontriamo la neve, prima qualche traccia e poi man mano che saliamo, la coltre bianca ricopre la cresta finale e la prima vetta di Cozzo Iazzati. Da qui scendiamo, senza arrivare alla Vetta vera, verso il Campo di Annibale, attraversando il bosco imbiancato da neve già quasi dura a causa della sua esposizione a Nord. Anche la neve! Oggi non ci siamo fatti mancare proprio nulla. Il buio ci sorprende mentre discendiamo il sentiero che porta a Casiglia. Accendiamo le frontali cosi da illuminare il nostro cammino. La notte ora avanza veloce ed anche se intorno a noi le ombre prendono possesso dei contorni, avanziamo in un’atmosfera magica e sotto un cielo orfano della luna ma ricco di stelle. Le ultime 3 ore circa le facciamo col buio , sotto di noi le luci del Santuario, di San Sosti, di tutti i paesini, vicini e lontani. Una lunga fila di luci che proseguono una dietro l’altra e perforano l’oscurità della montagna, questo è quello che qualcuno avrà notato dal basso. Ma il bello è anche questo, vivere e godere di ogni emozione e di ogni momento che si presenta. Assaporare ogni frangente, gustarsi ogni contesto. L’importante è essere pronti a tutto. A qualsiasi circostanza, anche improvvisa. Quando si è padroni della situazione e si procede con calma e sicurezza il sentiero del ritorno diventa una certezza e non un dubbio. Poi si può arrivare anche a notte inoltrata, vuol dire che si è vissuto un altro avvincente momento, un’altra emozione che diventa la ciliegina sulla torta. Sono le 19,45 quando arriviamo alle macchine dopo 12 ore di cammino. Dai volti traspare stanchezza ma anche soddisfazione e appagamento, oltre che felicità. Penso che ognuno di noi oggi abbia vissuto un’esperienza straordinaria che non dimenticherà facilmente, e che gusterà in pieno man mano che nei giorni a venire verrà assimilata. Ogni attimo, ogni frangente di questa giornata, ritornerà come un fiume in piena, ad inebriare la mente ed il cuore. Ci salutiamo con la maggior parte dei componenti, alcuni hanno davanti un bel pò di strada per tornare alle loro case, ma certe cose si fanno a causa della passione e dell’amore per la montagna , senza pensare ad altro. E questo fa diventare il viaggio meno faticoso e più corto. Rimaniamo in 5. Gli Irriducibili! Un paio di noi hanno qualcosa da festeggiare!! Ed eccoci allora, dopo un pò, davanti ad una bella tavola piena di leccornie e di birra, a porre il sigillo su una giornata fantastica e ad un’esperienza fuori dal comune. Grazie Angioletto……….
22 novembre 2015: Napoli sotterranea di Gaetano Cersosimo
Quest’anno il CAI di Castrovillari ha fatto tappa anche a Napoli, in particolare a Napoli sotterranea. Infatti il sottosuolo di Napoli è un patrimonio ricco di storia greco-romana e una rara bellezza indescrivibile circonda i luoghi suggestivi tutti da scoprire. Il termine “Napoli Sotterranea“ vuole indicare il fittissimo e complesso reticolo di cunicoli e cavità, che si trovano nel sottosuolo napoletano in perfetta corrispondenza del centro storico. Come ci insegna la storia i Greci prelevavano materiale tufaceo, a circa 40 metri di profondità, per ricavarne blocchi di tufo necessarie alla costruzione delle mure e dei templi di Neapolis. Scavando si creavano numerosi ambienti e cunicoli che davano origine a una serie di ipogei funerari e lasciavano traccia della loro presenza sulle pareti con monogrammie graffiti. Nell’escursione, oltre ad essere affascinante ed emozionante, si rimane colpiti dalla particolare architettura di cunicoli creati dalle cavità dovute al percorso dell’acqua. Infatti continuarono i romani questo maestoso lavoro costruendo un grandioso acquedotto, gallerie, cisterne di vasche collegate dai canali dell’acquedotto romano costruito 2000 anni fa. Il percorso dà vita a sensazioni trascendenti, è un ambiente molto suggestivo camminare nello stretto percorso al buio tenendo una candela in mano. Questi luoghi sono stati utilizzati certamente come punti di riunione segrete, come luogo di culto e persino rifugio durante la seconda guerra mondiale per accogliere decine di persone al suono della sirena. Inoltre attraverso una bettola segreta in una casa privata di un falegname napoletano è possibile accedere al teatro greco-romano in cui l’ imperatore Nerone era solito esibirsi nel canto. Napoli è anche il paese dei presepi, inevitabile è la visita a via San Biagio dei Librai e San Gregorio Armeno, è noto in tutto il mondo come centro espositivo delle innumerevoli botteghe artigianali dove si realizzano statuine per i presepi. Nella passeggiata si può addentrarsi nella magica atmosfera natalizia. Per finire è obbligatorio gustare la buona pizza napoletana, la sfogliatella, che va mangiata così come il gusto impone, erede di un tradizione centenaria è diventata uno dei simboli di Napoli. E per concludere il babà, dolce tipico napoletano per eccellenza, come abbiamo fatto noi. Napoli è tutta bella, tutta.
8 novembre 2015: Timpa di Cassano e Porace di Peppe Marino
...tu chiamale se vuoi... emozioni... Questa volta ho dovuto scomodare Battisti. Bellissima due giorni con Carla and company sulle rotte del pollino! Sempre premurosi, competenti, capaci, entusiasti gli amici del Cai Castrovillari, incontro impreziosito dai festeggiamenti per i "nostri" otto alpinisti arrivati in vetta al BiancoBeh, questa volta, ho dovuto scomodare Battisti, bellissima due giorni con Carla and company sulle rotte del pollino! Sempre premurosi, competenti, capaci, entusiasti gli amici del Cai Castrovillari, incontro impreziosito dai festeggiamenti per i "nostri" otto alpinisti arrivati in vetta al bianco senza l'ausilio delle guide alpine, e dalla prima uscita ufficiale del nostro nuovo presidente Peppe Romeo! Che dire dell'escursione, semplicemente spettacolare e adrenalinica, con passaggi veramente impegnativi e pezzi di arrampicata con passaggi molto esposti (le foto raccontano da sole), veramente bellissimo il punto di partenza, il rifugio di Colle Marcione, già nella disponibilità del CAI di Castrovillari, e che, vedrete, prestissimo diverrà bello e funzionale come il Biagio Longo, e altrettanto belle e panoramiche le due vette raggiunte, Timpa di Cassano e Timpa di Porace, il tutto condito dalla vista della Timpa di San Lorenzo e dalle alte Gole del Raganello. Ma l'escursione pur bella e ricca di scorci stupendi sul massiccio del pollino, è stata solo la "ciliegina sulla torta" del piatto preparato dalla dinamica presidente Carla. Il piatto "forte" lo abbiamo assaggiato la sera prima, durante la proiezione, prima delle foto del nostro gruppo di alpinisti, poi il video ( bellissimo ... ) dei magnifici quattro di castrovillari, che a distanza di pochissimi giorni dai "nostri" quattro, hanno raggiunto anche loro la vetta più alta d'Europa. E dulcis in fundo, il mitico Mimmo Pace, ha presentato la "fotodescrizione" della "loro missione sul Bianco, quella del 2011, che ha portato il presidente protempore Eugenio Iannelli, sulla vetta del Bianco. E lui, proprio lui, Mimmo Pace, eminenza grizia dell'alpinismo calabrese, ha divuto rinunciare, li le emozioni sono andate a go go. Ho sempre pensato che, quando si tentano imprese alpinistiche di quel livello, la gran forza e il gran coraggio, stanno proprio nel rinunciare piuttosto che nel riuscire! Per chi come me ha letto il mitico libro "K2, il nodo infinito", di Kurt Diemberger, e il successivo "il sesto e il settimo senso", sa bene che la dote principale che un alpinista deve avere, è quella di sviluppare "sensi" aggiuntivi a quelli normali, proprio perchè lassù qualsiasi passaggio/movimento/decisione sbagliata può costare carissima a noi e a chi cammina con noi. Anche Gnaro Mondinelli, il mitico alpinista con cui il nostro gruppo del rosa ha avuto l'onore di essere accompagnato in vetta, ci ha detto e ridetto che lassù nulla è come quaggiù, o hai la capacità di guardare oltre, oppure non vai da nessuna parte. Bene Mimmo, mi hai veramente emozionato (penso un pò tutti) col tuo bellissimo racconto e con la tua esperienza e, te lo dico col cuore in mano, la vera cima del monte bianco è quella che hai raggiunto tu!
25 ottobre 2015: Timpone Campanaro (1492m) di Mimmo Filomia
L’escursione ha visto impegnati trentaquattro protagonisti, di cui sei graditi ospiti del Club Alpino Italiano di Catanzaro. La giornata soleggiata, di questo periodo autunnale, senza brividi di freddo, ha aiutato molto ad abbattere quel muro di pigrizia che tiene lontano tanta gente dalla montagna che, invece, è prodiga di meraviglie visive e olfattive, non ché distrazioni motorie; elargendo nel contempo pillole, salutari. La giornata iniziata sotto i buoni auspici, anche per il credito dell’ora solare, è proseguita in un clima sereno rilassante, quasi a scrollarsi di dosso i ritmi frenetici estivi, per riprendere un nuovo viaggio stagionale, con tanta voglia di scambiarsi idee e concetti a confronto con nuovi amici. Tutto questo, è stato possibile realizzarsi per la morfologia del sentiero, mai monotono, per il suo orientamento variabile e penetrativo nel bosco, compreso tra Valle Piana e Valle Cupa (due ampi pluviali che discendono dal Dolcedorme). Progredendo, a ritmi lenti, in poco meno di un’ora dall’uscio di casa di Castrovillari, guadagniamo un inedito incontro ravvicinato con il bosco, dai colori autunnali cangianti e l‘inimitabile profumo naturale, scaturito dallo sfogliare con i passi, il novello soffice sottobosco. Il sentiero è stato sempre invitante, strizzandoci l’occhio a proseguire, proprio quando la fatica, poteva prevalere. Alla fine dell’ascesa, il giusto premio! Tutti, in cima, questa volta non per essere osservati, bensì per osservare un confortevole panorama a 360° tra le quinte ravvicinate e maestose del Dolcedorme (2267m) dai contrafforti ancora caldi lussureggianti con policromie sparse qua e là. Ancora più giù, l’ampia vallata di Castrovillari con la foschia che rende appena trasparente i monti dell’Orsomarso e della Sila, ma su tutto, all’orizzonte, predomina Monte Cocuzzo. Il pomeriggio, riusciamo ad intravedere anche uno spicchio argentato della marina Jonica di Schiavonea. La consueta foto di gruppo sulla cima, è un ideale variopinta collana umana che suggella un’allegra e spensierata giornata in libertà. Alla fine dell’escursione, ancora una volta è prevalsa la frase di routine pronunciata da alcuni e condivisa da tutti: stanchi, ma felici! Grazie a tutti i partecipanti. Questa piccola propaggine attaccata al grembo di sua maestà il Dolcedorme, ha le doti di un sentiero tematico. Stesso riconoscimento è riservato al sentiero che conduce alla Madonna del Riposo di Monte Sant’Angelo. A breve, lungo i due sentieri saranno installati Tag codificati dai quali, attraverso un applicativo “Attraversando Natura” installato sul proprio smartphone, si potranno scaricare le peculiarità fisiche e storiche dei punti del sentiero stesso. Per questo progetto il CAI di Castrovillari è stato interessato per illustrare la storia, il percorso ed i punti panoramici dei sentieri in parola. Tutto nasce da una iniziativa del Comune di Castrovillari che si è attivato, altresì, per inserire Tag sulla pista ciclabile e agli angoli storici e strategici della città. Sono previsti nei pressi del Castello Aragonese e Piazza Garibaldi, due Totem a cui fa capo tutta l’informazione del territorio, per una completa visualizzazione a disposizione del pubblico.
