Raccontatrekking 2016
4 dicembre 2016: Grotte della Sirena di Mimmo Filomia
Non solo vette da scalare, in cima alle quali, poi, urlare la propria psicofisica emotività. Oggi indirizziamo i nostri passi per riscoprire e rivalutare le origini e le mutazioni del proprio habitat, proveniente dal remoto. La filosofia del Club Alpino Italiano, è quella di dotare o far ricadere in ogni paese un proprio sentiero escursionistico là dove, storia, archeologia, santuari, lo rendono tematico e quindi interessante per la sua frequentazione e conoscenza. Il sentiero che abbiamo percorso, conduce alle Grotte della Sirena. Il sito, ricorre spesso nel linguaggio corrente locale di castrovillari e dintorni, senza saperne l’esatta collocazione. Un’attenta progettazione, secondo i protocolli CAI, coadiuvata da una ricerca sulla memoria storica del sito, da parte dei responsabili della sentieristica, fa sì che l’intera area sia stata inserita nel catasto dei sentieri e localmente segnata con segnaletica orizzontale e verticale. Il sentiero, per raggiungere le Grotte della Sirena, per motivi ludici, nella memoria collettiva, partiva dall’uscio di casa di ogni Castrovillarese. Ora con la viabilità estesa, parte dall’Orto botanico e s’identifica con il numero 921C e difficoltà EC (escursionistico/culturale). I motivi ci sono tutti perché attraverso una semplice passeggiata, appena fuori i confini perimetrali a Nord di Castrovillari, ci si possa riconciliare con un sito preistorico più prossimo a noi, rivalutandolo e promuovendolo. Al briefing, dopo i saluti del presidente del Gruppo Regione Calabria del CAI, Ing. Mariarosaria D’Atri, del referente alla sentieristica Mimmo Filomia e il presidente Gruppo Archeologico Avv. Claudio Zicari, brindiamo alla nascita del sentiero, con un buon caffè caldo sul tavolo della piccola area attrezzata. In venticinque progrediamo, immaginando questi luoghi, in epoca preistorica, quando i nostri progenitori ancora erano alla ricerca di dimore naturali, grotte e caverne sicure inaccessibili, per difendere se stessi e le loro bestie dalle intemperie e dalle belve. Il complesso grotte in questione, circoscritto tra pascoli e foresta, presenta tutti i requisiti naturali per prestarsi ad un insediamento primitivo per fare all’epoca attività stanziale di pastorizia, agricoltura e caccia. Proseguiamo, nella boscaglia recintata dalla forestale, seguendo un calpestio accennato nella vegetazione cespugliosa, adibita a pascolo in cui predomina la ginestra, il pino nero, orniello e querce. Questo sito ipogeo, in parte collassato, già cinquanta anni fa conservava la struttura di un accennato romitaggio. Si può raggiungere anche attraverso Cozzo Palumbo (907m) su un sentiero che conduce, sullo spiazzo sovrastante, le grotte. Da qui, si prosegue sul Crestone dei Loricati. In breve tempo, ci siamo lasciati alle spalle, il ritmo frenetico cittadino per introdurci in un ambiente naturale confortevole per la ricchezza di paesaggi, costituiti da acclivi verdeggianti disegnati dalla mano di un pittore che, vuole fare trasparire dalla sua tela, il felice connubio tra l’asperità montuosa e la dolcezza dei pascoli intercalati tra colline. Il sentiero che va verso il romito della Sirena, s’insinua in un territorio che è stato teatro d’insediamenti preistorici per la sua posizione ai margini dell’ultima glaciazione del Wurm. Nel 1954 vi furono trovati reperti di ceramica finemente lavorata, del periodo eneolitico (2.500 - 1.800 a.C.) decorati a motivi geometrici incisi prima della cottura, la cui precisione e regolarità lasciano stupiti, per le tecniche dell'epoca. Le grotte della Sirena appartengono alla tipologia delle “grotte panoramiche”, tanto che da questa, in effetti, si poteva controllare una vasta porzione di territorio di caccia, spaziando la vista sul litorale Jonico. Nel 1993 vi è stata ritrovata una scheggia di ossidiana, probabile “lama” di un coltello, che porrebbe questo luogo in rapporto con la grotta del Romito, più propriamente posta sulla “Via dell'ossidiana” proveniente dalle isole Eolie. Un segno, questo, che l’insediamento era in asse anche con le grotte di Sant’Angelo di Cassano, del Pozzo a Frascineto, di Donna Marsilia a Morano, di San Michele a Saracena, dello stesso Romito a Papasidero (Bos Primigenius), della Madonna a Praia a Mare; secondo alcune teorie, infatti, lungo queste si snodava una via istmica di età neolitica che congiungeva Jonio e Tirreno. Dall'esame di una selce lavorata “a lama” e di cocci di vasellame ritrovati sul luogo, sembrerebbe che tale posto sia stato frequentato in epoca molto anteriore (mesolitico 8.500 a.c.) a Santo Jorio, altro complesso di Grotte situate appena sotto il piano stradale nei pressi del canile comunale. Queste grotte sono state usate come “stazzo” fino a epoca recente, per cui è andata dispersa la totalità dei reperti che doveva essere presente. Sul pianoro sovrastante le grotte, sono state trovate tracce di basi di “capanne”, resti del villaggio eneolitico ivi presente. Raramente le grotte erano adibite ad abitazione, ma più propriamente a luogo di culto e sepoltura. Secondo lo storico locale Padre F. Russo, nella zona di S. Jorio vi era un monastero bizantino -di cui si sono perse le tracce- dedicato a S. Giorgio, da cui il toponimo dialettale di “Santu Juriu” . Con questa escursione, si chiudono le attività del sodalizio, un ringraziamento a quanti con la loro presenza, hanno dato lustro alle attività sul territorio. Il programma per il 2017, fresco di stampa bussa alle porte, è alla “portata” di tutti voi! Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo! Ancora a tutti, Buona Montagna.
27 Novembre 2016: Monte Cervati e i Gravettoni di Mara Ferraro
In questa domenica dall’aria fresca e frizzante la nostra destinazione è stata il monte più alto del territorio campano: il monte Cervati (1899m) situato nel Parco Nazionale del Cilento e Valle di Diano. Si parte con una levataccia e il cielo pieno di stelle ci indica una giornata speranzosamente serena, ci dividiamo equamente nelle auto e ci dirigiamo verso la nostra meta. Arrivati sul luogo ci accorgiamo subito di essere in molti, saluti e abbracci di accoglienza ci riscaldano l’animo in trepidazione. Franco e Mimmo, organizzatori e guide dell’escursione, si apprestano ad elargire il consuetudinario briefing di partenza, con breve descrizione dell’itinerario, direttive e raccomandazioni. Eccoci in partenza pieni di entusiasmo attraversare la ricca e mista vegetazione della Valle Scura, caratterizzata da faggi, aceri, lecci e agrifogli che man mano ci conduce in un’atmosfera fatata ed incantata verso ‘i Gravettoni’ nome derivante da quello di grava, ossia cavità naturale, più o meno larga, che si sviluppa in verticale dalla superficie verso il sottosuolo, formando delle enormi voragini in profondità. Affascinanti dall’alto mostravano la loro maestosità, ma lo erano ancor di più quando li abbiamo visitati internamente, il muschio avvolgeva la roccia carsica ed entrambe avvolgevano i nostri corpi minuscoli e protetti. Proseguendo sbuchiamo in un piccolo piano che ci consente di vedere la cima del Cervati ed ecco che inizia la cresta caratterizzata da pietre carsiche dal caratteristico colore bianco che sembra averci trasportato sulla luna e ci culla con la sua conformazione ondulata. Arriviamo presso le panoramiche pareti del settore N/E, panorama e altezze da mozzafiato, che si affacciano sul Santuario della Madonna delle Nevi di fronte il quale un ampio balcone naturale ci ha permesso di gettare lo sguardo a strapiombo verso i boschi, le pareti, e la valle di Piaggine. Da qui scendiamo nuovamente per raggiungere il Rifugio Cervati - Casa Rosalia dove ci attendevano con un pasto lauto e gustoso, che abbiamo consumato tra risate, brindisi, canti e danze. Terminato il ristoro, ci avviamo, ormai notte, con le lampade frontali a compiere l’ultimo tratto di ritorno, gioiosi tra le stelle e i sorrisi, di aver trascorso un’altra escursione con delle persone dal valore umano inestimabile e in ambienti naturali encomiabili.
6 novembre 2016: Montea di Luigi Perrone
Un detto popolare recita: quando hai fatto una buona camminata, lunga e faticosa, e ti fanno male tutte le gambe e i muscoli, in compenso godi di un benessere generale fisico e mentale importante……sarà? L’escursione in programma per il giorno 6 novembre al Monte Cervati era stata rimandata a fine mese, ma Franco uno degli organizzatori, insieme alla nostra Presidente, propongono la salita alla Montea dal versante Ovest. Come non approfittarne. È un richiamo troppo forte, disdico gli impegni già presi per accompagnare una famiglia a Piano Ruggio, e via, si va….. Con un sincronismo perfetto, non voluto, io e Domenico provenienti da Mormanno, Franco e Fernanda da San Marco, Luigi e Carla da Cosenza e Castrovillari, Mara e Mirko da Rende con altri amici, Marina da Catanzaro, e ancora 2 ragazzi dalla Puglia,(manca qualcuno da Reggio C. e la Calabria era tutta rappresentata)ci incontriamo al bivio che da Belvedere Marittimo porta alla frazione di Trifari, da dove avrà inizio l’escursione. Con il gruppo pronto a partire si unisce la mascotte della giornata che non ci lascerà fino al nostro ritorno, un simpatico cagnolino che abbiamo nominato Bricco, mah……. Il sentiero che porta a Serra la Croce ed al suo omonimo rifugio degli Amici della Montagna, è già conosciuto dalla maggioranza dei partecipanti , e lo percorriamo sotto la mole maestosa del Monte la Caccia. Dalla sella, il panorama sulla costa tirrenica e sui paesini è impressionante. Le velature del cielo non rendono omaggio a tanta bellezza. Una piccola sosta rigeneratrice, presso il grazioso rifugio, ben tenuto e curato, e si riparte imboccando dietro la chiesetta di Serra la Croce, un traverso che ci porterà al Passo della Melara. Attraverso questo piccolo sentiero tra pini comuni, faggi, e pini loricati fossilizzati e sdraiati a terra, (coricati), notiamo dei piccoli terrazzamenti con dei tavoli improvvisati, interamente ricavati e “rubati” nel terreno circostante a ridosso delle rocce. Serviranno, evidentemente per bivaccare e fare festa in occasione della processione verso questo posto ameno. Giunti al Passo della Melara, troviamo ancora intatta i resti di teleferica che servivano per il trasporto del legname, dal taglio dei boschi, acquistati da una società svizzera la “Rueping” fin dai primi anni del ‘900, e che ricadono nell’attuale territorio ora Parco Del Pollino sfruttandoli per più di 30 anni. Da questo punto, terminata la prima fase dell’escursione, diciamo facile, Franco ci comunica che chi vuole può rinunciare, perché da lì comincia a diventare seria. Ed è proprio così! Innanzitutto non rinuncia nessuno, figuriamoci. Attacchiamo l’erta salita che ci condurrà al crinale Ovest della Montea e poi in cima. Altro che bastoncini, serviva proprio la piccozza per poter proseguire ed aiutarsi nella fatica che man mano si fa sentire, tra l’erba scivolosa, senza traccia, e tra lo sfasciume delle rocce. Ma ancora non è finita! Giunti sul crinale a pochi metri dalla cima della Montea non a caso soprannominata “The Queen”, un vento fortissimo ci impediva di proseguire, tanto che abbiamo dovuto mettere le pietre nello zaino di qualcuna, e qualcun altro è stato accompagnato a braccetto fin sulla cima per la testimonianza fotografica. Nonostante il cielo coperto, la visibilità consentiva ai nostri sguardi di osservare dal Massiccio completo della dorsale, Serra del Prete, Pollino, Dolcedorme, Manfriana fino alla costa del Mar Ionio. Le cime della Mula, Montalto, La Caccia, Frattina, Petricelle, Faghitello che sovrastano l’incantevole scenario del Massicio dell’Orsomarso, dominante fino al Santuario della Madonna della Neve posto sopra Buonvicino e i vari centri della costa tirrenica. A ridosso di un riparo, dal vento che sibilava come non mai, la sosta per un panino si è impreziosita di una piacevole sorpresa tirata fuori dal grosso zaino della Presidente/a , un abbondante “cofanata” di peperoni “crusch” ancora croccanti, che ovviamente tutti abbiamo apprezzato. Come avrà fatto a mantenerli cosi, doptutto il tempo e il trasporto? La ricetta non si rivela! Il detto popolare aveva ragione: dopo 10 ore e mezza di cammino, 18 km percorsi, 1100 metri di dislivello, e 2 ore di buio nell’ultimo tratto di sentiero arriviamo alle auto, stanchi, felici e soddisfatti. Grazie a tutti Poi Marina si è persa………ma questa è un’altra storia.
1 novembre 2016: Serra del Prete di Mimmo Filomia
L’escursione sulle cime dell’altipiano di Serra del Prete (2181m) si è svolta in una giornata in cui poche volte, le forze naturali, si sono trovate orientate all’armonia, nel corso dell’intera giornata. Il fenomeno esteso a tutta l’area di nostra visuale su tutti e quattro i punti cardinali ci ha consentito di osservare compiaciuti il mare Jonio e Tirreno, i Monti Alburni e la parte sommitale dell’Etna (3330m). Questo lungimirante spettacolo, ampiamente compreso e rilevabile nella curvatura terrestre, mi piace pensare, oggi, non può che essere stato favorito dal dio Eolo che ha racchiuso nell’otre, i venti cattivi per liberare quelli buoni, ogni qualvolta intercede la Fata Morgana. Icaro sognava di volare per vedere scorrere sotto di se panorami terrestri; le escursioni che conducono in vetta come quella di oggi realizza il sogno visivo dell’ubiquità. Tornando ai dati tecnici dell’escursione, oggi abbiamo proprio tutto dalla nostra parte; iniziamo a fendere l’aria fresca e pungente dalla piccola depressione di Piano Ruggio (1575m), nei pressi del rinomato Rifugio De Gasperi. Muoviamo sul sentiero 900 che conduce al Belvedere di Malvento, fino a giungere al Faggio siamese delle Sette Sorelle. Da qui, inizia la salita fra i sassi scuri slavati e consumati dalla neve e pioggia, mentre il vento dopo avere negato ai faggi di salire quassù, può solo sferzare l’erba dei pascoli, ormai ingiallita. Per la meta finale, occorre sormontare più cime, tutte segnalate con gli omini di pietra che si trovano disseminati, anche lungo il sentiero, per facilitarne la progressione in caso di nebbia. La toponomastica di questa montagna fa riferimento alle pietre disseminate che la distinguono, che nel linguaggio locale sono chiamate, “e pprete”. La loro conformazione morfologica mette in risalto la fase di sollevamento dal mare e la conseguente fase di distensione e torsione avvenuta, circa decine di milioni di anni fa. Nel mezzo della mattinata, il grosso panettone, cosi è additato dai più, ci porta tutti e 19 escursionisti sul groppone per regalarci visuali emozionanti. Ogni cima, è una sorpresa per nuovi panorami e l’invito a proseguire per raggiungere la successiva, con la speranza che sia l’ultima e quantomeno, la certezza di osservare altre meraviglie. Il tepore del sole, l’aria mossa appena da un venticello, il cielo infinito turchese e la nitidezza dei contorni montuosi, ci hanno dato la carica per posare la pietra votiva sul cumulo della vetta, per tenere ben salda la croce di legno. Da quassù, siamo riusciti a inquadrare chiaramente le cinque cime oltre 2000 metri del Parco del Pollino, i Monti dell’Orsomarso, il complesso del Monte Sirino, Monte Alpe, Monte la Spina, Monte Bulgheria con il sottostante Golfo di Policastro, la Sila, Monte Cocuzzo e la litorale Jonica. Un bel pianoro inclinato asciutto erboso e soffice ci accoglie per la pausa colazione. Oggi a pranzo, con piacere abbiamo avuto il Pollino della porta accanto. Credo non si possa desiderare di meglio se a oltre 2000 metri di quota l’odore del caffè, scaturito dalla moka di Martino, appaga tutti i sensi compreso l’olfatto. Ce ne torniamo a casa, sullo stesso sentiero, più temprati in autostima, più carichi di conoscenza del territorio che ci circonda, che un pò tutti, dovrebbero frequentare considerandolo, la corte attorno alla casa propria.