4 ottobre 2015: Monte La Nuda di Eugenio Iannelli
Le escursioni che vedono come organizzatore Mimmo riservano sempre delle belle sorprese agli escursionisti partecipanti sia dal punto di vista paesaggistico che di fatica fisica. E cosi è stato anche questa volta. Nonostante conoscessimo gli Alburni per una serie di escursioni sul Panormo, il Cervati e L’Accellica, effettuate negli anni precedenti, queste montagne, che fanno parte del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, sono talmente variegate da suscitare estremo interesse in chi percorre i suoi sentieri. Sapevamo che non era un dislivello facile ma la consistenza del gruppo, più di 40 escursionisti di quattro associazioni diverse (CAI Lanciano, Verbicaro, Castrovillari e Geotrek), affiatato e agile ha permesso di superare i 1200 metri di dislivello con una certa disinvoltura. Partiti da Postiglione, attraverso un facile sentiero immerso in un grande castagneto, abbiamo raggiunto la grotta di Sant’Elia, primo e interessante punto panoramico. Di seguito un davanzale roccioso ci consentiva di spaziare sulla pianura sottostante, dove abbiamo ammirato l’ameno paesino, tutte le montagne che lo circondano, l’area naturalistica di Persano, i Monti Lattari, il litorale tirrenico con il Golfo di Sorrento e l’isola di Capri. In lontananza il Vesuvio e L’Accellica dove, l’anno scorso sempre a ottobre, abbiamo effettuato un entusiasmante escursione. Purtroppo nota particolarmente negativa la presenza di una moltitudine di parchi eolici che deturpano in maniera irreparabile un paesaggio unico. Senza remore abbiamo attraversato un breve passaggio attrezzato con cavo d’acciaio per sbucare subito a ridosso delle pareti verticali di roccia e, sempre attraverso uno stretto canale di roccia, siamo giunti su un pianoro alla base del Monte La Nuda. Sembrava fatta invece ci aspettava l’ultimo tratto che, seppur particolarmente panoramico, ha messo a dura prova la muscolatura dell’intero gruppo. Dopo circa un’ora siamo tutti in cima. Qui il panorama si apre a 360 gradi ricompensandoci ampiamente della fatica fatta. Consumati il pranzo al sacco e le consuete foto di gruppo via giù verso Postiglione. Repentina discesa attraverso il bosco di faggi e un altro bellissimo punto panoramico, dove nel frattempo si è avuto il tempo di pianificare con Mimmo l’escursione per l’anno prossimo, Monte Bulgaria, e arrivo finale in piazzetta con dissetante giro di birra. In conclusione un’escursione che ha suggellato vecchie amicizie e fatto nascerne di nuove ma soprattutto il piacere di condividere con altri una grande passione, l’escursionismo, e l’amore per la montagna.
19-20 Settembre 2015: La Costa dei Trezeni e Castellabate di C. Belmonte e U. Spinicci
Il desiderio di conoscere e percorrere nuovi sentieri ci ha portato, in questo week end di Settembre, ad esplorare una bella zona del Parco Nazionale del Cilento. Appuntamento a S. Girolamo con i volti rivolti ad un cielo non ben promettente, ma che si rivelerà poi buon compagno di camminata, e partenza verso nuove realtà paesaggistiche. Durante il viaggio facciamo sosta all’area archeologica di Paestum ammirando i resti della città di Poseidonia, fondata agli inizi del VI secolo a.C. da un gruppo di Achei provenienti da Sibari. Le più antiche testimonianze di questa presenza sono state rinvenute nei santuari urbani, nelle tombe individuate nelle contrade di Arcioni e Laghetto e nel santuario di Hera Argiva alla foce del Sele. In serata, dopo esserci sistemati in un accogliente albergo in prossimità della costa cilentana e aver cenato accompagnati dal piacevole rumore del mare, ci concediamo una rilassante passeggiata nel centro storico di Agropoli. Domenica mattina ci ritroviamo con gli amici dell’Associazione Outdoor Campania che ci guideranno lungo il percorso. Raggiungiamo con i mezzi la meravigliosa Baia di Trentova presso Agropoli e ci incamminiamo, accompagnati dalla vista di questo ameno tratto di costa, inizialmente sabbiosa, ciottolosa e poi scogliosa. Salendo per uno stradone che segue il versante della montagna, guadagniamo pian piano quota fino al promontorio, entrando nella macchia fino ad una boscosa e precipitosa scogliera che ci oppone un’altra splendida vista della costa. Così, senza lasciare il sentiero principale, arriviamo alla Contrada Case San Giovanni dove una suggestiva visione panoramica, che spazia dall’isola di Capri fino al faro di Punta Licosa, ricompensa la fatica, anche se non eccessiva, fatta per arrivare fin lì. Giungiamo, quindi, nella parte bassa del Promontorio di Punta Tresino e qui attraversiamo un villaggio abbandonato, risalente al XVII secolo. Iniziamo così la discesa fino all’arenile in Zona Lago a Marina di Castellabate. L’ultima parte dell’escursione ci vede impegnati nell’attraversare, a piedi nudi, la spiaggia di Marina di Castellabate. Stanchi ma felici di questo bel contatto con la natura tra cielo, terra e mare ci rifocilliamo grazie ad un piacevole connubio tra “Salame calabrese e Mozzarella di bufala cilentana”. Una visita al centro storico di Castellabate con la “piazzetta” divenuta famosa grazie al film “Benvenuti al Sud”, la rituale foto di gruppo e rientriamo a Castrovillari con la mente piena di belle sensazioni, visioni e sapori tra cielo, mare e terra.
6 settembre 2015: Acquatremola - Colle Impiso di Gaetano Cersosimo
Grandiosa è stata l'uscita e l’organizzazione di
domenica sei settembre. Abbiamo percorso un suggestivo bosco -misto
di abete bianco e notevoli esemplari di faggi secolari- tra il Timpone
del Capriolo e il Fosso di Jannace. L’escursione è stata agevole anche
se la distanza di 12 Km ci ha impegnati in uno sforzo notevole. Dal
punto di partenza, il sentiero ha un andamento prevalentemente in salita,
per la prima parte, fino alla fontana di Pitt’ Accurc, dove è stato
obbligato fermarsi per rifocillarci, per un meritato riposo e anche
per saziarci del panorama al Piano di Jannace (m1650). Si riprende il
cammino salendo a sinistra, costeggiando il lato Sud/Ovest di Serra
Crispo, per poi mantenerci in quota, fino ad arrivare alle meraviglie
delle meraviglie, il Giardino degli Dei, ai più importanti Pini Loricati
del Parco, dei monumenti vegetali che in un pregevole ambiente evidenziano
il grande valore naturalistico e ambientale. Si presta attenzione a
ogni “monumento”, immortalando con foto ricordo. Uno scenario di rara
bellezza, alla visione di qualunque escursionista che vuole raggiungere
questo posto in qualsiasi periodo dell’anno. Senza particolare difficoltà
raggiungiamo la Grande Porta del Pollino, m1950, godendoci ancora il
Piano di Toscano, Serra delle Ciavole, popolata anche qui da spettacolari
e grandi esemplari di Pini Loricati, un luogo veramente di incanto.
Da qui lo sguardo si direziona anche sulle imponenti pareti Nord-Ovest
del Monte Pollino e della Serra del Prete, dove si deve sibilare l’aggettivo
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18/22 agosto 2015: Intorno al Monte Bianco di Carla Primavera e Mimmo Pace
Guarda le foto
Punta Yeld e Dente del Gigante
Dopo 4 anni siamo tornati. Era dal 2011, anno in cui due nostri soci, Eugenio e Alessandro, toccarono per la prima volta la cima del Monte Bianco, che questo luogo leggendario ci attirava, intriso di storia, e alpinisticamente parlando, capace di farci luccicare gli occhi per tanta bellezza, maestosità e storia. La precisa organizzazione di Mimmo è stata determinante per la perfetta riuscita di questo viaggio, un pò rilassante, per i luoghi ameni visitati, un pò impegnativo per le ascese effettuate. Ma andiamo per ordine. Il primo giorno l’intero gruppo si appresta, in una sorta di acclimatamento, a salire su una suggestiva montagna, il Mont Chètif, che sovrasta Courmayeur. Partiti dalla Val Veny, dove abbiamo soggiornato in un pittoresco hotel a ridosso del ghiacciaio della Brenva, siamo arrivati con la macchina fino al Rifugio Pre de Pascal (1991m). Da qui la vera escursione su una strada poderale per 15 minuti fino alla Courba Dzeleuna, una stazione dell’impianto di risalita funzionante d’inverno per lo sci da discesa. Arrivati davanti al rifugio si prosegue a sinistra verso l'arrivo della funivia la Zerotta (2030m) e da qui inizia il sentiero numero 5 che porta fino alla cima del Monte Chetif. Sentiero abbastanza ripido con un passaggio trasversale su un canalone ghiaioso e infido. Arrivando sulla cima troviamo una piattaforma di atterraggio per elicotteri e il un punto trigonometrico. Proseguendo, arriviamo fino alla statua della Madonna con una magnifica vista sul vallone di Courmayeur. La statua della Vergine Maria è stata costruita nel 1946, insieme alla cappella sottostante, per volere della popolazione di Courmayeur che voleva ringraziare la Vergine per la protezione ricevuta durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1986 Papa Giovanni Paolo II celebrò l'Angelus proprio da qui, pregando per la pace nel mondo. Il panorama che offrono il sentiero e la cima non si limita alla sola vista di Courmayer ma spazia a tutta la Val Veny con il ghiaccaio del Miage, alla Val Ferret e a tutta la catena del Bianco lato italiano. Purtroppo le nuvole coprivano proprio la parte sommitale delle montagne e solo a tratti il Bianco e il Grandes Jorasses, ogni tanto, facevano capolino tra le nuvole. In compenso grande panorama sulle valli, sulle calotte terminali dei ghiacciai, sul comprensorio sciistico di Courmayer, sul traforo e sulla stessa cittadina valdostana. Il secondo giorno si presenta decisamente più impegnativo. Alzataccia e ritrovo di tutto il gruppo con le guide alpine presso la nuova funivia SKYWAY inaugurata nel giugno di quest’anno. Da qui in soli 20 minuti si sale di 2200 metri fino a punta Helbronner a quota 3462 con cabine tutte in vetro che girano su stesse consentendo ai passeggeri di osservare il panorama a 360 gradi. Completato il controllo dell’attrezzatura e divise le cordate (2 persone + guida alpina), la prima parte alla volta della Tour Ronde (3792m) la seconda verso l’Aiguille D’Entreves (3604m). Il resto del gruppo si accinge ad un terzo percorso con cordate da 4, per un percorso decisamente meno impegnativo ma altrettanto bello e panoramico sino alla base del Dente del Gigante. Il gruppo della Tour Ronde è la parte della cresta spartiacque di frontiera del gruppo del Monte Bianco, che si allunga per quasi 5 chilometri fra la base della cresta Sud/Est del Mont Maudit e la sella glaciale del Colle del Gigante. La cima più alta e nota è la Tour Ronde (3798m). Da qui parte la mia prima personale esperienza su un ghiacciaio. Ci incamminiamo lungo la larga pista che taglia, verso Nord-Ovest, la base di Punta Helbronner e, successivamente, del Grand Flambeau. Una ripida ma non molto lunga discesa conduce all’inizio dell’immenso bacino del Ghiacciaio del Gigante, che si traversa appena possibile verso sinistra, in falsopiano. Siamo al cospetto, oltre che a immensi ghiacciai e seracchi, a cime che hanno visto e fatto la storia dell’alpinismo. Si risale poi per breve tratto lungo la traccia che si dirige verso il Col d'Èntreves. Da qui piegando verso destra comincia la nostra ascesa sulla cresta. La guida ci fa deporre i bastoncini all’inizio del percorso, che avremmo poi recuperato al ritorno, e da qui intuiamo che le mani serviranno per la piccozza e per arrampicare! Dopo un inizio abbastanza facile, attacchiamo l’inizio della cresta Sud/Est della Tour Ronde. Superiamo la prima fascia rocciosa e poi spostandoci a destra raggiungiamo alcune rocce che si scalano facilmente e arriviamo ad un secondo pendio ghiacciato che si traversa per raggiungere un comodo terrazzino. Da qui, con un ultimo strappo, si raggiunge il filo di cresta e quasi subito si palesa il punto più difficile della salita: una placca inclinata di roccia che dapprima si affronta sulla destra per poi passare, in corrispondenza di una larga fessura e di una puntina, sul versante Brenva. Dopo essersi abbassati di poco si continua; giunti appena sotto il filo, si prosegue senza perdere quota sempre dallo stesso versante; con alcuni saliscendi aggiriamo due rilievi rocciosi arrivando al piccolo intaglio del Colle Freschfield (3655m) da dove, dopo aver superato qualche roccia, si raggiunge un comodo posto di sosta da dove inizia la ripida parte nevosa della cresta. La si risale sul filo e si raggiungono le rocce terminali della vetta che si scalano sulla destra per fessure e lame di granito con qualche passaggio un pò esposto e si raggiunge così la vetta.. Qui appare ormai chiara la difficoltà del percorso, arrampicare su roccia con i ramponi! Non un semplice misto, ma passaggi di II e III grado con ramponi e piccozza, canali, placche, rocce rotte, fessure, terriccio instabile e per finire la cresta nevosa dopo la quale, per raggiungere la cima, 15 metri di roccia verticale. Non c’è che dire, davvero una bella prova fisica e psichica per chi come me affrontava queste difficoltà e queste altitudini per la prima volta consapevole che alle nostre latitudini non è nemmeno possibile allenarsi su questi terreni di arrampicata. Ogni metro, ogni passaggio superato, diventano una conquista ineguagliabile, il tutto è però ripagato da una visuale MAGNIFICA: si va dal sottostante ghiacciaio della Brenva al limitrofo sperone dell’Aiguille Noire ed Aiguille Blanche; all’imponente vetta del Bianco; all’isolato quanto suggestivo Cirque Maudit; alle slanciate architetture del Grand Capucin e Petit Capucin; l’enorme distesa glaciale della Mer de Glace; infine l’inconfondibile cuspide del Dente del Gigante, affiancato dalla calotta nevosa del Grandes Jorasses. Dal lato opposto una infinità di cime innevate che lo spazio di questo racconto non basterebbe per citarle tutte: Cervino, Rosa, Gran Paradiso, Grigna, Rutor etc. Intanto il mal di testa dovuto all’alta quota non tarda ad arrivare, ma la mia tenacia e soprattutto l’aiuto della guida alpina Beppe Villa e del mio compagno di cordata Eugenio, mi consentono di toccare la graziosa statuina della Madonna in cima e di siglare sul libro di vetta il nome del CAI CASTROVILLARI. Dopo una breve ma salutare sosta in vetta Il ritorno, che ripercorre il medesimo itinerario, si presenta non meno difficoltoso e, giusto per non farci mancare niente e per abbreviare i tempi di percorrenza, ci sollazziamo, dopo la placca, con una calata di corda diretta sul ghiacciaio guidata dalla nostra guida con arrivo al fulmicotone alla stazione della funivia per prendere l’ultima cabina per il ritorno a Courmayer. Il terzo ed ultimo giorno, viene consumato nella splendida cittadina di Chamonix, con l’ascesa, stavolta completamente in funivia, al Mont Brèvent (2525m). Già dalla fine dell'Ottocento il Brévent era conosciuto per l'incantevole panorama e veniva salito dai primi turisti a piedi o a dorso di muli. Dalla sua sommità grazie ad enormi cannocchiali si potevano seguire le avventurose ascensioni, attraverso il Glacier des Bossons, degli alpinisti al Monte Bianco. E così è ancora oggi. Migliaia di turisti salgono per apprezzare il magnifico panorama che si allunga per tutto il versante francese. Eugenio da quassù ha rivissuto tutto l’itinerario percorso nel 2011, ce ne ha fatto partecipi e ci ha spiegato metro per metro la fatidica salita seguendo con apprensione le cordate che si intravedeva in cordata sul monte Bianco sia sulla via dei Trois Mont Blanc (Tacul, Maudit, Bianco) sia dal Rifugio Goutier. Dopo la disputa delle prime Olimpiadi invernali nel 1924, Chamonix ebbe un forte sviluppo ed iniziarono ad essere costruiti alcuni pionieristici impianti a fune. Tra i primi progetti ad essere elaborati non poteva ovviamente mancare il punto panoramico più bello di Chamonix. Qui approfittiamo delle belle terrazze soleggiate per un momento di quiete e contemplazione. La vetta di questa montagna oggi si presta meravigliosamente anche alla pratica del parapendio dove decine di appassionati, con vele di ogni colore e tipologia, si lanciavano nella valle sottostante. Oltre al parapendio abbiamo assistito per la prima volta in assoluto al lancio di alcuni giovani con tuta alare. Una emozione veramente unica anche per noi che dall’alto abbiamo ammirato la loro temerarietà e la loro bravura immortalando il fatidico momento del lancio. Subito dopo siamo discesi per 500 metri fino all’intermedio di Plan Praz lungo un comodo sentiero ammirando fantastici lastroni di roccia attrezzati, dove, tanti appassionati si cimentavano nell’arrampicata. Infine meritato riposo condito da una gustosa insalata rinforzata Chamoniarde, preparata egregiamente da un ristorante del posto, il tutto allietato dall’ottima compagnia. Ne sono certa, voglio tornarci. Alla prossima!
20 agosto 2015: Punta Yeld e il Dente del Gigante di Mimmo Pace
Giunto sulla Punta Helbronner, attraverso la nuova avveniristica ovovia, che sale dal villaggio di Entreves, il gruppo si era diviso: Eugenio, Carla, Damiano e Mimmo Mandarino avrebbero provato ad ascendere la Tour Ronde (3792m) attraverso un complicato, severo ed interminabile percorso di cresta, con passaggi di misto e roccia, mentre Giovanni, Pasquale, Irene e Mimmo Pace, guidati da Luca Rolli si sarebbero spinti sull’opposto lembo del ghiacciaio, fino alla Punta Yeld (3560m) proprio sotto la poderosa, scoscesa gengiva su cui sorge, imponente, il Dente del Gigante, una ciclopica guglia di granito verticale che tocca i 4000. Dalla stazione funiviaria della Punta Helbronner, un ascensore cala giù per circa 80 m il secondo gruppo, che, attraversato un interminabile tunnel scavato nella viva roccia, consente di rivedere la luce al Rifugio Torino, ora non più servito da funivia. Qui, ha inizio l’avventura. Allestita la cordata, si intraprende il facile, quanto spettacolare raid sul Ghiacciaio del Gigante, che assieme al Ghiacciaio del Tacul, forma l’imponente massa glaciale della Mer de Glace, scivolante a valle tra giganteschi seracchi e profondi crepacci, alla incredibile velocità di un metro al giorno! Anche se siamo al culmine dell’estate, l’aspetto dell’ambiente è tipicamente invernale: merito della copiosa nevicata di qualche giorno prima, ormai quasi assestata, che consente, ora un incedere felpato, ora il caratteristico crepitio dei ramponi, quando mordono la neve ghiaccia. L’incedere proposto da Luca è lento e cadenzato, anche perché Pasquale e Irene sono alla loro prima esperienza coi ramponi. L’iter piega ora a destra, proprio sotto le Aiguilles Marbrees, guglie di roccia spettacolari, mentre folate di vento gelido sollevano turbini di neve, che creano per l’occhio una fantasmagoria di colori. Si continua a salire, mentre l’orizzonte diviene sconfinato e sublime: dalla lontana Grivola, al Gran Paradiso, al Ghiacciaio del Rutor, alla maestosa catena del Bianco, che si defila alla nostra vista con le sue vette candide, le sue aspre giogaie, le sue guglie, i suoi pinnacoli, i suoi maestosi altari di pietra, i verticali bastioni e vedrette, che hanno segnato gli albori e la storia dell’Alpinismo. Aggirata la nord delle Marbrees, dopo una veloce sosta sul Col de Rochefort per ammirare la valle in cui è adagiata Courmayeur, si risale speditamente alla Punta Yeld. Siamo ora proprio sotto la gengiva su cui troneggia il Dente del Gigante: simili a ragni, piccoli come puntini, alcuni arditi risalgono lungo i cordoni fissi, per toccare in sicurezza la cuspide di questo monolito di 140 metri. Una impresa di alto valore alpinistico! Dinnanzi a noi, sempre il Bianco e nel suo grembo la Tour Ronde: siamo al settimo cielo, ma mente e cuore sono protesi verso i nostri compagni, che ancora non vediamo affacciarsi sul profilo di vetta della Tour Ronde. Siamo un tantino preoccupati ed auguriamo loro tanta fortuna! Siamo sulla via del ritorno; in poco più di un’ora, ci ritroviamo a fare la fila all’affollata funivia e a prepararci mentalmente per l’avventura di domani, sul Brevent.