23 ottobre 2016: Monte Bulgheria di Eugenio Iannelli
Capita! Capita di tornare da una escursione bagnati come pulcini e appena arrivati alle auto smette di piovere ed il cielo diventa azzurro e lascia spazio ad un caldo sole. Capita che due volte sul Bulgheria, due volte bagnati! In pratica è quello che è successo domenica sul Monte Bulgheria nel Parco Nazionale del Cilento. Partiti prestissimo e arrivati altrettanto presto nei pressi del campo di calcio di San Giovanni a Piro, luogo di partenza dell’escursione, ci siamo avviati con il cielo nuvoloso ma senza pioggia che, a guardare le previsioni, sarebbe dovuta arrivare intorno alle 14. Fiduciosi e mai domi, come si conviene ai soci di una Sezione CAI, intraprendiamo il comodo ma ripido sentiero scalinato che dapprima allo scoperto lambisce una grande parete rocciosa, continua facendosi strada nel bosco di leccio per poi uscire definitivamente allo scoperto. Purtroppo per noi a poche centinaia di metri dalla cima la pioggia diventa particolarmente copiosa ed insistente per cui ci costringe ad osservare velocemente i famosi Pilastri e ci rimette frettolosamente sulla via del ritorno accompagnandoci fino alle auto. E qui, dispettosamente e inaspettatamente, decide di smettere. Però non tutti i mali vengono per nuocere in quanto almeno abbiamo il tempo di cambiarci gli indumenti e di consumare il pranzo al sacco con tutta calma. Ultimato il pranzo e avendo tempo a disposizione decidiamo di impiegarlo in maniera costruttiva ritagliandoci una parentesi naturalistica raggiungendo il Pianoro di Ciolandrea da dove si ammira uno splendido panorama a strapiombo sul Golfo di Policastro che ci lascia osservare Sapri, Maratea con l’isolotto di Letoianni, Praia a Mare con l’Isola di Dino e tutta la cinta dei monti che va dal Monte Sirino in Basilicata fino al Monte La Caccia in Calabria. Scendiamo poi a far visita al Santuario di Maria SS. di Pietrasanta e al piccolo borgo marinaro di Scauri per chiudere con una passeggiata sul lungomare di Sapri.
9 ottobre 2016: Vie ferrate e Dolomiti Lucane di Emanuele Pisarra
Un binomio che ultimamente riscuote sempre più successo di pubblico e consenso. Un mesetto fa, come CAI Castrovillari, abbiamo fatto una “uscita” in stile alpino con l’obiettivo di percorrere una delle due vie ferrate recentemente realizzate da una ditta trentina per conto della Regione Basilicata. La nostra meta sono state le Dolomiti lucane. Un complesso roccioso tra i comuni di Pietrapertosa e Castelmezzano, nella Basilicata centrale, attraversato dal Basento. Un sistema di guglie spettacolari, di varie forme, che evocano animali, demoni e antiche tradizioni che contribuiscono a rendere più affascinanti questi luoghi. L’arrivo era previsto, per la tarda mattinata, a Pietrapertosa, splendido centro abitato situato oltre i mille metri di quota a cavallo tra la Val Basento e la Val d’Agri. All’uscita dello svincolo della Basentana per Pietrapertosa si è unito a noi Vincenzo Armentano, un nostro socio, nativo di San Lorenzo Bellizzi e che abita a Potenza. Superato il ponte sul Basento, abbiamo iniziato a percorrere i numerosi tornanti che portano a Pietrapertosa: mi ha colpito il cartello che avverte come in paese non ci siano distributori di carburante. Man mano che si sale, il paesaggio si diversifica, aumentano gli spazi e appare il primo dei tanti parchi eolici che avremo modo di vedere durante la giornata. Enormi pali, alti fino a cento metri, che svettano poco sopra l’abitato di Campomaggiore e, minacciosi, sfidano le forze del vento per produrre energia. In molti dubitiamo sul reale apporto energetico di questi sistemi, almeno nel meridione d’Italia e ne abbiamo parlato un pò con i compagni d’escursione… ma questa è un’altra questione. La stradina si inerpica sul versante settentrionale di Costa la Rossa nello splendido bosco di Gallipoli-Cognato, tra alberi di cerro, roverella e leccio, poi il bosco si dirada ed è appare qualche campo coltivato a non abbiamo capito bene cosa, mentre il centro abitato non si vedeva neanche lontanamente. Decidiamo di fare una modifica al programma iniziale e di prendere la vecchia stradina chiusa al traffico automobilistico che porta direttamente a Castelmezzano. È questo un tratto della strada provinciale che collegava la provinciale per Pietrapertosa con Castelmezzano, chiusa da tempo al traffico a causa di frane e smottamenti. Vistosi cartelli avvertono del divieto di transito che tutti, puntualmente, disattendono… e anche noi … Attraversata la splendida gola del Torrente Caperrino, riprendiamo a salire dal versante opposto e in breve tempo, percorsa una galleria al termine della quale ci appare, come d’incanto, il borgo di Castelmezzano: tante case colorate, ordinate, graziose, e attaccate alla parete rocciosa come tessere di un mosaico perfetto, sfruttando tutti gli spazi possibili. Dopo aver ammirato la veduta, proseguiamo in direzione del cimitero, dove inizia il tratto di avvicinamento alla ferrata “Marcirosa”. Lasciata la macchina nello spiazzo antistante al cimitero, iniziamo a percorrere il sentiero dei mulini oggi, rinominato, avvolto in un’aria di mistero, come il “Percorso delle Sette pietre” nome ispirato a un racconto di Mimmo Sammartino. Una splendida mulattiera, a tratti incisa nella roccia, porta in pochi minuti al torrente Caperrino che abbiamo attraversato sull’antico ponte di pietra e oltre il quale ci siamo immessi nel nuovo sentiero di avvicinamento alle ferrate. Infatti, questo ingresso consente di accedere a tutte e due le ferrate. Noi avevamo in programma quella denominata “Marcirosa”. Dalla parte opposta del corso d’acqua si accede, tramite uno spettacolare ponte nepalese, all’altra ferrata, denominata di “Salemm” che porta a Castelmezzano. L’inizio della “Marcirosa” è abbastanza anonimo: dopo una prima rampa di scale si esce dal bosco fino a giungere a un primo ponte tibetano: da questo punto cambia e il panorama e appare, in tutta la sua maestosità, la roccia arenaria ed epossidica delle Dolomiti lucane. Impegno, attenzione e spirito di avventura e mancanza di vertigini sono gli elementi base che uno scalatore di ferrate deve avere. Una piccola disattenzione può essere causa di gravi danni alla persona. Un moschettone della longe segue l’altro in perfetta sincronia. La cordata del CAI Castrovillari avanza e prosegue senza sosta. Tutti arrampicano con sicurezza e decisione. Una vera e propria squadra coordinata e compatta. In qualche segmento di corda, però è stato necessario fermarsi e restare appesi per diversi minuti perché la via era molto affollata. È stato un vero grande successo l’idea di attrezzare queste pareti, favorendo l’afflusso a molti che ne sarebbero esclusi se non si trattasse di bravi rocciatori. Mi incuriosisce conoscere lo studio di fattibilità ambientale sotteso a questa ferrata, cosa esso contenga in tema di impatto ambientale, di disturbo alla fauna selvatica e al paesaggio. Dalle previsioni meteorologiche della giornata mi era sembrato un pò un azzardo affrontare una ferrata, anche se classificata come “poco difficile”, come questa di “Marcirosa”, e in special modo dopo la pioggia della notte e del giorno precedenti. Ma non avevo voluto abbandonare gli amici e, fiducioso, ero partito con loro confidando nell’antico adagio “La fortuna aiuta gli audaci”. Intorno a mezzogiorno il cielo si è aperto completamente e il sole ci ha donato una splendida giornata. L’orizzonte man mano che si saliva si apriva sempre di più. In attesa di far la fila, è proprio il caso di dire, ben ancorato alla sicura, mi sono guardato intorno e il paesaggio mi è apparso ancora più bello del solito, forse perché lo vedevo da una angolazione insolita. Le quinte di monti che si susseguono, i paesini abbarbicati a mezzacosta come se fossero incollati alle rocce circostanti, il verde intenso dei boschi che, complice la tarda estate, ancora non hanno perso le foglie, il nastro d’argento del Basento che scorre tra le cime, si confondevano in un unicum di situazioni e sensazioni che hanno reso l’animo sereno e felice di abitare e vivere in questi luoghi ancora così semplici e unici. Questo magico incantesimo veniva a volte interrotto da un sibilo fortissimo. Abbiamo affrontato con molta attenzione l’ultimo ponte tibetano: semplice nella sua forma, non molto alto dal suolo, tuttavia abbastanza pericoloso in caso di eventuale caduta. Dopo averlo attraversato, una scaletta metallica con gradini alternati costringe a prendere la discesa verso l’arrivo. Una volta raggiunto il crinale ci si è svelato il mistero del sibilo: si tratta del volo dell’angelo! È questa una delle tante invenzioni del vulcanico direttore generale dell’APT lucana: una corda d’acciaio collega Pietrapertosa con Castelmezzano. Imbracati dentro una speciale sacca agganciata a questa corda d’ acciaio si scorre a velocità incredibile verso il punto di arrivo. Un minuto e mezzo di volo a oltre centoventi chilometri all’ ora che, sicuramente almeno la prima volta, fa drizzare i capelli anche a chi, come me, non li possiede da tempo. Abbiamo atteso la partenza di un temerario per fare una foto, e quindi ci siamo avviati verso il centro abitato. Qualcuno del nostro gruppo non pienamente soddisfatto da questo primo assaggio, ci lascia per andare a percorrere anche la ferrata “Salemm” a Castelmezzano. Quelli di noi che hanno rinunciato all’invito a seguirli, si sono avviati verso la piazzetta principale di Pietrapertosa dove avevamo appuntamento con quanti del gruppo non hanno partecipato neanche alla prima ferrata ed hanno nel frattempo visitato il centro storico; tutti insieme ci siamo recati a Castelmezzano percorrendo il sentiero “Sette pietre”. Credo che sia stato il primo sentiero che percorro, nella mia carriera di escursionista in giro per le montagne italiane, dove ci sono una serie di stazioni –tipo una Via Crucis– declamate da una voce recitante, accompagnata da musica ritmica molto suggestiva. Per me è stata veramente una novità assoluta. Anche questo è la Basilicata dei grandi eventi. L’arrivo a Castelmezzano, il recupero delle automobili, il trasferimento nella piazzetta principale per la nostra solita “colazione al sacco” fatta di soppressate, salsicce, peperoni cruschi, formaggi, olive sott’olio, rape e tanto altro, ha chiuso la nostra giornata. Per la nostra colazione abbiamo scelto la balconata di fronte alla chiesa principale che incornicia le casette colorate del centro storico, reso anche famoso dall’ultimo film con Fabio Volo, Miriam Leoni e Silvio Orlando “Un paese quasi perfetto”, e ci siamo ritrovati ad essere osservati dai tanti turisti stranieri che in questo periodo frequentano Castelmezzano. Così, per la foto di gruppo, abbiamo accolto come ospiti alcuni ragazzi di Taiwan. Dopo il caffè, “l’ammazza” caffè e un dolcino, ci siamo spinti in una passeggiata tra i vicoli fino alla base della “Civetta”: questo spettacolare monolito che per anni ha fatto da punto di vedetta per la salvaguardia del centro abitato dalle invasioni arabe e saracene. Il ritorno in piazzetta, i saluti, il rientro hanno reso quanto mai attuale quel detto di Marcel Proust: “L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Alla prossima!
2 ottobre 2016: Nuovo sentiero a Cerchiara di Calabria
Ha riscosso grandissimo successo l'escursione inaugurale del sentiero storico dell'Annanza, tracciato e reso fruibili della sottosezione di Cerchiara di Calabria del Club Alpino Italiano. Oltre 120 escursionisti provenienti da tutta la Calabria, appartenenti a diverse sezioni del Club Alpino Italiano, tra cui quelle di Catanzaro, Cosenza, Verbicaro e Castrovillari, hanno vissuto quella che può definirsi a tutti gli effetti una giornata storica che ha visto anche la partecipazione dell'attuale Direttore del Parco Nazionale del Pollino, Giuseppe Milione, oltre ai Presidenti CAI di Castrovillari, Carla Primavera e Verbicaro, Felice Lucchese. Un variopinto serpentone, partito dalla pIazza centrale, si è inerpicato sulla dorsale del Monte Sellaro attraversando luoghi e passaggi panoramici fantastici. Visuale dall’alto sull’antico borgo, sui ruderi del Castello, sulle gole del Caldanello, sulla Piana di Cerchiara fino alle vicinissime rive del Mar Ionio, sul Monte Sparviere e le Timpe di San Lorenzo e Falconara. Il sentiero dell'Annanza, che oramai era divenuto "invisibile" soprattutto nel tratto del Vallone della Vite e di quello che da Serra del Gufo giunge a Sant'Andrea, usato nei secoli dai contadini per giugnere in paese a Cerchiara, è stato in questi mesi pulito e manutenuto, oltre che segnato con le bandierine e le tabelle bianco/rosse del CAI dai "ragazzi" della sottosezione di Cerchiara di Calabria. Un grandissimo lavoro, del tutto volontario, che da oggi permetterà a chi vorrà di partire a piedi dal centro storico di Cerchiara attraverso l'Annanza e di arrivare al Santuario della Madonna delle Armi per poi, chiudendo un anello, dal sentiero storico dei pellegrini ritornare nuovamente in paese. Cerchiara e il Parco del Pollino si arricchiscono cosi di un nuovo sentiero CAI, a cui è stato assegnato il numero 946A, che farà parte del catasto dei sentieri del Parco e a breve verrà inserito anche nelle cartine del Parco. Dopo l'escursione, nello spelndido scenario del giardino del Convento di Sant'Antonio, tutti i partecipanti hanno potuto assaggiare le crespelle, un piatto di pasta e di carne offerti dalla sottosezione. Momento di convivialità e cordialità che ha sancito l’affiatamento tra gli appassionati di montagna. Un doveroso ringraziamento il direttivo della sottosezione Cai di Cerchiara lo rivolge alla Fondazione Santa Maria delle Armi per aver concesso gli spazi del Convento e al Comune di Cerchiara, presente con il Vice Sindaco, per la collaborazione dimostrata. Infine un grazie anche al Gruppo The Jolly Rebels per aver accompagnato il dopo escursione con la musica.