2 agosto 2015: Gole alte del Raganello di Francesco Pugliese
Sono da poco passate le otto e finalmente giungiamo a San Lorenzo Bellizzi, un piccolissimo e caratteristico paesino di soli 685 abitanti situato nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, dal quale si può ammirare la suggestiva Riserva Naturale delle Gole del Raganello, le stupende Timpe di Cassano e San Lorenzo. Ad attenderci sulla stradina principale che attraversa l’assonnato e apparentemente disabitato paesino c’è Gerardo con alcuni amici di Bari, mentre il gruppo proveniente da Castrovillari,di cui anch’io faccio parte, può pregiarsi della presenza di Luigi, un simpatico giovanotto che con la sua esperienza, ci aiuterà a eseguire le manovre di calata in tutta sicurezza. Impensabile celare la briosa presenza di Giuseppe, un ragazzino di appena 13 anni, che accompagnato da Gaetano “papà chioccia”, ha dimostrato, nonostante la giovane età, di avere coraggio e forza, tanto che tutti ormai lo consideriamo come la nostra mascotte. Così anche le simpaticissime, Mariapia di San Basile e Luana di Castrovillari, due ragazze piene di entusiasmo e voglia d’avventura, ci hanno sorpreso per la loro inaspettata capacità di muoversi nel torrente affrontando i salti più consistenti e le varie difficoltà quasi con disinvoltura. Fatte le dovute presentazioni e accompagnati da un simpaticissimo cagnolino che si è unito alla comitiva, ci dirigiamo subito nella stretta insenatura tra Timpa di Cassano e la Timpa di San Lorenzo per entrare immediatamente, dopo aver attraversato un rudimentale ponticello di legno, nel santuario naturalistico delle gole alte del Raganello,comunemente chiamate Gole di Barile, risalirle lungo il greto fino alla Sorgente di Lamia e ridiscendere per la stessa via. Un percorso faticosissimo poiché ci sono alcune cascate che si riescono a superare in sicurezza, solo con l’ausilio di corda, imbrago, moschettone e discensore, sia in salita che in discesa. Ormai siamo tutti pronti e fatta la consueta foto di gruppo si parte affrontando controcorrente il corso del torrente, con un occhio sempre al limpido e azzurro cielo, per scrutare eventuali cambiamenti atmosferici che ci potrebbero costringere a repentine inversioni di marcia. Nelle gole, si sa, non ci sono molte vie di fuga e in caso di pioggia bisogna calcolare i tempi necessari per uscire in sicurezza poiché, bisogna sempre tener presente che si tratta di un ambiente che si trasforma e muta di anno in anno in base alla quantità di acqua e a causa delle frane. Non è la prima volta che affrontiamo il Raganello ma procediamo lo stesso con prudenza, seppur l’esperienza che alcuni di noi hanno maturato e l’attrezzatura di cui siamo dotati ci fanno sentire sicuri e sereni, sappiamo che l’incidente è dietro l’angolo e non vogliamo assolutamente rovinare quella che tutti ci auguriamo sia una divertente avventura nelle Gole di Barile. La prima prova la dobbiamo affrontare dopo neanche mezzora di cammino, allorquando incontriamo un ostacolo composto da alcuni grossi macigni, che hanno creato due cascatelle apparentemente insormontabili, sulle quali con un pò d’aiuto Gerardo, che insieme a me ha la responsabilità organizzativa della spedizione, riesce a risalire per fissare intorno a un grosso masso una corda che ci sarà molto utile per agevolare l’arrampicata del resto del gruppo. Questo ostacolo, ci fa perdere molto tempo, infatti, non è facile far risalire 16 persone seppur con l’ausilio dell’imbrago. Vale la pena ricordare che per alcuni è la prima volta che vivono l’esperienza del torrentismo ed anche semplicemente indossare l’imbrago può richiedere molto tempo. Superato questo primo impedimento, il percorso diventa più semplice e finalmente anche quelli meno esperti incominciano a prendere confidenza con l’ambiente e a rilassarsi quanto basta per godere dello spettacolo che la natura offre. Qui si avverte la selvaggità del luogo, le pareti trasudano straripanti di muschi, e il fragore del torrente diventa la melodia di un documentario naturalistico dalla straordinaria bellezza. Qui tutto è ingigantito ma nello stesso tempo racchiuso come in uno scrigno nel quale si entra cautamente attraverso la toppa della serratura. Le enormi pareti che verticalmente e parallelamente salgono verso il cielo aprono a piccoli scorci e sembra che un pittore, nell’applicare la tecnica delle arti figurative, ha disposto corpi e figure su un piano obliquo rispetto all’osservatore, in modo tale da confonderlo e non farle percepire quali sono le parti vicine e quelle lontane. Qui la reale percezione dello spazio si perde e in silenzio osservi e ascolti il linguaggio della natura, poi, a un tratto, un raggio di sole riesce a penetrare tra le pareti rocciose e il cuore, che per un attimo aveva quasi sospeso il suo battito, riprende di nuovo timidamente a pulsare. Per fortuna, quelli più esperti godono della stima di tutti, poi Luigi, con la sua esperienza non lascia margini all’errore e all’imprevisto e anche i passaggi più difficili ed esposti, seppur affrontati con un pizzico di preoccupazione lasciano spazio anche al divertimento, premessa indispensabile, affinché vecchie e nuove amicizie incomincino a rinvigorirsi. A un certo punto, completamente rapiti dal Raganello, incominciamo ad avvertire una pioggerellina che silenziosamente s’insinua dall’alto penetrando le vicine pareti del canyon e che timidamente e con estrema cortesia ci ricorda che è ora di tornare indietro. Peccato, la sorgente di Lamia non è molto distante ma assolutamente non si può rischiare nulla. Il gruppo è numeroso e alcuni non sono proprio esperti e questo non depone a nostro favore. Dobbiamo prevedere il peggio, se viene a piovere di brutto il fiume in poche ore ingrossa e quella che dovrebbe essere una divertente escursione si potrebbe trasformare in una tragica avventura, quindi, tutti d’accordo! s’incomincia a ridiscendere il torrente per la stessa strada. Per fortuna il tempo volge di nuovo al bello e in men che non si dica ritorna uno splendido sole che ci accompagnerà in una divertente ridiscesa dove ormai tutti stanchie appagati, ma soprattutto ricchi di nuove esperienze che hanno contribuito, nelle migliori tradizioni del CAI, a formare piacevoli amicizie. Usciti dal torrente, scambiamo qualche chiacchiera e giusto il tempo di cambiarci gli indumenti bagnati con quelli asciutti ci dirigiamo su un’area pic-nic poco lontana, dove apparecchiamo un’improvvisata mensa ricca di prodotti tipici e dove subito si crea un’atmosfera cordiale e gioiosa. Consapevoli di aver trascorso una giornata speciale in un luogo speciale, affettuosamente ci salutiamo, promettendoci di ritornare a breve a far visita al Raganello.
12 luglio 2015: Canyoning nel Crosinni di Massimo Gallo
La catena costiera, uno dei cinque gruppi montuosi calabresi, appare prevalentemente dolce con spigoli arrotondati e grandi boschi; è un massiccio montuoso geologicamente più vecchio rispetto a quello del Pollino che inizia più a Nord, ed ha un’anima di granito. Questo massiccio granitico, cessa però all’altezza di Monte Cocuzzo che ne è la sua massima elevazione, formando con lo stesso un’isola calcarea che presenta cime più aguzze e in gran parte rocciose. Nei pressi del caratteristico paesino di Falconara Albanese, posto ad una manciata di chilometri a Nord Ovest rispetto a Monte Cocuzzo, scorre il Torrente Crosinni, che, prima di congiungersi con il torrente Diamante per andare a formare il torrente Fabiano che poi sfocia nei pressi di Torremezzo di Falconara, nel chilometro in cui passa tra Timpone Marino e Colle stretto, dà vita ad una spettacolare gola fluviale molto incassata, un paradiso fino a pochi anni fa sconosciuto, considerato dai locali, che riuscivano solo a scorgere l’entrata in alto, e l’uscita più a valle, come un posto pericoloso. Quando ci andai per la prima volta insieme ad un amico, e la mattina ci fermammo in paese a prendere un caffè, ci intimarono di non entrare, perché un loro compaesano una volta ci aveva provato e aveva rischiato di morire, era uscito vivo per miracolo dopo che per due giorni i soccorsi lo avevano cercato per tutta la sera. Allo stesso tempo, su internet, scoprii che prima di noi, altre due persone avevano fatto quella discesa. Da allora la forra viene percorsa regolarmente e per noi, è d’obbligo scenderla almeno una o due volte all’anno! In questa torrida estate l’abbiamo inserita nel programma della sezione CAI di Castrovillari, e a guidarla siamo io e Franco. Si aggiungono alla sortita la sezione CAI di Cosenza e l’associazione Amici della Montagna di Bisignano. Ci siamo! Arriva finalmente la mattina del 12 luglio, e in una giornata molto calda, 14 persone sono pronte ad entrare nei profondi e bui meandri del Crosinni! Per tanti è la prima volta in questo posto misterioso che però è a due passi dal centro abitato, ma questo è uno degli intenti del Club Alpino Italiano: far conoscere posti nuovi per meglio tutelarli! Considerata, per le sue caratteristiche, “la forra perfetta”! Avvicinamento breve e in discesa, sforramento breve e anche questo in discesa! E allora, giunti nel punto in cui la valle si chiude e obbliga a calarsi con l’ausilio delle corde tra l’acqua e le scure rocce, inizia la nostra avventura! Vedo visi contenti, ma anche un po’ preoccupati perché tra poco verranno catapultati con un salto di circa dieci metri in un mondo nuovo; una volta entrati si può solo andare avanti! E cominciamo le calate: chi da ancoraggio umano, chi dalla sosta su albero che poi servirà all’ultimo per recuperare la corda, entriamo tutti nel cuore del Crosinni! Seguono i due salti bassi “i due fratelli”, molto simili, dove l’ambiente è sempre cupo e chiuso. Si apre un pò e ci fa camminare per circa trecento metri in orizzontale, per poi farci arrivare sul baratro del “grande salto”; qui sembra di calarsi quasi in una grotta. Si attrezza un mancorrente, la sosta è esposta, e poi si scende a fianco all’acqua per circa 25 metri e per metà calata nel vuoto. Veniamo depositati in un ambiente maestoso, buio e cupo, dove è forte il fragore dell’acqua che giunge a terra. Tutti a scattare foto a questa meraviglia, è un momento in cui penso che siamo fortunati ad avere questa passione, altrimenti posti così non avremmo mai avuto modo di ammirarli. Fuori fa molto caldo, e qui invece, fa freddo! E allora via! Si entra in un buco in cui passa una persona alla volta e da qui siamo direttamente nella prossima calata: una prima pozza, una seconda più profonda in cui ci si lascia andare dalla corda per nuotare verso la terra e continua il divertimento! Qui termina il tratto più chiuso e comincia la seconda parte della forra che è leggermente più aperta ma che presenta ancora salti da affrontare con la corda insieme alle cascate e c’è anche uno scivolo che ci fa divertire come i bambini! Altro che acquapark! Poi come tutte le cose belle, anche questa ha una fine, intravediamo la luce dell’uscita, e in poco tempo siamo alle auto che avevamo provveduto a lasciare lì la mattina e dove ci aspetta il solito amico: il guardiano della cava che c’è qui (purtroppo). All’inizio, come sempre ci abbaia, ma poi quando ci avviciniamo, cerca carezze e perché no, anche un po’ di cibo! Adesso è proprio finita, ma siamo carichi più che mai! Ognuno ha portato via qualcosa di positivo da questa “avventura,” ed è proprio questo che cerchiamo forse qualcosa di positivo che ci faccia affrontare rigenerati gli ostacoli che la vita quotidiana ci pone. E continueremo a cercare sempre, questo è sicuro! Alla prossima!
5 luglio 2015: Madonna del Soccorso - Monte La Spina di Eugenio Iannelli
La prima ascesa sulla Spina (di nome e di fatto), come CAI Castrovillari, la facemmo nell’autunno 2003, un percorso particolarmente difficile, partendo da Galdo di Lauria e percorrendo per intero un vallone a Nord che con grande difficoltà e fatica ci condusse in cima. Sembra un secolo fa, unici reduci di quella escursione chi scrive, l’inossidabile Luigi e Franco. Vi ritornammo nel 2009 ma la nostra mission era segnare il sentiero (n. 915) per conto dell’Ente Parco nell’ambito del progetto dei sentieri prioritari e preliminari. La giornata non era delle migliori, una folta nebbia ci avvolse e ci accompagnò fino alla fine della giornata ma riuscimmo a portare a termine il lavoro pur non godendoci a pieno l’itinerario. L’escursione odierna invece ha avuto come obiettivo primario l’intento di far conoscere, ai tanti che non l’avevo mai battuto, un itinerario poco frequentato, ai margini del Parco del Pollino, ma ricco di panorami mozzafiato, pini loricati giganteschi e perché no di una salita finale che mette a dura prova l’escursionista più esperto. Partiti in 12 dalla Chiesetta della Madonna del Soccorso, nel Comune di Castelluccio Superiore, il percorso si dispiega facilmente in un fitto bosco di faggi che ci mette al riparo dalla calura estiva. Superato il bivio che conduce al Monte Zaccana e percorso il crinale che da un lato ci offre la vista del fondo valle di Galdo di Lauria e dall’altro del Lago di Cogliandrino (notevolmente ridottosi), ci inoltriamo, in discesa, su di un altro crinale boscoso, particolarmente interessante, inoltrandoci in un bosco di pini loricati. Quello che risalta subito agli occhi, di chi è abituato ad osservare i pini loricati sul Pollino, è la straordinaria maestosità degli esemplari presenti che qui vegetano a stretto contatto con i faggi e altre piante endemiche senza disturbarsi. L’unica differenza è nell’altezza dei pini, che a noi risulta maggiore rispetto a quelli del versante Pollino, ma in quanto a circonferenza del tronco e dei rami una perfetta similitudine. Così come si è notata una discreta presenza di esemplari giovani in piena vegetazione. Chiaramente tanto il tempo trascorso ad osservare, fotografare e godere della presenza di queste meravigliose piante. Superato il bosco di pini loricati si esce allo scoperto sul crinale roccioso finale che, pur essendo breve, ha messo a dura prova tutti gli escursionisti sino al raggiungimento della vetta. Tutta la fatica viene però lautamente ricompensata, una volta in vetta, da un panorama mozzafiato che spazia dal Monte Alpi, con ai suoi piedi il Lago di Cogliandrino, a Monte Cerviero con tutta la catena del Pollino. Il mare Tirreno, l’intera Valle del Mercure e il Monte Sirino. Nel commentare la scalata, emergono delle similitudini con un’altra vetta del nostro territorio, La Montea, altrettanto difficile ed aspra ma particolarmente spettacolare per il panorama. Foto ricordo. Consumiamo una fugace colazione al sacco e si scende. Il ritorno, anche se meno stancante, è ugualmente difficile per il dislivello che affrontiamo. Tornati alle auto non possiamo esimerci dal fare visita alla Chiesetta della Madonna del Soccorso che purtroppo troviamo chiusa ma che riusciamo comunque a intravedere attraverso gli spioncini presenti sulla porta d’ingresso. Possiamo così ammirare la bellezza della Madonna con il Bambino in braccio avvolta nel suo prezioso mantello. A chiusura della bellissima giornata Dino tira fuori il coniglio dal cilindro e ci offre una dolcissima conclusione facendoci assaggiare le sue speciali ciliegie.
28 giugno 2015: Parco Regionale della Biodiversità Mediterranea di Carla Primavera
Non ricordo con precisione come, attraverso la rete, sono arrivata su questo fantastico Parco della Biodiversità Mediterranea di Catanzaro, ma ricordo esattamente che non appena vidi le prime foto rimasi incantata. L’idea di trascorrere una piacevole giornata immersi in questa oasi verde, così ricca di spunti naturalistici, artistici, ludici e storiografici, mi piacque subito e con grande entusiasmo, forse anche perché si tratta della “mia” Calabria, lo inserii nel programma CAI. Spostarsi dal nostro comprensorio montano, lo ritengo doveroso, se non altro per sana curiosità verso realtà che comunque ci appartengono. All’ingresso ci hanno accolto tre ragazzi del WWF locali, che con tanto garbo, conoscenza e pazienza, ci hanno accompagnato per una breve escursione, prima nella zona urbana e poi nella parte più “selvaggia” della Valle dei Mulini. Qui, percorsi naturalistici di grande interesse, hanno catturato la nostra attenzione. Alberi e arbusti spoglianti, rampicanti e tappezzanti, palmacee, agavacee e piante acquatiche, aromatiche e medicinali. Frassini, pini, salici, ulivi, lecci e palme, alloro, lentisco e viburno, corbezzoli e ligustri, insieme a ciliegi, susini, peri e melograni, rosai arbustivi, rampicanti di glicine e bouganvillea, iris, bambù e papiri costituiscono la linfa vitale del Parco. Nei 48 ettari di macchia mediterranea, sentieri scoscesi portano, attraverso i vecchi mulini ad acqua a una dismessa miniera di Barite e alle gole del torrente dove è stato realizzato un parco ippico. Inoltre vi convivono varie forme di vita animale. Infatti, nei tredici ettari della prima zona del parco, vivono in cattività gufi reali, vari esemplari di pappagalli, aquile, gru coronate, storni misti, avvoltoi neri e un raro grifone del pollino; scoiattoli del tipo manchuria oltre a cicogne, cigni, pavoni comuni, anatre mandarine, tartarughe e papere in un bellissimo laghetto. I rapaci, mi hanno fatto un pò tristezza, ma osservare un’aquila reale che ci scrutava con i suoi occhietti vispi, che emozione! Sono tutti animali recuperati in quanto feriti in modo irrecuperabile e che non potrebbero sopravvivere altrimenti in natura, ma ugualmente belli. Luogo di spettacolari istallazioni di grandi artisti contemporanei (Cragg, Fabre, Paladino, Gormley), oltre che sede di un Museo Storico, il Parco, nella sua complessa e multiforme identità, sembra corrispondere nei fatti a quella che era stata la suggestiva idea di partenza: la realizzazione di un grande “polmone verde” in grado di offrire vantaggi sia ambientali sia socio culturali (spazi aperti, vegetazione, aria pulita, opportunità di svago, educazione ambientale). Il primo impatto è con una ridente area giochi che rallegra l’ingresso del Parco e da subito appare diviso in due grandi aree dall’imponente edificio del Museo Storico Militare, un tempo sede dell’ISEF. Dall’altra parte, invece, muovendosi verso la parte posta a sinistra dell’ingresso, oltre il Museo, si apre l’area del CRAS, l’innovativo Centro di recupero degli animali selvatici, pronta a trattare le emergenze di tutto il territorio provinciale. Il pomeriggio, dopo una delizioso pranzo al sacco, lo dedichiamo alla visita del MUSMI (Museo Storico Militare) dedicato alla Brigata Catanzaro che custodisce armi, divise, documenti, cartine geografiche e altri cimeli utilizzati nelle varie guerre dal periodo napoleonico alla seconda guerra mondiale. È costruito su due livelli ognuno dei quali relativo a vari epoche storiche: sul piano terra sono presenti le varie collezioni relative al periodo borbonico e napoleonico; sul primo piano sono presenti la collezioni relative ai periodi successivi, in particolar modo prima, seconda guerra mondiale e l'area dedicata alla Brigata Catanzaro. Sempre sul medesimo piano è possibile entrare in una trincea riprodotta dettagliatamente con materiale originale e completata con effetti speciali di bombardamenti. In questa riproduzione abbiamo “sentito” davvero l’angoscia della guerra. Attraversando le varie stanze del museo si possono osservare proiettati sui vari schermi dislocati all’interno del piano spezzoni di materiale documentario dell’Archivio dell'Istituto Luce. Insomma un concentrato di Storia Patria, battaglie, sangue, tradimenti e glorie. Il MUSMI annovera, tra le armi in esposizione, una interessante collezione di fucili Vetterli, i fucili con cui venne realizzata l’Unità d’Italia; poi, mine antiuomo, fucili mitragliatori, pistole semiautomatiche (Beretta, Mauser e Parabellum), pistole a rotazione, bombe a mano e granate, baionette. Sono presenti, inoltre, sciabole, daghe e coltelli di produzione tipica calabrese. Nel Museo si trova anche la ghigliottina a lama orizzontale che provocò la morte di giovani patrioti della città e dei paesi limitrofi. Tutto questo in un solo giorno, dove soprattutto è prevalsa in tutti noi la consapevolezza, piacevole, che la Calabria è anche questa: luogo che sa realizzare grandi opere a sostegno della biodiversità, della fauna, regalandoci un luogo dove poter stare in simbiosi con l’Universo. Una piacevolissima e insolita “scoperta”.
21 giugno 2015: Serra Dolcedorme dalla Direttissima di Francesco Pugliese
Raggiungere il Dolcedorme per la Direttissima è sempre un’emozione nuova e mai ad ogni ascensione si può dare per scontato che non ci siano imprevisti tali da creare attimi di suspense. Infatti, seppur alla fine dell’escursione possiamo ritenerci soddisfatti dell’esito, non sono mancati momenti di tensione tali da farci riflettere che in queste ascensioni la prudenza è sempre d’obbligo. Ma andiamo con ordine: Da Valle Piana (720m) fino alla maestosa vetta della Serra Dolcedorme (2267m), in 22 tra donne e uomini siamo stati protagonisti di una brillante ascensione verso la vetta più affascinante del Parco del Pollino. Metri 1543 di dislivello, tratti di pendenza di circa 55°, oltre 20 km di sentiero e 12 ore di marcia sono i numeri che mettono in rilievo la durezza e la difficolta del cammino. Il percorso, che per le sue particolari caratteristiche, richiede una discreta esperienza,ha attratto esperti escursionisti provenienti da altre sezioni CAI (Reggio Calabria e Avellino), i quali, consapevoli che la Direttissima del Dolcedorme è un’ascensione particolarmente faticosa per il dislivello, per i passaggi impegnativi, per la tipologia del terreno e le notevoli pendenze, hanno affrontato il percorso con il massimo dell’impegno e della scrupolosità. L’escursione, che prevedeva il superamento della vetta ed un passaggio per il Piano di Acquafredda, a causa delle avverse condizioni meteorologiche, è stata più impegnativa del previsto e in più occasione il gruppo è stato messo a dura prova. Risalendo per il tratto iniziale il sentiero N. 921 (Valle Piana- Timpone Campanaro), che serpeggia ripidamente sulla pendice boscosa fino a raggiungere la selletta (1317m) situata lungo il costone che proviene da Cozzo Palumbo, facciamo la prima tappa al Passo di Valle Cupa, dove in considerazione del folto numero di partecipanti si decide di dividerci in due gruppi. Da qui, a sinistra salendo lungo il meraviglioso Crestone dei Loricati dove qualcuno si è potuto esibire in divertenti e brevi arrampicate, con continui sali e scendi su rupi e crinali dai quali è stato possibile osservare uno dei panorami più alpestri del parco, godendo di viste panoramiche che si affacciano su tutto l’emiciclo montuoso Sud del Dolcedorme. Superato questo primo tratto contraddistinto da rupi, il percorso, diviene sempre più inaccessibile, e nei punti più difficoltosi, ulteriormente impediti dalle nostre macchine fotografiche, ci siamo improvvisati per un attimo provetti fotografi, che si divertono a immortalare gli imponenti pini neri le cui gigantesche radicisi intersecano con le rocce sottostanti, A quota 1800 metri il primo gruppo, a poca distanza dal secondo, raggiunge il“Campo Base”, un’ampia sella con un enorme pino bruciato e adagiato sul terreno, dalla quale si gode di una magnifica visuale su Valle Piana, sul semicerchio roccioso di Celsa Bianca e sulla maestosa piramide al cui vertice impera la vetta del Dolcedorme. Il secondo gruppo accompagnato da Carla e Eugenio segue a breve distanza, ignaro che da lì a poco le cose si sarebbero complicate a tal punto da mettere a rischio l’intera spedizione... “Francesco”, gracchia la radio ricetrasmittente: “abbiamo un problema” ferma e decisa è la voce di Carla, che mi informa delle difficoltà di un sopraggiunto malessere che impedisce al fido a quattro zampe di un socio di proseguire. Eugenio, responsabile del secondo gruppo, si rende conto immediatamente delle difficoltà del cane a proseguire nel percorso e prontamente, decide di riportarlo indietro al punto di partenza. La bestiola è esausta e per lunghi tratti, Eugenio è costretto a portarla sulle proprie spalle ripercorrendo il sentiero a ritroso fino a Valle Piana. Un nobile gesto che lo costringe ad una enorme fatica e a rinunciare alla spedizione, permettendo al secondo gruppo, ora guidato da Carla, di proseguire come da programma. Il primo gruppo, seguito a breve distanza dal secondo, prosegue fino a che imponenti rupi bloccano la strada, quindi, devia subito a sinistra traversando diagonalmente un ripido pendio in un fitto bosco fino a raggiungere il canalone principale a circa 1900m. Da qui inizia la parte più impegnativa, infatti, il pericolo di caduta massi è costante e bisogna fare molta attenzione, quindi con cautela, entrati nel canale, lo abbiamo percorso fino a raggiungere una stretta gola ad imbuto, dalla quale ci siamo arrampicati su un’ultima cresta fino ad arrivare alla sommità della serra. Una breve sosta, fatta la rituale foto di vetta, tranquillizzati via radio che il secondo gruppo era a poche centinaia di metri,ci dirigiamo in rapida discesa, direzione Pollino, in corrispondenza del Passo di Vallepiana, dove si dirama un’agevole sentiero che in pochi minuti ci conduce al Varco di Pollino (1872m) e al piano di Acquafredda (1802 m). Qui le nostre fatiche sono state appagate dalla visione di stupendi alberi serpente ed abbiamo potuto godere di magnifici panorami tra i quali, a Nord Serra delle Ciavole, adornata di enormi esemplari di Pini loricati e a Sud la piramide sommitale del Dolcedorme. Consapevoli dell’ormai ultimo sforzo che ci resta, ci apprestiamo a lasciare il lussureggiante prato erboso e fiorito della valle per iniziare la risalita verso il Dolcedorme attraverso un ripido sentiero ben tracciato che ci conduce alla cresta Est della Serra, dove, da lì a poco, ci si ricongiungerà, con tempistica cronometrica, al secondo gruppo che nel frattempo aveva fatto un percorso leggermente diverso. Ormai di nuovo tutti insieme, stanchi e appagati, dopo aver fatto un’ultima pausa, iniziamo la discesa dal Vallone del Faggio Grosso, discesa, che a causa della fitta e inesauribile pioggia sembra interminabile. Finalmente dopo un ampio giro a 360°,prossimi alla selletta del Passo di Valle Cupa, sudati e bagnati ci accingiamo a rientrare al punto di partenza di Valle Piana.