25 settembre 2016: Serra delle Ciavole di Eugenio Iannelli
Ritorniamo su Serra delle Ciavole dopo qualche anno, questa volta in compagnia degli amici del CAI di Reggio Calabria. Anche questa domenica, alla partenza, il cielo non promette nulla di buono ma, appena girato l’angolo (Campotenese), si apre a noi uno splendido mattino di settembre. Lasciate le auto a Colle dell’ Impiso e dopo il solito briefing per i saluti di rito e per illustrare brevemente il percorso imbocchiamo il sentiero che senza alcuna difficoltà ci porta ai piani alti di Vacquarro. Da qui seguiamo la strada forestale che porta al pianoro di Rummo e poi ai Piani di Pollino. Attraversiamo quello che può essere considerato “il cuore” del nostro parco. È uno spazio in gran parte pianeggiante, chiuso tra le più alte cime dei monti; girando lo sguardo si ammira prima di tutto il monte che dà il nome a tutto il Massiccio, poi Serra del Prete, il Dolcedorme, Serra di Crispo e Serra delle Ciavole, tutte le cinque vette al di sopra dei 2000 metri. Saliamo alla cresta sud/est costeggiando piccoli laghetti che costellano l’ampio spazio, circondati da branchi di cavalli selvaggi e mucche al pascolo. Continuiamo lungo l’ampio pianoro fino alla base della Serra. Iniziamo a salire superando facili tratti rocciosi, dove ogni tanto ci affacciamo su punti panoramici veramente fantastici, tra una moltitudine silenziosa di maestosi pini loricati che conferiscono un aspetto unico a questi luoghi. Quello che rende esclusivo questo posto, oltre al panorama, è che ogni esemplare di loricato è diverso dall’altro per forma, aspetto, altezza, colore: i tronchi e i rami mostrano i segni lasciati dal tempo e dalle intemperie (fulmini, bufere di neve) che a quelle latitudini possono essere veramente tremendi. Inutile dire che le fotocamere degli escursionisti impazziscono perché ogni scorcio, ogni albero è degno di essere immortalato. Arriviamo alla cima di Serra delle Ciavole (2127m) dove, nonostante il versante Sud/Est fosse interessato da una abbondante coltre di nuvole, lo sguardo si stende dal magnifico panorama della Fagosa e alta valle del Raganello fino alla costa ionica, dalla Piana di Policoro al lago di Senise. Soddisfatti consumiamo il pranzo al sacco rigorosamente con prodotti della nostra terra e sapientemente cucinati in modo tradizionale. Dai “cancariddi cruschi” di Carla, alle “patate, peperoni e salsiccia di Roberto”, alle bietole di Gaetano, alle “polpette di melenzane” di Franco, alla “savuzizza” di Nino, al formaggio di MImmo, il tutto accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso di Pino. Qualcuno storcerà il naso a sentir parlare di questo succulento pranzo in quota invece di preferire frutta secca, barrette energetiche etc. etc., ma secondo noi questo è il giusto modo di valorizzare e far conoscere pietanze e cucina della nostra tradizione che purtroppo vanno sempre di più diradandosi o quasi scomparendo senza trascurare che un buon pranzo, come si sa, rinsalda e crea nuove e durature amicizie. Ma come sempre arriva l’ora di riprendere la via del ritorno. Effettuiamo una piccola digressione che ci porta ad osservare un maestoso pino loricato di circa 900 anni. Dopo una veloce spiegazione di Emanuele, è sempre un piacere ascoltarlo, riattraversiamo i Piani e imbocchiamo il sentiero che ci porterà a Vacquarro per poi risalire a Colle Impiso. Agli amici di Reggio, che devono percorrere ancora un bel pò di strada per rientrare, auguriamo un buon viaggio mentre noi ci fermiamo al bar per concludere degnamente una bellissima giornata e suggellare l’amicizia e lo spirito di gruppo.
18 settembre 2016: Colloreto - Patriarca di Mimmo Filomia
E’ sempre un piacere fare visita al Patriarca, il pino loricato, che dall’alto dei suoi 950 anni e in silenzio, racconta da testimone, la storia di un millennio di uomini e di mutazioni ambientali. Già dieci secoli fa, quando gli uomini erano alle prese con le incertezze e le eresie dell’anno Mille, in pieno Medio-Evo, caratterizzato dalla rinascita spirituale, civile, culturale, politica, esso era lì. Probabilmente un sano virgulto, al centro della scena rigogliosa di un’ampia colonia vegetativa plastica, iniziava la sua crescita. Giova appena ricordare, che gli esemplari loricati che vegetano nel Geoparco Pollino, sono una specie unica al mondo. Sono i pronipoti di esemplari vegetativi scampati all’ultima glaciazione del Wurm e dividono l’esistenza sulla Terra, parlando lo stesso linguaggio, con i Loricati dell’adiacente area dei Balcani. L’escursione odierna ci ha visti dapprima protagonisti nei pressi dei ruderi del Monastero di Colloreto (1546). In circa 200 anni di vita, i monaci Agostiniani con le loro regole di vita ne fecero una congregazione potente e facoltosa, ricca di opere artistiche. Con la soppressione della Congregazione degli Eremitani di Colloreto (1809) in seguito alle leggi murattiane, il monastero fu teatro di saccheggi, dopo che le opere furono trasferite nelle chiese di Morano Calabro. A noi non resta che ricostruire con la fantasia la vita monastica, svolta in un location ideale a quei tempi per la solitudine contemplativa. Oggi due nastri d’asfalto l’hanno trafitto nelle viscere e nella quiete, lasciando in equilibrio indifferente, anche i sassi delle cinte murarie. La curiosità degli ambienti, il cammino su una storica mulattiera, usata per scambi socio economici di brevità, fra le due regioni, Basilicata e Calabria, sono stati il movente della presenza di tanti escursionisti, nonostante i capricci meteo e le asperità sormontabili solo a ritmi lenti, lungo i mille metri di dislivello. La lunga progressione non è stata mai monotona. Inizia con il sole che ci inonda di calore nella corte dei ruderi del monastero e prosegue verso il poggio dove le acque della sorgente Tufarazzi, producono una simpatica cascata, molto fotogenica. Abbandonati i raggi di sole, ci incamminiamo sulla traccia scavata alla base dei complessi montuosi di Serra del Prete e Murge Rosse. Il sole poche volte farà capolino fra le cime dei faggi; in compenso due sorgenti copiose ai margini del sentiero, sgorgano dalla roccia, rendendo l’ambiente bucolico. Oggi sono interminabili i passi che, a ritmi lenti, lungo la scala dei moranesi ci conducono, a Colle Gaudolino, che salutiamo con un sospiro di sollievo. L’abbeveratoio, con annessa fontana ci raccoglie tutti per dissetarci. Da lontano però, il gesto non è piaciuto alla schiera di cavalli multicolori dal pelo lucido; e cosi, quasi a contestare il dominio del luogo e dell’acqua, in gran carriera scendono dall’altura ad abbeverarsi di prepotenza. Ormai, il più è fatto, dopo una pausa ristoratrice, tutti in fila indiana siamo nuovamente sul comodo sentiero detto della “Signorina” che ci porterà, attraverso le quinte maestose di Serra del Prete e della Nord/Ovest di Pollino, al cospetto del Patriarca. Giunti al suo cospetto, bisogna essere più di tre per abbracciarlo, per farsi poi raccontare tutte le storie che si sono succedute sotto i suoi rami protesi a farsi largo tra i faggi invadenti, per mostrarsi in tutta la sua Maestosità. Oggi rappresenta la specie vivente più longeva, anche se nuove teorie tendono a dimostrare che non è la grandezza in genere a dire l’età, bensì le sofferenze di humus e meteorologiche che nel corso della vita gli hanno impedito di espandersi florido. Il ricordo va al Pino Loricato “Zì Peppe” dalla forma di gigante bonsai, rimasto nella memoria e adottato a simbolo del Parco nazionale del Pollino, dimostrando che gli ominidi possono essere una forza avversa letale per l’ambiente. Il Patriarca è uno scrigno vivente. Custodisce gli eventi del tempo nella sua memoria, alimentata da linfa, il cui metabolismo gli riesce a far superare inverni rigidi, con venti a momenti torcenti elevati. La sua esistenza in vita, deve essere una continua sfida di vigilanza e protezione per la conservazione della biodiversità, anche da parte di noi utilizzatori delle terre alte! Un grazie, ai soci del CAI di Catanzaro, sempre attenti alle peculiarità che la nostra montagna e non solo, nasconde nelle sue pieghe. La frequentazione della stessa la fa rimbalzare nella collettività, di chi va per monti.
11 settembre 2016: CAIBIKE di Domenico Bloise
Nonostante le previsioni meteo non fossero rosee e uno degli organizzatori abbia anticipatamente gettato la spugna, un manipolo di appassionati e cocciuti bikers si è ritrovato a Piano Novacco per questa edizione della CAIBIKE 2016. Grazie alla collaborazione dello S.C. “L. Viola” di Saracena e del socio bis Marco tutto si è svolto secondo il programma. Partiti da Piano Novacco attraverso il vecchio tracciato ferroviario della Rueping abbiamo raggiunto successivamente l’incrocio per Piano Scifarello e Timpone della Magara, poi scendendo, Piano Minatore, per poi arrivare a Piano Campolongo di Lungro (punto di arrivo della antica funicolare della Rueping). Breve sosta al bello e grande Rifugio di Campolongo che rivive una nuova stagione dopo tanti anni di assoluto abbandono grazie all’impegno di una Associazione dedita alle attività equestri. Salutati gli amici siamo scesi verso il torrente Grondo (ormai in questo periodo in secca) dal quale, una volta attraversato, rigorosamente a piedi, è cominciato il tratto di salita che ci ha portato al Piano di Ferrocinto. Dopo aver svalicato, di nuovo in discesa, verso il Piano di Tavolara, dove attraversata l’omonima fiumarella, abbiamo ripreso la strada del ritorno lungo la direttrice più tranquilla che passa dal cancello di Rossale e prosegue per Novacco. L’anello dei cinque piani è stato chiuso in cinque ore per una percorrenza di circa 31.5 km ivi comprese diverse soste per rifocillarci e goderci i luoghi. Un anello non eccessivamente impegnativo dal punto di vista fisico che consente all’appassionato di questa attività di attraversare posti meravigliosi dove imperano boschi lussureggianti con faggi giganteschi e secolari, torrenti, prati immensi, delizie del sottobosco come more e funghi e con un po’ di fortuna consente di incrociare animali selvatici. Infatti non sono mancati gli incontri, prima con due timide salamandre pezzate e poi con due giovani caprioli. Anche il tempo è stato dalla nostra parte con una temperatura piacevole e pochissime gocce di pioggia che ci ha raggiunto solo per pochi minuti al Piano di Ferrocinto. Chiusura di giornata al Rifugio di Novacco, anche da qui buone nuove con questa nuova gestione, dove la buona cucina di Massimo e la gentilezza di Silvia ci hanno riconciliato con il resto del mondo.
3 agosto 2016: Ascesa al Piz Palù (3905m) di Eugenio Iannelli
1/6 agosto 2016: Nella verde Engadina tra montagna e cultura di Mimmo Pace
3 agosto 2016: Ascesa al Piz Palù (3905m) di Eugenio Iannelli
Erano diversi anni che valutavamo la possibilità di organizzare un viaggio nell'Engandina, in Svizzera, per ammirare e saggiare le montagne del gruppo del Bernina e ascendere il Bernina stesso. Ma come sempre dalle nostre latitudine, prima di partire, è necessario far quadrare i conti sia in termini economici che di tempo di permanenza. Di conseguenza scartata la possibilità di ascendere il Bernina dalla via normale, erano necessari più giorni di salita e di permanenza in quota a discapito della possibilità di effettuare altre belle escursioni in loco avendo a disposizione pochi giorni, si è optato per l’ascesa alle cresta orientale (3887m) e centrale (3905m) del Piz Palù che prevede una sola giornata di salita. Attraversato il passo del Bernina e raggiunta la funivia Diavolezza ci siamo trasferiti al Rifugio Diavolezza a 2970 metri di quota. Nonostante la giornata non sia bellissima, intensi nuvoloni si addensano proprio su tutta la catena e ci preoccupano per la possibilità che permangano per il giorno successivo, il panorama che si gode dalla terrazza del rifugio è ineguagliabile e tanti sono i turisti che salgono per ammirarlo. Più che un rifugio, il Diavolezza, è un hotel 4 stelle e i prezzi non sono da meno soprattutto se non si è dotati di moneta svizzera, infatti una bottiglia di acqua minerale costa 10,00 euro, pazzesco!!!!! Dopo un breafing serale con la guida, Bruno Mottini, a nanna presto per dormire qualche ora. Infatti la sveglia suona alle tre del mattino e dopo la preparazione dell’equipaggiamento, dell’abbigliamento e un’abbondante colazione alle quattro partenza. La prima parte della salita ci vede impegnati su un tremendo percorso spezzagambe su enormi massi per circumnavigare il Piz Trovat e ascendere al ghiacciaio. Per fortuna siamo freschi. Giunti sul ghiacciaio calziamo i ramponi, sfoderiamo la piccozza e ci sistemiamo in cordata. Primo di cordata la guida, secondo il sottoscritto e terzo Mino D’Amico. Alle prime luci dell’alba tutte le nostre preoccupazioni del giorno precedente sono scomparse in quanto ci rendiamo conto della totale assenza delle nuvole su cui una giornata di splendido sole ha avuto il sopravvento. Oltre a estasiarci per il panorama che ci circonda siamo completamente immersi in un luogo fantastico come solo un ghiacciaio riesce ad esserlo circondati da enormi blocchi e ponti di ghiaccio, seracchi, crepacci, panorama mozzafiato sulle cime a noi prossime e su tutta la vallata circostante dove la fa da padrone la lingua del ghiacciaio del Morteratsch e le montagne della svizzera. La salita continua tranquilla, con passo sicuro e lento affrontiamo dislivelli non proprio minimali, e senza grandi difficoltà ma concedendoci i giusti tempi per respirare e riprendere fiato arriviamo sino alla sella. Qui ci aspetta un altro panorama mozzafiato, questa volta anche sulla parte italiana. Riconosciamo, grazie all’aiuto della guida l’Ortles, il Cevedale, il ghiacciaio dello Scalino, la Valcamonica e altro ancora. Approfittiamo per riposarci un tantino di più in quanto ci aspetta, prima della cima orientale, la salita finale, che pur non essendo particolarmente lunga, presenta un dislivello del 40% e una lunga ed insidiosa cresta ghiacciata di circa 250 metri. Con grande professionalità la guida accorcia le distanze tra le cordate e nel salire ci chiede il massimo della concentrazione e dell’attenzione per ogni piccolo passo. Ma l’esperienza accumulata in tanti anni di esperienza e tante avventure vissute sui 4000 d’Italia si fanno sentire e tutto prosegue meravigliosamente bene consentendoci il raggiungimento della cima orientale. Da qui oltre le montagne precedentemente descritte allarghiamo il nostro orizzonte al Monte Disgrazia, l’Argent, il Bellavista, lo Scerscen, il Roseg, chiaramente il Bernina e il Morteratsch, in lontananza una infinità di altre cime dell’Italia e della Svizzera a 360°. Dopo qualche minuto di riposo riprendiamo il cammino verso la vetta centrale del Piz Palù che raggiungiamo in poco tempo. Breve sosta sulla cima per congratularsi vicendevolmente, dare libero sfogo alle fotocamere e per immagazzinare attraverso gli occhi, nella memoria, quest’altra bellissima esperienza. Il ritorno, più tranquillo e lento, ci permette di assaporare più compiutamente il mondo che ci circonda e scoprire altre bellezze, angolazioni e prospettive diverse rispetto alla salita. Alla fine del ghiacciaio, come previsto, l’incontro con l’altro nostro gruppo che si appresta, insieme alla guida Emanuele, a vivere da vicino la propria avventura con il ghiacciaio, con i seracchi e i crepacci. Nel tardo pomeriggio, per tutti, il trasferimento a Livigno dove ci aspettano altre escursioni.