31.5/2.6.2015: Monte Epomeo – Ischia di C. Belmonte e U. Spinicci
Anche quest’anno, come ormai previsto da qualche tempo nel programma del CAI di Castrovillari, abbiamo effettuato una visita/escursione isolana. La meta questa volta è stata l’Isola di Ischia e, in particolare, il Monte Epomeo (789m). Un gruppo ben nutrito e variegato di iscritti CAI e non, dopo un tranquillo viaggio (allietato da ottimi dolci calabresi) alla volta di Pozzuoli e dopo aver affrontato il mare, accompagnato da un simpatico stuolo di gabbiani, è giunto all’Isola di Ischia. Qui la prima tappa è stata la visita del Castello Aragonese, una fortificazione collegata per mezzo di un ponte in muratura lungo 220 metri all'antico Borgo di Celsa, oggi conosciuto come Ischia Ponte. Dopo aver attraversato un traforo lungo 400 metri, scavato nella roccia e illuminato da alti lucernari, abbiamo continuato il percorso attraverso una mulattiera che si snoda in salita all'aperto, da cui si diramano sentieri minori che portano a vari edifici e giardini (Chiesa dell’Immacolata, Convento e Cimitero delle Clarisse, Cattedrale dell’Assunta, Chiesa di San Pietro a Pantaniello, ecc.) fino a condurci sulla sommità dell'isola, dove abbiamo potuto osservare una splendida vista dall’alto. Il mattino seguente appuntamento per la “scalata” del Monte Epomeo. Partiti dalla Piazza di Fontana, abbiamo dapprima attraversato una strada asfaltata che sostituisce l’antico sentiero, e successivamente, una mulattiera sterrata, guadagnando la vetta, dopo un’ora di camminata agevole. Qui lo spettacolo che si è presentato ai nostri occhi è stato indimenticabile; un panorama straordinario che abbracciava le isole di Capri e Ponza, Napoli, il Vesuvio, la penisola sorrentina, svelandoci il lato mistico dell’Isola d’Ischia. Durante la discesa abbiamo incontrato ragazzi in sella a cavalli; infatti, è possibile risalire il monte Epomeo riprendendo un’antica tradizione del posto che vedeva gli abitanti ischitani condurre i turisti sulla cima del monte con l’ausilio di muli. Soddisfatti di questa “fatica” ci siamo rifocillati all’ombra di un giardino alberato, gustando prodotti calabresi. Ma Ischia offre tante altre opportunità. Pertanto, prima di ripartire ognuno ha potuto apprezzare e conoscere l’Isola visitando le Terme dei Giardini di Poseidon, il pittoresco borgo di pescatori di Sant’Angelo, il centro di Ischia oppure concedersi un rilassante bagno tra le splendide acque di questa piacevole isola, con la promessa di… rivederci alla prossima Isola!
17 maggio 2015: Piano di Marco > Monte Mula di Gaetano Cersosimo
Nonostante le bizze di un meteo in continua evoluzione 17 soci entusiasti hanno percorso il sentiero che da Piano di Marco (1058m) porta a Monte La Mula (1936m), nel territorio del Parco del Pollino. Un sentiero eccezionale dove l’elemento di maggiore interesse è la particolare fioritura della Peonia Peregrina, dai fiori appariscenti, lussureggianti ed eleganti; il loro fascino è enorme e la loro fioritura esplosiva rappresenta uno dei più esaltati spettacoli della primavera che hanno reso famoso questo posto. Dal cancello forestale di Piano di Marco, nel comune di San Donato di Ninea, riempite le borracce alla fontana di Corna, abbiamo imboccato la strada sterrata sul lato sinistro, percorribile ad un andatura costante per la facilità del sentiero. Si attraversa un bosco di rovere e di faggi, un ambiente dalla bellezza superba, molto interessante per la ricchezza della fioritura del sottobosco. Vi si possono vedere diverse specie di orchidee, piante aromatiche e si può notare la presenza, per le loro tracce lasciate sul terreno, di cinghiali in cerca di cibo. Dopo una serie di tornanti e dopo aver attraversato il tratto coperto, si attraversa la frana del “ Diavolo “ e si raggiunge una biforcazione dalla quale a destra continua il sentiero su un terreno agevole che ci porta sulla cima, a sinistra si va verso il “Campo”. Uscendo dal bosco di faggio si va verso una zona più scoperta dalla quale si allarga una meravigliosa veduta sulla valle del Crati; il nostro sguardo è diretto anche verso la meta, definita da qualcuno “Panettone”, per la forma piuttosto arrotondata. Il panorama dalla vetta è dei più paradisiaci, grandioso è lo sguardo che spazia tra il mar Tirreno e la catena montuosa del Pollino, dove osserviamo incantati il mare di Santa Maria del Cedro, di Cirella, di Scalea, il Sirino, l’Alpe, La Spina, La Destra, Ciagola, Petricelle e sua maestà la Montea, in particolare a sinistra si nota la caratteristica figura della piramide della Muletta. La nostra attenzione è stata disturbata da un turbinoso e gelido vento, che nonostante tutto ci ha reso partecipi al gioco spettacolare di nuvole in veloce movimento che si creavano sulle cime. Tra le due vette, La Mula e La Muletta, spazia il “Campo” (1603m), un’ampia e bella conca che si raggiunge in pochi minuti, chiamato il “ Campo di Annibale”, in quanto la leggenda narra del passaggio del condottiero cartaginese, in questo periodo è particolarmente fiorito, infatti è possibile ammirare i colori delle piante che ricoprono il manto erboso. Qui, armoniosi abbiamo consumato le prelibatezze portate da casa, il tutto accompagnato da un buon vino locale insieme al pecorino e ai fichi secchi dei veterano Mimmo. Dopo la classica foto ricordo, si ritorna per la stessa strada, ma con una variante, passando per la sorgente di Acqua di Frida, riconoscibile dall’ abbeveratoio del bestiame, e dalla scrosciante cascata , ricoperta da muschio e felci. Qui abbiamo raggiunto le auto e portato a casa il ricordo di aver apprezzato e gustato ancora di più l’ emozione che offre la montagna.
25/26 aprile 2015: Parco Nazionale d’Aspromonte di Carla Primavera
È sempre un piacere tornare dagli amici del CAI Reggio Calabria e insieme a loro ammirare luoghi intrisi di storia e gustare i loro prodotti tipici. Diversi sono stati gli appuntamenti in Aspromonte, ma questa volta il tutto è stato arricchito dalla presenza degli amici di Cefalù, una intersezionale/interregionale in piena regola... Arrivati il venerdì sera, ci siamo sistemati egregiamente nel suggestivo borgo di Bova, capitale dell’Area Grecanica e centro storico più importante e ben conservato dei Greci di Calabria, dove gli abitanti offrono la formula dell’ospitalità diffusa in case interamente ristrutturate. La ristorazione è stata affidata alla Cooperativa San Leo, gestita da giovani e vitali ragazzi, che con il loro lavoro contribuiscono ad un notevole sviluppo economico ed ecosostenibile della zona. L’indomani, dopo il ritrovo con tutti i circa 55 partecipanti, Saverio Settimio, nostro amico e instancabile accompagnatore, ci ragguaglia sul programma giornaliero e da li ci spostiamo con le auto fino al punto di partenza dell’escursione. Si prosegue immersi nell’ambiente naturale tipico dell’altopiano aspromontano, caratterizzato dalla prevalenza di pino e faggio frammisti a leccio e quercia. Un rilievo particolare merita la fauna: nella zona interessata dal sentiero si possono infatti incontrare i mammiferi tipici della fauna aspromontana, come la volpe, il tasso, la lepre, lo scoiattolo nero, il cinghiale e qualche segnale di presenza del lupo e dell’aquila reale. Inoltre in alcuni esemplari di pini, dai tronchi bucherellati si rileva la presenza del picchio. Dopo circa 3 ore e mezza si arriva a Monte Cavallo (1331m), punto di grandi vedute panoramiche tra i luoghi più affascinanti del paesaggio grecanico. È possibile ammirare l’ampia e bassa vallata della fiumara Amendolea, sinuosa, zigzagante, ed i borghi abbandonati di Roccaforte del Greco, Gorio di Roccaforte, Roghudi e la sottostante frazione di Chorio. Ancora più a monte ed a destra, ecco evidenziarsi la frana Colella come il più grande movimento franoso d’Europa ed in lontananza la cima più alta dell’Aspromonte, il Montalto. Il tempo sembra davvero essersi fermato. Un piacevole percorso ad anello che raggiunge l'apice con la visita ad un luogo magico dove si trovano particolari e spettacolari conformazioni rocciose, “Le caldaie del Latte” e “la Rocca del Drago”. Estasiati restiamo ad osservarle e fotografarle in tutte le loro sfaccettature. La sera grande convivialità e ottime prelibatezze: maccheroni col sugo di capra, capra stufata, ricotta, salumi e ottimo vino. La domenica invece un’escursione più semplice, Monte Grosso. Ci accompagna un altro caro amico del CAI di Reggio, Alfonso Picone Chiodo, profondo conoscitore dell’area grecanica. Si parte dal campo sportivo di Bova lungo un incantevole sentiero, che ci regala subito paesaggi e panorami mozzafiato. Il percorso si snoda su un percorso prevalentemente panoramico che abbraccia la fiumara Amendolea, il borgo di Gallicianò, Roccaforte del Greco, il Castello di Amendolea, ancora Roghudi, accompagnati passo dopo passo dalla presenza costante ma non ingombrante dell’Etna ancora innevato e dal mar Ionio. Che spettacolo! Nel contempo Alfonso, ci fa sentire parte integrante di quel territorio raccontandoci storia, usi e costumi di quei luoghi e dei suoi abitanti ma anche leggende legate ai toponimi delle località che attraversiamo. Il sentiero, una volta superato “U ponti da zita” procede incavato in una parete rocciosa, e dopo un ampio pianoro e una fresca sorgente continua al’interno di una fitta pineta. Più avanti incrociamo il Sentiero della Fede ed infine la nostra meta, il casello AFOR di San Salvatore, dove, la Cooperativa San Leo ha organizzato l’ottima e abbondante pausa pranzo. Qualche canto autoctono di commensali ed organizzatori ci accompagna sino al momento dei saluti che fanno emergere in noi il desiderio e la voglia di ritornare presto! Per finire, poichè eravamo di strada, fermata d'obbligo in uno dei borghi più belli della provincia reggina: Pentidattelo. Possiamo dire quindi che in questa trasferta non ci siamo proprio fatto mancare niente. Grazie proprio a tutti.