1/6 agosto 2016: Nella verde Engadina tra montagna e cultura di Mimmo Pace
Avevo pensato e deciso di non scrivere più, di non stendere più sulla carta cronache e appunti di viaggio, legati al mio andar per monti. Ciò, non fosse altro che per evitare il riaffacciarsi nella mente dell’idea di creare ancora un nuovo libro, il quale, sicuramente, sarebbe di troppo! Mi sono arreso, però, di fronte alla bellezza, alla imponenza ed al fascino esercitato da una tra le più fantastiche montagne delle Alpi: il Piz Palù, 3902 metri, del gruppo del Bernina; un gigante che si innalza nell’azzurro, attraverso tre poderose cuspidi, ricamate da dirupanti vedrette pensili e candide cornici nevose. L’ormai pesante fardello di anni (sono alla soglia degli ’80) mi ha convinto di non dover più osare e che mi è ormai precluso ogni approccio alpinistico con la grande montagna. Meditando su tali considerazioni, un sussulto mi scuote interiormente e prepotente si riaffaccia la voglia di vivere ancora una nuova avventura! Ma, convengo che in fondo è più saggio recedere e pur se con riluttanza, rassegnarsi, accontentarsi di percorrere sentieri agevoli, prediligendo un approccio più soft con la montagna. Ci si può ugualmente beare lo spirito, scrutando orizzonti luminosi e smisurati, o arricchirsi interiormente, andando alla scoperta dei mille volti che la montagna offre a chi la ama e la frequenta. Dalla Calabria arsa dal sole e dagli incendi, siamo perciò venuti qui, nella verde Engadina, sulle Alpi Retiche, tra Svizzera e Italia, tra i Massicci del Bernina e dell’Ortler, percorrendo ben 1200 chilometri, per bearci di superbe visioni e vivere le intense emozioni che ogni vera avventura scatena. Un primo assaggio di verde l’avevamo goduto nei pressi di Modena, sostando la notte all’Antico Mulino Bramante, una struttura attiva nel passato, totalmente avviluppata nel verde e incastonata in un giardino lussureggiante e curato … alberi che toccano il cielo, in un connubio forestale d’eccezione… banani dalle foglie gigantesche e statue e mascheroni dappertutto! Un ruscello bisbiglia sommesso e alimenta le pale del mulino… una pace senza fine nella quale adagiarsi! I padroni, gente semplice e cortese, con la casa zeppa di cimeli, vasi antichi, candelabri e mille ninnoli. Offrendomi un bicchiere di lambrusco, mi mostravano orgogliosi una foto con Vittorio Sgarbi, che qualche tempo addietro l’aveva visitata. Di buon mattino si riparte e in poche ore siamo al Passo del Bernina a imbarcarci sulla funivia per il Diavolezza… il rifugio più esoso che abbia mai conosciuto!! … una bottiglia di acqua minerale vale lì la bellezza di € 10,80. E’ buio ancora e alla luce delle frontali, dalla Chamanna Diavolezza, stiamo risalendo sul Munt Pers, una fantastica balconata protesa sul Gruppo del Bernina. Le prime luci del giorno, ci svelano l’ambiente glaciale severo, maestoso e affascinante, che cinge la fiancata settentrionale dei Palù, costellato di ciclopici seracchi e insidiosi crepacci. Più a valle, incastonate in possenti morene, le lingue glaciali del Pers e del Morteratsch confluiscono, creando uno spettacolare quadro simil-himalayano. Questo imponente spettacolo della natura, noialtri l’abbiamo potuto ammirare risalendo questa non difficile asperità ed anche durante un successivo, fugace approccio col ghiacciaio… mentre Eugenio e Mino l’hanno vissuto appieno, lungo l’ardita e avventurosa risalita sui Palù, destreggiandosi nel superare pericolosi crepacci, nell’aggirare muraglie di ghiaccio vivo, nel superare pendenze proibitive su nevai di infido “vetrato”, nel tenersi in equilibrio, procedendo lungo esili creste nevose, sospesi a dritta e a manca tra due dirupi … su… su, fino alle due sospirate vette del Palù Orientale e Centrale. V’è poi l’intenso gioco interiore di sensazioni e di emozioni di ognuno di loro… ma esse sono parte esclusiva del bagaglio intimo delle esperienze di vita vissuta e quindi difficilmente interpretabili. La missione organizzata dal CAI di Castrovillari alla scoperta dell’Engadina, non prevedeva la sola ascesa sul Palù, ma anche una lunga passeggiata tutta in discesa dal Passo del Bernina, che si specchia sul Lago Bianco, al Rifugio Sassal Masone con i suoi caratteristici “Crott” -assimilabili ai trulli- e lo splendido scorcio sulle vedrette dei Palù… e ancora giù, verso l’Alpe Palù, ammirando le poderose cascate che precipitano a valle dal ghiacciaio e il suo bel lago, vivendo paesaggi da cartolina… col trenino rosso del Bernina, che fa capolino tra cento ghirigori. Il bel sentiero scende a valle attraverso un fresco lariceto ed è popolatissimo di mountain bikers. Finalmente siamo giù al paesino di Cavaglia, a goderci lo spettacolo che ci riserva il Giardino dei Ghiacciai, costellato da spettacolari “marmitte dei giganti”: 28, tra piccole e ciclopiche buche cilindriche, scavate nella roccia dal bulinio delle acque di disgelo, che scorrevano sotto i ghiacci, ricoprenti la valle durante la glaciazione wurmiana. L’inattesa comparsa di Eugenio, deciso di volersi riposare in hotel dalle fatiche del Palù, ma preferendo poi di venire a rimorchiarci in auto, ci ha precluso il ritorno in groppa al trenino rosso. Dopo una notte tempestosa, il mattino ci propone un cielo plumbeo. Una pioggia battente ci impedisce la prevista sortita lungo il Ghiacciaio dei Forni, sui fianchi del gruppo dell’Ortler. La decisione è unanime: per un giorno almeno, dedichiamoci al turismo e alla cultura! E allora, immantinente, si riparte. Attraversato l’oblungo lago di Livigno, la vista si apre sul verde della Bassa Engadina. La prima tappa è Zernez, dove si impone la visita al piccolo, ma interessante museo naturalistico del Parco Nazionale Svizzero. In breve, il museo diviene gremito, soprattutto da giovani, per il notevole valore didattico-educativo che esprime, attraverso suggestivi, quanto spettacolari filmati. Dalle sponde del vorticoso Inn, gonfio di acque limacciose, risaliamo in breve a Guarda, un villaggio fiabesco di sole 182 anime. Nonostante la pioggia insistente, ansiosi di scoprire, ci aggiriamo tra linde stradine, originali fontanili, tipiche abitazioni della prima metà del XVII secolo meravigliosamente decorate. C’è tanto da ammirare: dal lussuoso e incantevole Hotel Meisser, al minuscolo museo, ricco di storia contadina e montanara, a scorci naturalistici di grande suggestione. L’iter turistico procede: villaggi sparsi tra boschi e verdi praterie… un laghetto… un ciclopico cocuzzolo di alte rupi, al di sopra di cui si erge un possente castello… ecco Tarasp. Direi che questo luogo suffraga un innegabile connubio tra l’umana aspirazione al potere e la ridente natura dell’Engadina! Edificata nell’XI secolo dai Signori di Tarasp, la rocca è appartenuta agli Asburgo fino a inizio ‘800. Dopo un secolo di decadenza, nel ‘900, Karl August Lingner, l’ormai ricchissimo inventore del collutorio Odol, la comprò e la restaurò. Dal 1919, il castello di Tarasp è aperto al pubblico, con i suoi splendidi saloni per le feste, costellati di mobilio e suppellettili di pregio, le sale dei cavalieri, le accoglienti stanze da letto, con gli originali bagni, gli appartamenti per gli ospiti, la cappella di cospicuo valore culturale e l’organo di 2500 canne. Una vera chicca che non potevamo trascurare di visitare e apprezzare. Arricchiti da nuove, interessanti esperienze e da nuovi contatti umani, non ci resta che girovagare un po’ lungo la commerciale e ospitale Livigno, dedicandoci, stavolta, allo shopping. La sera, a cena, a missione conclusa, possiamo finalmente brindare col liquoroso nettare del solito Mimmo, a suggello dei nuovi rapporti amicali appena nati e rinfocolando, nel contempo, salde e consolidate amicizie!
3 luglio 2016: Canyoning nel Torrente Castiglione di Carla Primavera.
Ormai è da qualche anno che il CAI Castrovillari inserisce nel proprio calendario escursionistico almeno due uscite di canyoning all’anno. Attività relativamente giovane nel Pollino che regala brividi ed emozioni forti legate soprattutto alle sensazioni provate nella scoperta di nuovi luoghi accessibili solo attraverso questa pratica sportiva in ambiente e che destano in noi sempre sensazioni di meraviglia. Quest’anno è stata la volta del torrente Castiglione, in località Papasidero, una forra tecnica ma non lunghissima, che ci regala tanto divertimento e sana attività fisica. Una discesa acquatica che perfino nelle estati più secche presenta un buon flusso idrico, e che risulta comunque praticabile per la maggior parte dell'anno, bella ed emozionante, ottima palestra di canyoning. Personalmente è la mia terza esperienza nel Castiglione, e questo grazie alle nostre guide Angelo, del CAI Verbicaro, Franco e Massimo del CAI Castrovillari, che con la loro grande capacità tecnica ci offrono incredibili emozioni e grande sicurezza nella progressione. La discesa delle cascate, tante e di diversa altezza, ci permette di magnificarci della visione di zone ancestrali, dove l’uomo ha solo la possibilità di immergersi e osservare tanta intoccabile e nascosta bellezza. Certo, l’attrezzatura è fondamentale, la muta, l’imbrago, la longe e il discensore, strumenti indispensabili, oltre a un minimo di tecnica di base, per poter percorrere e godere di luoghi poco frequentati dall’essere umano. Le forre, è rinomato, sono luoghi di incomparabile bellezza, ma al tempo stesso, inutile negarlo, più difficoltosi da percorrere rispetto alle attività classiche praticate in montagna. E’ fondamentale quindi affidarsi sempre a persone con grande esperienza tecnica e che conoscano bene il percorso, ma ciò non toglie che l’imprevisto è sempre in agguato. Come ogni vissuto in montagna, in torrente, in ferrata, sul sentiero, ci regala e riempie di quel “mal di montagna” dolce, tenero, ineguagliabile, incomparabile, impareggiabile, di cui ormai soffriamo da anni e che siamo orgogliosi di avere. Ancora grazie ad Angelo, Massimo, Franco, Luigi, Domenico, Roberto, Diego e Fernanda, compagni d’avventura e amici nella vita.
25/26 giugno 2016: Traversata in notturna da Colle Impiso a Colle Marcione di Mimmo Filomia
L’escursione notturna dal tramonto all’alba prevista partendo da Colle Impiso (S. Severino Lucano) per terminare a Colle Marcione (Civita) di 16 km ha avuto corso. All’appuntamento sul piazzale di S. Girolamo in Castrovillari, dove ad attenderci c’era l’organizzatore F. Martino, ci siamo ritrovati in 15 con rappresentanze di escursionisti del CAI di Reggio C., Lecce e Castrovillari. Un acquazzone estivo, improvviso, violento, ci ha disorientato alla partenza; ma poi, la solita incoraggiante finestra di bel tempo si è aperta, come da previsioni meteo, cosi, fiduciosi nelle nostre forze, attratti e tentati dalla curiosità, di vivere una notte sulla montagna più alta peninsulare meridionale italiana, ci ha convinto a intraprendere la performance. L’ostacolo pioggia ci ha fatto perdere due ore sulla tabella di marcia. Nonostante, alle ore 20 eravamo già a rifocillarci alla sorgente “Spezzavummola”. Dal cielo sereno, scrutato sulla radura di Colle Gaudolino, ci viene la conferma e la consapevolezza di intraprendere l’avventura. Il tramonto ci ha atteso nei pressi del pino Loricato argentato contorto, che svetta sul sentiero più alto scavato sulla Nord-Ovest di Pollino. Il sole di questa giornata, giusto per premiarci, ci ha atteso sul palcoscenico dell’orizzonte, prima di continuare ad illuminare altre contrade terrestri alla ribalta. Ci ha fatto l’occhiolino fra le nuvole basse, colorando il sipario con policromie confortevoli di giallo, rosso, ed arancione, sostituendosi al grigiore pomeridiano, per annunciare che il dì che verrà sarà solare. L’imbrunire ci ha colti sull’altura di Pollinello, dove l’aria fresca e ventilata, ci ha costretti a cacciare fuori dal sacco, la giacca a vento e con essa la lampada frontale per rischiarare i passi lungo il sentiero. Ben presto ci accorgiamo, a beneficio dell’immaginario collettivo di chi teme la montagna che, soltanto per lucciole e moscerini siamo degli invasori e pertanto, ci aggrediscono cacciandoci in zona aperta e ventilata. Nel buio della notte confortati dalle stelle delle costellazioni e dalle luci dei borghi sottostanti, distratti anche da qualche stella cadente, progrediamo come lucciole dondolanti appese ad un nastro invisibile, ma sicuri verso la meta. Il grande faggio sul sentiero, è la pietra miliare che ci dice che siamo in prossimità di Colle Malevento, dove giungiamo alle 22.40. Avvolti nell’oscurità distinguiamo le sagome del Pollino, di Serra delle Ciavole e Serra Crispo. Accanto a noi invece, la nuova segnaletica verticale posizionata strategicamente in quota, rassicura l’eventuale disorientato viandante. Gli omini di pietra, ci vengono incontro sul tratto del sentiero verticale che conduce a Timpa di Valle Piana, tra Dolcedorme e Celsa Bianca. Qui, avevamo appuntamento con il resto che fu della luna piena, e così è stato, arricchendo la prestazione di autostima, con una sensazione ambientale sentimentale. Per alcuni, per raggiungere la cima sono stati necessari più riposini, ma alla fine la vetta rischiarata dalle nostre lampade frontali e dalla luna che aiuta gli uomini audaci, ci ha visti tutti abbracciati ed esultanti. La nottata fredda e ventilata, di questo inizio estate, alle 00.33 ci ha consentito appena di scrivere le proprie riflessioni e apporre la firma sul libro di vetta. Altrove, un poco più giù riparati, abbiamo allestito un reparto dormitorio irrequieto, dalle sembianze di una trincea anti raffiche di vento. L’alba, finalmente! Ci ha trovati tutti preparati ed incappucciati, pronti per la risalita in vetta, per salutare il nuovo giorno e posare per la foto ricordo. La pausa notturna ci ha temprati tutti e cosi, dopo avere assistito alla sconfitta delle tenebre da parte della luce per la formazione del nuovo giorno, ci incamminiamo per la strada del ritorno osservando come il sole colori nella sua ascesa allo zenit gli ambienti terrestri, dandogli vita. Il lungo rientro a Colle Marcione, sul sentiero della Cresta dell’infinito ci ha fatto capire perché gli è stato dato questo toponimo. Per contro, si ha il piacere di osservare un panorama ad angolo giro, spaziando nell’entroterra racchiuso dal mare Jonio e quello del mar Tirreno. Tra un masso e l’altro, sul sentiero di ritorno ci viene istintivo voltarci indietro per osservare il percorso appena fatto. La sensazione è quella che la mole del Dolcedorme e delle sue Serre che ci sovrasta, sia rimasta compiaciuta della nostra presenza, e noi, altrettanto, soddisfatti increduli della prestazione sportiva fornita, a malincuore scendiamo giù.
12 Giugno 2016: La via dei monaci Basiliani di Pierre Frega
Come l'acqua scorrendo nel tempo denuda le radici degli alberi,così noi veniamo denudati dalla vita terrestre. La via dei monaci Basiliani,un percorso attraverso il passato,seguendo passo per passo i sentieri e i luoghi frequentati da coloro che vissero lontani dal benessere. Ci si sofferma, annusando i profumi del bosco e dell'aria, l'armonia del non vedere il trascorrere del tempo, ha reso questo percorso ricco di sensazioni dominando i pensieri negativi. Siamo risaliti ai valori della vita,toccando con le dita l'indole delle incertezze, accarezzando con un sospiro le proprie immaginazioni, apprezzando il creato nelle sue svariate forme. Il CAI di Castrovillari ha contribuito a rendere una domenica normale, nei monti dell'Orsomarso nel Parco Nazionale del Pollino, in una domenica decisamente fantastica, destinato a rimanere impresso nella mente e nei ricordi...
3/5 giugno 2016: Isole Eolie di Ugo Spinicci
Dopo 16 anni dalla bellissima avventura di ascesa dello Stromboli, e un tentativo fallito nel 2014 a causa del mare grosso, abbiamo deciso di ripercorrere il sentiero che porta alle bocche eruttive, i colori e la bellezza di questa natura siciliana che destò in noi così tante emozioni. Partiamo la mattina del 3 giugno da Castrovillari; con noi, due giovanissimi soci ed altri soci delle Sezioni CAI di Catanzaro e di Reggio Calabria che si associano a noi a Villa S. Giovanni. Da qui traghettiamo e, arrivati a Messina, ci concediamo il primo assaggio di sicilianità: gli arancini. Il viaggio in autobus riprende alla volta di Milazzo, da dove, dopo un piacevole pranzo al sacco e l’acquisto di cappelli per ripararci dal sole, ci imbarchiamo sull’aliscafo che ci condurrà a Stromboli. Arriviamo sull’isola intorno alle 17e, dopo una breve sistemazione nelle carinissime strutture della Casa-Albergo La Pergola, ci concediamo una passeggiata per Stromboli fino al Ristorante La Trottola dove ci aspetta un’ottima cena. Dopo un sonno ristoratore , ci attende una mattinata in libertà. Ognuno di noi decide di concedersi un bagno tra le splendide acque dell’isola, di essere accarezzato dal sole sulla bruna spiaggia di Stromboli o di fare acquisti tra le varie botteghe del posto. Ci ritroviamo a pranzo e, dopo qualche ora di riposo, alle 17 ci incontriamo con la guida e ci inoltriamo nel sentiero che ci porterà alla cima dello Stromboli. Dopo una ascesa piacevole ma non facile, i nostri occhi possono godere della bellezza di un fantastico tramonto e della vista di eruzioni che si susseguono quasi in maniera ritmica. Contenti di aver assistito a questo spettacolo della natura, scendiamo attraverso la vecchia Sciara di Fuoco. Al rientro ci aspetta un’ottima pizza. La mattinata successiva prevede il giro dell’isola in barca, con puntata a Ginostra e arrivo a Strombolicchio con un fantastico bagno. Degustiamo per pranzo dell’ottimo pesce presso il ristorante Da Giovanni, ritrovandoci al porto alle 15.30 per il rientro a Castrovillari. Anche questa volta le nostre aspettative non sono andate deluse, salutiamo pertanto questo gigante che ci accoglie con i suoi bellissimi colori e quest’isola che ormai sentiamo un po’ più familiare con un arrivederci.
Immense distese di verde tappezzate da colorati fiori di viole, narcisi, ranuncolo, nontiscordardimè, orchidee, margherite, ai lati i fitti boschi di faggio, pino laricio, cerro, abete bianco, nell'aria l'intenso profumo di mirto ad inebriare l’olfatto, il cielo azzurro ed il sole ad illuminare l’infinito spettacolo della natura. Così si presenta il Parco Nazionale della Sila ai numerosi partecipanti provenienti da tutta la regione in occasione della giornata nazionale dei sentieri 2016. Ogni anno l'ultima domenica di maggio il Club Alpino Italiano, attraverso la Struttura Operativa Sentieri e Cartografia, organizza una giornata di impegno per i sentieri. E’ un momento significativo ed unitario a carattere nazionale volto a richiamare l’attenzione di soci, cittadini, amministratori pubblici, mass media, sul valore dei sentieri per la frequentazione, la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del territorio. Ogni partecipante diventa protagonista alla manutenzione dei sentieri, alla conoscenza del territorio, alla cura e al rispetto per la natura. Le cinque sezioni calabresi di Catanzaro, Castrovillari, Cosenza, Verbicaro e Reggio Calabria siamo presenti, forse per la prima volta, ad onorare questa giornata. Dopo i saluti del Presidente Cai Catanzaro: Gabriele Fera, del Presidente Cai Calabria: Mariarosaria D’Atri, e la presentazione dell’escursione da parte dell’Accompagnatore ASE: Marco Garcea, si parte per attraversare un tratto della Valle del Soleo, passando dalle sue sorgenti che si trovano in loc. Tirivolo ad una quota di circa 1600 mt.. Il tratto iniziale il torrente Soleo, che è il principale affluente del fiume Tacina, è caratterizzato da prati umidi a Nardus stricta e, man mano che scende verso valle, le sue acque gelide e cristalline formano bellissime cascatelle alternate a pozze d’acqua fino ad incassarsi in versanti molto acclivi ed impervi. Per l’alto grado di naturalità il Soleo è stato inserito nei siti del progetto Bioitaly, aree protette SIC (Sito Interesse Comunitario). Il serpentone degli escursionisti, formatosi durante il percorso, seguiamo il sinuoso corso del torrente effettuando diversi guadi. Al bivio che si collega al Sentiero Italia 16, lasciamo il Soleo e penetriamo in un fresco bosco che ci conduce nei pressi del parco avventura di Tirivolo. Ci fermiamo per condividere un sostanzioso pranzo a base di prodotti calabresi, sosta che diventa un divertente momento di festa per tutti. Il tempo trascorre velocemente e ripartiamo per raggiungere il Crocchio, fiume che nasce a Colle Telegrafo a 1679 mt. e, dopo un fragoroso corso che si snoda attraverso gole strette e profonde, sfocia nel mar Ionio. Nei pressi del guado, nella “Valle del Crocchio”, facciamo la foto di gruppo e proseguiamo per “Villaggio Grechi”, nato negli anni ’30 come stazione di sosta per i carbonai e gli operai del legname, oggi trasformatosi in luogo di ricezione turistica. Attraversiamo le colorate casette immerse tra altissime piante di faggio e pini larici e proseguiamo per il “Prometeo”, il gigante della Sila piccola fino al 2001, il più grande abete (Abies Alba) esistente della sua specie, aveva un diametro di 2.40 metri ed oltre 35 metri di altezza, fu bruciato da ignoti nell’ottobre del 2001 forse perché contrari all’istituzione del Parco Nazionale della Sila. Chiudiamo la nostra escursione sostando davanti i suoi resti, sperando che questi atti vili contro la natura e l’ambiente non succedano più.
22 maggio 2016: Piano Novacco - Monte Palanuda di Eugenio Iannelli
Finalmente una giornata colma di sole ci attende in quel di Piano Novacco da dove, insieme agli amici della sottosezione di Cerchiara di Calabria, abbiamo percorso una via “insolita” per il Monte Palanuda. Insolita in quanto la via preferita, e altrettanto interessante, è quella che parte dal nostro Rifugio Biagio Longo a Piano Campolongo di Mormanno e passa per il Rifugio Conte Orlando. Tanti alla partenza e tanti per una prima volta sul Palanuda, montagna poco conosciuta ma che, nella giornata giusta come oggi, offre agli escursionisti panorami a 360° su tutte le cime del Parco del Pollino. Dopo i +7/8 gradi di sabato siamo balzati in una sola notte a +20/22 gradi. Anche questa primavera ci riserva sorprese, cosi come evidenti sono gli effetti di questo tempo birichino che ci mostra la parte superiore delle montagne, adornata dalla splendida faggeta, con una fioritura appena iniziata ma subito bruciata dal freddo, con colori più simili a un periodo autunnale che primaverile. In compenso fanno da cornice al nostro percorso bellissime fioriture che si estendono su tutto il piano. Il gruppo, a me piace sempre sottolinearlo, si presenta veramente variegato nella sua composizione per territori di provenienza dei partecipanti. Oggi abbiamo resistrato la presenza di soci, oltre che di Castrovillari, di Ascea (SA), Cerchiara di Calabria, Civita, Corigliano Calabro, Firmo, Frascineto, Morano Calabro, Lungro, Spezzano Albanese e Rossano Calabro a dimostrazione che la Sezione di Castrovillari ha, con la sua fondazione, centrato l’obiettivo di essere rappresentativa delle “Genti” di un vastissimo territorio e può, senza ombra di smentita, essere riconosciuta a pieno titolo come la Sezione CAI del Pollino. L’escursione è volata via in modo tranquillo, d’altronde erano solo 350 metri di dislivello circa. Ma, considerato che noi del CAI non ci facciamo mancare niente, un pò di fatica ce la siamo cercata, più o meno volontariamente, percorrendo il canalone sbagliato, più ripido, e raggiungendo la cresta sommitale leggermente più ad Est. Nulla di che, solo qualche goccia di sudore in più, una volta raggiunta la cresta abbiamo proseguito, con saliscendi continui fino al Palanuda. Dopo un'attenta e prolungata osservazione e spiegazione ai neofiti della cima del panorama circostante si sono aperte le danze a base di prodotti tipici! Un livello di alta qualità nella scelta delle pietanze portate da casa che ha riscosso grandi consensi da parte di tutti. La magica atmosfera, naturalistica e culinaria, ha fatto si che la pausa si protraesse ben oltre il previsto e dopo due ore, imboccando questa volta il canalone giusto, siamo ben presto rientrati a Piano Novacco non prima di aver dato un’occhiata a un colossale faggio, splendido monumento della natura, che si cela agli occhi dei visitatori distratti ai margini del piano stesso.
15 maggio 2016: Anello del Parco della Cessuta di Giuseppe e Mimmo Filomia
L’escursione del giorno della Pentecoste, condotta da Giuseppe Filomia e Franco Martino ha tenuto a battesimo ufficialmente un sentiero di prima segnatura inserito nel catasto dei sentieri gestito dal CAI di Castrovillari con il numero UCS 949. Il sentiero è una variante per raggiungere il Monte Sellaro per chi proviene dall’ingresso a Nord del Parco della Cessuta (950m). Per la fioritura delle Peonie che si trovano lungo il percorso è chiamato anche il sentiero della rosa di Pentecoste. La giornata fresca e ventilata, ha fatto la selezione dei partecipanti; alla fine, la nostra azione motoria, ci ha premiati con una prestazione, rilassante, facile e confortevole, sempre circondati da una esplosione floreale multicolore di peonie, orchidee, ginestre, margherite e violette fra le più note delle infiorescenze locali. Il sentiero si sviluppa proseguendo sulla strada che conduce alla località Lacco e al Rifugio V. Zuccaro (ex forestale); qui, svoltando a destra, la traccia si inerpica alle falde del bosco di Panno Bianco e, dopo un traverso panoramico sull’abitato di Cerchiara e sul mare Jonio, scollina sulla pietraia di Passo del Sellaro (1262m). Su questa altura esposta, le folate di vento e la pioggia sono minacciose, ma la curiosità di giungere in cima al Monte Sellaro è più forte e cosi alcuni di noi decidono per la verticalità. Altri, sono attratti dalla banda musicale che giù, dal Santuario, manda note sonore per la festa di Pentecoste che vedrà l’icona della Madonna scolpita su pietra, prima venerata in chiesa e poi in processione, seguita da numerosi fedeli per il lastricato antistante al complesso monumentale. Dopo la colazione a sacco e la visita al complesso monastico incastonato alla roccia, la cui Abside è ancora viva per mandare segnali a Oriente, incrociamo il sentiero UCS 946 che qui giunge dall’abitato di Cerchiara. A noi, ci servirà percorrerlo passando prima dall’Oratorio, fino alla Pietra del Brigante (o Delle Piaghe), per chiudere l’anello sfruttando a sinistra una traccia che porta a congiungersi al sentiero di partenza sul lastricato dell’ingresso al Parco della Cessuta.