12 aprile 2015: Pasquetta a Monte Sant’Angelo e Madonna del Riposo 11ª edizione di Mimmo Filomia
Quest’anno l’evento, pur conservando la passione e la devozione, si è dato un tono di eleganza e gioventù. È entrato a pieno titolo nella globalizzazione, grazie all’interattività di Android e streaming e soprattutto è stato un “melting pot “ per la presenza curiosa e poi interessata di giovani africani del Gambia, Gana, Costa D’Avorio, Niceria, ospiti della vicina San Basile. La tradizionale passeggiata alla Chiesetta rupestre della Madonna del Riposo, ha inizio dal 1836, anno in cui, il benefattore Andrea Bellusci, fa costruire l’opera. Da allora, il sentiero per raggiungere la bianca chiesetta a forma ottagonale, incastonata su Monte Sant’Angelo è stato percorso da una infinità di pellegrini devoti che hanno alternato il sacro al profano a testimonianza dell’affetto per la Madonna con il Bambino lì deposta, in atteggiamento di riposo. Le presenze assidue, nei dintorni della chiesa di Monte Sant’Angelo, a pasquetta, vanno man mano scemando e dal 1960 il luogo cade nel dimenticatoio. Saranno in pochi poi a risalire verso questo, un tempo eremo, a pulire ed accendere il cero della speranza e devozione che, un tempo i nostri nonni alimentavano, per testimoniare l’appartenenza al luogo. Il Club Alpino Italiano di Castrovillari, interessato da sempre a tutelare e valorizzare gli ambienti tematici, si è preposto a riprendere questa tradizione castrovillarese che è in sintonia con i tempi attuali, in cui è forte la ricerca delle proprie identità e richiesta di attività motoria. Ecco, i nostri nonni senza volerlo, sono stati precursori dei nostri giorni. Si spiega da solo il fatto, perché oggi, come di consueto, in ottava di S. Pasqua, alla tradizionale passeggiata, inserita nel programma attività del CAI Castrovillari, hanno partecipato, in modo sostenibile, 120 escursionisti, entusiasti e felici di inondarsi di sole, sulla collina sovrastante la propria città. La collina, 794m è un contrafforte roccioso carsico, calcareo a forma tronco conica verdeggiante che dà bella mostra di sé per avere incastonata a mezza costa l’invitante bianca chiesetta, meta di curiosi ed escursionisti pellegrini. Dalla bianca icona, si domina con un solo colpo d’occhio, sulle cittadine del comprensorio di Castrovillari: Frascineto, Morano, Saracena San Basile, Spezzano A. fino al mare Jonio. È un punto panoramico al centro dall’emiciclo formato dai monti del Parco nazionale del Pollino su cui svetta la catena del Dolcedorme (2267m), ancora oggi innevata. Prima di noi, è salito qui sopra S. Francesco da Paola per salutare e benedire la Calabria, in viaggio per la Francia al capezzale di re Luigi XI malato. L’escursione della pasquetta è ormai un evento atteso. Quante volte dentro di noi affiora il desiderio di voler fare una bella passeggiata, in tutta libertà, nella natura, al sole, senza allontanarsi troppo da casa, per misurarci con le nostre forze, sedere su un masso, riflettere; giusto quanto basta, per poi tornare alla realtà quotidiana, più caricati e consapevoli delle proprie possibilità fisiche ed anche integrati nel territorio circostante! Antonio Pandolfi in collegamento con Kontatto Radio Pollino ha fatto conoscere le impressioni degli appassionati escursionisti durante la progressione, appena fuori porta, lungo il sentiero Turistico/Culturale n. 920 che da piazza Giovanni XXIII° conduce alla bianca cappella rupestre. Il CAI Castrovillari, promotore, in queste 11 edizioni, è stato tenace nel mantenere viva questa tradizione e, la partecipazione numerosa, ha premiato tutti perché la mission del sodalizio è promuovere, tutelare e valorizzare quanto di buono c’è sul territorio, che altrimenti andrebbe perduto per sempre. Un grazie doveroso va ai giovani volontari della protezione civile “Pegaso” di Castrovillari che hanno seguito l’evento e riordinato la decenza nella Cappella, dove è stato possibile accendere il lumino votivo.
22 marzo 2015: Piccole Dolomiti di Frascineto di Eugenio Iannelli
Obnubilati dalla spasmodica e continua ricerca di nuove vie, nuovi sentieri e luoghi montani da scoprire ed esplorare tralasciamo colpevolmente dei posti vicinissimi a noi e che sono costantemente al cospetto dei nostri occhi. Località che custodiscono affascinanti panorami, cavità inimmaginabili, siti sacri e che conservano memoria storica di frequentazioni centenarie di uomini e animali. E così è stato, una riscoperta le Piccole Dolomiti di Frascineto, l’ultima volta che ci eravamo stati era il 2000, agli esordi della Sezione. Grazie alla preziosa collaborazione e partecipazione di Nicola Zaccato, dell’Associazione Identità Territoriale, abbiamo percorso il facile e comodo sentiero che partendo dal campo di bocce di Eianina sale dapprima lambendo le pareti di arrampicata vicino all’acquedotto per poi inerpicarsi tra rocce e guglie appuntite di cui la zona è sommersa. Nonostante il tempo non fosse dei migliori in tanti ci siamo ritrovati per questa bellissima escursione che nel suo svolgersi ci ha condotto in grotte ormai abbandonate e spettacolari dove Nicola ci ha raccontato storie e leggende. Abbiamo potuto ammirare formazioni rocciose di tutte le tipologie e forme alle quali ognuno di noi, lavorando di fantasia, ha associato la forma intera o parte di un qualche animale. Abbiamo ammirato il grande lavoro che la natura ha esercitato per millenni e attraverso il quale è riuscita ad ammaestrare e a modellare quelle formazioni rocciose rendendone mai una uguale all’altra. Abbiamo ammirato estasiati buchi o archi naturali che hanno reso ancora più spettacolare la nostra escursione. Cosi dopo un gradevole girovagare su pennacchi e ghiaioni siamo giunti alla Grotta Nera dove abbiamo consumato il pranzo al sacco e dalla quale discendendo, nel primo pomeriggio, abbiamo raggiunto le auto.
14/15 marzo 2015: Lago Laudemio - Monte del Papa di Luigi Perrone
Quando ad inizio anno si programmano con largo anticipo le uscite non si può prevedere quello che poi realmente accade nel periodo stabilito. Dopo un lungo inverno freddo, piovoso ed uggioso, ci siamo trovati con il viadotto Italia, tra Mormanno e Laino Borgo, chiuso a causa di un incidente costata la vita ad un giovane operaio per il crollo di una campata. Quindi con la Calabria tagliata a metà e letteralmente fuori dal resto d’Italia, a noi del versante calabrese già è interdetta la strada di accesso a Piano Ruggio perché non è stata sgomberata dalla neve, e ora per raggiungere Lagonegro ed il Rifugio Italia sul Lago Laudemio siamo stati costretti a fare un lungo giro. Ma all’imbrunire eravamo su posto con una copertura del manto nevoso di circa 2 metri. Sistematici in una bella baita completamente in legno e ben riscaldata (un piccolo esempio di Trentino), abbiamo atteso che si ricongiungessero a noi alcuni amici che avevano partecipato alla Pollinociaspole provenienti dalla provincia di Bari. Appena le luci del tramonto hanno lasciato il posto ad un bellissimo cielo stellato, abbiamo cominciato la nostra piccola ciaspolata in notturna con un’ottima temperatura e migliaia di stelle sopra le nostre teste. Forti sono state le sensazioni ed emozioni quando ad un certo punto, nel buio e nel silenzio più totale abbiamo ascoltato le voci della notte. Al rientro presso il rifugio (1520m) siamo stati accolti cordialmente dai nuovi gestori che ci hanno offerto una lauta ed abbondante cena. Infilati nei nostri caldi letti dopo un bussare insistentemente alla porta della baita, un nostro amico è venuto ad offrirci un bicchiere di buona grappa che non abbiamo potuto rifiutare! L’indomani mattina tutti svegli di buon’ora, ansiosi di compiere una lunga ciaspolata, complice il cielo terso ed un sole che faceva capolino dietro le creste delle montagne, così dopo una dolce colazione si inizia. Lasciamo il piazzale del rifugio che da li a poco si riempirà di ogni tipo di frequentatore, sciatori, bambini, famiglie, escursionisti. La nostra meta è la forcella del Monte Papa, a circa 1900 m di altitudine, iniziando la nostra camminata dal lato nord, per un tratto di pista che scende a Conserva di Lauria, attraversando il terminal dello ski-lift ci inoltriamo in un tratto di bosco e sbuchiamo al cosiddetto intermedio della seggiovia che a causa di una valanga recente ha messo fuori uso due piloni. Egoisticamente la pista che utilizzeremo è tutta per noi! Dal tratto intermedio fino alla forcella del Monte Papa, l’ascesa si fa molto dura e pesante, qualcuno comincia ad arrancare, ma supportato da tutto il gruppo decide di continuare, anche con qualche difficoltà ed affanno. Sulla nostra strada incontriamo alcun amici del soccorso Alpino Basilicata, che stanno effettuando una simulazione di ricerca di un Omino sotto una valanga, ne approfittiamo per fare due chiacchiere costruttive sull’uso obbligatorio che si dovrebbe fare della sonda, pala e artwa. In uno splendido scenario con una visibilità eccellente, e con il sole che ci riscalda, dall’anfiteatro naturale continuiamo a salire sulla pista tracciata precedentemente dal gatto del nevi, con una pendenza che si fa sempre più marcata, tanto da arrivare a 30 metri dal punto d’arrivo e non poter più proseguire per via di quest’ultimo tratto ghiacciato, dove anche i ramponcini delle ciaspole non attaccano, quindi molto scivoloso. Per il buon senso e per la sicurezza di tutti, purtroppo a volte si deve decidere di rinunciare, e quindi si fa dietro front. Caparbiamente, ma con l’assenso del gruppo, spinto da una giovane partecipante, si decide di proseguire ma senza ciaspole, attuando una piccola scalata alpinistica in cordata per scollinare dall’altra parte dove riusciamo a scorgere solo le cime del Monte La Spina, dello Zaccana, che sovrastano il lago di Cogliandrino. Il nostro amato Pollino è coperto dalle nebbie. Ci ricongiungiamo con il gruppo, e si torna a valle tutti insieme passando dal Lago Laudemio completamente ghiacciato e coperto da una immensa coltre di neve. Sosta comoda nel bar adiacente l’impianto della seggiovia per consumare le buone cose portate da un ineffabile organizzatore e altri soci. L’esperienza vissuta in questo fine settimana, a pochi passi dai nostri luoghi di residenza, con lo svolgere del tempo molto lento e godendo del posti e dei paesaggi, è stata coinvolgente e appagante.