Probabilmente l’Abate Giacchino Da Fiore, nel lontano 1195, fece lo stesso percorso fatto da noi, alla ricerca di un luogo suggestivo, ricco di fascino attrattivo e misterioso dove fondare la badia cistercense di Fonte Laurato, incaricato dal signore di Fiumefreddo Simone De Mamistra e dalla moglie Gattegrima. Quello che è stato per noi oggi un percorso in una valle molto selvaggia, in quell’epoca doveva apparire all’Abate di Celino, “di spirito profetico dotato” come ne parla Dante nella Divina Commedia, un luogo popolato e pieno di vita, poichè sul versante destro della valle scendeva l’antica mulattiera dei “Fornielli” e sul versante sinistro quella dei “Mercatanti”. La nostra escursione (intersezione Cai Castrovillari - ADM Calabria di Bisignano) è iniziata quasi dalle falde di Monte Cocuzzo, in località S. Antonio di Fiumefreddo per percorrere circa 2 km dell’antica mulattiera dei “Mercatanti”, rivisitando alcuni luoghi particolari: “vallone della posta”, “pietra scivolente”, “sauto a zita” e pianoro di “femmina morta”. Ognuno di noi ha immaginato a modo suo i numerosi viandanti con i volti stanchi che passavano da quella strada ed i vari fatti accaduti. Dopo un breve ristoro, siamo scesi lungo la valle Reale passando dalla cascata dei Vitari e risalendo i prati della località “Strazzieri”, ci siamo affacciati su un terrazzo di roccia ad ammirare il complesso roccioso della “Timpa dell’Arpa”, dove confluiscono due affluenti nel fiume Reale. Superando un altro breve dislivello, siamo arrivati al “Cozzo Strazzieri”, dove abbiamo ammirato un magnifico panorama sulla selvaggia valle Reale; partendo dal profilo più alto a destra abbiamo avuto modo di osservare una lunga catena di monti : Pietra Feruggia, Pietra Longa, monte Cariglio, monte Guono, Timpa delle Api, monte barbaro , contrada Mortilletto di Fiumefreddo nei pressi della Badia Cistercense di Fonte Laurato, e come sfondo il centro storico di Fiumefreddo ed il mare. Ritornati al luogo di partenza , siamo scesi in auto alla contrada Patia , nella Valle Cent'Acquea a visitare l’antica Badia, sia l’interno che l’esterno. Purtroppo siamo rimasti ancora una volta stupiti, come mai un monumento cosi importate, uno dei rari esempi in Italia di architettura normanno/gotica/cluniacense, rimanga ancora in uno stato di totale abbandono. Siamo rimasti affascinati da quel luogo antico e misterioso, suggestionati dalla rupe di calcare rosso che sovrasta l’antico monastero immerso in una valle verde con lo sfondo del mare e tra il gorgoglio delle fresche acque ci è sembrato di sentire ancora le preghiere ed i canti di lavoro dei numerosi frati cistercensi e dei contadini laboriosi della contrada, i quali veramente dedicarono la loro vita al sacrificio ed al lavoro. A conclusione della giornata visita al centro storico di Fumefreddo e al suo Castello.
Dopo un periodo soleggiato e caldo, le previsioni meteo non preannunciavano nulla di buono nei tre giorni di week-end in cui ci apprestavamo a fare il trekking nel Cilento. Nonostante ciò, la mattina del 23 Aprile partiamo alla volta di Bellosguardo. Qui ci accoglievano un timido sole e il gruppo Outdoor Campania, cappeggiata da Leonardo Ricciardi, che ci avrebbe condotto alla scoperta delle bellezze di questa parte del Cilento. Partiamo per la prima escursione, che ci vede impegnati a raggiungere prima il paesino abbandonato di Roscigno Vecchia, dove ci accoglie l’unico abitante esistenze, il sig. Giuseppe dalla mise e dai modi molto variopinti e unici. Dopo aver visitato il museo dell’agricoltura e scattato la foto di gruppo, ci incamminiamo verso le Gole del Sammaro. Qui la vista è splendida e ne approfittiamo per riposarci un po’ e fare una pausa pranzo. Rifocillati e riposati, risaliamo per raggiungere il paesino di Sacco, dove ci accolgono donne del luogo che dal balcone della loro casa ci chiedono da dove proveniamo. Il tratto successivo, intervallato da brevi temporali e schiarite, ci porta a Piaggine, dove veniamo accolti dai proprietari dell’Agriturismo “Le Grazie”, trovando qui altri 4 partecipanti del CAI di Castrovillari. La giornata, abbastanza intensa ed impegnativa, si conclude con il calore del focolare acceso, un’ottima cena con prodotti cilentani e…liquori e dolci calabresi. L’indomani mattina ci risvegliamo sotto una pioggia incessante, ma ciò non ci ferma e partiamo con il pulmino degli amici del gruppo Outdoor Campania per la Fontana dei caciocavalli. La pioggia si è fermata, per cui ci incamminiamo con grande entusiasmo verso la cima del Monte Cervati. A metà percorso ci fermiamo al Rifugio Rosàlia, facciamo una breve sosta sorseggiando un caldo thè preparato dai ragazzi del rifugio e riprendiamo l’ascesa alla cima del Cervati (1899 m). Il percorso diventa sempre più impegnativo anche per la comparsa via via di grandine, nebbia e neve, ma la fatica viene ripagata da qualche qualche attimo di cielo terso che ci permette di godere di una vista stupenda delle vallate del Cilento. Un forte vento ci fa ritornare indietro, per cui raggiungiamo nuovamente il rifugio Rosàlia, dove il calore di un bellissimo camino fa da contorno al pranzo. Stanchi ma soddisfatti e rilassati sui divani del rifugio, sorseggiando liquori alle essenze del luogo, ci coglie il desiderio di rimanere ancora in quell’atmosfera “natalizia”, ma bisogna ritornare e, nell’uscire dal rifugio, la sorpresa….la neve! Anche quest’altra giornata si è conclusa nel migliore dei modi. L’ultimo giorno si presenta peggio dei precedenti, con pioggia, vento e freddo, ma decidiamo di partire ugualmente alla volta delle Gole del fiume Calore. Partiamo sotto una fitta pioggia, ma durante il percorso compare un bel sole che ci permette di completare l’escursione in mezzo alla natura, costeggiando il fiume, accompagnati dal rumore dell’acqua e dalle bellezze naturali. Il percorso si conclude presso una casa rurale, dove tre generazioni (le suocere, marito, moglie e figlia) hanno preparato un ottimo pranzo per noi con i prodotti della loro terra: pasta fatta in casa, verdure, formaggi, insaccati, pane, vino e dolce. Sono stati tre giorni splendidi, sfidando con caparbietà le avverse condizioni meteo e riuscendo nel compimento di tutto quanto previsto. Tutto ciò è stato possibile grazie alla competenza, disponibilità e simpatia di Leonardo Ricciardi a cui vanno i nostri ringraziamenti e un…arrivederci!
17 aprile 2016: Contrada Coture - Valle La Sepa di G. Cosentino e A. Dito
L’escursione è stata organizzata con partenza da località "Coture" (826m), nel comune di Verbicaro e arrivo nella suggestiva Valle la Sepa, sempre nel comune di Verbicaro (1372m). Ormai in disuso, per via della carrareccia, realizzata negli anni '50 del secolo scorso, il sentiero è stato tracciato dalla sezione di Verbicaro su indicazioni del presidente Felice Lucchese che, da ragazzo, vi accompagnava il padre, nel pascolo del gregge di famiglia. L'adesione alla escursione è stata nettamente superiore alle attese, ci ritroviamo in 63, cifra inaspettata e che produce l'inevitabile perdita di tempo. L'inizio dell'escursione, prevista, forse troppo ottimisticamente, per le 8 inizia solo dopo le 9,20, pregiudicando da subito la possibilità di raggiungere la meta programmata. Dopo il rituale dell'accoglienza, a base di dolciumi vari, che hanno l'alibi della scorta di energia per la salita, iniziamo il cammino. Il primo tratto è un largo sentiero, percorribile anche con mezzi meccanici, che ci porta ad una prima terrazza panoramica, da dove ammirare la mole del monte Trincello che si erge solitaria nel pieno della valle fluviale sottostante ed il contesto marino che segna un magnifico orizzonte. La traccia del sentiero infatti si sviluppa sull’alto bordo della valle del fiume Abatemarco, permettendo di godere di panorami che si aprono nella valle, ricca di testimonianze del lavoro contadino e pastorale, con "rolle" (nome dialettale delle radure erbose, ricavate nella montagna e delimitate da muretti a secco, utilizzate sia per il pascolo che per la coltivazione) che portano ancora il nome degli antichi utilizzatori. Casolari abbandonati o ancora in uso, con stalle ed armenti al pascolo. In certi momenti sembra quasi un panorama svizzero, o almeno quello che ci hanno illustrato come tale. All'altezza del punto di riferimento, denominato "i tre cipressi"(954m), il gruppo si divide in due per via del pur lieve dislivello affrontato. Entriamo nella area A "zona 1" del Parco del Pollino già sfilacciati. Questo procedere a due velocità, dei partecipanti, procura altro ritardo che si aggiunge a quello in partenza: Valle la Sepa si allontana come meta di gita. A circa un'ora e mezza dalla partenza giungiamo a "Bocca del Monte" (1050m), nei cui pressi il CAI di Verbicaro sta ristrutturando un vecchio ricovero di pastori per trasformarlo in bivacco montano. Si effettua una breve pausa poco più avanti, ad "Acqua di Teste” (1155m) un punto molto panoramico, trovandosi quasi a strapiombo sulla valle dell'Abatemarco. Di lì si può allargare lo sguardo su un bel tratto di valle e di monti. Dopo “Acqua di Teste" inizia la fitta faggeta, camminiamo all'ombra finalmente e sopra un tappeto di foglie. Purtroppo notiamo che qualcuno si è preso la briga e la pazienza, di scorticare gli alberi che portavano la segnatura del sentiero, troviamo resti di corteccia con la vernice bianca e rossa e profonde incisioni sui tronchi, dove prima erano stati i segnali di conferma del percorso. Nelle radure che si aprono nella faggeta si sviluppano prati fioriti che confermano la primavera iniziata e molti non resistono alla tentazione della foto sdraiati in mezzo ai fiorellini. Raggiungiamo località "Fratta"(1210m) verso le 13,30 invece che le previste 12. La fame si fa sentire ed alcuni partecipanti denunciano una certa stanchezza. Per la meta finale (il bivacco di Valle la Sepa) mancano 142 metri di dislivello ed un 45 minuti di cammino, si decide di fermarsi qui, vista anche la presenza della fontana di fresca acqua. Dagli zaini escono alimenti non proprio raccomandati per le escursioni e, soprattutto, beveraggi vari. La pausa pranzo si trasforma nella solita festa, e come una festa ci si dilunga e si poltrisce al fresco dei faggi. L'escursione voleva essere l'incontro tra amici che amano la montagna e così è stato. Il ritorno è stato effettuato sulla carrareccia, che corre quasi parallela ed a volte prossima al sentiero, strada molto comoda che tuttavia si perde i panorami e le testimonianze del passato che innumerevoli generazioni di calabresi hanno vissuto su queste montagne.
Il sentiero della transumanza:dalla Cannavata a Valle la Sepa. Il piano regolatore dei sentieri nel territorio della sezione CAI di Verbicaro e le antiche vie della montagna, riscoperta, ripercorrenza e valorizzazione. I motivi che hanno portato alla scelta di ritracciare il sentiero storico che dalla Cannavata di Verbicaro porta a Valle la Sepa sono molteplici. Esso era in sintesi la via principale che veniva utilizzata per addentrarsi nella montagna, per la pratica della transumanza, per la raccolta della legna e delle coltivazioni alimentari tipiche delle alte quote. Tali pratiche, e non solo per Verbicaro, hanno costituito le forme più antiche e di più lunga durata di economia naturale. In particolare la transumanza di tipo orizzontale, pianura – montagna, tipica dei luoghi era ed è ancora dettata dalla mancanza di condizioni agrarie e climatiche di allevamento stanziale. Il territorio dei monti dell’Orsomarso in cui ricade il sentiero, per le caratteristiche non solo morfologiche dei suoi contesti ha di fatto favorito un vero e proprio sistema “urbano” fondato sugli ancora evidenti e diffusissimi insediamenti dipendenti da forme itineranti di pastorizia che ancora oggi, per fortuna nostra, definiscono in un tutt’uno con l’ambiente, il paesaggio montano che dalle Coture si innalza mano a mano verso Valle la Sepa. Il territorio che si innerva intorno al sentiero è dominato dalla dorsale dei monti dell’Orsomarso. Partendo dal Cozzo del Pellegrino e passando alla marcata visione del Trincello emergente dallo sfondo della Mula, della Montea e del Monte Caccia esso affonda nel mare Tirreno e si contrassegna per la rapida alternanza di montagne maestose e piccole pianure che spezzano a tratti la geografia territoriale in un insieme di contesti contrastanti. Questo sistema ha generato, per condizioni pedologiche e climatiche, vocazioni agricole molto diverse tra luoghi posti vicinissimi l’un l’altro e dunque ha favorito, a pochi chilometri di distanza dagli stessi, nelle diverse stagioni, un diverso e prolungato uso delle risorse disponibili, utili, in particolar modo per l’allevamento del bestiame. Gli itinerari antichi erano, in questo territorio, sicuramente numerosi. Essi erano funzionali,per l’esistenza di una così diffusa e ravvicinata alternanza di pianura e montagna, ad un tipo di transumanza che si caratterizzava per essere frantumata in una molteplicità di “imprese” armentizie. Non essendoci stata alcuna concentrazione di massa rilevante di bestiame all’interno di questo bacino spaziale, tale sistema si è andato man mano definendo in tutti i suoi valori come paesaggio in cui natura, uomo e bestiame si integrano in un unicum armonico. Esso è così ben definito in tutti i suoi aspetti insediativi ed infrastrutturali che, per fortuna ancora oggi, possiamo cogliere ed ammirare la continuità e la qualità dei suoi resti che marcano come in una diversa “Pompei” questo straordinario paesaggio. Quando si vuole paragonare la traccia dei “tratturi” abruzzesi e pugliesi o delle canadas reales a questa carrera calabrese si fa riferimento ad un segno impresso sul terreno che non può essere inteso come “traccia” storicamente significativa. Infatti la transumanza calabrese, come nel caso Verbicarese, ha invece marcato il territorio in un sistema complesso di infrastrutture ed insediamenti che non può essere assolutamente identificato come traccia lineare, come nel caso dei tratturi, bensì come insieme continuo in cui la pietra stessa quando non è montagna diventa casa, scarazzo, muro di recinzione, di contenimento, di delimitazione, canaletta, fontana e tanto altro in un sistema continuo, integrato e vivo che ancora oggi costituisce il paesaggio di questo tratto montano in cui il sentiero che oggi abbiamo riscoperto e conosciuto ne costituisce l’asse principe e la spina dorsale come ”di molta parte dell’economia italiana, quanto meno di quella meridionale, senza che la grande storiografia si sia mai occupata di essa, quasi fosse un fatto estremamente marginale dell’avventura umana”.
3 aprile 2016: Madonna del Riposo di Monte Sant’Angelo di Mimmo Filomia
Quest’anno l’escursione conservando la tradizione e la devozione verso un luogo ascetico, è stata vissuta con entusiasmo e allegria, scaturita da una crescente presenza di giovani, che ha scoperto quanto sia divertente attraversare, da protagonisti, le terre alte del proprio territorio a ritmi lenti. L’evento è entrato a pieno titolo nella globalizzazione, grazie all’interattività di Streaming e iphone a colloquio con l’applicazione di “Attraversando Natura”; cosi, il sentiero n° 920, Turistico/ Culturale di Monte Sant’Angelo, si è fatto intelligente a passo con la tecnologia informatica, grazie all’installazione di “Totem” Tag QR Code lungo tutto il tracciato. Il CAI di Castrovillari, ha partecipato fornendo supporto logistico e notizie ambientali per la individuazione e segnatura del sentiero. Come noto, il progetto intercomunale informatico di marketing territoriale, condiviso dal comune di Castrovillari, ha digitalizzato l’intera città, 2 sentieri per il trekking e la pista ciclabile, per incrementare lo sviluppo del territorio e il turismo. La tradizionale passeggiata alla cappella rupestre della Madonna del Riposo, ha inizio nel 1836, anno in cui, il benefattore Andrea Bellusci, fa costruire l’opera sulle rovine di un romitorio. Da allora, il sentiero per raggiungere la bianca chiesetta a forma ottagonale, incastonata su Monte Sant’Angelo, è stato percorso da una infinità di pellegrini che hanno alternato il sacro al profano, a testimonianza dell’affetto per la Madonna con il Bambino lì deposta in atteggiamento di riposo. Col tempo le presenze nei dintorni della Cappella di Monte Sant’Angelo, a pasquetta e non solo, vanno man mano scemando; intorno al 1960, il luogo cade nel dimenticatoio. Saranno in pochi a risalire verso questo, un tempo eremo, a pulire ed accendere il cero della speranza e devozione che i nostri avi consideravano un faro sulla città. Buona parte dei castrovillaresi, ha fatto coincidere questa tradizione, con la pasquetta, accompagnandosi con canti e balli tra ginestre e orchidee, favorendo la socializzazione dapprima, poi, l’immancabile scambio e comunione di leccornie tipiche generose pasquali, da non far rimpiangere le descrizioni dello scrittore castrovillarese Fedele Carelli. Egli, già nell’ottocento descriveva l’evento con la stessa dovizia di particolari scenici odierni, illustrando, nella sua opera in dialetto “U Mannulinu”, il menù: “Supa i Stuiavucchi spasi ‘nnante, n’apparata i iaschi, bummoliddi, ciciu, cuddure e suprissate, frettate cu gòva, cancaridde e asparece ,sauzizza cù patàne, cipuddine, vruccule e vuccularu”; e tannu, cumu goje, nonnè mancato u vinu e le dulci fini”. Per testimoniare l’appartenenza al luogo, il Club Alpino Italiano di Castrovillari, interessato da sempre a tutelare e valorizzare gli ambienti tematici, si è preposto per riprendere questa tradizione castrovillarese che è in sintonia con i tempi attuali, in cui è forte la ricerca delle proprie identità e voglia di attività motoria. Ecco, i nostri nonni senza volerlo, sono stati precursori dei nostri giorni. Si spiega da solo il fatto, perché oggi, come di consueto, in ottava di S. Pasqua, alla tradizionale passeggiata, hanno partecipato 105 escursionisti pellegrini, entusiasti e felici di inondarsi di sole, sulla collina sovrastante la propria città. La collina (794m) è un contrafforte roccioso carsico, calcareo a forma tronco conica verdeggiante che dà bella mostra di sé. L’invitante bianca chiesetta, è un punto di riferimento per il viandante, meta di curiosi ed escursionisti durante tutto l’anno. Dalla cima si dominano con un solo colpo d’occhio le cittadine del comprensorio di Castrovillari: Frascineto, Morano, Saracena, S. Basile, Spezzano A. fino al mare Jonio. Rappresenta un punto panoramico, al centro dall’emiciclo formato dai monti del Parco del Pollino su cui svetta la catena del Dolcedorme (2267m), ancora oggi innevata. Prima di noi, è salito qui sopra S. Francesco da Paola per salutare e benedire la Calabria, in viaggio per la Francia al capezzale di re Luigi XI ammalato. Questa escursione che coincide con l’inizio della primavera, è ormai un evento atteso. Quante volte dentro di noi affiora il desiderio di voler fare una bella passeggiata, in tutta libertà, nella natura, al sole, senza allontanarci troppo da casa, per misurarci con le nostre forze, sedere su un masso, riflettere! Giusto quanto basta, per poi tornare alla realtà quotidiana, più caricati e consapevoli delle proprie possibilità fisiche ed anche integrati nel territorio circostante! Antonio Pandolfi in collegamento Streaming FM 97.700 Kontatto Radio ha carpito e divulgato le impressioni a caldo, positive e propositive dei partecipanti durante tutto il sentiero. A vivacizzare la giornata le evoluzioni pindariche del drone di Andrea Recchia, operatore RAI Calabria in gita di piacere, che ci ha ripreso nelle fasi cruciali della bella e spensierata giornata e ha realizzato un video che potrete guardare collegandovi all’indirizzo indicato in testa al presente articolo. “Ah cummara, cum’è ch’on sì binuta cu nui ala Madonna D’ ‘u Ripusu? Ti furéresi assai divirtuta” (F. Carelli 1829/1898). Grazie e complimenti a tutti i partecipanti e alla Prof. Ines Ferrante per il contributo storico.
20 marzo 2016: Cassano I. - Francavilla M. di Gaetano Sangineti
L’escursione messa in calendario ha avuto come meta un interessante itinerario naturalistico-culturale che ha toccato le tappe di Cassano allo Ionio e Francavilla Marittima, attraverso luoghi, sentieri e siti archeologici di grande suggestione. La mattina vede il raduno a Castrovillari proprio dinanzi la chiesa di San Girolamo e da lì si partiva in direzione Cassano dove ad aspettare il gruppo vi erano gli amici del Gruppo Speleo Liocorno che hanno dato il benvenuto a tutti i partecipanti. Prima tappa della giornata è stata la “Pietra di San Marco” un suggestivo spuntone roccioso che domina la città di Cassano e l’intera piana di Sibari, di fatti da quest’altura, gli antichi greci, scrutavano il firmamento notturno. Dopo aver parcheggiato le automobili si è iniziata la passeggiata che attraversava un podere privato e l’attenzione del gruppo è stata attirata dal rudere di un’antica abitazione che presentava qualche importante elemento architettonico ma che stupiva per le dimensioni poiché l’abitazione era corredata da molti ambienti, molti dei quali, un tempo, adibiti all’alloggio degli animali. La passeggiata continuava fino ad affacciarsi presso un punto panoramico che dava poi l’inizio alla salita che portava in vetta. Nel tragitto molta curiosità ha destato una piccola grotticella, alla quale nessuno ha resistito e pertanto si è proceduto ad esplorarla! Poco dopo si arriva in vetta dove ad accogliere il gruppo vi era un panorama spettacolare che svariava dal mare Ionio alla piana di Sibari, dai monti della Sila all’imponente catena innevata del Pollino! Ma non solo! A dominio di tutto ciò vi sono i ruderi di un antico Monastero Bizantino e quel che resta della Chiesa absidata dedicata a San Marco, oltre una croce che ricorda il Giubileo. Dopo le obbligatorie foto si è ridiscesi alle auto per poi procedere verso il centro della città, dove sempre guidati dal Gruppo Speleo si entra in una suggestiva Grotta, la cosiddetta “Vucc’Ucciarda” dove si ha la possibilità di osservare alcune concrezioni e ci si lascia incuriosire dai numerosi cunicoli che compongono la grotta. Da qui si procede attraversando il corso principale e passando di fianco alla Cattedrale, per poi risalire sulla “Pietra del Castello” luogo, per come esplica il nome in cui era sito l’antico castello che dominava Cassano. Interessante è stato l’incontro con alcuni signori che suonavano tromba e tamburo, i quali secondo tradizione nella domenica delle Palme annunciavano con il loro suono l’arrivo della Settimana Santa e della Pasqua. Si salutano gli amici del gruppo Liocorno e si parte alla volta di Francavilla! Qui dopo il cordiale, abbondante, obbligatorio e più che conviviale pranzo…. Frugale…. Si passava alla visita all’area archeologica di Macchiabate e Timpone della Motta. Importantissimo Sito Archeologico che comprende la Necropoli di Macchiabate ove sono collocate numerose tombe a tumulo appartenenti all’antico popolo degli Enotri. Dopo aver conosciuto alcuni dettagli, storie e leggende si risaliva il Timpone della Motta dove sui suoi pianori vi era l’abitato e sulla sommità rimangono i resti dell’area sacra dedicata alla dea Atena con i suoi templi. Si conclude quasi al tramonto e con un suggestivo panorama sul letto del fiume Raganello anche la giornata che ha visto la presenza delle amiche del CAI di Catanzaro e di nuovi iscritti alla nostra sezione. Alla prossima.
13 marzo 2016: Montea di Massimo Gallo
CAI Castrovillari, uscita alpinistica invernale del 10 marzo 2016… Ma quest’anno è stato molto avaro per quanto riguarda le precipitazioni nevose, tant’è che ormai ci eravamo rassegnati a fare una semplice escursione “a secco”. Ma finalmente l’amica bianca decide di fare la sua comparsa! Ok, è caduta solo da pochi giorni, a noi serviva già trasformata per fare quello che avevamo preventivato ma va bene anche così, meglio che niente! Giustamente i canali sono da evitare: pericolosi con neve fresca e presenza di cornici in alto, quindi una cresta, mmmhhh, una cresta, Montea! E che cresta! Con la “Regina dell’Orsomarso” si va sul sicuro, lei regala sempre emozioni e scorci indimenticabili. Eccoci all’appuntamento. Peccato che il tutto coincida con la settimana bianca che la nostra attivissima sezione organizza ogni anno, questo fa si che i soci siano divisi tra le due attività, ma la partecipazione è comunque notevole. Con molto piacere ritroviamo tra di noi alcuni amici del CAI di Reggio Calabria ed altri amici pugliesi, questo a dimostrazione, anche se è cosa bella e risaputa, che la montagna unisce, la passione per le alte quote spinge a fare chilometri e chilometri, per ritrovarsi a scalare insieme verso un intento comune e a percepire insieme tutto il bello che l’ambiente in cui ci si trova ci regala. Un bel gruppo, tutti sono ansiosi di ricevere i doni della “Regina”, e allora via! Non disponiamo di mezzi fuoristrada, e quindi ci dobbiamo fermare prima della fontana di Cornia, classico punto di partenza. Un chilometro circa di cammino in più, ma non importa! Passiamo per il nuovissimo rifugio in legno apprezzandone l’utilità come punto di appoggio per future ascensioni specialmente invernali, e giunti alla fontana, poco sopra, cominciamo a valutare le possibilità di salita. Non bisogna nemmeno pensarci tanto, si decide per la Serra del Finocchio! Questa è una cresta secondaria molto panoramica e a tratti affilata che va ad intersecare la cresta principale, cioè la via normale per la Montea, qualche centinaio di metri prima della cima del pilastrino IGM, (1785m) cioè la seconda della montagna come altezza. Il gruppo procede affiatato sul sentiero che dapprima attraversa in direzione O-NO la base della montagna, e poi altrettanto motivato affronta la dura erta che ci deposita sulla cresta della Serra, dove le nuvole, che fino a poco prima non c’erano, fanno la loro comparsa creando un ambiente molto bello e suggestivo. Il filo di questa cresta rocciosa, in questo caso parzialmente innevata, è stupendo. Secondo me la via di cresta più bella per salire su questa montagna. Alcuni passaggi simpatici sulle roccette innevate del tratto più affilato ci portano poi nel pieno inverno del crinale principale: qui la neve è tanta, ma anche le nuvole ci avvolgono. Ma è bello anche così, la montagna va vissuta in tutti i suoi umori, non si può pretendere di trovare sempre il cielo terso, basta coglierne l’essenza ogni volta e anche con il tempo non bello essa ci dà qualcosa da riportare a casa, custodita nei nostri cuori. Chi fa la traccia fatica non poco, qui ormai la neve è alta e fresca, ma dopo un pò siamo al pilastrino, che ahimè, troviamo riverso a terra, vittima del vento fortissimo che c’è stato circa una settimana prima. Immagino che quassù debba essere stato immane, se penso che quasi staccava una persona da terra nei posti più bassi e meno esposti dove viviamo di solito, d’altronde, per spezzare un pilastro triangolare in ferro, anche se nel punto in cui è saldato, ce ne vuole! Bene! Da qui adesso c’è da raggiungere la vetta vera e propria! Si cambia assetto, se finora abbiamo usato i bastoncini, adesso si tira fuori la picca, ma non c’è bisogno di ramponi, che restano negli zaini. Il tratto che unisce le due cime è più tecnico e presenta alcuni passaggi più esposti, che oggi però saranno facilitati dalla presenza di tanta neve morbida. E si va! Giù dalla cima del pilastrino per aggirare il precipizio che presenta verso Nord-Ovest, e poi di nuovo in cresta. Qui cambia tutto. I pini loricati, veri padroni di questi posti, adesso si presentano galavernati. uno spettacolo, una meraviglia. Procediamo in un ambiente da sogno e poi eccoci al passaggio esposto: facile oggi, se la cavano tutti bene. È sempre più duro fare traccia, ma siamo determinati, e quindi eccoci sotto la cuspide della cima (1825m) la cui risalita presenta un tratto di una ventina di metri un pò più ripidi con alcuni simpatici passaggi. Tutti bene anche qui, e ci siamo! Potremmo essere in qualsiasi parte del mondo, non si vede nulla intorno, le nuvole ci hanno inghiottito, ma noi siamo consapevoli di essere sulla cima di “The Queen”, e le sensazioni che si provano, lo fanno capire anche a quelli che oggi sono qui e che non c’erano mai stati, impossibile non emozionarsi quassù. Bravi tutti, ma una persona è doveroso citarla: Lucia, nuova socia della nostra sezione. Per lei prima volta sulla cima più alta della Montea e prima sua salita in assoluto con la piccozza in mano, niente male! A presto, per emozionarci ancora insieme.