8 marzo 2015: 8^ Giornata delle Ferrovie dimenticate di Lorenzo La Vitola
Domenica, non solo si è celebrata, nel mondo, la Donna, per via della tradizionale Giornata internazionale ad essa dedicata, ma si è voluto anche ricordare, in Italia, quelle “vecchie signore abbandonate”, che tanta parte hanno avuto nella storia patria, per il loro ampio valore sociale che hanno espresso durante il loro altamente meritorio servizio, grazie alla Giornata nazionale delle Ferrovie dimenticate. Dal 2008, infatti, la prima o la seconda domenica di marzo è dedicata al ricordo di quei cammini di ferro che, dopo aver assolto brillantemente alla loro funzione, sono ora negletti e consegnati solo alla memoria. Tale campagna, promossa dalla Confederazione Mobilità dolce (CoMoDo), si svolge in una giornata con eventi e manifestazioni in tutta Italia. Tra essi, da citare, per il nostro territorio, l'iniziativa intitolata “Antiche strade ferrate del Parco Nazionale del Pollino”: un'escursione lungo il vecchio tracciato ferroviario dismesso da Campotenese a Morano Calabro della linea Lagonegro - Castrovillari - Spezzano Albanese, organizzata dal Club Alpino Italiano − Sezione di CASTROVILLARI in collaborazione proprio con CoMoDo. L'appuntamento per i partecipanti era alle ore 8.30, nel piazzale dell'Autostazione − Ferrovie della Calabria, già stazione ferroviaria di Castrovillari, nei pressi del famoso “Locomotore 503”. L'uscita, la cui partecipazione era aperta a tutti, presentava una difficoltà di tipo “E” (escursionistico), ovvero di medio impegno distribuito su una lunghezza di circa 7 chilometri su strada sterrata e sassosa, per una durata complessiva di circa 4 ore. A condurre la comitiva, che ha registrato anche la partecipazione di elementi provenienti da ambiti diversi da quelli pollineani, Francesco Sallorenzo, guida ufficiale del Parco Nazionale del Pollino e guida AIGAE (Associazione italiana Guide ambientali escursionistiche). La passeggiata ha sottolineato come l'intero tracciato fosse stato realizzato a regola d'arte, evidenziando tanto elementi tecnici quanto artistici difficilmente reperibili in artefatti contemporanei, che, sommandosi agli incantevoli paesaggi che attraversa, donano alla tratta una valenza inusuale, tanto che la sua dismissione, invece che un suo potenziamento, ovvero una diversa destinazione d'uso, è da considerarsi un atto scellerato nei confronti delle comunità per cui erano state concepite le Ferrovie calabro-Lucane, le quali avrebbero potuto trarre ancora benefici da un (ri)utilizzo del proprio percorso. Lo stato di totale abbandono, infatti, ha evidenziato come i “beni comuni” non siano stati utilizzati, almeno ultimamente, per il “bene comune”, né da parte delle figure amministrative, che avrebbero dovuto implementare tale risorsa, né da parte degli stessi cittadini, che hanno, a volte, anche vandalizzato ciò che con tanta dedizione i nostri antenati ci avevano lasciato, a dispetto dell'interesse che molti, invece, anche stranieri, profondono per queste risorse, che spesso i locali stessi dimostrano, a vario titolo, di non apprezzare. A proposito di questa camminata, un fattivo socio della locale sezione del CAI, Francesco Pugliese, scrive: [...] un contributo concreto per la riscoperta di un patrimonio ormai quasi perduto. Un impegno culturale di notevole spessore che mira alla riscoperta di come eravamo “quando l’Italia era povera” e al tentativo di far conoscere, preservare e valorizzare ciò che resta di un patrimonio del passato il quale non è costituito di sole infrastrutture (la ferrovia con le sue stazioni i suoi ponti ecc.) ma di tradizioni, scambi culturali e commerciali che grazie alle ferrovie locali hanno segnato indelebilmente il nostro territorio. Una grande passeggiata lungo una tratta importante che va da Campotenese a Morano durante la quale alcuni cittadini, particolarmente sensibili all'ambiente e alla nostra storia, insieme al CAI di Castrovillari, hanno voluto condividere la riscoperta di un ritaglio del nostro passato. Se proprio vogliamo evidenziare una nota negativa, o positiva, a seconda dei punti di vista: l’assenza di rappresentanti politici. Una giornata sicuramente piacevole per il percorso effettuato e per i ricordi e gli apprezzamenti di un passato nemmeno poi tanto lontano, iniziata e finita in prossimità di un locomotore d'epoca, che però ha lasciato nei partecipanti quell'amaro in bocca di chi è consapevole che il treno, che tante speranze già un secolo fa aveva portato col suo arrivo, altrettante se n'è portate via colla sua partenza. Per chiunque volesse approfondire l'argomento, si rimanda ai seguenti collegamenti:
1 febbraio 2015: VI Pollinociaspole di Eugenio Iannelli
Una manifestazione che riscuote sempre grande successo la Pollinociaspole -raduno con le racchette da neve nel Parco del Pollino- giunta quest’anno alla VI edizione. Nonostante il tempo incerto tantissimi sono stati gli escursionisti partiti da Castrovillari verso i Piani di Novacco, punto di incontro di sentieri escursionistici nel gruppo montuoso Orsomarso, Monte Caramolo. La carovana, ritrovatasi a Novacco, ha effettuato un percorso di andata e ritorno da Piano Masistro, passando per Piano dell’Erba, dove ha potuto ammirare la bellezza dei luoghi nella loro veste invernale. Un percorso facile, alla portata di tutti, grandi e piccini, che ha consentito a molti dei partecipanti di fare la prima esperienza con le racchette da neve. Un attrezzo di facile utilizzo che consente di percorrere in sicurezza e senza grande fatica qualsiasi sentiero nel periodo invernale. L’evento -considerata la facilità del percorso- ha consentito la partecipazione di tutti indipendentemente dall’esperienza e dall’allenamento personale: e cosi è stato, infatti alla partenza erano più di 50 le coppie di racchette da neve a lasciare il segno sul fresco e morbido manto creatosi grazie alla nevicata notturna. L’obiettivo principale dell’evento resta quello di promuovere la conoscenza e la pratica di una attività sportiva ecocompatibile, attraverso l’uso di un attrezzo, che consente un approccio nuovo di vivere la nostra montagna in un periodo -quello invernale- ritenuto a torto poco frequentabile per le difficoltà logistiche e di adattamento. Al termine dell’escursione pranzo nell’accogliente rifugio di Piano Novacco dove il caminetto acceso e scoppiettante riunisce la grande famiglia degli appassionati di montagna. Al termine della giornata commenti entusiasti da parte dei neofiti dell’attività, mentre per gli organizzatori l’orgoglio e la soddisfazione di aver riproposto questa bella esperienza sportiva e di aver contribuito alla conoscenza e alla promozione del nostro territorio.
25 gennaio 2015: Sul Monte Manfriana, per la Cresta dell’Infinito di Mimmo Pace
Tra le decine di toponimi, più o meno fantasiosi, che alcune tipologie di frequentatori del Pollino si sono inventati in questi ultimi anni, un pò con l’illusione di passare alla storia e un pò per porsi in maggiore evidenza, quello di “Cresta dell’Infinito” sembra essersi rivelato uno dei più azzeccati; non fosse altro perché è intimamente correlato all’afflato spirituale che la Montagna emana ed offre a chi la frequenta. Quasi una peregrinazione dello spirito, quella dell’andar per monti, lungo la quale si procede, alla ricerca di un maggiore grado di consapevolezza di se, di saggezza, di equilibrio interiore e, in taluni casi, addirittura di comunione col divino. Tali esigenze dovevano sicuramente avvertirle già ai tempi della civiltà magno greca, se, progettando di erigere un tempio ad una qualche divinità, ignoti scalpellini si sono adoprati a squadrare blocchi e architravi di pietra sull’aerea vetta orientale del Monte Manfriana. Una montagna, quindi, che ispira il “divino”, ma che rappresenta, ancorché poco conosciuta e frequentata, una meta ambita e affascinante per gli appassionati di natura. Tanto più in inverno e in condizioni di buon innevamento, quando, percorrendo questa interminabile e aerea linea spartiacque tra la valle del Coscile e quella del Raganello, orizzonti smisurati, all’improvviso turbinare della tormenta, divengono di puro opale, dai riflessi policromi e scintillanti. Ecco uno dei tanti aspetti avvincenti e fascinosi della nostra montagna. Fino a un paio di giorni fa, però, potevamo solo immaginare o sognare, perché la neve, sulle nostre montagne, ancora non c’era. Qualche sporadica, debole nevicata aveva imbiancato solo per alcuni giorni il Pollino, conferendogli solo una parvenza del suo tipico aspetto invernale. Un benvenuto, quindi, alla prima vera nevicata di questo inverno sulle nostre montagne, che ancora una volta ci ha regalato visioni fiabesche ed emozioni irripetibili. Sarebbe saggio non illudersi, però! Sorge invece spontaneo un interrogativo: è questo un inverno avaro o si procede a passo spedito verso un inesorabile surriscaldamento del pianeta? In effetti, la febbre della Terra, ahimè è già alta e aumenterà sempre di più, proporzionalmente al ritmo della indefinita e infinita “crescita”, che la follia e l’avidità umana si è imposta di perseguire, ispirandosi al più sfrenato consumismo ed alla “cultura del superfluo”. L’unica terapia idonea allo sfebbramento, sarebbe una sana e decisa “decrescita”, ma purtroppo siamo ormai tra le spire del pitone e difficilmente riusciremo a divincolarci. Bando ora a tali considerazioni pessimistiche! Tutto sommato, la nostra può considerarsi una generazione di fortunati, dal momento che siamo finora riusciti a fruire e vivere i mille aspetti incantati e il fascino dei paesaggi innevati, che il Pollino ancora offre. Con viva sorpresa e grande gioia, abbiamo potuto riabbracciare e annoverare nel gruppo, Salvatore e Imma, sposini novelli, appena tornati da un favoloso giro in Patagonia; il Cerro Torre è mitico, ma alla Manfriana non rinunciano mai! Ricongiuntici col gruppetto degli intrepidi reggini, capitanati dall’amico Carmelo, siamo risaliti in auto fino al Colle della Scala, percorrendo la tortuosa e ripida sterrata, che da Frascineto risale in quota, a lato delle Piccole Dolomiti e fin sui fianchi del Monte Moschereto, straordinario belvedere sul Canyon del Raganello. Dal colle, risalito l’interminabile, duro pendio a furor di ciaspole, nella nebbia più fitta, ci siamo distesi lungo un magnifico percorso di grande respiro panoramico, che culmina sulla Timpa del Principe, ma che, stante la situazione climatica, non poteva che offrirci paesaggi ovattati, strane formazioni rocciose ed arboree, che, simili a fantasmi, apparivano e svanivano nel nulla, unici personaggi di quel mondo silente e misterioso. Solo un minuscolo topino vagava sulla neve, alla disperata ricerca di un rifugio. Scoraggiati dal nebbione sempre più cupo, in molti decidono di rientrare, ma alcuni arditi proseguono, attraverso il Passo Marcellino-Serra e l’innevatissima affilata cresta della Serra di Malaverna. Iniziano ad affrontare il duro tratto della cresta rocciosa e selvaggia, che risale alla vetta orientale del Monte Manfriana, ma il ritardo sulla tabella di marcia è cospicuo e rinunciano; oltretutto, il nebbione diviene sempre più fitto. Gli orizzonti superbi e irripetibili dalla vetta di questa splendida montagna, che, forse più delle altre che compongono questo nostro Massiccio, induce ed ispira un impalpabile senso dell’infinito, ci sono stati negati, ma li abbiamo ugualmente vissuti nel nostro immaginario. Tanto… la Manfriana è sempre là che ci aspetta! Piuttosto, un arrivederci presto alla prossima sortita.