28 febbraio 2016: Ruderi di Artemisia e le Cascate del Rosa di Eugenio Iannelli
“Non tutti i mali vengono per nuocere”. E cosi, a causa di un inverno primaverile che ci ha privato completamente della neve, siamo tornati in un splendido luogo ricco di cultura e di storia dal quale mancavamo dal 2008. Sempre con il competente e piacevole accompagnamento di Vincenzo e Mario siamo tornati li dove religione, storia, cultura, archeologia e natura trovano una spettacolare sintesi. A volte si sente forte l’esigenza, non so se capita anche a voi che leggete, di ritornare in posti conosciuti per rinfrescare la memoria, per verificare se le cose sono cambiate o meno, per ri-confrontarsi con la gente del posto che ha tanto creduto e investito nell’area protetta, per ribadire che il CAI di Castrovillari non ha una valenza solo cittadina ma estende le sue attività spalmandole su tutti i paesi e territori del Parco del Pollino diffondendone la conoscenza, la promozione e la valorizzazione. Per chi invece non c’è mai stato l’occasione di scoprire che nel nostro Parco esistono posti colmi di fascino al di fuori delle solite mete e cime escursionistiche. Partiti dal piazzale antistante il Santuario della Madonna del Pettoruto intraprendiamo il tratto del Sentiero Italia (n. 601) che conduce a Campicello e poi a Piano di Lanzo. Nota dolente, la prima parte del sentiero trasformata, a causa del disboscamento in atto, in una pista per grandi mezzi motorizzati mentre la seconda parte, invasa dai rovi, percorribile grazie al lavoro volontario dei nostri accompagnatori che qualche settimana prima, dotati di forbici e falce, l’aveva ripulita. Dopo circa un’ora e mezza di salita arriviamo ai Ruderi di Artemisia. Qui ammiriamo, confortati dalle precise spiegazioni di Vincenzo, ruderi di cinta muraria, chiesette, abitazioni, cisterne d’acqua piovana etc. etc.; un promontorio dal quale si può ammirare in basso la fantastica Gola del Rosa sovrastata dalla Pietra dell’Angioletto, il Pianoro di Casiglia e un pò più in là Mula e Muletta. Non ci stanchiamo di fare domande di qualsiasi genere e puntuali riceviamo risposte precise ed esaustive da Vincenzo e Mario. Ridiscendiamo e dopo una visita al Santuario e al suo interno ci spostiamo nella Gola. Qui ci attende un lauto pranzo a base di prodotti tipici dove, con la speranza di non far torto a nessuno, possiamo senza ombra di dubbio affermare che la Presidente si è superata nell’esprimere le proprie grandi potenzialità di arte culinaria. “Cipuddine, ova, cancariddi e savuzizza”, “Vrucculi i rapa cu savuzizza”, “pizza casareccia con la ‘nduia” e, con il contributo di tutti, “avulivi nivuri arrapacchiate”, formaggio caprino, savuzzizza e suprissata, funghi e rusticherie varie, buon vino e per concludere grappa e il tanto desiderato “purifica e scarcagnifica”. A volte basta poco per essere felici. Finito il pranzo breve escursione all’interno della Gola dove, raggiunte le cascate, abbiamo potuto ammirare i giochi d’acqua e le molteplici stravaganti conformazioni create dalla stessa nel suo scorrere sulla roccia di tufo. Inutile dire che è stato più il tempo trascorso a fare foto e filmati che quello impiegato per raggiungere le cascate e ritornare alle auto. Per finire una breve considerazione. Una gola, quella del Rosa, di grande interesse naturalistico, di facile percorribilità, che potrebbe rendere felici e partecipi numerosi escursionisti tanto da creare un fiorente indotto economico solo se adeguatamente promossa e mantenuta ma, purtroppo, questa è la nostra impressione, lasciata nell’oblio, nell’incuria, nel degrado e in balia della furia degli eventi atmosferici. Peccato, un luogo che meriterebbe cospicui investimenti e ben altro destino.
30/31 gennaio 2016: 30/31 gennaio 2016: Gran Fondo d'Aspromonte di C. Primavera e D. D'Arrigo
Non potevamo certo mancare a questo primo appuntamento con il Gran Fondo d’Aspromonte, organizzato egregiamente dall’ associazione Aspromontewild con la collaborazione del CAI Reggio Calabria. Il desiderio nell’incontrare nuovi e vecchi amici, in un evento che ha coinvolto tutte le sezioni CAI della Calabria e alcune della Sicilia, era irresistibile. La location, Gambarie d’Aspromonte, è stata all’altezza, come in passato, delle aspettative relative alla ospitalità e alla cortesia. Abbiamo sperato fino all’ultimo in una abbondante e densa nuova neve, ma questo inverno “equatoriale” è stato avaro, mantenendo alte le temperature, tra l’altro più consuete a queste latitudini. Ma non ci siamo scoraggiati. Puntuali arriviamo sabato mattina a Gambarie, dove troviamo Demi e gli altri organizzatori pronti ad accoglierci e dividere i partecipanti in due gruppi: sciatori e ciaspolatori. I secondi, decisamente più numerosi, hanno come destinazione il Lago Menta, a Roccaforte del Greco, i primi invece opteranno per percorsi più in quota. Il secondo gruppo i si sposta di qualche chilometro in macchina, fino a raggiungere la diga sul Lago Menta, creato dal torrente omonimo, principale affluente della fiumara Amendolea. Certo, qui l’opera dell’uomo così prepotente, dà l’idea di cosa ormai la tecnologia e l’ingegno sono capaci di trasformare, ma la bellezza della natura per fortuna prevale sempre. Nonostante la carenza del manto nevoso, ci accingiamo a percorrere questa linea serpeggiante che disegna il lago in tutto il suo perimetro. Lastre di ghiaccio a pelo d’acqua ci ricordano l’inverno, contornato dalle splendide giornate di sole ancora presenti. Il gruppo procede spedito, per nulla affaticato dal piacevole percorso semi ombreggiato. Una breve sosta nel punto esatto in cui un corso d’acqua viene oltrepassato e via, verso il ritorno. Le chiacchiere con gli amici completano questo primo giorno aspromontano. Ma le sorprese non sono finite. La sera, presso l’hotel dove alloggiavamo, era presente a cena Otello Profazio. Memoria storica ed enciclopedia vivente dell’etnoantropologia musicale del Sud, e considerato, anche dai suoi colleghi, il “Principe dei cantastorie”. E così dopo qualche foto con i commensali, ci ha deliziato e divertito con le sue composizioni, che sono canti di protesta, di lotta “poetica”, di analisi critica della realtà sociale, espressi con l’uso della satira, arma molto pericolosa nelle sue mani, contro i potenti, quelli che avrebbero dovuto fare per il Sud e non hanno fatto. Chiusura della giornata leggera e impegnativa allo stesso tempo. La domenica è stata arricchita da tanti nuovi arrivi, infatti le presenze sono state circa 80. Davvero un successo! Stavolta ci dirigiamo un pò più in alto, dove la nostra voglia di ciaspolare sarà finalmente soddisfatta. Abbiamo percorso il sentiero definito "verde" dal Gea, (Gruppo Escursionisti d'Aspromonte) che anni or sono lo aveva tracciato e segnato, attualmente è accatastato con i numeri 111 e 120. Parte dalla ss 183, poco distante dalla piazza centrale di Gambarie lungo uno sterrato agevole che ben riassume tutti i colori delle stagioni, nel nostro caso, anche se con poco innevamento, con gli alberi spogli, ma irreali, strapieni di fascino e mistero anche se in una giornata soleggiata come la nostra. Lo sterrato, (sentiero 111) sale dolcemente a margine dei famosi terreni rossi fino ad incrociare il sentiero 120 che abbiamo imboccato risalendo prendendo quota più rapidamente lungo il crinale della montagna. Da qui, numerose sono le vedute dapprima su Gambarie, poi sulla stessa contrada Nardello, meta della nostra giornata. I nostri occhi si sono riempiti di sole, mare, montagna e di quell’immagine forte, maestosa, quasi intimidatoria: sua maestà l’Etna! Il sentiero finalmente incrocia le piste da sci, che quel giorno erano tutte per noi poichè chiuse ed abbiamo potuto seguirle in libera fino quasi alla fine, dove abbiamo intrapreso una stradina a destra che ci ha condotto al vecchio Ostello della gioventù, in contrada Nardello. L’Ostello è di proprietà del comune di Santo Stefano al quale va il mio vivo apprezzamento per la disponibilità e la concessione d'utilizzo per l'intero weekend. All'interno, ad attenderci oltre al camino acceso, le crespelle calde appena preparate da una banda di amici di Aspromontewild, Pietro Garofalo, Paola Gattuso, Lillo e Viviana di Trekking Southitaly di Bampuriddha, Maria Mangiola, Antonio Serranò Leo Marzino e Peppe Giandoriggio. A questi un caloroso grazie per averci accolti con garbo e simpatia, e un immenso GRAZIE anzitutto a Demetrio D’Arrigo e ad Aspromontewild per l’impeccabile organizzazione. Partiti alla grande!
24 gennaio 2016: D’inverno, nel “cuore” del parco di Mimmo Pace
Fino a qualche giorno fa, pur se nel cuore dell’inverno, le praterie d’alta quota del Pollino e finanche la fiancata Nord del Dolcedorme apparivano del tutto spoglie di nevi; sicchè, mentre con qualche amico percorrevo in avanscoperta quei luoghi, mi chiedevo se fosse il caso di eseguire una “danza propiziatoria”. Un benvenuto quindi alla prima discreta nevicata di questo inverno avarissimo, che ha fatto si che finalmente le nostre montagne assumessero, si spera almeno per un discreto arco di tempo, la tipica veste invernale, regalandoci ancora una volta visioni fiabesche ed emozioni forti. Meglio non farsi troppe illusioni, però; presto, inesorabile, l’anticiclone potrebbe di nuovo dominare! Nonostante il gelo di questi ultimi giorni, sorge spontaneo un interrogativo: è questo un inverno anomalo, oppure si procede a passo spedito verso un inesorabile surriscaldamento del Pianeta? In effetti, la febbre della Terra è già alta e crescerà sempre di più … proporzionalmente al ritmo della indefinita e infinita “crescita”, che la follia e l’avidità umana s’è imposta di perseguire, ispirandosi al più sfrenato consumismo ed alla “cultura del superfluo”. I repentini mutamenti ambientali appaiono maggiormente evidenti, soprattutto alle alte quote, fors’anche perché si pensa da sempre alla Montagna, come ad un mondo eterno e incorruttibile. Al di là dei piccoli e limitati orizzonti montuosi del nostro Pollino, proviamo solo per un po’ a immaginare cosa accadrà, di questo passo, ai ghiacciai alpini e ai più grandi ghiacciai della Terra, malati di caldo … che ne sarà della Brenva, della Vallèe Blanche, del Lys, dell’Aletsch, del Baltoro, dello Hielo Continental, del Perito Moreno e di tanti altri ancora. Fino a ieri, in apparenza, le nostre montagne sembravano non mostrare segni palesi ti tale mutamento, anche perchè da esse i ghiacci e le nevi perenni si sono ritirati migliaia di anni or sono, lasciando grandiose impronte della loro presenza modellatrice … ma oggi tale mutamento è divenuto manifesto ed inequivocabile. Chi come me ha scrutato giorno dopo giorno queste montagne, ricorderà che cinquant’anni addietro le ultime tracce di neve sparivano in luglio inoltrato e che anche in agosto i muli portavano a valle cospicui carichi di neve ghiacciata, dalla nevera della Celsa Bianca, per la gioia di chi amava gustare la “sorbetta”: il gelato, allora, non c’era! Tutto ciò induce alquanta tristezza, ma bando al pessimismo: tutto sommato, la nostra può considerarsi una generazione di fortunati, dal momento che siamo finora riusciti a fruire e vivere i mille aspetti incantati e il fascino dei paesaggi innevati, che il Pollino ancor’oggi offre. Considerando poi, che per noi del CAI la Montagna rappresenta una “mission”, sostenuta dalla nostra pervicace volontà di scoprirla, tutelarla e valorizzarla e che “l’andar per monti” costituisce quasi una peregrinazione dello spirito, lungo la quale avanziamo, alla ricerca di un maggior grado di consapevolezza di noi stessi e di equilibrio interiore … eccoci allora pronti, anzi scalpitanti, a tuffarci con entusiasmo, con o senza neve, nella ennesima avventura. Siamo in pochi stamane al Colle dell’Impiso e saremmo stati pochissimi senza la partecipazione di alcuni appassionati del Pollino, accorsi dal salernitano, dall’avellinese e dal cosentino, nonché dell’indimenticabile Bardok, un mirabile incrocio tra lupo e cane, che ci ha seguito lungo l’intero tragitto … forse perché la modesta irruzione artica, tanto strombazzata e ingigantita dai media, ha indotto la gran parte dei nostri Soci alla prudenza e qualcun altro a tentare vie di maggior prestigio. Ciò importa poco!! … Quel che invece davvero importa è intraprendere e possibilmente concludere le sortite che il ricco, anzi ricchissimo Programma delle Attività Sezionali di quest’anno prevede. Gambe in spalla quindi; anzi … ciaspole ai piedi e ramponi in zaino, alla ricerca di nuovi scenari, nuove sensazioni e nuove emozioni, nonchè a sperimentare e vivere ancora una volta il travaglio dell’ascesa, la volontà incrollabile, lo sforzo dell’ultimo passo e la gioia di aver raggiunto una meta. Nevischio, vento tagliente e un nebbione fittissimo: queste le caratteristiche dell’intera giornata, che ci hanno accompagnati da Piano Visitone, a Passo di Malevento e ritorno. Ascendere sul Dolcedorme sarebbe stato possibile, ma, in quelle condizioni, sarebbe servito a celebrare ed ostentare solo smania di successo o delirio di onnipotenza. Eppure, sarebbe stato un vero record per l’atletico Francesco Raffaele, l’amante dell’Accellica, per il nostro Francesco Pugliese, per Massimo Mingarelli, provetto alpinista, che vanta la conquista di ben quaranta “4000” di tutto prestigio, nonché per l’intrepida sua compagna Daniela Santoli, i quali il giorno prima avevano toccato la vetta della Serra Dolcedorme, risalendola in diretta dal Cozzo Sorvolato … ma che non hanno esitato un solo attimo a rinunciare. Ecco, in conclusione, un insegnamento di cui far tesoro nell’ambito della nostra realtà associativa!!